Elogio del gruppo docente
di Giancarlo Cerini *
Team docente sotto
attacco. C’era da aspettarselo. E’ ovvio che dietro tutto questo “parlar
male” della pluralità docente ci sia un problema finanziario e di
risorse decrescenti per la scuola (“…cara scuola elementare…ti amo…ma,
quanto mi costi !…”). Ma oggi si aggiunge dell’altro, una pervicace
volontà di rilanciare la mitica e rassicurante figura della maestra
unica, la “maestrina della penna rossa”, perché –si dice- capace di
costruire un solido rapporto educativo, inevitabilmente a due sole
facce, tra maestro e alunno, senza incertezze, senza le sbavature di un
(ingombrante e inconcludente) gruppo docente.
Però il “team” è ormai amato dagli insegnanti e dai genitori, è entrato
nel nuovo immaginario della scuola elementare. Disporre di una pluralità
di figure e di relazioni educative è considerata dalle famiglie e dagli
insegnanti un’opportunità di arricchimento e di crescita per i ragazzi.
Sarebbe difficile contro-proporre un modello organizzativo diverso,
magari ripristinando la figura del docente unico, costellato da alcuni
(o tanti) “specialistici” con poche ore settoriali dedicate a discipline
particolari (lingua straniera, musica, educazione motoria e altro). E’
una scelta già fatta da alcune scuole private (non tutte, ad esempio le
scuole elementari salesiane hanno optato per una pluralità docente
“temperata”, con due figure, come nel tempo pieno), forse per
rassicurare gli utenti e conquistarne dei nuovi.
Certo, non è facile far funzionare un gruppo di docenti (o di adulti).
Intanto, è un “vero” gruppo (cioè un insieme di persone che stanno
insieme per un obiettivo comune) ? o è un semplice e casuale
accostamento di docenti ? C’è tra i membri del gruppo un comune sentire
sull’educazione dei ragazzi, un’etica professionale (ma anche
un’estetica, cioè un’ipotesi di benessere del lavoro di gruppo) ? Nel
gruppo l’io viene “scalfito”, perché è l’altro (sono gli altri) ad
entrare in scena. Nel gruppo “si è per l’altro”. Entra in crisi la
propria identità. C’è una doverosa inquietudine in ogni gruppo. La
sicurezza non può essere imposta da regole formali (gli orari, le
discipline, un “capo-gruppo”, un tutor…); verrà dopo, col tempo. Sarà la
storia del gruppo a consolidarla: il gruppo è un’entità che vive,
cresce, si sviluppa, può anche perire. Non basta curare le buone
relazioni tra i docenti del team, occorre un progetto culturale comune,
da cui far discendere una strategia didattica chiara e scelte
metodologiche coerenti. E un tale “valore aggiunto” non può essere
richiesto solo alla scuola elementare, ma anche ai licei, alla scuola
media. Perché no ?
Non sempre le istituzioni (le norme, i contratti, le circolari) hanno
aiutato i gruppi a crescere. Sembra prevalere la “separazione” tra i
docenti, tra le discipline, tra gli allievi. La compresenza tra
insegnanti viene vissuta come “peste” da evitare. Si ripropone senza
pudore il ritorno tout court all’insegnamento frontale, alla sicurezza
di un rapporto asimmetrico (finalmente…ci sarà chi insegna…e chi
apprende), alla dura necessità della trasmissione del sapere,
dell’in-segnare come “lasciare il segno”. E pensare che l’ultimo Bruner
si è inutilmente affaticato attorno all’”arte della cortesia del
dialogo”, tra adulti e bambini, al piacere dello scambio, della
interazione verbale (sugli oggetti del mondo), alla conoscenza come
frutto di una “narrazione condivisa” ove entrano in gioco –nella vita
della classe- gli occhi, le mani, la mente, le parole (dei bambini e
degli adulti) ma anche i loro sogni, le aspettative, le curiosità, le
culture.
Insegnare a conoscere e capire, ci dicono i migliori studiosi di questa
strana e misteriosa “scatola nera” che è l’apprendimento, significa
promuovere processi di scambio, di costruzione, di interazione, situati
in un ambiente ricco di segni e di immagini (di tecnologie e di artifici
“didattici”), dove si senta una pedagogia della compiutezza (e non della
parcellizzazione, delle unità didattiche “sfuse”, delle schede e degli
esercizi per disciplina, degli orari incomunicanti). Certo, sono i
difetti possibili di un “modulo” che non funziona, di un meccanismo ad
ingranaggi, dove la divisione del lavoro viene imposta, dove le scelte
non sono negoziate, dove il gruppo viene vissuto come un peso, non come
una risorsa.
Ecco perché è importante ripensare alla pluralità docente, dargli un
significato, trasformarla in una vera risorsa educativa. Ben venga la
figura del docente “tutor”, di cui tutti oggi parlano (e noi lo faremo
la prossima volta); potrebbe contribuire a migliorare il funzionamento
del gruppo docente, a professionalizzarlo, a integrarlo: ma –per favore-
senza scorciatoie o infingimenti. Parlare di tutor, di leadership
“diffusa”, di ascolto e condivisione è qualcosa di assai diverso dal
ripristino “ideologico” della figura del maestro unico.
* "Vita Scolastica",
settembre 2002
NEL NOME DEL TEAM
di Giancarlo Cerini *
Nuvoloni grigi si
addensano sul futuro della pluralità docente nella scuola elementare.
Diciamoci la verità: l’organizzazione a moduli, scaturita dalla riforma
del 1990, non ha mai goduto di una buona immagine, soprattutto tra i
cosiddetti “opinionisti” (che spesso fanno opinione senza conoscere la
scuola “vera”). Vista essenzialmente come escamotage per salvaguardare
gli organici dei docenti anche a fronte del vistoso calo demografico,
piuttosto che conseguenza naturale della nuova impostazione culturale
dei programmi didattici del 1985. Infatti, far crescere i ragazzi
attraverso l’incontro con i saperi, le discipline, gli ambiti culturali,
richiede il concorso di competenze specifiche dei docenti (al plurale).
Il rischio è che in tempi di “vacche magre”, quando la politica
scolastica sembra guidata dalle leggi dell’economia, si pensi di
ottenere qualche risparmio modificando l’attuale organizzazione della
scuola elementare, invocando a gran voce il ripristino della figura
unica del docente.
Una simile prospettiva è stata evocata con molta enfasi anche
all’interno dei documenti che hanno preparato la proposta di riforma
Moratti. Infatti, nel Rapporto Bertagna (dicembre 2001) si ipotizza che
nelle prime classi elementari (addirittura fino alla quarta) sia
pedagogicamente più opportuna la presenza di un docente con una forte
(quasi esclusiva) presenza oraria, che possa ricondurre ad unità il
progetto educativo e didattico della classe.
Certo, in questi anni ci sono stati degli eccessi. Si è assistito a
volte al proliferare delle figure docenti, ad una frammentazione che ha
portato alla secondarizzazione degli insegnamenti fin dalla prima
elementare: troppi insegnanti (fino a 5-6), troppi quaderni, troppe
“materie”, ognuna con le sue esigenze di tempo, le sue attività, le sue
esercitazioni. Un mix non sempre coerente con un’organizzazione
formativa delle discipline.
Ma gli eccessi, se ci sono stati, si possono correggere; a maggior
ragione, oggi, con gli spazi di autogoverno e di autoregolazione
consentiti dall’autonomia. Il Regolamento (Dpr 275/99) ha
“liberalizzato” la composizione del team docente, sulla scia di quanto
era avvenuto nell’ambito del monitoraggio della riforma (si ricordi la
circolare 116 del 1996).
Un team “ragionevole” può prevedere una pluralità limitata nei primi
anni, ad esempio, due docenti come nelle classi a tempo pieno, quasi a
presidiare le due grandi aree della conoscenza, quella del quaderno a
righe (le competenze logico-linguistico-espressive) e quella del
quaderno a quadretti (le competenze logico-critico-matematiche), che via
via si arricchiscono con l’intervento di altre figure, altre discipline,
altre opportunità, secondo un’ipotesi organizzativa che interpreta e
accompagna lo sviluppo del curricolo verticale, e che interagisce anche
con la scuola media (non solo nella realtà degli istituti comprensivi).
Un buon team di scuola elementare rappresenta un ambiente ideale per lo
sviluppo di una professionalità docente responsabile, che evita la
solitudine dell’insegnante (sia pur bravo) e lo impegna nella ideazione,
gestione e verifica di un progetto didattico condiviso. Insomma, il team
come indicatore di benessere “cognitivo” e “affettivo”, per gli
insegnanti e (quindi) per i bambini.
E’ importante che ad esprimersi in questo senso siano stati i genitori
che, interpellati dall’ISTAT nel dicembre 2001 (sondaggio pre-riforma)
circa l’eventuale ritorno del maestro unico, hanno mostrato di preferire
per i loro figli il lavoro a team degli insegnanti (il 60 % dei
consensi).
Una volta tanto, una riforma che ha coinvolto e appassionato migliaia di
insegnanti in questi 15 anni, ottiene una controprova positiva ed una
convalida anche dagli utenti diretti e dalla società civile. Sarebbe un
errore che i decisori politici delle prossime riforme non ne tenessero
conto, per tornare –invece- ad un improbabile passato.
*"Vita Scolastica", settembre 2002, |