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CONTRO IL COSIDDETTO “METODO SCIENTIFICO”: RIFLESSIONI INTORNO A METODOLOGIE EMPIRISTE SUPERATE
Eleonora Aquilini (*) e Daniela Basosi(**)
“Un giorno le cose si ribellarono. I fiumi si misero a correre all’indietro, l’acqua si ghiacciò al sole e le pietre si librarono felici nell’aria. Gli uomini non sapevano più come comportarsi. Per un po’ ciascuno di loro pensò di essere ammattito, ma poi quando trovò il coraggio di parlarne ad altri, si rese conto che tutti la vedevano nello stesso modo: era dunque il mondo a essere ammattito. Gli uomini decisero di mandare una delegazione a parlamentare con le cose. Si sedettero tutti insieme a un tavolo senza gambe, bevvero un sorso da un bicchiere vuoto e cominciarono a lamentarsi.<<Non si può andare avanti così>>disse l’uomo più anziano e più saggio <<il vostro comportamento va contro le leggi della natura ed è quindi irresponsabile e assurdo. Di questo passo saremo costretti a dichiararvi tutti un’allucinazione.>> <<Questa è bella >> rispose una gomma che invece di cancellare scriveva << chi siete voi per dire quali sono le leggi della natura? Al massimo, siete una parte della natura, e un’altra parte siamo noi, con uguali diritti. Perché dovremmo comportarci come vi fa comodo per essere giudicati responsabili?>> <<Sospettavo qualcosa del genere>> ribatté un uomo più giovane e focoso << la vostra è una vera e propria guerra, e come tale va combattuta, non a parole ma con le armi.>>…………..<<Un attimo>> interruppe l’uomo saggio <<non è il caso di farsi prendere dall’eccitazione. Noi non vi abbiamo imposto niente. Vi siamo stati a guardare per secoli e abbiamo visto come vi comportavate: le leggi della natura non sono che un resoconto delle nostre osservazioni.>> <<E’ proprio questo il punto>> sbottò un lampadario appeso per terra <<ci avete osservato per secoli, avete tratto le vostre conclusioni e adesso non ci osservate più. Ci avete esaurito, neanche più ci vedete, e poi avete il coraggio di dire che se non seguiamo le vostre istruzioni non ci siamo davvero. Invece noi ci siamo davvero proprio perché possiamo dare fastidio.>> Gli uomini erano allibiti . <<Che cosa dobbiamo fare>> chiese un piccolino dagli occhi dolci.<<Certo se continuerete così non sopravviveremo.>> <<Non è la vostra morte che vogliamo >> rispose per tutti una palla che non rimbalzava.
(*) Vicepresidente nazionale DD-SCI e-mail: ele.aquilini@tin.it (**) Gruppo di ricerca e sperimentazione didattica del CIDI di Firenze e-mail: dabasosi@hotmail.com
<<Vogliamo solo un po’ d’attenzione. Siamo sempre in grado di sorprendervi, e se lo dimenticate lo faremo ancora…………” Questo brano è tratto da una delle favole de “La filosofia in trentadue favole” di E. Bencivenga. Leggendolo, viene spontaneo un paragone con l’attuale situazione nell’insegnamento scientifico: c’è il pericolo di un’altra rivolta delle cose. Infatti, nell’insegnamento usuale non siamo più in grado di farci sorprendere e di far sorprendere i nostri scolari dall’osservazione delle cose. Cercheremo di spiegare perché, dal nostro punto di vista, la tanto sbandierata osservazione nell’insegnamento delle scienze non porta di solito a nessuna conoscenza effettiva delle cose. Si trovano tre tipi di atteggiamenti, di modi di fare scienze a scuola: il primo comporta fare studi dei fenomeni chimici, fisici , biologici guidati dalla volontà di dimostrare alcune leggi che abbiamo in testa (l’intento è quello di riscoprire le leggi ), il secondo è quello di far osservare fenomeni senza un percorso logico ben definito e senza trarre nessuna conclusione (alla base c’è l’idea che l’attività manuale comunque attivi la mente), il terzo assume anch’esso la concretezza come punto di riferimento ma il mondo macroscopico di riferimento è uno spunto per spiegazioni dei fenomeni che di solito mettono in gioco il mondo microscopico e/o nozioni molto formalizzate.
Il metodo per riscoperta
Il primo degli atteggiamenti descritti prevale nella scuola media superiore ed ha un discreto successo anche nelle scuole medie e talvolta nella scuola elementare. E’ a nostro parere un imbroglio nei confronti degli alunni e una scorrettezza nei confronti dei grandi scienziati, della storia della scienza, dell’epistemologia. Di solito l’esperimento dimostrativo precede o segue di poco l’enunciato della legge, la definizione a cui si vuole pervenire. Non c’è nessun percorso storico che contestualizzi i problemi, talvolta solo un cenno storico che non c’entra nulla con il problema affrontato (come la ghigliottina per Lavoisier). Le considerazioni che accompagnano l’esperienza dimostrativa sono delle ovvietà e ciò fa sentire stupidi gli alunni che avvertono di non capire a fondo quanto viene proposto, sentono che c’è dell’altro, che sfugge qualche passaggio, ma non si sentono giustificati nella loro incomprensione perché la sequenza dei ragionamenti è rigorosa e segue una logica deduttiva come la dimostrazione di un teorema di matematica. Questi esperimenti dimostrativi sono anche schiaffi al genio di Galileo, di Newton, di Lavoisier, non si capisce infatti come mai questi, invece di architettare ed eseguire in due o tre giorni la prova dell’evidenza delle loro teorie, ci abbiano messo anni e anni. Il metodo per ri-scoperta credo che sia fra quelli che contribuiscono di più a dare agli alunni un’immagine della scienza falsa: lineare, legata alla logica deduttiva e dispensatrice di verità assolute. Questo metodo è anche l’esemplificazione scolastica del cosiddetto metodo scientifico o metodo galileiano che nei libri viene riassunto in questi passaggi: 1) osservazione 2) ipotesi 3) un esperimento cruciale 4) verifica dell’ipotesi
Secondo questo schema dall’osservazione si evidenzia il problema e quindi la prima fase sarebbe quella induttiva? La seconda, terza e quarta fase sarebbero quelle ipotetico-deduttive ?. Si ignora, nei libri testo che ripropongono questo schema da anni, la riflessione critica sui metodi della scienza dell’ultimo secolo, (in particolare quella di Popper all’induttivismo) ed emerge una visione della scienza per certi versi baconiana e per altri positivistica. In questo metodo in definitiva l’osservazione diviene solo pretesto per far finta di scoprire quello che si sa già.
Il metodo del fare Il secondo atteggiamento scolastico che si riscontra nell’insegnamento delle scienze è attuato prevalentemente nella scuola dell’infanzia e nella scuola elementare. Dello schema relativo al metodo galileiano prende in considerazione il punto1: l’osservazione. Secondo questo modo di vedere, a scuola si osserva e si pasticcia, si fanno tante cose e il valore del lavoro che si può fare a scienze sta nelle acquisizioni implicite nel fare . Il riferimento teorico è l’attivismo, la banalizzazione della teoria di Dewey. Per chi opera in questo modo nel campo delle scienze, il laboratorio è di per sé edificante dal punto di vista dell’apprendimento perché le cose si toccano e si vedono. E’una sorta di sperimentalismo ingenuo quello che di fatto viene proposto e che entusiasma i sostenitori. Anche in questo caso l’osservazione non serve per interrogare la natura, come dice Geymonat, e di solito queste osservazioni estemporanee non accrescono la conoscenza sulle cose.
Il metodo del fare seguito dalla spiegazione della disciplina “ adulta”
C’è poi un terzo modo di operare nell’ambito delle scienze seguito nelle scuole elementari, medie e superiori. Questo modo assomiglia al primo e al secondo con qualche variazione nella fase della spiegazione del fenomeno. Si parte anche in questo caso dai fenomeni, si cerca di osservarli e d’indagare il loro sviluppo (come nel primo metodo e nel secondo) però anziché fermarsi alle spiegazioni plausibili che possono pervenire dal livello macroscopico dell’indagine, si fa un salto logico e si fa intervenire per la spiegazione il mondo microscopico con le sue leggi che in molti casi sono ignorate. Il livello di inconsistenza pedagogica e di significato aumenta mano a mano che si scende di livello scolare, cioè parallelamente alla diminuzione di conoscenze sulle teorie relative al mondo microscopico. Quando si utilizza questo metodo nella scuola elementare e media le spiegazioni diventano assolutamente fantastiche nel senso che afferiscono al livello della fantasia, non a quello della razionalità e gli atomi e le molecole hanno nell’immaginario del bambino la stessa consistenza delle fate e degli gnomi. Per supportare l’immaginazione dei bambini e indirizzarla in senso scientifico vengono creati dei modelli di solito iconici, (spesso immagini tridimensionali al computer), che raffigurando l’inimmaginabile e l’incomprensibile sembra che costituiscano il cuore della conoscenza. Ci si chiede: è importante forzare la mano in questo modo nella scuola elementare e media? A chi giova? Se imparare a ragionare scientificamente significa basare le proprie convinzioni su dati tangibili, che tipo di verificabilità (anche teorica) è permessa ai bambini riguardo a particelle atomiche, elettroni e protoni, molecole e componenti sub-cellulari? Che tipo di insegnamento scientifico si dà se una parte della conoscenza viene fornita dall’osservazione e una parte, quella della comprensione, è fornita da spiegazioni su teorie e mondi sconosciuti? Anche in questo caso l’osservazione è un pretesto per arrivare non ad una conoscenza scientifica di base, ma per parlare di altro.
I modi d’insegnare le scienze, la formazione degli insegnanti, le scelte da fare.
Per uno strano motivo, forse legato alla formazione degli insegnanti che continuano a riproporre anche nella scuola pre-universitaria il sapere accademico, quello a cui si deve arrivare nell’insegnamento sono le scoperte della scienza e della tecnica che hanno costituito la base della formazione universitaria di ogni laureato. Il fatto che l’insegnamento debba prendere in considerazione quello che della disciplina sarebbe comprensibile ai bambini di solito viene ignorato. Il dovere di ogni insegnante non è, a nostro avviso, dare un gran numero di informazioni, non è fare proprio il detto alchemico “ignotum per ignotius”, ossia spiegare le cose ignote attraverso quelle ancora più ignote, ma di andare a piccoli passi alla scoperta dei fenomeni e delle cose seguendo la via delle spiegazioni comprensibili a quel livello cognitivo in cui si trova l’alunno. E’ la via della razionalità quella che ci induce a credere che, se si scelgono opportunamente i fenomeni da studiare, possiamo interrogare la natura facendo ipotesi verificabili con semplici esperienze, dando spiegazioni che si fermano al livello macroscopico. Solo in questo modo d’altra parte si darebbe vero valore formativo all’insegnamento delle scienze nella scuola di base e non solo, e per comprendere meglio che cosa intendiamo potremmo avvalerci di molti esempi. Potremmo dire, per esempio, che esplorare un po’ l’ambiente che ci circonda per conoscerlo è indispensabile per fare in futuro le scelte giuste per rispettarlo e conservarlo; ma anche semplicemente che conoscere a fondo in tutte le fasi fenomeni come l’ebollizione dell’acqua o l’evaporazione o quando siamo in presenza di una soluzione vera aiuta in tanti aspetti pratici della vita, oppure che conoscere un po’se stessi, il proprio corpo, le trasformazioni che subisce, ciò di cui necessita, aiuta a mantenerci in buona salute, ad avere un buon rapporto con il cibo e a consumare farmaci in modo più consapevole. Potremmo portare altri esempi del genere ed affermare a ragion veduta che un minimo di cultura scientifica di base contribuisce a formarci come cittadini consapevoli delle proprie opinioni e delle proprie scelte. E’ innegabile che in scienze contino le conoscenze, ma esse devono collocarsi in una visione ampia della didattica delle discipline, in cui sia ben chiaro ed evidente il loro alto valore formativo. L’insegnamento delle discipline scientifiche avrà vero valore formativo se concorrerà a renderci padroni di un metodo che ci metta in grado di acquisire in modo autonomo nuove conoscenze e un minimo di senso critico nei confronti della realtà in cui viviamo. Questo è uno degli obiettivi per eccellenza che le indicazioni programmatiche della scuola (vecchie o nuove che siano) fanno sempre proprio: insomma, è importante nella vita imparare a ragionare con la propria testa, saper analizzare le cose con senso critico e saper prendere le proprie decisioni in modo consapevole.
La nostra proposta per insegnare scienze nella scuola elementare e media di primo grado.
Come abbiamo già detto, il metodo che, per eccellenza, partendo dall’osservazione della realtà porta a formulare ipotesi e a progettare soluzioni è il classico metodo ipotetico-deduttivo di Galileo. E’ su questo metodo che dobbiamo impostare il lavoro con i ragazzi? Tutti i manuali scolastici della scuola media riportano nelle prime pagine l’importanza di impostare il lavoro seguendo questa metodologia e cercano di ispirarsi ad essa quando propongono esperienze, illustrano leggi, documentano scoperte, banalizzandole. Tuttavia, questa metodologia ineccepibile per la sua razionalità per lo “scienziato”, per il ricercatore, non fa poi i conti con il livello di conoscenze che il bambino nella scuola di base possiede, né con le sue concezioni ingenue spesso frutto del senso comune e di frequente errate, né, meno che mai, sulla capacità di astrazione tutta da conquistare: questi infatti sono aspetti determinanti, insieme ad una buona dose di intuizione, per elaborare ipotesi. Le ipotesi possibili a questo livello di età possono essere semplici congetture legate al concreto, a ciò che veramente è visibile e, pertanto, osservabile nel suo essere e nel suo trasformarsi, legate al fenomeno. D’altra parte la metodologia galileiana ipotetico-deduttiva non è l’unica che può creare un “atteggiamento mentale” scientifico, perché di questo in fin dei conti si tratta, non di creare dei piccoli scienziati. Forse è il caso di mettere in atto altre metodologie, altre strategie, più adatte pedagogicamente all’età a cui ci si rivolge, che tengano conto insomma di una serie di obiettivi importanti da perseguire. Proviamo ad elencarne qualcuno che riteniamo si debba tenere in gran conto: - perseguire sempre una partecipazione attiva di tutti i bambini, in modo che ciascuno osservi in prima persona - adeguare il fenomeno da studiare alle possibilità reali degli allievi, in modo che esso conduca alla riflessione - avere presente la necessità costante di ampliare le competenze linguistiche degli allievi, perché solo attraverso lo sviluppo del linguaggio (o meglio dei linguaggi verbale, iconico ecc.) crescono di pari passo le conoscenze - abituare i ragazzi ad ascoltare e ad ascoltarsi e quindi dare ampio spazio alla discussione tra pari, agendo da moderatore e animatore della discussione - accogliere l’errore come utile allo sviluppo della discussione e del confronto - dare valore alle relazioni emozionali e affettive che l’alunno deve poter esprimere nel suo faticoso percorso di costruzione delle conoscenze - dare tempo al tempo, non avere fretta di concludere per accumulare nuove conoscenze, prima che le precedenti siano diventate veramente patrimonio di tutti Tutto ciò non può essere realizzato attraverso un insegnamento estremamente formalizzato, ma neppure attraverso l’uso di esperienze fini a se stesse, non inserite in percorsi ragionati con obiettivi chiari. Un’impostazione metodologica che tiene conto di ciò che è stato detto può essere definita operativa, non sperimentale in senso lato e può essere articolata in cinque fasi ugualmente importanti e interconnesse l’una con l’altra:
a) partire dal fenomeno b) osservare c) verbalizzare d) discutere collettivamente e) affinare la concettualizzazione
Punto di partenza sarà un’attività comune. Per la scuola materna e il primo ciclo della scuola elementare la fase del “pasticciamento”, del contatto diretto con gli oggetti da osservare anche con modalità più libere ( pensiamo ad esempio all’importanza di avere per un certo periodo in aula piante o animali con cui far familiarizzare i bambini) è sicuramente uno dei momenti fondamentali del processo conoscitivo, per promuovere la riflessione libera e la conoscenza comune. Questa fase occuperà sempre tempi meno lunghi mano a mano che si cresce con l’età, ma non va mai sottovalutata né accantonata perché punto essenziale di partenza dell’osservazione guidata. La fase dell’osservazione guidata è molto delicata, infatti il docente deve aiutare gli alunni a osservare in modo non casuale: si pongono problemi, domande che sollecitano i confronti e si progettano insieme altre esperienze per risolvere i problemi posti. Il momento della riflessione comune e della elaborazione è caratterizzato dalla discussione collettiva, dalle rappresentazioni grafiche, verbali ed iconiche in base all’età e alle necessità. Nel secondo ciclo delle elementari e nella scuola media non ci si potrà limitare a far osservare un certo fenomeno per pensare che esso venga completamente compreso da tutti. Anche con alunni più grandi la fase del coinvolgimento e della partecipazione attiva va sollecitata. Per ottenere questo obiettivo, l’osservazione deve essere accompagnata dalla descrizione e dalla narrazione individuale, primo livello della riflessione. Ognuno avrà così la possibilità non solo di riflettere, ma anche di esprimersi secondo le proprie possibilità e competenze e i propri ritmi di lavoro. La messa in comune delle osservazioni individuali, la successiva discussione che inevitabilmente scaturirà ed il confronto condurranno ad un secondo livello della riflessione più articolato in cui i concetti cresceranno, si affineranno e troveranno la loro collocazione logica. Anche questo momento avrà bisogno di rielaborazione attraverso grafici, testi collettivi o individuali di sintesi di ciò che si è appreso, disegni, cartelloni, ed anche in questa fase la scelta dipenderà dall’età e dalle necessità. Le fasi descritte sono fra loro collegate e si succedono e si alternano senza modalità rigidamente precostituite. Nello studio individuale sarà infine importante che l’alunno non si limiti a rivedere gli elaborati finali, ma ripercorra anche le tappe del suo processo di conoscenza. Con questo modo di lavorare fenomenologico e operativo, le cose della favola di Bencivenga hanno tanto da dirci, proprio perché i loro comportamenti possono essere osservati e studiati fenomenologicamente, facendo ipotesi ed esperimenti per capirle a fondo, ragionandoci sopra, facendo diventare le osservazioni relative ai fatti dei concetti. E allora le cose continueranno ancora a stupire noi e i nostri alunni per molto tempo.
BIBLIOGRAFIA
- E. Bencivenga, “La filosofia in trentadue favole”, Arnoldo Mondatori,Milano, 1997. - C. Fiorentini “Quali condizioni per il rinnovamento del curricolo di scienze?” in L’arcipelago dei saperi (a cura di) Franco Cambi, Firenze, Le Monnier, 2000.
- L. Barsantini e C. Fiorentini (a cura di), L’insegnamento delle scienze verso un curricolo verticale. I fenomeni chimico-fisici , I.R.R.S.A.E Abruzzo, S. Gabriele (TE), Editoriale Eco srl, 2001. - G. Cortellini, Alfero Mazzoni ( a cura di), L’insegnamento delle scienze verso un curricolo verticale. I fenomeni biologici , I.R.R.S.A.E Abruzzo, S. Gabriele (TE), Editoriale Eco srl, 2001. - J .Bruner, La cultura dell’educazione, Feltrinelli, Milano,1997. -P. Boscolo “Psicologia dell’apprendimento scolastico”, UTET,Torino ,1997. -J. Dewey ,“Come pensiamo”, La Nuova Italia, Firenze, 1994. -L. Geymonat, Lineamenti di filosofia della scienza, Mondadori, Milano, 1985.
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