Due articoli di specialisti in campo scolastico sul tema dei
disturbi
specifici di apprendimento
Per un dibattito sul tema:
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Prof .ssa
Agostina
Melucci
“dirigente tecnico” in Emilia-Romagna
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Prof.ssa
Pellegrino – docente Scuola Media
DSA / DSI
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Qualche riflessione a proposito di differenze e diversità
connesse a disturbi dell'insegnamento talvolta imputati a
Disturbi Specifici dell'Apprendimento
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di Agostina Melucci
Sintesi
Una persona, alunno o insegnante che sia, è molto di più di
quanto possiamo prevedere e capire; l’incompiutezza è un grande
valore pedagogico perché può aprire varchi non prevedibili.
L'esplosione quantitativa dei cosiddetti Disturbi Specifici
dell'Apprendimento segnala la difficoltà della scuola, gravata
di compiti sempre più pesanti, a mantenere la cultura
dell'uguaglianza e il rischio di una più estesa stigmatizzazione
delle differenze e delle incompiutezze.
Le Difficoltà Specifiche dell'Insegnamento (espressione di R.
Iosa) creano così molte di quelle situazioni che vengono poi
inquadrate come Difficoltà Specifiche dell'Apprendimento.
L’azione educativa e didattica muove dalla conoscenza di ciascun
alunno, senza presumere troppo; tale conoscenza è offerta
dall’attestazione clinica (qualora necessaria),
dall’osservazione costante, dal continuo dialogo intersoggettivo
(con l’alunno stesso, con i genitori, i compagni, i colleghi),
dalla relazionalità quotidiana in classe.
Per avvicinarsi alla comprensione della persona occorre
impiegare modalità non spersonalizzanti; quindi il
soggetto-persona va considerato nella sua unitarietà facendo
leva in particolare sulle potenzialità.
Il percorso specifico costituisce uno dei possibili modi per
impostare l’attività di personalizzazione nel senso di
accorgersi degli stili di ciascuno, delle caratteristiche
personali di apprendere entro un contesto. Personalizzare
significa che ogni essere umano è segno di una presenza
originaria e rimanda al principio pedagogico secondo cui si
diventa persone tra le persone assumendo l’unità dell’essere
umano la cui formazione avviene pienamente solo nella relazione,
nel dialogo, nell’apertura, nell’incontro. Si attivano curvature
del percorso didattico entro la comunità perché l’educazione è
processo intersoggettivo.
Personalizzare significa riconoscere le caratteristiche di
specificità, di differenza e diversità entro una fondazionale
base di universalità, di comunanza, di riconoscimento del fatto
che ciascuno di noi ha elementi in comune. Richiama il principio
che l’istruzione, la formazione, l’educazione è per ciascuno
entro un’idea di scuola quale luogo di investimento sociale. La
singolarità inestesa può essere anche una gabbia, un avvitamento
e magari una sorta di giustificazione per chiudere l’orizzonte
delle attese (“tanto più di così non può dare….).
Per questo è importante avere un’idea aperta, dinamica, in
divenire di persona e offrire sentieri culturali e relazionali
per non rinchiudersi nella singolarità; vanno dunque favorite
modalità dialogiche di sviluppo dell’identità (forme di
costruzione cooperativa dell’apprendere, aiuto reciproco, saper
guardare a ciò che sta sulla linea dell’orizzonte e anche
oltre).
Nelle nostre classi ci sono alunni che brillano per velocità,
profondità, ampiezza degli apprendimenti; vi è chi segna il
passo e chi rappresenta il mondo in modi anche marcatamente
differenti e diversi da quelli ritenuti normali. Lo sviluppo
intellettuale ha tempi solo statisticamente prevedibili, lo
scostamento dalla media non significa necessariamente presenza
di qualche deficit e ciascuno di noi ha tempi di maturazione
propri; gli apprendimenti non hanno una sequenza temporale
precisa. Non esiste un “orario” della persona, la quale ha
propri ritmi, modi, tempi, velocità. La persona non è un
prodotto seriale, non può mai essere conosciuta fino in fondo,
può sempre riservare sorprese, può essere capace di
miglioramenti incredibili come di involuzioni sconcertanti.
Va accolta e accompagnata nei suoi tempi di crescita; è bene non
comunicare all’alunno (e i modi della comunicazione sono
espliciti ed impliciti) l’idea di non essere in grado di seguire
il “ritmo della classe” , di non “essere capace” come se la
persona fosse una sorta di tram che deve passare per forza a una
certa ora (e anche a loro spesso succede che ciò non accada…)
Non necessariamente ciò che fuoriesce dalle previsioni, dalle
tassonomie del pensiero o dalle risposte che i tests
classificano come sbagliate è disturbo. A volte disturba solo la
nostra struttura di attesa.
Sappiamo bene come diverse persone, poi rivelatesi dei geni,
nell’infanzia ebbero problemi di linguaggio, impararono a
leggere e a scrivere più tardi della media. A volte presentavano
anomalie nella personalità che magari hanno ingenerato scarso
apprezzamento scolastico e grande ansia da parte dei genitori.
E’ questa la difficoltà da parte dell’educatore; saper attendere
in modo positivo, attivo, paziente, operoso dimettendo
atteggiamenti di “accanimento didattico” come di tipo
rinunciatario. Le questioni vanno affrontate con competenza; ci
possono essere disturbi specifici recuperabili e altri
adattabili.
I disturbi specifici dell’apprendimento sono anche un’innegabile
realtà; la loro caratteristica è quella di essere connessi
esclusivamente ad un “dominio di abilità” circoscritto, mentre
resta intatto il funzionamento cognitivo generale.
Sono disturbi molto speciali perché presenti in bambini con
capacità cognitive ordinarie e che se non riconosciuti vengono
fraintesi quali manifestazioni di svogliatezza, distrazione,
opposizione, rifiuto, chiusura. E’ di fronte a un compito
scritto che iniziano le difficoltà, quasi sempre fin dal primo
anno della scuola primaria.
Abbiamo bisogno di porci domande, di approfondire la conoscenza
della questione, di individuare modalità adeguate di risposta
sia sul piano degli strumenti didattici che degli aspetti
relazionali. C’è bisogno di ricerca, formazione, confronto.
Va rafforzata ed estesa la conoscenza di questa particolare
fenomenologia della differenza e diversità. E’ importante
l’individuazione del problema in tempi ottimali, evitando sia il
riconoscimento non fondato dovuto a eterocronie dello sviluppo
che atteggiamenti di inerzia.
L’integrazione degli strumenti diagnostici e di quelli
pedagogici risulta quanto mai opportuna per queste situazioni di
difficoltà nell’acquisire abilità connesse al leggere, scrivere,
calcolare. Il possesso veicolare del codice linguistico è
essenziale per tutti gli apprendimenti. Il confronto
costruttivo, la circolazione delle esperienze, la designazione
di referenti di scuola, l’approfondimento della conoscenza, l’
attivazione di iniziative di formazione possono costituire
criteri di un lavoro di qualità.
I disturbi specifici di apprendimento (dislessia, disgrafia,
discalculia), presenti in età scolare in varie forme e gradi,
sono appunto disturbi specifici, circoscritti per l’acquisizione
delle abilità che permettono di leggere, scrivere o calcolare
entro un quadro nella norma senza altre patologie o deficit. La
difficoltà concerne spesso l’acquisizione degli automatismi in
proposito e va considerata con attenzione educativa.
L’abilità può significare la messa in atto della capacità, sua
attivazione, modo di agire; la capacità può essere intesa quale
potenzialità. Le abilità sono mezzi importanti di sviluppo
generale della persona. Non sono statiche, possono evolvere e
anche involvere.
Disegnare tassonomie di abilità o elenchi cui necessariamente
tutti a una certa età della vita devono star dentro può essere
rischioso perchè i modi delle espressioni del soggetto non
possono essere predefiniti, prefissati. E’ qui la difficoltà
dell’azione educativa, nella complessità della persona.
Quelli che definiamo come disturbi specifici di apprendimento
sono varietà dei modi di apprendere e possono trovare in una
serie di accorgimenti relazionali, didattici, nelle tecnologie
aiuti all’interpretazione e al progetto educativo. Si tratta di
rafforzare l’attenzione a quei comportamenti scolastici che, pur
non correlati a precisi quadri clinici, tuttavia ritardano gli
apprendimenti e costituiscono comunque un motivo di disagio per
il soggetto, per la classe e di preoccupazione per la sua
famiglia. Le difficoltà riguardano l’acquisizione delle abilità
strumentali, normalmente acquisite senza sforzo; il “dislessico”
fatica a imparare a leggere e a scrivere. La lettura è stentata,
lenta; la scrittura è talvolta incomprensibile o contratta, la
dettatura, la copiatura dalla lavagna diventano attività
difficili come pure il passaggio al corsivo. Forti poi le
difficoltà nell’apprendere l’inglese. A ciò si associano
problematiche emotive connesse al non riuscire a soddisfare le
attese della famiglie e alla comparazione con i compagni di
classe; la situazione provoca varie forme di difesa: rifiuti
anche di andare a scuola, ansia, forti resistenze, chiusure. I
riflessi negativi sull’autostima e sull’identità personale
possono essere considerevoli.
Quindi la relazionalità positiva con i docenti,
l’incoraggiamento costante, la valorizzazione della persona
contestuali a buone modalità didattiche (es.tempi adeguati,
strumenti a supporto, compensativi, es, tabelle dell’alfabeto,
dei vari caratteri, tabellone, calcolatrice, computer,
registratore.. e dispensativi - dispensa dallo studio della
lingua straniera in forma scritta, valutazione che tenga conto
del contenuto e non della forma..) costituiscono la base
dell’aiuto educativo. L’alleanza educativa con la famiglia è
indispensabile per individuare insieme le strade più adatte.
La consapevolezza del senso pedagogico del percorso
personalizzato è condizione per fare in modo che l’azione
didattica possa essere efficace e significativa. Non possiamo
sempre addebitare a limiti del soggetto (clinicizzazione delle
differenze e delle diversità) quelli che sono i limiti e le
possibilità della scuola, specie in questo momento
particolarmente difficile.
L’atteggiamento delicato, curioso, aperto, collaborativo,
competente, fiducioso nei confronti del singolo con le sue
specificità in divenire entro un contesto educativo vivace,
partecipato, autenticamente accogliente può consentire a una
serie di accorgimenti didattici e metodologici di costituire non
un “prontuario” per improbabili risposte miracolistiche, ma
motivate vie per meglio corrispondere alle istanze di chi pone
domande formative più complesse.
Si tratta di puntare non a un minino per tutti, ma al massimo da
ciascuno, ossia all’essenziale considerato da un punto di vista
qualitativo e quantitativo. La tensione è verso la
valorizzazione e compensazione delle diversità e differenze
cercando di percorrere tutta l’area dello specifico sviluppo
potenziale; in tal modo si costruiscono le condizioni per
un’uguaglianza che non è grigia omologazione ma riconoscimento
di uguaglianza di diritti e loro articolato perseguimento
attraverso un insegnare da Maestri.
La sfida è aperta e in attesa di ulteriori contributi.
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Dal sito
Paedagogica U.S.P Forlì-Cesena
Sezione: Didattica
http://www.istruzionefc.it/uopsa/default.asp
Scritto da: Agostina Melucci
Inserito il: 07/02/2010
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LETTERE
Egregio Direttore,
sono un'insegnante di una scuola media superiore. Ho visto che stanno
continuando a fare progetti di screening nelle scuole per
l'individuazione di "disturbi di apprendimento".
Uno dei tanti è quello che è stato condotto su bambini della prima
elementare di 66 plessi scolastici di Modena, secondo il quale a detta
degli "esperti" il 20 per cento circa di questi alunni è a rischio di
dislessia. (Quotidiano.net ). Questo risultato ottenuto mediante un test
consistente in un "dettato di 16 parole" per misurare le capacità di
letto/scrittura, non fa altro che dire che il 20% di questi bambini ha
carenze nella lettura e/o scrittura di alcune parole e allora?
Perché tanta enfasi e tanto allarme? Non c’è bisogno di accurate
indagini per avere queste informazioni, qualsiasi maestra ha avuto sotto
gli occhi queste situazioni da anni e sa che questi errori, andando
avanti diminuiranno o non ci saranno più, così come è successo ad ognuno
di noi nel suo percorso didattico e della vita.
Questi sono bambini che hanno appena messo il piede nella scuola e sui
quali prima ancora che inizino ad apprendere, vengono puntati su di loro
i fari per individuare coloro che sbagliano a scrivere o leggere qualche
parola, per dire poi che soffrono di disturbi di apprendimento, che sono
dislessici, e che su di loro vanno fatti interventi correttivi.
Le conseguenze di questi screening e soprattutto gli interventi
suggeriti ed attuati da questi esperti, sono sotto gli occhi degli
insegnanti e dei genitori da diversi anni.
Anche quest'anno come negli anni precedenti, mi sono ritrovata,
purtroppo mediamente due alunni per classe etichettati dislessici o
iperattivi. La differenza tra loro e gli altri studenti è che loro hanno
un atteggiamento mentale di sfiducia, di enorme insicurezza, sono
affiancati da un’insegnante di sostegno, il che dice chiaramente ai loro
compagni, agli insegnanti e a tutta la scuola, che loro sono "gli
anormali, gli incapaci, i malati mentali, i diversi, quelli che sono li
per compassione, ma che non dovrebbero esserci perché non capiscono
niente", ed alla fine riceveranno solo un attestato di frequenza visto
che non hanno imparato niente e non ci si aspetta che imparino niente,
non gli si può dare un diploma. Hanno notevoli lacune accumulate in
tutti questi anni di scuola nei quali è stato l’insegnante di sostegno a
scrivere per lui, a leggergli il testo (seguendo le indicazioni degli
esperti, perché quegli alunni con questi "disturbi di apprendimento",
non devono leggere, non devono scrivere, se non col computer, non devono
fare calcoli ecc,).
Una mia alunna alla quale avevo dato alcune pagine da studiare, il
giorno dopo mi ha detto che non le aveva lette perché lei è dislessica e
non deve leggere e che non devo pretendere che lei legga o scriva quando
non c’è l’insegnante di sostegno, naturalmente pur con notevoli carenze
e lacune in tutte le materie, alla fine dell’anno è stata promossa
perché, "non si poteva pretendere che sapesse come gli altri".
Questi sono i risultati e alcuni degli " interventi correttivi e
riabilitativi " di cui parlano questi esperti.
Non è questo forse un modo di inculcare l’idea di incapacità in uno
studente e renderlo dipendente dall’insegnante e realmente incapace?
Tutto questo in un contesto in cui l’elevato numero di bocciati dovrebbe
farci porre seriamente il problema della didattica. In una mia seconda
(superiore) su 26 alunni soltanto otto sono stati i promossi, diciotto
hanno registrato un insuccesso (di questi, undici rinviati a settembre ,
cinque i bocciati ed uno ritirato) e questa non era una delle classi
peggiori.
Quali sono i corsi di aggiornamento agli insegnanti? Quali sono le
proposte di intervento per migliorare l’istruzione? Quale è
l’addestramento che sta venendo dato nelle università e agli insegnanti
di sostegno? Infine, dov’è che stanno venendo investiti i fondi per la
ricerca e per migliorare le competenze didattiche degli insegnanti?
Gran parte delle risorse destinate all'istruzione vengono investite in
screening come quello di cui sopra e in corsi di aggiornamento per
addestrare gli insegnanti ad individuare i disturbi di apprendimento nei
loro allievi così che vengano tempestivamente segnalati al
neuropsichiatra infantile e alle USL.
In cantiere ci sono piani come quello recentemente pubblicato
dall’agenzia sanitaria e sociale della Regione Emilia- Romagna, il
Dossier N.160/2007 " Politiche e piani d’azione per la salute mentale
dell’infanzia e dell’adolescenza" , uno dei tanti che stanno cercando di
attuare nel nostro paese, un piano che non è altro che la traduzione del
"Child and Adolescent Mental Health Policies and Plans " della
psichiatria americana, nel quale sono espressamente dichiarati i fini
che intendono raggiungere: individuare precocemente attraverso screening
le malattie mentali dei minori che in molti casi vengono considerati
"erroneamente" come persone che non si "impegnano abbastanza" o che
"creano problemi".
Non abbiamo bisogno di aumentare la schiera degli invalidi e di
trasformare le nostre scuole in anticamera dei reparti di
neuropsichiatria infantile della città.
Grazie a questi screening ed a queste strane teorie che si sono
dimostrate fallimentari, il livello dell’istruzione si sta abbassando
sempre di più e sarà difficile un cambiamento di tendenza se queste cose
non verranno fermate e non si cambierà direzione.
Di sicuro c’è bisogno di migliorare la didattica e di apportare
cambiamenti nelle metodologie di insegnamento soprattutto ai livelli di
scuola elementare e media .
I bambini e gli alunni in genere non hanno disturbi di apprendimento,
soffrono della mancanza di metodi didattici e di studio efficaci che
permetta loro di apprendere agevolmente e di diventare cittadini
competenti e produttivi.
22/07/2008
Prof.ssa Margherita Pellegrino
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