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L’insegnante come “contenitore” Maria Teresa Moscato*
Uno degli aspetti cruciali dell’arte dell’insegnamento.
L’idea del “contenitore” appartiene agli studi di uno fra i grandi psicanalisti contemporanei, l’inglese D.W. Winnicott1, e fa riferimento all’esperienza infantile precoce di essere “lacerati”, “mandati in pezzi” dalle proprie pulsioni e dalle emozioni negative (la paura, la collera, il risentimento) e di non essere capaci di “contenere” queste energie primitive e irrazionali quando si scatenano dentro di noi. Di norma l’adulto significativo funziona sempre da “contenitore” esterno dell’Io infantile: il gesto (istintivo) di contenimento delle braccia materne costituisce una metafora potente e una figura rassicurante, avviando un processo che porterà nel tempo l’Io a “contenersi” da sé. A partire dall’età del gioco e della fantasia (3-5 anni), i bambini che sperimentano il “contenimento” di adulti significativi e rassicuranti cominciano a “farsi contenere” dalle regole di condotta, progressivamente assunte in famiglia e a scuola. Nel corso dell’adolescenza sperimentiamo di nuovo, ma questa volta con inevitabile consapevolezza personale, la penosa percezione di un Io che “va in pezzi” e impariamo nuove forme simboliche di “contenimento”. Gli adulti presentano sempre un certo numero di “rituali”, che si legano simbolicamente alle esperienze di contenimento infantile; ma accade anche che in condizioni di ansia, di paura, di stress possiamo ottenere “contenimento” da altre persone, persone a noi care (braccia affettuose e spalle su cui piangere), ma anche, semplicemente, “persone che ci ascoltano”. L’ipotesi pedagogica più verosimile è che gli ex bambini sufficientemente e adeguatamente “contenuti” diventino adulti che si contengono da soli (l’autonomia psichica comporta la capacità di “auto-contenersi”) e che sono capaci a loro volta di “contenere”. Si passerebbe, insomma, progressivamente, da “contenitori esterni” (braccia, regole, punizioni, premi, aspettative), messi inizialmente in campo dagli adulti significativi, ad un “contenitore interno” simbolico, che in molti prende la forma di “confini interni dell’Io”, o anche di “barriere interne”, potenzialmente inibitorie, entro le quali l’Io si riconosce una “licenza di essere” e di agire. L’uso del termine “contenitore” o “barriera” rivela interpretazioni contrastanti di questo dinamismo (2): ciò che conta è riconoscere che l’Io ha bisogno di generare “contenitori” interni per consolidarsi, anche se alcuni di tali simbolici contenitori dovessero trasformarsi in “barriere” ed essere, per conseguenza, successivamente oltrepassate e abbattute nel corso delle fasi adulte della vita.
_ PRATICARE UN “ASCOLTO ATTIVO” Comprendere che l’ascolto attivo ha una potente funzione di “contenimento” ci permette di capire che cosa rende “diversi” certi insegnanti, a parità di efficacia comunicativa con altri colleghi, e anche indipendentemente dall’età e dall’esperienza professionale. Si può osservare che alcune condotte, alcune espressioni, alcune dinamiche fra gli allievi, in loro presenza semplicemente non accadono, al punto che essi si sorprendono, ascoltando i colleghi, di alcuni comportamenti di una stessa classe. In realtà ciò che accade è che, in loro presenza, gli allievi si contengono da soli, come se la loro presenza comportasse un divieto simbolico di “lasciarsi andare”. È difficile razionalizzare che cosa permetta ad un insegnante di “mantenere la disciplina” o di “gestire la situazione d’aula” senza apparenti problemi. Alcuni docenti non ricordano neppure di avere avuto problemi di disciplina; altri negano di averne, ma mentono. Alcuni buoni insegnanti, che avevo osservato “contenere” efficacemente anche per mezzo di segnali non verbali (il silenzio, lo sguardo, una leggera mimica), in sede di intervista non hanno riconosciuto i loro interventi e hanno attribuito l’autocontrollo esclusivamente alla classe. È interessante osservare che essi si percepiscono soprattutto come garanti di spontaneità e di libertà dei loro allievi. Naturalmente la percezione di quale sia “un comportamento disciplinato” può variare molto in termini soggettivi: una discriminante oggettiva potrebbe essere fornita dal fastidio, registrato dagli allievi stessi, quando l’insegnante appare troppo permissivo, ma si tratta di un dato che può essere ottenuto solo a posteriori e in particolari condizioni. Il punto importante è che la capacità di contenimento degli insegnanti appare in rapporto alla competenza comunicativa, sebbene non sia identica ad essa, e che essa si rivolge al singolo allievo come al gruppo/classe nella sua globalità. Su un piano generale essa sembrerebbe dipendere dalle caratteristiche di personalità dell’insegnante, più che da una strategia specifica e consapevole. Certamente è difficile praticare l’ascolto attivo, e a maggior motivo “contenere” un altro, se ci si sente “minacciati” dalle comunicazioni degli allievi, se non si è abbastanza consapevoli della propria interiorità emotivo-affettiva, o se, semplicemente, non ci interessa abbastanza la persona dell’allievo e la sua crescita. La funzione di contenimento non appare sufficientemente teorizzata e razionalizzata, sul piano pedagogico didattico: il linguaggio quotidiano parla genericamente di “capacità di mantenere la disciplina”, e il termine tecnico più diffuso sembra essere quello di “gestione d’aula”. Noi ipotizziamo invece che la funzione di “contenimento” venga svolta sempre (anche se non intenzionalmente) dagli insegnanti efficaci, ma che, per l’inseparabilità delle diverse dimensioni della comunicazione didattica, essa venga percepita con difficoltà.
_ ELEMENTI PER UN INSEGNAMENTO EFFICACE Vale la pena di analizzare in astratto la distribuzione di questa funzione all’interno della comunicazione didattica. Il primo elemento del “contenitore”, abbiamo detto, è l’ascolto attivo del docente; un secondo elemento, indiretto, potrebbe essere fornito dalla qualità esemplare globale della sua conduzione dentro il gruppo: abbiamo visto che l’esprimere riconoscimento da parte dell’insegnante stimola negli allievi un riconoscimento reciproco. Di fatto, e concretamente, gli insegnanti che “ascoltano” esigono in genere che gli allievi “si ascoltino”, e stigmatizzano, quando si manifestano, comportamenti non rispettosi degli allievi fra loro. Lo stesso accade, parallelamente, per la proposta e il rispetto di regole da condividere. Si può osservare che gli insegnanti che presentano un atteggiamento di controllo razionale della loro gestione d’aula, se costretti a reprimere o stigmatizzare una condotta, fanno appello o riferimento a una regola, cosa che permette loro di sottoporre all’intero gruppo il giudizio sull’accaduto e comunque di evitare che il rimprovero si trasformi in un conflitto personale. Viceversa, quelli che vivono come un attacco personale le condotte negative degli allievi, non solo favoriscono lo sviluppo di conflitti socio-affettivi frontali, ma non permettono il confronto obiettivo fra l’allievo e la sua condotta, nel quadro di criteri condivisibili. In tal modo la “regola” (il criterio condivisibile di una condotta) non può essere usata come “contenitore” dell’Io e il conflitto diventa inevitabilmente scontro di volontà e di sentimenti fra insegnante e allievo. Si osservi che, in questo caso, per ovvi meccanismi di identificazione e di appartenenza al gruppo classe, è quasi inevitabile che gli allievi prendano emozionalmente le parti del loro compagno, anche quando questi ha palesemente torto. C’è ancora un altro aspetto della funzione di contenimento, che attiene alla proposta di oggetti/contenuti didattici e che si lega alle modalità di presentazione dei contenuti. Si osserva che gli insegnanti più efficaci presentano l’oggetto didattico in termini di tale concretezza da favorire il porsi dell’oggetto stesso come “contenitore” dell’Io. In qualche modo essi “contengono” l’intero gruppo classe (o buona parte di esso) semplicemente mantenendone l’attenzione concentrata sull’oggetto didattico che stanno presentando. In tal modo la capacità degli insegnanti di “tenere la scena”, di cui abbiamo già parlato, entra in rapporto con la funzione di contenimento che essi riescono ad assolvere, con modalità quasi impossibili da discernere all’osservatore. Non mancano docenti e conferenzieri che sembrano in qualche misura consapevoli delle implicazioni emozionali delle parole che usano e delle figure che evocano. La loro modalità di coinvolgere e mantenere costante e concentrata l’attenzione dell’ascoltatore determina una funzione di contenimento, almeno come effetto secondario. Naturalmente questo accade solo quando la comunicazione è effettivamente calibrata sugli ascoltatori concreti: in caso contrario, quando la classe non riesce a “capire” l’oggetto proposto, non esiste nessuna possibilità di contenimento a partire dalla concentrazione dell’attenzione su di esso.
Note 1 Cfr. Il bambino deprivato, tr. it., Raffaello Cortina, Milano 1986; La famiglia e lo sviluppo dell’individuo, tr. it., Armando, Roma 1968; Gioco e realtà, tr. it., Il Pensiero Scientifico, Roma 1981. 2 Ad es. nel rogersiano R. Gould la nozione di “barriera interna” appare negativa ed esige di essere superata per recuperare una “licenza di essere” nel corso delle trasformazioni adulte. Cfr. R. Gould, Transformations: Growth and Change in Adult Life, Simon e Schuster, New York 1978.
* Docente di Pedagogia Generale, Facoltà di Lettere, Università di Bologna. Il contributo è tratto dal saggio edito recentemente da La Scuola: Diventare insegnanti. Verso una teoria pedagogica dell’insegnamento, Brescia 2008.
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