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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
- ISSN 1973-252X
Direttore responsabile: Dario Cillo


 

Due articoli di specialisti in campo scolastico sul tema dei  disturbi specifici di apprendimento

Per un dibattito sul tema:

-       Prof .ssa  Agostina  Melucci     “dirigente tecnico” in Emilia-Romagna

 

-       Prof.ssa  Pellegrino – docente Scuola Media

DSA / DSI

Qualche riflessione a proposito di differenze e diversità connesse a disturbi dell'insegnamento talvolta imputati a Disturbi Specifici dell'Apprendimento

 



di Agostina Melucci

Sintesi

Una persona, alunno o insegnante che sia, è molto di più di quanto possiamo prevedere e capire; l’incompiutezza è un grande valore pedagogico perché può aprire varchi non prevedibili.
L'esplosione quantitativa dei cosiddetti Disturbi Specifici dell'Apprendimento segnala la difficoltà della scuola, gravata di compiti sempre più pesanti, a mantenere la cultura dell'uguaglianza e il rischio di una più estesa stigmatizzazione delle differenze e delle incompiutezze.
Le Difficoltà Specifiche dell'Insegnamento (espressione di R. Iosa) creano così molte di quelle situazioni che vengono poi inquadrate come Difficoltà Specifiche dell'Apprendimento.


L’azione educativa e didattica muove dalla conoscenza di ciascun alunno, senza presumere troppo; tale conoscenza è offerta dall’attestazione clinica (qualora necessaria), dall’osservazione costante, dal continuo dialogo intersoggettivo (con l’alunno stesso, con i genitori, i compagni, i colleghi), dalla relazionalità quotidiana in classe.
Per avvicinarsi alla comprensione della persona occorre impiegare modalità non spersonalizzanti; quindi il soggetto-persona va considerato nella sua unitarietà facendo leva in particolare sulle potenzialità.
Il percorso specifico costituisce uno dei possibili modi per impostare l’attività di personalizzazione nel senso di accorgersi degli stili di ciascuno, delle caratteristiche personali di apprendere entro un contesto. Personalizzare significa che ogni essere umano è segno di una presenza originaria e rimanda al principio pedagogico secondo cui si diventa persone tra le persone assumendo l’unità dell’essere umano la cui formazione avviene pienamente solo nella relazione, nel dialogo, nell’apertura, nell’incontro. Si attivano curvature del percorso didattico entro la comunità perché l’educazione è processo intersoggettivo.

Personalizzare significa riconoscere le caratteristiche di specificità, di differenza e diversità entro una fondazionale base di universalità, di comunanza, di riconoscimento del fatto che ciascuno di noi ha elementi in comune. Richiama il principio che l’istruzione, la formazione, l’educazione è per ciascuno entro un’idea di scuola quale luogo di investimento sociale. La singolarità inestesa può essere anche una gabbia, un avvitamento e magari una sorta di giustificazione per chiudere l’orizzonte delle attese (“tanto più di così non può dare….).
Per questo è importante avere un’idea aperta, dinamica, in divenire di persona e offrire sentieri culturali e relazionali per non rinchiudersi nella singolarità; vanno dunque favorite modalità dialogiche di sviluppo dell’identità (forme di costruzione cooperativa dell’apprendere, aiuto reciproco, saper guardare a ciò che sta sulla linea dell’orizzonte e anche oltre).

Nelle nostre classi ci sono alunni che brillano per velocità, profondità, ampiezza degli apprendimenti; vi è chi segna il passo e chi rappresenta il mondo in modi anche marcatamente differenti e diversi da quelli ritenuti normali. Lo sviluppo intellettuale ha tempi solo statisticamente prevedibili, lo scostamento dalla media non significa necessariamente presenza di qualche deficit e ciascuno di noi ha tempi di maturazione propri; gli apprendimenti non hanno una sequenza temporale precisa. Non esiste un “orario” della persona, la quale ha propri ritmi, modi, tempi, velocità. La persona non è un prodotto seriale, non può mai essere conosciuta fino in fondo, può sempre riservare sorprese, può essere capace di miglioramenti incredibili come di involuzioni sconcertanti.
Va accolta e accompagnata nei suoi tempi di crescita; è bene non comunicare all’alunno (e i modi della comunicazione sono espliciti ed impliciti) l’idea di non essere in grado di seguire il “ritmo della classe” , di non “essere capace” come se la persona fosse una sorta di tram che deve passare per forza a una certa ora (e anche a loro spesso succede che ciò non accada…)
Non necessariamente ciò che fuoriesce dalle previsioni, dalle tassonomie del pensiero o dalle risposte che i tests classificano come sbagliate è disturbo. A volte disturba solo la nostra struttura di attesa.


Sappiamo bene come diverse persone, poi rivelatesi dei geni, nell’infanzia ebbero problemi di linguaggio, impararono a leggere e a scrivere più tardi della media. A volte presentavano anomalie nella personalità che magari hanno ingenerato scarso apprezzamento scolastico e grande ansia da parte dei genitori. E’ questa la difficoltà da parte dell’educatore; saper attendere in modo positivo, attivo, paziente, operoso dimettendo atteggiamenti di “accanimento didattico” come di tipo rinunciatario. Le questioni vanno affrontate con competenza; ci possono essere disturbi specifici recuperabili e altri adattabili.

I disturbi specifici dell’apprendimento sono anche un’innegabile realtà; la loro caratteristica è quella di essere connessi esclusivamente ad un “dominio di abilità” circoscritto, mentre resta intatto il funzionamento cognitivo generale.
Sono disturbi molto speciali perché presenti in bambini con capacità cognitive ordinarie e che se non riconosciuti vengono fraintesi quali manifestazioni di svogliatezza, distrazione, opposizione, rifiuto, chiusura. E’ di fronte a un compito scritto che iniziano le difficoltà, quasi sempre fin dal primo anno della scuola primaria.
Abbiamo bisogno di porci domande, di approfondire la conoscenza della questione, di individuare modalità adeguate di risposta sia sul piano degli strumenti didattici che degli aspetti relazionali. C’è bisogno di ricerca, formazione, confronto.

Va rafforzata ed estesa la conoscenza di questa particolare fenomenologia della differenza e diversità. E’ importante l’individuazione del problema in tempi ottimali, evitando sia il riconoscimento non fondato dovuto a eterocronie dello sviluppo che atteggiamenti di inerzia.
L’integrazione degli strumenti diagnostici e di quelli pedagogici risulta quanto mai opportuna per queste situazioni di difficoltà nell’acquisire abilità connesse al leggere, scrivere, calcolare. Il possesso veicolare del codice linguistico è essenziale per tutti gli apprendimenti. Il confronto costruttivo, la circolazione delle esperienze, la designazione di referenti di scuola, l’approfondimento della conoscenza, l’ attivazione di iniziative di formazione possono costituire criteri di un lavoro di qualità.
I disturbi specifici di apprendimento (dislessia, disgrafia, discalculia), presenti in età scolare in varie forme e gradi, sono appunto disturbi specifici, circoscritti per l’acquisizione delle abilità che permettono di leggere, scrivere o calcolare entro un quadro nella norma senza altre patologie o deficit. La difficoltà concerne spesso l’acquisizione degli automatismi in proposito e va considerata con attenzione educativa.

L’abilità può significare la messa in atto della capacità, sua attivazione, modo di agire; la capacità può essere intesa quale potenzialità. Le abilità sono mezzi importanti di sviluppo generale della persona. Non sono statiche, possono evolvere e anche involvere.
Disegnare tassonomie di abilità o elenchi cui necessariamente tutti a una certa età della vita devono star dentro può essere rischioso perchè i modi delle espressioni del soggetto non possono essere predefiniti, prefissati. E’ qui la difficoltà dell’azione educativa, nella complessità della persona.

Quelli che definiamo come disturbi specifici di apprendimento sono varietà dei modi di apprendere e possono trovare in una serie di accorgimenti relazionali, didattici, nelle tecnologie aiuti all’interpretazione e al progetto educativo. Si tratta di rafforzare l’attenzione a quei comportamenti scolastici che, pur non correlati a precisi quadri clinici, tuttavia ritardano gli apprendimenti e costituiscono comunque un motivo di disagio per il soggetto, per la classe e di preoccupazione per la sua famiglia. Le difficoltà riguardano l’acquisizione delle abilità strumentali, normalmente acquisite senza sforzo; il “dislessico” fatica a imparare a leggere e a scrivere. La lettura è stentata, lenta; la scrittura è talvolta incomprensibile o contratta, la dettatura, la copiatura dalla lavagna diventano attività difficili come pure il passaggio al corsivo. Forti poi le difficoltà nell’apprendere l’inglese. A ciò si associano problematiche emotive connesse al non riuscire a soddisfare le attese della famiglie e alla comparazione con i compagni di classe; la situazione provoca varie forme di difesa: rifiuti anche di andare a scuola, ansia, forti resistenze, chiusure. I riflessi negativi sull’autostima e sull’identità personale possono essere considerevoli.
Quindi la relazionalità positiva con i docenti, l’incoraggiamento costante, la valorizzazione della persona contestuali a buone modalità didattiche (es.tempi adeguati, strumenti a supporto, compensativi, es, tabelle dell’alfabeto, dei vari caratteri, tabellone, calcolatrice, computer, registratore.. e dispensativi - dispensa dallo studio della lingua straniera in forma scritta, valutazione che tenga conto del contenuto e non della forma..) costituiscono la base dell’aiuto educativo. L’alleanza educativa con la famiglia è indispensabile per individuare insieme le strade più adatte.


La consapevolezza del senso pedagogico del percorso personalizzato è condizione per fare in modo che l’azione didattica possa essere efficace e significativa. Non possiamo sempre addebitare a limiti del soggetto (clinicizzazione delle differenze e delle diversità) quelli che sono i limiti e le possibilità della scuola, specie in questo momento particolarmente difficile.
L’atteggiamento delicato, curioso, aperto, collaborativo, competente, fiducioso nei confronti del singolo con le sue specificità in divenire entro un contesto educativo vivace, partecipato, autenticamente accogliente può consentire a una serie di accorgimenti didattici e metodologici di costituire non un “prontuario” per improbabili risposte miracolistiche, ma motivate vie per meglio corrispondere alle istanze di chi pone domande formative più complesse.
Si tratta di puntare non a un minino per tutti, ma al massimo da ciascuno, ossia all’essenziale considerato da un punto di vista qualitativo e quantitativo. La tensione è verso la valorizzazione e compensazione delle diversità e differenze cercando di percorrere tutta l’area dello specifico sviluppo potenziale; in tal modo si costruiscono le condizioni per un’uguaglianza che non è grigia omologazione ma riconoscimento di uguaglianza di diritti e loro articolato perseguimento attraverso un insegnare da Maestri.
La sfida è aperta e in attesa di ulteriori contributi.


Dal sito

Paedagogica U.S.P Forlì-Cesena
Sezione: Didattica
http://www.istruzionefc.it/uopsa/default.asp


Scritto da: Agostina Melucci
Inserito il: 07/02/2010

 

 

 

 

 

 

LETTERE

Egregio Direttore,

sono un'insegnante di una scuola media superiore. Ho visto che stanno continuando a fare progetti di screening nelle scuole per l'individuazione di "disturbi di apprendimento".

Uno dei tanti è quello che è stato condotto su bambini della prima elementare di 66 plessi scolastici di Modena, secondo il quale a detta degli "esperti" il 20 per cento circa di questi alunni è a rischio di dislessia. (Quotidiano.net ). Questo risultato ottenuto mediante un test consistente in un "dettato di 16 parole" per misurare le capacità di letto/scrittura, non fa altro che dire che il 20% di questi bambini ha carenze nella lettura e/o scrittura di alcune parole e allora?

Perché tanta enfasi e tanto allarme? Non c’è bisogno di accurate indagini per avere queste informazioni, qualsiasi maestra ha avuto sotto gli occhi queste situazioni da anni e sa che questi errori, andando avanti diminuiranno o non ci saranno più, così come è successo ad ognuno di noi nel suo percorso didattico e della vita.

Questi sono bambini che hanno appena messo il piede nella scuola e sui quali prima ancora che inizino ad apprendere, vengono puntati su di loro i fari per individuare coloro che sbagliano a scrivere o leggere qualche parola, per dire poi che soffrono di disturbi di apprendimento, che sono dislessici, e che su di loro vanno fatti interventi correttivi.

Le conseguenze di questi screening e soprattutto gli interventi suggeriti ed attuati da questi esperti, sono sotto gli occhi degli insegnanti e dei genitori da diversi anni.

Anche quest'anno come negli anni precedenti, mi sono ritrovata, purtroppo mediamente due alunni per classe etichettati dislessici o iperattivi. La differenza tra loro e gli altri studenti è che loro hanno un atteggiamento mentale di sfiducia, di enorme insicurezza, sono affiancati da un’insegnante di sostegno, il che dice chiaramente ai loro compagni, agli insegnanti e a tutta la scuola, che loro sono "gli anormali, gli incapaci, i malati mentali, i diversi, quelli che sono li per compassione, ma che non dovrebbero esserci perché non capiscono niente", ed alla fine riceveranno solo un attestato di frequenza visto che non hanno imparato niente e non ci si aspetta che imparino niente, non gli si può dare un diploma. Hanno notevoli lacune accumulate in tutti questi anni di scuola nei quali è stato l’insegnante di sostegno a scrivere per lui, a leggergli il testo (seguendo le indicazioni degli esperti, perché quegli alunni con questi "disturbi di apprendimento", non devono leggere, non devono scrivere, se non col computer, non devono fare calcoli ecc,).

Una mia alunna alla quale avevo dato alcune pagine da studiare, il giorno dopo mi ha detto che non le aveva lette perché lei è dislessica e non deve leggere e che non devo pretendere che lei legga o scriva quando non c’è l’insegnante di sostegno, naturalmente pur con notevoli carenze e lacune in tutte le materie, alla fine dell’anno è stata promossa perché, "non si poteva pretendere che sapesse come gli altri".

Questi sono i risultati e alcuni degli " interventi correttivi e riabilitativi " di cui parlano questi esperti.

Non è questo forse un modo di inculcare l’idea di incapacità in uno studente e renderlo dipendente dall’insegnante e realmente incapace?

Tutto questo in un contesto in cui l’elevato numero di bocciati dovrebbe farci porre seriamente il problema della didattica. In una mia seconda (superiore) su 26 alunni soltanto otto sono stati i promossi, diciotto hanno registrato un insuccesso (di questi, undici rinviati a settembre , cinque i bocciati ed uno ritirato) e questa non era una delle classi peggiori.

Quali sono i corsi di aggiornamento agli insegnanti? Quali sono le proposte di intervento per migliorare l’istruzione? Quale è l’addestramento che sta venendo dato nelle università e agli insegnanti di sostegno? Infine, dov’è che stanno venendo investiti i fondi per la ricerca e per migliorare le competenze didattiche degli insegnanti?

Gran parte delle risorse destinate all'istruzione vengono investite in screening come quello di cui sopra e in corsi di aggiornamento per addestrare gli insegnanti ad individuare i disturbi di apprendimento nei loro allievi così che vengano tempestivamente segnalati al neuropsichiatra infantile e alle USL.

In cantiere ci sono piani come quello recentemente pubblicato dall’agenzia sanitaria e sociale della Regione Emilia- Romagna, il Dossier N.160/2007 " Politiche e piani d’azione per la salute mentale dell’infanzia e dell’adolescenza" , uno dei tanti che stanno cercando di attuare nel nostro paese, un piano che non è altro che la traduzione del "Child and Adolescent Mental Health Policies and Plans " della psichiatria americana, nel quale sono espressamente dichiarati i fini che intendono raggiungere: individuare precocemente attraverso screening le malattie mentali dei minori che in molti casi vengono considerati "erroneamente" come persone che non si "impegnano abbastanza" o che "creano problemi".

Non abbiamo bisogno di aumentare la schiera degli invalidi e di trasformare le nostre scuole in anticamera dei reparti di neuropsichiatria infantile della città.

Grazie a questi screening ed a queste strane teorie che si sono dimostrate fallimentari, il livello dell’istruzione si sta abbassando sempre di più e sarà difficile un cambiamento di tendenza se queste cose non verranno fermate e non si cambierà direzione.

Di sicuro c’è bisogno di migliorare la didattica e di apportare cambiamenti nelle metodologie di insegnamento soprattutto ai livelli di scuola elementare e media .

I bambini e gli alunni in genere non hanno disturbi di apprendimento, soffrono della mancanza di metodi didattici e di studio efficaci che permetta loro di apprendere agevolmente e di diventare cittadini competenti e produttivi.

22/07/2008

Prof.ssa Margherita Pellegrino

 


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