|
|
LE INDICAZIONI PER L'INSEGNAMENTO SCIENTIFICO: di Carlo Fiorentini
I magnifici programmi del 1979 e del 1985 Ho sempre evidenziato la notevole discrepanza esistente tra il programmi di educazione scientifica della scuola elementare del 1985 e della scuola media del 1979, da una parte, e i sussidiari, i manuali e la realtà prevalente dell'insegnamento scientifico, dall'altra. Anche in anni recenti ho enfatizzato la dizione "nuovi programmi" per voler sottolineare quanto poco fossero praticati. Di fronte alle mie critiche nei confronti di un insegnamento nozionistico, libresco, astratto, superficiale, basato essenzialmente sull'utilizzo sistematico del sussidiario e del manuale, molti insegnanti, nel corso degli ultimi 15 anni, mi hanno controbattuto che non era possibile un'impostazione sperimentale, costruttiva dell'insegnamento scientifico a causa di quei programmi, così caratterizzati da un'impostazione enciclopedica. A loro parere, i contenuti da affrontare erano così numerosi che non vi era nessuna alternativa ad una trattazione verbalistica e superficiale; ad ogni problematica non era possibile dedicare che un tempo molto limitato. Questo giudizio sui programmi del 1985 e del 1979 risultava, a loro parere, costantemente confermato dai sussidiari e dai manuali. In un primo periodo, circa 20 anni fa, simile fu la mia valutazione; rimasi così colpito dall'enciclopedismo della parte centrale di quei programmi che fui portato a darne un giudizio negativo, nonostante che condividessi ampiamente le considerazioni sviluppate nella prima e nella terza parte, quelle dedicate alla finalità, agli obiettivi generali ed alle indicazioni metodologiche. Dopo poco tempo, tuttavia, grazie alla discussione con alcuni colleghi e ad una rilettura più attenta, cambiai opinione arrivando ad un giudizio molto lusinghiero che ho mantenuto fino ad oggi. Ciò che non avevo colto, come d'altra parte molti insegnanti ancora oggi, è la chiara distinzione tra aspetti prescrittivi ed aspetti indicativi; e la parte centrale, quella dei contenuti enciclopedici era chiaramente non prescrittiva; vi era scritto soltanto che l'insegnante deve nell'arco della scuola elementare e della scuola media trattare più volte i cinque temi (i contenuti erano infatti organizzati in ambedue i livelli scolari in 5 temi, quali i fenomeni chimico fisici, ecc.). I programmi del 1985 e del 1979 danno invece indicazioni vincolanti nella prima e nella terza parte, ove si dice che l'insegnamento deve realizzare determinate finalità ed obiettivi che possono essere così sintetizzati: contribuire allo sviluppo delle competenze osservative-logico-linguistiche dello studente. L'acquisizione delle conoscenze scientifiche deve, cioè, avvenire in un contesto metodologico adeguato. Nella terza parte dei programmi c'è scritto che l'insegnante deve partire dalla realtà, da situazioni problematiche, deve centrare l'attività su osservazioni e sperimentazioni, deve impostare una didattica per laboratori. E laboratorio non significa necessariamente un'aula attrezzata (se c'è è ovviamente meglio, ed ogni scuola primaria e secondaria di prino grado, prima di pensare ad aule con computer, dovrebbe, a mio parere preoccuparsi di avere laboratori poveramente attrezzati, di carattere polivalente per le scienze, la matematica, la storia, ecc.); il laboratorio è innanzitutto la classe: un'impostazione per laboratori è principalmente un fatto mentale più che materiale. Limiti e pregi dell’anarchia nei contenuti Negli ultimi quindici anni ho più volte definito questi programmi magnifici per il tipo di finalità, obiettivi generali e metodologie presenti, e perché sostanzialmente anarchici sul piano dei contenuti. L'inno alla totale libertà dei contenuti, in realtà non l'ho mai condivisa; considero infatti un retaggio dell'attivismo, una concezione pedagogica ingenua quella che tende a sopravvalutare (e a separare dai contenuti) il metodo. In tutta la scuola di base, ed a maggior ragione nella scuola elementare, ciò che è fondamentale è il contributo che l'educazione scientifica può dare allo sviluppo delle competenze generali dello studente, ma a mio parere, ciò è possibile se i contenuti su cui si lavora, se gli esperimenti che vengono effettuati sono effettivamente alla portata degli studenti delle varie fasi di età. Occorre lavorare sperimentalmente, occorre far discutere gli alunni, ma se li si fa discutere su problematiche che non sono in grado di comprendere, a che cosa serve farli lavorare sperimentalmente e farli discutere? Nella scuola di base, l'aspetto quantitativo dei contenuti e degli esperimenti è del tutto secondario; anzi è fondamentale effettuare scelte radicali, perché il tempo necessario per la concettualizzazione è lungo e le ore dedicate alle scienze sono poche. Invece l'aspetto qualitativo dei contenuti è fondamentale. Competenze adeguate negli studenti possono essere sviluppate soltanto se sono stati individuati contenuti non prematuri, ma adeguati alle strutture cognitive e motivazionali degli studenti. La sopravvalutazione del metodo rispetto ai contenuti è connessa ad una inconsapevolezza epistemologica, sia sulla sostanziale discontinuità esistente tra la maggior parte della conoscenza scientifica e le conoscenze di senso comune, sia sul ruolo della teoria in molti esperimenti apparentemente intuitivi. Tuttavia inneggerei di nuovo all'anarchia in riferimento ai contenuti quando ciò che ci venisse proposto fosse un elenco enciclopedico di contenuti specialistici, non adatti per essere affrontati in modo significativo da parte degli alunni della scuola di base. La sensazione è che molti esperti di didattica non si pongano neppure il problema, ma si limitino ad affastellare proposte di insegnamento scientifico sulle problematiche più varie senza una riflessione né sul livello cognitivo degli studenti cui sono rivolte, né sul significato di quelle proposte nel contesto dell'educazione scientifica nella scuola di base. Una risposta non ancora sufficientemente adeguata alla situazione drammatica dell’insegnamento scientifico Ho iniziato questa riflessione parlando dei programmi della 1985 e del 1979, perché nel bene e nel male, si possono ripetere per le “nuove indicazioni” le stesse riflessioni. Gli obiettivi proposti dalle nuove indicazioni possono dare l’impressione di essere in quantità contenuta rispetto a quelli precedenti, ma ci troviamo di fronte ad una struttura completamente diversa: allora era narrativa, ora è un elenco di obiettivi che in teoria avrebbe dovuto essere una scelta di pochi obiettivi essenziali. Non ci sono differenze sostanziali perchè gli obiettivi attuali sono in realtà ciascuno costituito da molti altri obiettivi. In realtà, effettuando una comparazione minuziosa, i contenuti disciplinari proposti dalle nuove indicazioni sono meno enciclopedici di quelli precedenti, ma risultano comunque essere in quantità eccessiva, ed in parte troppo complessi. Quindi, per analogia con le precedenti, dovrei definirle magnifiche, ma francamente, a distanza di 22 anni, ci si poteva aspettare qualcosa di più, alla luce dell’esperienza delle pratiche più diffuse nelle scuole e della maggiore consapevolezza della situazione drammatica dell’insegnamento scientifico. Non si può scaricare completamente sulle scuole la responsabilità di individuare i saperi essenziali, quelli cioè in grado di sviluppare in tutti gli studenti, contemporaneamente, competenze scientifiche di base, competenze più generali di carattere osservativo-logico-linguistico, ed attegiamenti-comportamenti adeguati sul piano educativo, cioè competenze. Negli ultimi decenni, sono state effettuate in tutti i paesi economicamente più sviluppati molte ricerche sulle conoscenze degli studenti, in particolare in Inghilterra e negli Stati Uniti d'America, ed anche in Italia[1]. Mentre Piaget, nella prima metà del Novecento, si era sostanzialmente limitato a studiare le conoscenze di studenti fra i sei e i quattordici anni, queste ultime ricerche hanno molto allargato il campione in quanto sono state effettuate anche con studenti alla fine della scuola secondaria, durante i primi anni dell'università e alla fine dell'università. I risultati evidenziano che non soltanto i soggetti in età evolutiva, ma che anche la maggior parte degli studenti alla fine della scuola secondaria hanno metodologie di tipo prescientifico, conoscenze e concezioni, in molti ambiti scientifici, di tipo aristotelico, pregalileiano. Queste ricerche mettono, in conclusione, in evidenza che molti anni di insegnamento scientifico nella scuola di base e nella scuola secondaria non producono risultati da nessun punto di vista, né delle conoscenze, né del metodo, per la maggior parte degli studenti. Questa situazione drammatica dipende evidentemente da più fattori, ma la spiegazione che molti ricercatori ritengono più rilevante, e io con loro, è che l'insegnamento scientifico più diffuso, nella scuola secondaria superiore e nella scuola di base, sia di tipo specialistico, nozionistico e formalistico; sia, cioè, qualcosa di troppo complesso, troppo in discontinuità rispetto alle strutture cognitive del soggetto nelle varie età; lo scarto fra le strutture cognitive e le nuove conoscenze è talmente grande che in pratica non c'è possibilità di assimilazione. Quando vengono scritti programmi o indicazioni di scienze, la preoccupazione di molti esperti sembra maggiormente essere quella della completezza dal punto di vista della disciplina, e non quella di individuare le essenziali competenze scientifiche di base che effettivamente possono essere costruite in 66 ore all’anno. La situazione drammatica in relazione alle conoscenze scientifiche del cittadino di media cultura dipende non dal fatto che i vari argomenti non siano stati affrontati a scuola, ma dal fatto che generalmente vengono addirittura affrontati più volte, ma sempre in modo nozionistico, superficiale, consumistico, senza andare in “profondità”, dove ovviamente la “profondità” va intesa non dal punto di vista specialistico, ma psicologico-didattico, come ci aveva ricordato 10 anni fa la Commissione dei Saggi, nominata dal ministro Berlinguer. Obiettivi eccessivi per un apprendimento significativo Per motivare la critica fondamentale che rivolgo alle indicazioni, entro nel merito di una parte del terzo macro-obiettivo degli ultimi due anni della primaria, che è complessivamente buono, perché si riferisce a fenomenologie sensate per l’età degli alunni; contiene 5-6 problematiche che per potere essere affrontate in modo significativo, richiedono per lo meno solo queste un anno di lavoro (occorre non dimenticare mai che, se tutto va bene, le ore per le scienze sono 66 ogni anno scolastico). E di obiettivi di questa vastità ce ne sono per gli ultimi due anni della primaria 6-7! La parte centrale afferma: “Produrre miscele eterogenee e soluzioni, passaggi di stato e combustioni”. Se questo obiettivo non fosse seguito da “interpretare i fenomeni osservati …” potrebbe esser inteso in modo sperimentalista di tipo consumistico: in 4-5 ore di lezione si potrebbero sperimentare ed osservare 10-15 esperimenti connessi a queste fenomelogie ed il problema sarebbe velocemete risolto: è forse così complesso tentare di solubilizzare in acqua un po’ di materiali che si sciolgono ed alcuni che non si sciolgono, o bollire dell’acqua, fondere del ghiaccio o dello stagno? Ma in modo totalmente condivisibile, viene indicata la necessità di “interpretare i fenomeni osservati in termini di variabili e di relazioni tra esse”. La questione diventa così molto più complessa. Prendiamo come esempio “produrre miscele eterogenee e soluzioni”. Il concetto di soluzione è considerato anche da molti insegnanti banale, in quanto quotidianamente ci si imbatte in fenomeni di questo tipo, o si utilizzano termini quali solubile, sciogliersi, ecc. Vi è indubbiamente confusione tra conoscenza concettuale e conoscenza di termini, tra conoscenza scientifica e conoscenza di senso comune. La conoscenza di senso comune non va demonizzata, anzi deve costituire la base della conoscenza scientifica, in un processo di apprendimento caratterizzato sia da continuità che da discontinuità con il senso comune. Il passaggio dall'una all'altra forma di conoscenza può, in questo caso, essere caratterizzata da 3 fasi. La prima fase è quella della identificazione e definizione delle sostanze effettivamente solubili. Infatti non c'è coincidenza neppure nel riferimento empirico, perché generalmente vi sono alcune esperienze della vita quotidiana che acquistano un carattere talmente paradigmatico da cancellare la traccia di altre esperienze; le sostanze colorate solubili non sono generalmente considerate tali perché molti hanno ormai interiorizzato i casi del sale e dello zucchero in acqua come esempi paradigmatici delle sostanze solubili. D'altra parte, per altri, anche eventuali sostanze che rimangono sospese in acqua sono solubili; è presente in questo caso un concetto di solubile più esteso che comprende anche le sostanze che producono sospensioni, cioè miscele eterogenee: è probabile che questa idea sia una generalizzazione empirica di esperienze con materiali della vita quotidiana, quali il cacao solubile, indicate come solubili, pur non essendolo. La seconda fase è quella della comprensione del tipo di interazione che si verifica, della comprensione, cioè, della permanenza, al di là dell'apparenza, nelle soluzioni delle sostanze iniziali. Si realizza, in questo modo, la possibilità di iniziare a familiarizzarsi con il concetto di trasformazione fisica. La terza fase è quella esplicativa: si può iniziare ad ipotizzare delle risposte di tipo atomistico alla domanda "che cosa è successo alla sostanza solida, che è presente, benché non sia più visibile, nella soluzione?" Con risposte di tipo atomistico non intendiamo l'introduzione di una terminologia desunta dalle acquisizioni scientifiche del XX secolo, ma ipotesi di tipo particellare, corpuscolare, quali, ad esempio, le seguenti: "il sale, poiché non è più visibile, potrebbe essere presente nell'acqua sotto forma di particelle talmente piccole da non potere essere rilevate dalla vista", oppure "se l'acqua ha la capacità di disgregare i granelli di sale in granellini, sempre di sale, ma non più visibili, si può ipotizzare che questi ultimi ci siano anche nei solidi, che, cioè, i granelli di sale non siano che aggregati di moltissime particelle invisibili". In conclusione l'effettuazione di esperimenti di solubilizzazione con sostanze usuali della vita quotidiana è imprescindibile, ma tutt'altro che sufficiente: il passaggio dal concetto di senso comune al concetto scientifico non sta negli esperimenti, ma nelle riflessioni sistematiche che possono essere effettuate a partire da essi. E i tempi per far sì che tutti gli studenti siano in grado di costruire queste riflessioni sono molto lunghi, perché devono innanzittuo poter formulare le loro ipotesi, metterle a confronto con quelle degli altri alunni, e poter poi, se necessario, ristrutturare, correggere e ampliare le proprie idee iniziali, in classi mediamente di 25 alunni, con alunni delle tipologie più varie (“il bambino con competenze forti, il bambino la cui famiglia viene da lontano, il bambino con fragilità e difficoltà, il bambino con bisogni educativi specifici, il bambino con disabilità”, come viene indicato nelle Indicazioni a p. 12). La parte più innovativa Per quanto riguarda gli obiettivi di apprendimento la parte più innovativa è quella che si riferisce alla “Fisica e chimica” della scuola secondaria di primo grado. Vengono infatti proposti (con l’eccezione dell’energia) alcuni concetti fondamentali acquisibili in modo laboratoriale. Vi è qui un disconitnuità radicale con la proposta insensata di tutti i manuali scientifici che in 200-300 pagine riassumono la fisica e la chimica sistematiche, iniziando con la meccanica, l’elettricità, il magnetismo, e continuando con i modelli molecolari, il legame chimico, la chimica inorganica ed organica, ecc. In conclusione gli obiettivi proposti nelle nuove indicazioni sono compatibili con un insegnamento significativo? Come nel 1985 e nel 1979, la risposta positiva risiede sia nella non prescrittività che nel tipo di indicazioni pedagogico-metodologiche-didattiche che vengono date; alla fine della presentazione delle Scienze naturali e sperimentali, a p. 58 si afferma infatti: “Pertanto i contenuti specifici che in seguito saranno suggeriti vanno intesi come esempi di scelte possibili, da effettuarsi nell’ambito dell’autonomia scolastica e di una progettazione complessiva e a lungo termine del percorso di apprendimento”. Per le scienze non è quindi immaginabile una verifica nazionale da parte dell’INVALSI, come è invece possibile con le indicazioni di matematica. Le due presentazioni, quella dell’area e quella specifica delle scienze, costituiscono la parte più importante delle indicazioni. E’ indubbiamente vero che già i programmi precedenti, a partire da quelli del 79 della scuola media, davano come vincolo prescrittivo quello di metodologie di tipo laboratoriale, ma nelle nuove indicazioni vi è un salto di qualità. Nella presentazione dell’area matematica-scientifica-tecnologica, a p. 51, si trovano, ad esempio, queste considerazioni: “Tutte le discipline dell’area hanno come elemento fondamentale il laboratorio, inteso sia come luogo fisico (aula, o altro spazio specificamnete attrezzato), sia come momento in cui l’alunno è attivo, formula le proprie ipotesi, e ne controlla le conseguenze, progetta e sperimenta, discute e argomenta le proprie scelte, impara a raccogliere dati e a confrontrali con le ipotesi formulate, negozia e costruisce significati interindividuali, porta a conclusioni temporanee e a nuove aperture la costruzuone delle conoscenze personali e collettive. In tutte le discipline dell’area, inclusa la matematica, avrà cura di ricorrere ad attività pratiche e ad osservazioni sul campo, con un carattere non episodico ed inserendole in percorsi di conoscenza.”
[1] Un libro importante da questo punto di vista è: N. Grimellini Tomasini e G. Segrè, Le conoscenze scientifiche: le rappresentazioni mentali degli studenti, La Nuova Italia, Firenze, 1991.
|
La pagina
- Educazione&Scuola©