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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
Direttore responsabile: Dario Cillo


 

Elogio del gruppo docente
di Giancarlo Cerini *

Team docente sotto attacco. C’era da aspettarselo. E’ ovvio che dietro tutto questo “parlar male” della pluralità docente ci sia un problema finanziario e di risorse decrescenti per la scuola (“…cara scuola elementare…ti amo…ma, quanto mi costi !…”). Ma oggi si aggiunge dell’altro, una pervicace volontà di rilanciare la mitica e rassicurante figura della maestra unica, la “maestrina della penna rossa”, perché –si dice- capace di costruire un solido rapporto educativo, inevitabilmente a due sole facce, tra maestro e alunno, senza incertezze, senza le sbavature di un (ingombrante e inconcludente) gruppo docente.
Però il “team” è ormai amato dagli insegnanti e dai genitori, è entrato nel nuovo immaginario della scuola elementare. Disporre di una pluralità di figure e di relazioni educative è considerata dalle famiglie e dagli insegnanti un’opportunità di arricchimento e di crescita per i ragazzi. Sarebbe difficile contro-proporre un modello organizzativo diverso, magari ripristinando la figura del docente unico, costellato da alcuni (o tanti) “specialistici” con poche ore settoriali dedicate a discipline particolari (lingua straniera, musica, educazione motoria e altro). E’ una scelta già fatta da alcune scuole private (non tutte, ad esempio le scuole elementari salesiane hanno optato per una pluralità docente “temperata”, con due figure, come nel tempo pieno), forse per rassicurare gli utenti e conquistarne dei nuovi.
Certo, non è facile far funzionare un gruppo di docenti (o di adulti). Intanto, è un “vero” gruppo (cioè un insieme di persone che stanno insieme per un obiettivo comune) ? o è un semplice e casuale accostamento di docenti ? C’è tra i membri del gruppo un comune sentire sull’educazione dei ragazzi, un’etica professionale (ma anche un’estetica, cioè un’ipotesi di benessere del lavoro di gruppo) ? Nel gruppo l’io viene “scalfito”, perché è l’altro (sono gli altri) ad entrare in scena. Nel gruppo “si è per l’altro”. Entra in crisi la propria identità. C’è una doverosa inquietudine in ogni gruppo. La sicurezza non può essere imposta da regole formali (gli orari, le discipline, un “capo-gruppo”, un tutor…); verrà dopo, col tempo. Sarà la storia del gruppo a consolidarla: il gruppo è un’entità che vive, cresce, si sviluppa, può anche perire. Non basta curare le buone relazioni tra i docenti del team, occorre un progetto culturale comune, da cui far discendere una strategia didattica chiara e scelte metodologiche coerenti. E un tale “valore aggiunto” non può essere richiesto solo alla scuola elementare, ma anche ai licei, alla scuola media. Perché no ?
Non sempre le istituzioni (le norme, i contratti, le circolari) hanno aiutato i gruppi a crescere. Sembra prevalere la “separazione” tra i docenti, tra le discipline, tra gli allievi. La compresenza tra insegnanti viene vissuta come “peste” da evitare. Si ripropone senza pudore il ritorno tout court all’insegnamento frontale, alla sicurezza di un rapporto asimmetrico (finalmente…ci sarà chi insegna…e chi apprende), alla dura necessità della trasmissione del sapere, dell’in-segnare come “lasciare il segno”. E pensare che l’ultimo Bruner si è inutilmente affaticato attorno all’”arte della cortesia del dialogo”, tra adulti e bambini, al piacere dello scambio, della interazione verbale (sugli oggetti del mondo), alla conoscenza come frutto di una “narrazione condivisa” ove entrano in gioco –nella vita della classe- gli occhi, le mani, la mente, le parole (dei bambini e degli adulti) ma anche i loro sogni, le aspettative, le curiosità, le culture.
Insegnare a conoscere e capire, ci dicono i migliori studiosi di questa strana e misteriosa “scatola nera” che è l’apprendimento, significa promuovere processi di scambio, di costruzione, di interazione, situati in un ambiente ricco di segni e di immagini (di tecnologie e di artifici “didattici”), dove si senta una pedagogia della compiutezza (e non della parcellizzazione, delle unità didattiche “sfuse”, delle schede e degli esercizi per disciplina, degli orari incomunicanti). Certo, sono i difetti possibili di un “modulo” che non funziona, di un meccanismo ad ingranaggi, dove la divisione del lavoro viene imposta, dove le scelte non sono negoziate, dove il gruppo viene vissuto come un peso, non come una risorsa.
Ecco perché è importante ripensare alla pluralità docente, dargli un significato, trasformarla in una vera risorsa educativa. Ben venga la figura del docente “tutor”, di cui tutti oggi parlano (e noi lo faremo la prossima volta); potrebbe contribuire a migliorare il funzionamento del gruppo docente, a professionalizzarlo, a integrarlo: ma –per favore- senza scorciatoie o infingimenti. Parlare di tutor, di leadership “diffusa”, di ascolto e condivisione è qualcosa di assai diverso dal ripristino “ideologico” della figura del maestro unico.

* "Vita Scolastica", settembre 2002


NEL NOME DEL TEAM
di Giancarlo Cerini *

Nuvoloni grigi si addensano sul futuro della pluralità docente nella scuola elementare. Diciamoci la verità: l’organizzazione a moduli, scaturita dalla riforma del 1990, non ha mai goduto di una buona immagine, soprattutto tra i cosiddetti “opinionisti” (che spesso fanno opinione senza conoscere la scuola “vera”). Vista essenzialmente come escamotage per salvaguardare gli organici dei docenti anche a fronte del vistoso calo demografico, piuttosto che conseguenza naturale della nuova impostazione culturale dei programmi didattici del 1985. Infatti, far crescere i ragazzi attraverso l’incontro con i saperi, le discipline, gli ambiti culturali, richiede il concorso di competenze specifiche dei docenti (al plurale).
Il rischio è che in tempi di “vacche magre”, quando la politica scolastica sembra guidata dalle leggi dell’economia, si pensi di ottenere qualche risparmio modificando l’attuale organizzazione della scuola elementare, invocando a gran voce il ripristino della figura unica del docente.
Una simile prospettiva è stata evocata con molta enfasi anche all’interno dei documenti che hanno preparato la proposta di riforma Moratti. Infatti, nel Rapporto Bertagna (dicembre 2001) si ipotizza che nelle prime classi elementari (addirittura fino alla quarta) sia pedagogicamente più opportuna la presenza di un docente con una forte (quasi esclusiva) presenza oraria, che possa ricondurre ad unità il progetto educativo e didattico della classe.
Certo, in questi anni ci sono stati degli eccessi. Si è assistito a volte al proliferare delle figure docenti, ad una frammentazione che ha portato alla secondarizzazione degli insegnamenti fin dalla prima elementare: troppi insegnanti (fino a 5-6), troppi quaderni, troppe “materie”, ognuna con le sue esigenze di tempo, le sue attività, le sue esercitazioni. Un mix non sempre coerente con un’organizzazione formativa delle discipline.
Ma gli eccessi, se ci sono stati, si possono correggere; a maggior ragione, oggi, con gli spazi di autogoverno e di autoregolazione consentiti dall’autonomia. Il Regolamento (Dpr 275/99) ha “liberalizzato” la composizione del team docente, sulla scia di quanto era avvenuto nell’ambito del monitoraggio della riforma (si ricordi la circolare 116 del 1996).
Un team “ragionevole” può prevedere una pluralità limitata nei primi anni, ad esempio, due docenti come nelle classi a tempo pieno, quasi a presidiare le due grandi aree della conoscenza, quella del quaderno a righe (le competenze logico-linguistico-espressive) e quella del quaderno a quadretti (le competenze logico-critico-matematiche), che via via si arricchiscono con l’intervento di altre figure, altre discipline, altre opportunità, secondo un’ipotesi organizzativa che interpreta e accompagna lo sviluppo del curricolo verticale, e che interagisce anche con la scuola media (non solo nella realtà degli istituti comprensivi).
Un buon team di scuola elementare rappresenta un ambiente ideale per lo sviluppo di una professionalità docente responsabile, che evita la solitudine dell’insegnante (sia pur bravo) e lo impegna nella ideazione, gestione e verifica di un progetto didattico condiviso. Insomma, il team come indicatore di benessere “cognitivo” e “affettivo”, per gli insegnanti e (quindi) per i bambini.
E’ importante che ad esprimersi in questo senso siano stati i genitori che, interpellati dall’ISTAT nel dicembre 2001 (sondaggio pre-riforma) circa l’eventuale ritorno del maestro unico, hanno mostrato di preferire per i loro figli il lavoro a team degli insegnanti (il 60 % dei consensi).
Una volta tanto, una riforma che ha coinvolto e appassionato migliaia di insegnanti in questi 15 anni, ottiene una controprova positiva ed una convalida anche dagli utenti diretti e dalla società civile. Sarebbe un errore che i decisori politici delle prossime riforme non ne tenessero conto, per tornare –invece- ad un improbabile passato.

*"Vita Scolastica", settembre 2002,


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