L’ “Introduzione
alla valutazione”
L’indagine OCSE/PISA è ambiziosa e importante.
Si vuole valutare indirettamente la scuola partendo dalle competenze
raggiunte dai quindicenni nella lettura, la matematica, le scienze, il
problem solving. Si precisa in più punti che si vuole mettere
distanza dal curricolo scolastico, ossia dalle conoscenze e abilità
strettamente legate al contesto scolastico, per porre l’accento sulla
loro trasferibilità in situazioni extrascolastiche. Leggiamo,
infatti: “Non si valutano la padronanza di parti del curricolo quanto
la capacità di utilizzare conoscenze e abilità, apprese anche e
soprattutto a scuola, per affrontare e risolvere problemi e compiti
analoghi a quelli che si possono incontrare nella vita reale. La
valutazione va quindi oltre la scuola, che viene valutata in relazione
ad un criterio esterno ad essa rappresentato dalla preparazione dei
giovani per la vita.”(1)
Queste asserzioni hanno il pregio di dare una definizione abbastanza
chiara, non fumosa, di quella che successivamente viene chiamata
competenza: si è competenti quando si è capaci di
trasferire in altri ambiti le conoscenze e le abilità acquisite a
scuola. La scuola viene quindi valutata in relazione alle competenze
degli alunni.
Si definisce bene il concetto di competenza prendendo chiaramente
distanza dal programma dei singoli paesi: “ Il progetto OCSE /PISA si
basa su una concezione dinamica dell’apprendimento per tutta la vita,
secondo la quale si acquisiscono continuamente nuove conoscenze e
abilità che sono necessarie per adattarsi con successo ad un mondo in
perenne mutamento. Il progetto OCSE/PISA focalizza l’attenzione su ciò
di cui i quindicenni avranno bisogno per il futuro e mira a valutare
che cosa essi siano in grado di fare con ciò che essi hanno appreso. I
programmi dei singoli paesi dunque rappresentano la cornice
dell’indagine senza tuttavia costituire un vincolo”(2).
Si
capisce quello che si vuole dire: al di là dei singoli programmi
bisogna cercare di capire come sono spendibili nella vita le
conoscenze acquisite a scuola. Credo però che nel momento in cui si
vada a considerare il curricolo una cornice e quindi lo si
metta sullo sfondo mettendo in primo piano altro ( la competenza)
bisogna avere chiaro ciò che si dà per scontato e ciò da cui si vuole
prescindere.
Per curricolo si può intendere, la sequenza degli argomenti svolti
nelle varie discipline negli anni e
allora si usa questa parola come sinonimo di programma (
l’accezione in cui viene usata questa
parola in questo contesto è questa), oppure si può intendere il
complicato processo dell’insegnamento - apprendimento centrato
sull’apprendimento degli studenti e non sulle discipline. Sia in
questa logica che in quella del programma, non è semplice capire che
cosa s’intende per competenza da valutare.
Pensando all’apprendimento come ad un
processo pianificabile, si possono enumerare un certo
numero di conoscenze e abilità che definiscono il programma e queste,
in seguito alla elaborazione personale, diventano competenze.
In un certo senso, nel processo d’apprendimento la
competenza diventa l’atto finale di una sequenza di atti cognitivi
ben schematizzabili.
In
questa ottica “lineare”, di solito il programma della disciplina è
riferito all’organizzazione convenzionale e accademica dei libri di
testo. Conoscenze e abilità sono dell’alunno ma sono
piegate sulla disciplina perché l’alunno è piegato sulla
disciplina e non viceversa. Allora l’idea di competenza si deve
svincolare dal contesto che è in primo luogo disciplinare,
acquistare linfa dallo spirito critico di ognuno e diventare qualcosa
di più, avere un valore aggiunto rispetto alla conoscenza
disciplinare.
Sinceramente penso che, comunque lo s’intenda, il processo di
trasferimento di modalità di pensiero “analogo” in contesti diversi,
per arrivare a, per essere competenti nei modi
di esercitare il pensiero, sia alquanto misterioso. Mentre sembra di
poter rintracciare legami di causa/ effetto tra conoscenze- abilità-
sapere- saper fare, quando si cercano i fili che legano queste
capacità cognitive alla competenza, essi scappano dalle dita, si
confondono e non si riesce a rintracciare la trama interpretativa. Il
passaggio dalle conoscenze e dalle abilità alle competenze è
complicato perché nel mezzo ci sta l’individuo, la sua capacità di
stabilire connessioni in modi sempre diversi, anche se convenzionali e
non stravaganti.
Prendiamo ora in esame la seconda concezione di curricolo, quella
centrata sull’alunno e non sulle discipline. In questa idea le
discipline vengono riviste in funzione dell’età dell’alunno; la
psicologia cognitiva, la didattica, gli aspetti relazionali vengono
utilizzate per rendere l’insegnamento vivo, attento e rispettoso
dell’alunno. Il sapere è cioè misurato sul bambino, sull’adolescente,
sull’alunno nella sua età cognitiva ed emotiva.
In
questa visione dell’educazione scolastica che viene sintetizzata come
curricolare è più difficile declinare le conoscenze e le
abilità, proprio perché al centro non c’è la disciplina ma l’individuo
con la sua complessità. In un certo senso quando la disciplina viene
ritagliata a misura dell’alunno, si prende quella parte della
disciplina che può essere compresa in quella età, si traduce in
percorsi didattici, si stabiliscono già in queste scelte le
conoscenze e le abilità acquisibili. I percorsi didattici saranno
quindi un’esemplificazione delle conoscenze e delle abilità. Gli
obiettivi da raggiungere sono direttamente competenze. Ad
esempio la competenza logico-linguistica nell’insegnamento
scientifico nella scuola di base non è qualcosa da raggiungere dopo
il contenuto disciplinare ma è contemporanea ad esso.
Mi sembra cioè che in questa visione si salti un passaggio ( quello
della traduzione della disciplina adulta a disciplina addomesticata
per i bambini e adolescenti) e si arrivi prima al concetto di
competenza. Prendiamo come esempio la capacità di contestualizzare
storicamente le scoperte scientifiche, se l’approccio seguito
dall’insegnante è storico, nel numero limitato di casi studiati a
scuola, l’alunno sarà in grado di farlo. Quando le scienze vengono
presentate non come “la sagra” delle verità assolute riportate dai
libri di testo ma utilizzando sempre la storia per far capire come è
nato un determinato concetto, allora la contestualizzazione storica
diventerà un metodo di lavoro e la relativa competenza a lungo
termine sarà l’acquisizione di tale metodo. Tutte le volte che gli
alunni si troveranno a studiare un problema scientifico nuovo si
chiederanno com’è nato, non rimarranno stupiti e imbambolati come se
fossero di fronte all’enigma di un nuovo dogma.
Quindi si distingue una competenza a
“corto raggio”, legata al contesto disciplinare, da una competenza
a lungo termine non facilmente valutabile nel tempo (assomiglia
questa formulazione verbale a come si classifica la memoria:..).
Si può dire che nella concezione curricolare del secondo tipo è più
semplice valutare la “competenza a corto raggio” e si pongono le
basi per l’acquisizione di competenza a lungo termine.
Quando nell’indagine OCSE/PISA si mette con tranquillità il curricolo
sullo sfondo, si dice che non costituisce un vincolo e che
fa da cornice, vuol dire che si pensa al curricolo come sinonimo
di programma e questo è già un problema. Si prescinde da come si
lavora a scuola, dal peso che si danno alle scelte che si fanno
all’interno della disciplina, dai modi, dagli atteggiamenti che
accompagnano il processo di insegnamento/ apprendimento. Non ci si
preoccupa infatti di come nasca la competenza ma solo di
come essa si manifesta, il processo che porta alla competenza
diventa ancora più strano e misterioso perché partendo dalla
disciplina finisce nelle capacità interpretative dell’individuo,
senza cercare di seguire la mente nelle trasformazioni che
accompagnano l’apprendimento.
La valutazione dei
quindicenni nelle Scienze
Tutte le
considerazioni fatte intorno alla difficoltà di definire il concetto
di competenza e riguardo a come essa venga raggiunta,
diventano ancora più problematiche quando le competenze a cui ci si
riferisce sono assurde e irrealistiche come quelle che dovrebbero
essere conseguite dai quindicenni nelle Scienze. Le competenze di
cui si parla sono spesso totalmente avulse dai contesti disciplinari e
diventa impossibile capire come esse possano essere raggiunte.
Ecco che cosa si scrive nella sintesi:
“Competenza scientifica: La capacità di
utilizzare conoscenze scientifiche, di identificare domande alle quali
si può dare una risposta attraverso un procedimento scientifico e di
trarre conclusioni basate sui fatti per comprendere il mondo della
natura e i cambiamenti ad esso apportati dall’attività umana e per
aiutare a prendere decisioni al riguardo”(3).
Vengono di seguito specificati i tre aspetti
secondo i quali viene valutata la competenza: conoscenza di concetti
scientifici, processi scientifici, situazioni di carattere
scientifico.
Niente da dire, se non per il fatto che solo per le scienze
i quindicenni sono chiamati a utilizzare le conoscenze e le abilità
per prendere decisioni.
Questa è una competenza alta, altissima: vuol dire comprendere i
dettagli dei fenomeni naturali, conoscere le teorie ed utilizzarle
convenientemente, saperle rielaborare in tutti gli ambiti delle
scienze. Vuol dire dominare le situazioni complesse e questo succede
solo se se ne conoscono i dettagli.
Questa capacità della mente, questa competenza è irrealistica dopo i
normali corsi di scienze che ha seguito un quindicenne ed è in parte
difficile da raggiungere anche dopo una laurea in ambito
scientifico.
Ma
allora a che ci si riferisce, di quali decisioni si parla? Si capisce
continuando a leggere che :Per quanto riguarda le Scienze,
possedere nozioni di carattere scientifico ad esempio il nome di
piante o animali – è meno rilevante che comprendere grandi temi, quali
ad esempio, il consumo energetico, la biodiversità, o la salute,
considerando l’importanza di riflettere su argomenti attualmente
oggetto di dibattito” (4).
E’ chiaro quindi dalle frasi emblematiche
riportate che, per le Scienze, i riferimenti possibili sono il
nozionismo e l’informazione e che quindi le decisioni che
gli alunni sono chiamati a prendere riguardano i temi scientifici che
compaiono sui giornali: mangiare o non mangiare la mela modificata
geneticamente, porre o no limiti all’uso delle cellule staminali, le
fonti energetiche da utilizzare per inquinare di meno e… cose del
genere.
Dire che a quindici anni si possa rispondere in
modo competente a domande di questo tipo, rivela l’idea di
insegnamento scientifico che sta alla base di questa indagine
internazionale: inconsistente e parolaio. Questo è l’insegnamento che
spinge i nostri alunni a mischiare nozioni imparate mnemonicamente
con frasi ritagliate dai giornali che, di solito, sono
l’esemplificazione della divulgazione di basso livello.
Per la matematica e la lettura si parla in tutt’altro
modo di cosa deve saper fare un ragazzo. Ad esempio nel caso della
matematica ci si riferisce alla “capacità degli studenti di
analizzare, di ragionare e di comunicare idee in modo efficace nel
momento in cui essi pongono, formulano e risolvono problemi matematici
e ne spiegano la soluzione in una molteplicità di situazioni”(5)
Queste sono competenze plausibili per i quindicenni.
Per le scienze si capisce che non c’è
la consapevolezza didattica che c’è per la matematica e la lingua e
s’intuisce già qui che, anche a livello internazionale, c’è la solita
confusione fra informazione e formazione che regna nella scuola
italiana.
Questo fa pensare che in realtà per le scienze manchi proprio il
senso del possibile, il senso di quello che è possibile
insegnare con lo scopo di far acquisire dei significati.
Questa è la tragedia dell’insensatezza
dell’insegnamento scientifico.
I riferimenti costanti sono l’ambiente, la
salute, un po’ di tutto ciò che ha colpito l’immaginario scientifico
degli estensori delle prove che si sono ispirati ai temi d’attualità
scientifica che si trovano sui giornali.
I test si riferiscono infatti ai temi della
salute, a capacità di ragionare scientificamente non si sa bene come
raggiunte, alla biologia da giornale. Di fronte a questa variegata
vaghezza ci si aspetterebbe una “leggerezza” nella valutazione dei
test e invece no, qui l’imprecisione diventa precisa e nelle risposte
si sta attenti a tutti i dettagli, non ci si ferma alla superficialità
dell’informazione. Ad esempio nella domanda sulle vaccinazione contro
il vaiolo (6); gli alunni per avere punteggio pieno alla risposta
devono non solo aver capito che si sta parlando della suddetta
vaccinazione e della sua efficacia ma anche che per considerare
attendibile tale risultato bisogna avere una popolazione campione di
confronto. Ma lo imparano talvolta gli studenti di medicina e di
statistica. Può darsi che lo insegni anche qualche insegnante di
Scienze, ma si possono spiegare così dettagliatamente tutti gli
argomenti? Come si può parlare, ad esempio, del problema energetico
senza avere consapevolezza dell’energia?
A
quindici anni forse si dovrebbe cercare di capire che cos’è l’energia.
Questo tema così
complicato può essere affrontato con un processo di
insegnamento/apprendimento lungo e faticoso e questo dovrebbe
impegnare i quindicenni non il problema delle fonti energetiche che
è da affrontare invece successivamente. Evidentemente si pensa di
poter parlare del problema energetico, senza preoccuparsi del concetto
di energia che gli alunni non hanno. L’idea è che prevalgano
le sollecitazione che proviene dall’attualità, non considerazioni
didattiche.
Data l’inconsistenza didattico scientifica delle prove di valutazione
per le Scienze dell’OCSE/ PISA sarebbe sensato non farsi coinvolgere
più di tanto da questa indagine né a livello personale, né a livello
di scuola d’appartenenza. Infatti queste prove sono scarsamente
significative per genere e qualità e portano con sé una filosofia
totalmente da rifiutare dell’insegnamento scientifico. Il
problema è il peso che possono avere, quando la scuola pensi il
proprio insegnamento in funzione di esse, in quanto rischiano di
arrestare un processo di rinnovamento nella scuola dell’insegnamento
scientifico che in alcune scuole è in atto nonostante mille
difficoltà. Si rischia di ritornare all’insegnamento nozionistico (o
di rimanervi) per addestrare alunni e risolvere queste prove
insignificanti che hanno vesti pedagogiche e motivazioni
“internazionali”.
In generale dovrebbe essere valutata la scuola
per l’attenzione ai processi di apprendimento, per la qualità dei
percorsi centrati sull’alunno e non sulla disciplina, per la perizia
con cui viene costruito un curricolo, per i metodi e gli atteggiamenti
che tengono conto della diversità degli individui, Mirando ai
significati accessibili e non alle vuote parole.
BIBLIOGRAFIA
1)
PISA 2003 Valutazione dei quindicenni a cura dell’OCSE, Roma,
Armando Armando,2004, p.9.
2)
Ibidem, p.11.
3)
Ibidem p.18.
4)
Ibidem , p.15.
5)
Ibidem p.19.
6)
Ibidem , p. 143.