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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
Direttore responsabile: Dario Cillo


 

Quale scienza nella scuola dell’infanzia
nella prospettiva del curricolo verticale?[1]

 

 

                                                                                Paola Conti, Carlo Fiorentini

 

 

 

 

 

“ Il nuovo progetto di scuola per l’infanzia si propone di rendere la scuola stessa un significativo luogo di apprendimento, di relazione e di vita”. Così gli Orientamenti educativi del 1991 definiscono la specificità del contesto educativo della Scuola dell’Infanzia. Proprio in questo significativo luogo si costruisce l’incontro tra i bambini e le bambine e le conoscenze e i saperi; esso fa da ponte, consente l’incontro tra un soggetto (il bambino appunto) e i sistemi simbolico culturali della società adulta.” L’ambiente scolastico non accoglie un bambino per confinarlo in una situazione di generica socializzazione; non è semplicemente un vivaio di relazioni umane, ma un contesto in cui è promosso l'incontro con i saperi, con i sistemi simbolico-culturali, con i primi alfabeti “(Cerini, 1999).

La riflessione sui saperi non può prescindere, dunque da un’attenta analisi delle modalità concrete di traduzione degli obiettivi nella prassi educativa, della costruzione di contesti capaci di stimolare e motivare gli allievi, della qualità dell’organizzazione di ambienti educativi in grado di promuovere un apprendimento significativo. Un apprendimento cioè che consenta l’elaborazione delle informazioni in conoscenze attraverso un lavoro di combinazione, composizione, scomposizione e ricomposizione dei concetti; un apprendimento,  sistematico, stabile, consapevole, trasferibile, ma anche attento agli aspetti più operativi che sono quelli attraverso i quali i soggetti costruiscono i propri modi di entrare in contatto con la realtà, gli atteggiamenti di fronte alle situazioni, i metodi di lavoro. Gli studi più recenti hanno messo seriamente in discussione la fiducia nella possibilità di formare negli allievi abilità di pensiero decontestualizzate e applicabili in maniera generica. Il contesto non può essere considerato neutro rispetto agli apprendimenti, ininfluente rispetto alle competenze che si intendono sviluppare e ai contenuti che vogliamo trasmettere. Al contrario, “ I contesti co-producono la conoscenza” (Boscolo, 1997).

In questo senso, gli psicopedagogisti fanno sempre più ricorso ai concetti di apprendimento situato e di apprendimento distribuito. “Il concetto di contesto (viene considerato) nella sua accezione etimologica di intreccio, luogo o ambito (non o non solo, in senso fisico) dove si situano e si distribuiscono i processi cognitivi implicati in un’attività; e contesto come intreccio di relazioni sociali” (Boscolo, 1997). 

L’acquisizione della conoscenza non avviene all’interno di menti isolate come monadi ma attraverso la costruzione e l’organizzazione di ambienti, materiali, strumenti che danno significato e senso ai contenuti che andiamo proponendo. “L’apprendimento è un processo che ha luogo in una cornice di partecipazione: non è l’atto di una persona, ma è distribuita tra coloro che partecipano al contesto” (Boscolo, 1997).

Secondo quanto detto finora, la scuola va configurandosi come una comunità di pratiche volte all’educazione e alla crescita armonica dei bambini e delle bambine che la frequentano. Ma in cosa consistono queste pratiche? Riteniamo che nella Scuola dell’Infanzia esse suggeriscano il ricorso a tutta una serie di elementi che potremmo sintetizzare utilizzando l’espressione: strutturazione di un ambiente/contesto educativo. Questo deve essere considerato in un’accezione molto ampia, ma al tempo stesso connotata in maniera semanticamente specifica. Per ambiente /scuola, infatti va inteso lo spazio fisico di cui si può disporre per le diverse attività (palestra, laboratori, spazi esterni…), il modo nel quale questo spazio è strutturato (angoli tematici, luoghi per la socializzazione, per l’esperienza individuale, il collegamento e l’apertura tra spazi diversi…), la presenza di materiale funzionale (ci sono attività che non possono prescindere dal materiale; i bambini della Scuola dell’Infanzia non possono lavorare sulle parole dell’insegnante, hanno bisogno di materiale da manipolare per conoscere), il modo in cui questo materiale è utilizzato da adulti e bambini (il materiale è a disposizione di tutti, in quali momenti, i bambini sono in grado di utilizzarlo da soli…), l’organizzazione dei tempi e degli orari (l’orario delle insegnanti tiene conto delle esigenze delle attività, secondo quali criteri si alternano le attività all’interno della giornata, della settimana, dell’anno scolastico…), la costruzione di strumenti sia operativi che cognitivi (quale ruolo viene attribuito agli elaborati individuali/collettivi dei bambini, la strumentazione didattica è scelta/costruita in funzione del progetto e delle attività, quali strumenti per la verifica….), il ricorso a raggruppamenti diversi da quello della sezione (sulla base di quali criteri viene privilegiato il lavoro di gruppo, di coppia, individuale, per quali attività….), l’utilizzazione delle risorse esterne (enti locali, associazioni ecc…:che tipo di relazioni intrattengono con la scuola). La scuola e i suoi operatori devono riflettere su questi e sugli altri fattori (l’elenco ha una funzione esemplificativa e non pretende di essere esaustivo) che connotano una scuola e che determinano la qualità dell’insegnamento che vi viene impartito. Tale riflessione ha senso se tutto questo non produce dispersione ma viene ricondotto al ruolo  (ecco la specificità) della scuola, al ruolo che le viene attribuito e che essa rivendica e riveste all’interno di una comunità.  Gli Orientamenti attribuiscono alla Scuola dell’Infanzia il raggiungimento di “avvertibili traguardi di sviluppo in ordine all’identità, all’autonomia ed alla competenza.” Cerchiamo allora di verificare quale incidenza possano avere le considerazioni espresse finora in relazione al campo di esperienza “Le cose, il tempo, la natura”. Questo è il campo relativo all’esplorazione, scoperta e prima sistematizzazione della conoscenza sul mondo della realtà naturale e artificiale, che ha come sistemi simbolici di riferimento tutti i domini della conoscenza scientifica. Preliminarmente è necessario effettuare qualche riflessione sulle caratteristiche principali della conoscenza scientifica.

 

                                            Che cos'è la scienza?

 

   Iniziamo col chiederci che cos'è la scienza? La risposta a questa domanda è preliminare a qualsiasi opzione di carattere pedagogico-didattico, essa dovrebbe costituire la guida principale alle scelte culturali e metodologiche dell'insegnante. Prendiamo in considerazioni alcune note riflessioni di Popper, condivise dalla maggior parte degli epistemologi contemporanei:

"Una delle componenti più importanti della civiltà occidentale è la cosiddetta tradizione razionalistica ereditata dai greci: è la tradizione della discussione critica non fine a se stessa ma volta alla ricerca della verità; la scienza greca come pure la filosofia greca erano un prodotto di tale tradizione e del bisogno imperioso di comprendere il mondo in cui viviamo e così la tradizione fondata da Galileo ne rappresentava il rinascimento; nell'ambito di questa tradizione razionalistica la scienza è apprezzata innegabilmente per le sue conquiste pratiche, ma lo è ancor più per il suo contenuto informativo, per la sua capacità di liberare la nostra mente dalle antiche credenze, dai pregiudizi e dalle certezze inveterate e di offrirci invece nuove congetture, ipotesi ardite; la scienza è apprezzata cioè per la sua influenza liberatrice, come una delle maggiori forze che operano in favore della libertà umana. Secondo la concezione della scienza che sto cercando di sostenere ciò è dovuto al fatto  che gli scienziati, fin dai tempi di Talete, di Democrito ecc., hanno osato creare dei miti o congetture o teorie che, pur essendo in netto contrasto con il mondo quotidiano dell'esperienza comune, sono tuttavia capaci di spiegare alcuni aspetti di tale mondo, (…) ma sono qualcosa di più queste teorie, come si può rilevare dal fatto che le sottoponiamo a severi controlli, cercando di dedurne alcune regolarità del comune mondo dell'esperienza quotidiana, cercando cioè di spiegare tali regolarità. Questi tentativi di spiegare il noto per mezzo dell'ignoto hanno enormemente ampliato il dominio della conoscenza"(Popper, 1969). 

    Evidenziamone i due aspetti principali. Il primo si riferisce al carattere non dogmatico della scienza: le teorie, le leggi e le definizioni scientifiche sono importanti come patrimonio cognitivo degli individui soltanto nella misura in cui essi siano in grado di problematizzarle, di coglierne i campi di validità, le relazioni con i fenomeni e con gli altri concetti, di comprenderne lo status di verità provvisorie e non di dogmi. E già qui iniziano a sorgere gravi problemi, perché spesso l'insegnamento scientifico, anche nella scuola di base, è impostato in modo opposto, in consonanza con una concezione dogmatica della scienza e preoccupato di impartire la conoscenza enciclopedica delle verità scientifiche (delle nozioni).

      Il secondo aspetto presente nelle parole di Popper è ugualmente fondamentale per le implicazioni didattiche. La scienza spiega il noto per mezzo dell'ignoto: il pensiero scientifico si basa sulla formulazione di ipotesi, che pur essendo molto al di là, o addirittura in contraddizione con la vita quotidiana, sono in grado di spiegare ciò che si vede, il comune mondo dell'esperienza quotidiana. La scienza è quindi costitutivamente caratterizzata da concetti antiintuitivi e da costruzioni formali complesse; ciò ci fa comprendere la grande difficoltà che hanno molti studenti nel capire le discipline scientifiche, che spesso sono insegnate anche nella scuola di base in modo formalizzato.

     E' molto difficile comprendere, e non soltanto memorizzare, anche quei concetti della scienza formalizzata che  oggi appaiono come conoscenze di senso comune. Potrebbe ad esempio sembrare banale la risposta alla domanda: come mai la candela si spegne quando viene collocata sotto un recipiente? La comprensione di questo fenomeno, e non la banale risposta nozionistica, presuppone, invece, un ampio bagaglio di conoscenze, sviluppate nella seconda metà del Settecento, per merito, in particolare, del padre della chimica scientifica, Lavoisier. Quel fenomeno poté essere spiegato, quando vennero individuati i concetti fondamentali della scienza chimica, a partire dalla rivoluzionaria scoperta che sia i combustibili che i metalli si combinano con l'aria.

     Anzi se la scienza fosse descritta in modo esauriente dalle considerazioni precedenti, si potrebbe addirittura concludere che sia psicologicamente che pedagogicamente sarebbe assurdo prevederne l'insegnamento nella scuola di base, ed a maggior ragione nella scuola dell'infanzia. E' necessario, a questo punto, distinguere tra insegnamento scientifico formalizzato, specialistico, ed insegnamento scientifico fenomenologico ed operativo.

    Anche il fenomeno della combustione, prima di poter esser spiegato grazie al concetto di ossigeno, era stato da tempi immemorabili conosciuto, sperimentato. La combustione rappresenta indubbiamente uno dei fenomeni artificiali, una delle tecnologie più importanti nella storia dell'uomo; e nel corso dei millenni l'uomo aveva sempre più sviluppato le sue capacità di osservazione, riuscendo così ad affinare le tecniche del fuoco. Per comprendere l'importanza di queste innovazioni, è sufficiente pensare, ad  esempio, al perfezionamento delle fornaci che fu realizzato nel passaggio dall'età del bronzo a quella del ferro.

 

 

                                 Quali conoscenze di vita quotidiana?

 

     Nella scuola dai 3 ai 14 anni, l'obiettivo non può essere quello di spiegare il noto per mezzo dell'ignoto; non è possibile, cioè, impostare l'insegnamento scientifico in modo formalizzato, perché il risultato non potrebbe che essere l'insegnamento di un linguaggio caratteristico di un mondo totalmente dissonante (un mondo di marziani) rispetto al mondo dello studente. Nella scuola dai 3 ai 14 anni, ed a maggior ragione nella scuola dell'infanzia, è possibile, invece, partendo dalle sue conoscenze di vita quotidiana, sviluppare nel bambino abilità di tipo osservativo-logico-linguistico, razionalità, consapevolezza.

    Tuttavia, pensiamo che possano sorgere ambiguità quando si parla di conoscenze di vita quotidiana. Nella vita di ogni giorno, infatti, nel senso comune, vi sono sia conoscenze legate all'esperienza diretta, all'osservazione, che informazioni, termini, frasi fatte di tipo scientifico, ricavate da qualche fonte di informazione, che non sono comprese neppure da adulti di media cultura che pur le utilizzano normalmente. Occorre, quindi, partire indubbiamente da conoscenze di vita quotidiana, ma in modo non indifferenziato; occorre selezionare quelle conoscenze meno cariche di pre-giudizi, di conoscenze premature, meno dipendenti, cioè,  da teorie scientifiche e più vicine all'esperienza diretta del bambino.

    La parte degli Orientamenti del 1991 per la scuola dell'Infanzia specificamente dedicata all'educazione scientifica è ricca di moltissime significative indicazioni (su cui ritorneremo); contiene, tuttavia, anche qualche suggerimento che ci sembra fuorviante, seppur motivato dalle migliori intenzioni. Vediamone un passaggio: "Le rilevazioni di maggior interesse si concentreranno sul comportamento del bambino durante le attività di esplorazione e di indagine svolta da solo o con altri, tenendo presente che non è importante il contenuto dell'azione quanto l'insieme delle modalità in cui essa è svolta. Occorre fare attenzione all'impegno di pianificazione, all'uso dei risultati, al tipo di verbalizzazione che l'accompagna". Probabilmente si voleva sottolineare la fondamentale importanza delle metodologie, delle modalità relazionali piuttosto che la quantità dei contenuti, ma la formulazione precedente separa la qualità dei processi dal tipo di contenuti. Noi pensiamo, invece, che questi due aspetti  siano strettamente intrecciati, e che soltanto una scelta epistemologicamente e psicologicamente fondata delle attività e delle conoscenze possa effettivamente permettere la realizzazione di processi di apprendimento significativi, quali sono stati indicati dalla psicopedagogia degli ultimi decenni, e quali sono largamente presenti negli Orientamenti.

    Noi pensiamo che il formalismo, il precocismo nozionistico siano sempre in agguato, anche quando si hanno intenzioni pedagogiche opposte; per eliminarli dal processo educativo non sono sufficienti le buone intenzioni, ma sono indispensabili competenze culturali ed epistemologiche  per individuare le problematiche fenomenologiche più adatte allo sviluppo cognitivo del bambino della scuola dell'infanzia, capaci, cioè, effettivamente di sviluppare le abilità indicate dagli Orientamenti:

"Le abilità da sviluppare riguardano: l'esplorazione, la manipolazione, l'osservazione con l'impiego di tutti i sensi, l'esercizio di semplici attività manuali e costruttive; la messa in relazione, in ordine, in corrispondenza, la costruzione e l'uso di simboli e di elementari strumenti di registrazione, l'uso di misure non convenzionali sui dati dell'esperienza; la elaborazione e la verifica di previsioni, anticipazioni ed ipotesi; la formulazione di piani di azione tenendo conto dei risultati; l'uso di un lessico specifico come strumento per la descrizione e per la riflessione; il ragionamento conseguente per argomentare e per spiegare gli eventi."

    La maggior parte di queste abilità possono anche essere prospettate per la scuola elementare ed alcune anche per la scuola secondaria. Vi è un ampio spazio di interpretazioni e scelte, vi è un ampio ambito di libertà e di responsabilità per gli insegnanti. Gli Orientamenti erano già completamente all'interno della logica della scuola del curricolo e non più del programma. Gli Orientamenti forniscono indubbiamente ulteriori indicazioni che tendono a far convergere quegli obiettivi verso la esigenze evolutive del bambino dai 3 ai 6 anni. Già nel capoverso successivo si afferma infatti: "L'accostamento educativo alle conoscenze scientifiche rispetta le caratteristiche proprie delle esperienze e delle riflessioni e si adegua alle modalità di comprensione ed ai bisogni evolutivi dei bambini. Per questo è essenziale che l'insegnante sia disponibile alle concezioni che essi esprimono ed ai modi della loro formulazione, dia spazio alle loro domande ed eviti di dare risposte premature, sappia innescare processi individuali e collettivi di ricerca e di chiarificazione mediante l'osservazione, la sperimentazione e la discussione collettiva, semplifichi le situazioni e prospetti facili confronti in modo che abbiano senso per i bambini, valorizzi la prospettiva personale ed il pensare con la propria testa, non penalizzi l'errore che, come espressione del proprio punto di vista ed occasione di autocorrezione, promuove il pensiero critico".

    E dopo poco: "E' essenziale che l'ambiente e il tempo scolastico siano organizzati in modo da consentire il lavoro autonomo e collaborativo dei bambini anche secondo la consolidata esperienza dei laboratori e l'utilizzazione di spazi attrezzati all'aperto". Ci sembra che nell'ultima frase vi sia un "anche" di troppo. In tutta la scuola di base, ed in particolare nella scuola dell'infanzia gli ambienti adeguati ad attività esplorative, manipolative ed osservative, quali quelle indicate dagli Orientamenti non possono essere un optional, ma sono una precondizione. Ed in ogni caso, anche in situazioni ambientalmente non ottimali non possono essere un optional le metodologie laboratoriali. Gli obiettivi indicati potranno poi effettivamente trasformarsi in abilità nei bambini grazie alla sapiente competenza degli insegnanti di progettare percorsi, coinvolgenti ed interessanti per i bambini, che durino a lungo, dove molti obiettivi possano essere raggiunti in modo integrato e non atomico. Ad esempio, attività di esplorazione, manipolazione, che devono essere sempre presenti, diventano particolarmente significative quando sono connesse ad altre attività, quali mettere in relazione, la costruzione e l'uso di simboli, la elaborazione la verifica di previsioni, anticipazioni.

 

                                       La centralità delle attività del bambino

 

     Dalle ricerche pedagogiche e dalla riflessione epistemologica emerge come si verifichi un’effettiva comprensione e interiorizzazione dei concetti solo a seguito di una personale attività conoscitiva. Questa può essere proficuamente stimolata se l’individuo è posto nella condizione di riflettere su contesti problematici, che si scontrano con le apparenze scontate dell’esperienza quotidiana. Ma i problemi che vengono presentati devono essere comunque concettualmente dominabili dai bambini perché altrimenti si corre il rischio che anche un’attività importante come la ricerca di spiegazioni si trasformi in un esercizio di preveggenza. Riteniamo fondamentale, invece, che le esperienze proposte e realizzate a scuola facciano incontrare il bambino con le cose (nell’accezione più vasta che può essere attribuita al termine: oggetti, esseri viventi, ambienti, relazioni, immagini, ecc…) in modo per lui significativo sotto ogni aspetto. Tale modalità esperienziale si realizza se le cose sono pienamente vissute, rielaborate, fatte proprie. Prima di un approccio razionale, oggettivo, che ordini, misuri, confronti, classifichi, ci dovrà quindi essere l’esperienza concreta e quanto più possibile completa con la cosa che andiamo ad esplorare. In questo senso la costruzione di un forte legame emotivo con l’oggetto dell’indagine non pregiudica ma anzi costituisce, in questa fase evolutiva, il punto di partenza essenziale per la formazione di una conoscenza più puntuale e affidabile della realtà. Infatti se da un lato è utile contestualizzare e problematizzare i contenuti da trasmettere, così è altrettanto necessario fornire agli alunni, attraverso esperienze dirette un ancoraggio referenziale che offra loro la possibilità di agire sulle cose, di provare e verificare ipotesi, di avere una base concreta da cui muovere verso l’astrazione e la simbolizzazione. Introdurre un oggetto in classe significa fornire un referente in modo che a garantire l’attendibilità delle conoscenze non sia più soltanto l’autorità del maestro o del libro, con tutto ciò che questo implica a livello di autonomia, senso critico, creatività. ‘Un tempo molto più lungo di quello comunemente consentito dovrebbe essere dedicato a un lavoro esplorativo libero e non guidato (fase del Pasticciamento)’ (Hawkins, 1986).

      Dunque, la fase osservativo-sperimentale ha un ruolo fondamentale, anche se, proprio per le caratteristiche degli alunni della fascia di età considerata (3-6 anni), per le loro capacità di attenzione e per i limiti nel mantenere la motivazione, le esperienze proposte dovrebbero essere semplici e i bambini dovrebbero avere la possibilità di entrarvi in contatto ripetutamente nel tempo. Questo perché spesso le cose osservate, manipolate, sperimentate in scienze (si pensi all’acqua, al fuoco, agli animali, ecc…) sono portatrici di una forte carica emotivo-affettiva e coinvolgono aspetti quali della personalità, la sicurezza di sé, la capacità di affrontare situazioni nuove o impreviste senza inibizioni o resistenze, la voglia accompagnata alla paura di esporsi nell’esprimere pareri o nel formulare affermazioni basate su fatti caratterizzati più dalla possibilità che dalla certezza. Proprio per questo è importante che i bambini possano, almeno in questa prima fase e per quegli oggetti/fenomeni che sono in grado di gestire autonomamente, lavorare da soli o in gruppi formati spontaneamente, che possano osservare (anche senza saperlo), che possano manipolare, lasciare l’oggetto per andare a giocare e poi riprenderlo, osservare gli altri e il loro modo di rapportarsi a questa cosa ecc… Solo successivamente, quando ormai la carica emozionale provocata da qualunque cosa nuova si sarà ridotta e sarà stata messa sotto controllo in modo da non essere più di intralcio ma da fungere soltanto da stimolo per l’interesse che provoca, sarà possibile procedere ad un lavoro più sistematico guidato dall’insegnante.

    Dunque nella Scuola dell’Infanzia, l'educazione scientifica non può prescindere dal coinvolgimento attivo degli alunni in attività di osservazione e sperimentazione; l'esperienza diretta fornisce quell'ancoraggio referenziale che permette loro di avere una base concreta da cui muovere verso l'astrazione. Ma l'osservazione è poco produttiva se non viene accompagnata da un'attività di riflessione individuale durante la quale le conoscenze attive e percettive vengono tradotte in rappresentazioni consapevolmente costruite. Solo a questo punto si può passare alla discussione collettiva all'interno del gruppo. Ma anche in questa fase va sottolineata l'importanza dell'interazione degli alunni con l'oggetto (o il fenomeno) da studiare. Trovandosi ad agire all'interno di un contesto unificato e unificante “i soggetti possono affrontare rappresentazioni diverse, ma omogenee fra loro, e per questo possono accedere ad una rappresentazione più elaborata ed eterogenea rispetto alle prime. In altre parole, lo scambio interindividuale è fruttuoso a condizione che si parli della stessa cosa con lo stesso linguaggio: la diversità delle parole le rende tutte più o meno caduche e invita a disporle in un nuovo ordine. La conoscenza assume in questo caso la forma di una rottura con una rappresentazione parziale per accedere ad una rappresentazione più obiettiva, che integra cioè un nuovo punto di vista. Il processo non è solo cumulativo perché ogni nuova integrazione obbliga il soggetto a ripensare il vecchio sistema di rappresentazioni in modo tale che gli elementi nuovi siano in coerenza con i vecchi. Il punto di vista parziale è superato veramente solo quando è inserito in una sintesi nuova. La semplice sostituzione non è mai progresso perché è incapace di mettere in prospettiva il passato capendone la verità  (Merieu, 1987).

Ma una volta proposta l’attività secondo questi criteri, quale modalità consente una verifica delle acquisizioni in termini di concetti e competenze? La risposta più immediata è sicuramente quella che attribuisce un ruolo privilegiato al linguaggio, ma nella Scuola dell’Infanzia l’uso di questo strumento come modo privilegiato (se non esclusivo) di verifica del processo di concettualizzazione pone alcuni problemi. Non si tratta di mettere in discussione il ruolo fondamentale che il linguaggio svolge per lo sviluppo cognitivo: gli studi di Piaget e Vygotskji hanno sottolineato, seppure con l’attribuzione di valenze diverse, il ruolo del linguaggio nella strutturazione del pensiero. “Nel momento in cui la capacità di comunicare verbalmente diviene patrimonio sociale, interagisce strettamente sulle strutture cognitive del parlante: attività conoscitiva e capacità linguistica, attivando le stesse operazioni mentali, concorrono al loro reciproco potenziamento” (Guerriero, 1987). Si tratta semmai di rivedere alcune posizioni consolidate nella pratica didattica per prendere in considerazione e verificare la valenza educativa di ipotesi complementari o alternative. Nel periodo compreso fra i tre e i sei anni il linguaggio si va ancora strutturando dal punto di vista fonologico, sintattico, semantico: molti bambini presentano difficoltà nel riconoscere e pronunciare fonemi, nello strutturare correttamente anche frasi minime, nell’attribuire un significato condiviso a parole dai connotati fortemente individuali.  I bambini, inoltre, conoscono ed usano, già all’ingresso della Scuola dell’Infanzia, un gran numero di parole, ma tale conoscenza è legata prevalentemente ad aspetti percettivi la cui rilevanza cambia a seconda dei contesti e delle situazioni in cui l’oggetto nominato viene esperito. Se dunque non ci possiamo completamente fidare delle parole dei bambini dobbiamo cercare metodi di indagine alternativi. Basarsi solo sul linguaggio orale significherebbe infatti valutare positivamente solo i risultati conseguiti da quegli alunni che per una maggiore maturità o per situazioni ambientali particolarmente stimolanti e vantaggiose riescono già a questa età a produrre verbalizzazioni significative anche dal punto di vista che a noi interessa. Ma in tutto questo l’intervento della scuola è praticamente inesistente.

Un’ipotesi che possiamo formulare è quella che si riallaccia al percorso indicato da Bruner nel processo di concettualizzazione. Pensiamo che i sistemi di rappresentazione attivo, iconico e simbolico non indichino solo le tappe evolutive di un processo, ma caratterizzino le modalità attraverso le quali ciascun individuo apprende anche oltre l’età tradizionalmente legata a ciascuna di queste fasi. Ognuno di noi rimane in qualche modo legato per tutta la vita in maniera privilegiata ad uno di questi sistemi di rappresentazione della realtà anche se fattori ambientali, culturali, di maturazione ci permettono di utilizzarli tutti e tre in maniera complementare. Il linguaggio poi assume un ruolo di primo piano dal momento che le richieste sociali ci orientano in questa direzione: tuttavia per specifiche attività o in particolari momenti ognuno di noi ricorre molto più frequentemente di quanto si possa credere agli altri due sistemi di rappresentazione. Se questo può valere per gli adulti, non è difficile immaginare quanto valga per individui così piccoli. Forse allora sarebbe il caso di utilizzare le produzioni dei bambini partendo dalla considerazione del fatto che il pensiero può manifestarsi attraverso le parole e le frasi, ma anche attraverso le azioni o le rappresentazioni grafiche. Il processo di astrazione è già molto complesso di per sé; se obblighiamo in qualche modo i nostri alunni a perseguirlo utilizzando come unico strumento il linguaggio (di per sé altrettanto complesso) non siamo in grado di potenziare, e forse in qualche caso siamo di ostacolo, al suo pieno sviluppo. Con uno slogan potremmo far riferimento ad un pensiero che parla, agisce e rappresenta. L’importante è che ciascuna di queste attività sia finalizzata alla concettualizzazione di ciò di cui si sta facendo esperienza. In questo senso crediamo sia importante rivalutare il ruolo cognitivo (espressione cioè di un processo di conoscenza) di attività di manipolazione, costruzione, rappresentazione grafica attraverso l'utilizzo di molteplici tecniche grafico-pittoriche per dar modo a ciascuno di utilizzare l’approccio che gli è più congeniale in quel momento o che egli utilizza con maggior  facilità. L’utilizzo di tali strategie non pensiamo sia di ostacolo ad uno sviluppo delle capacità di astrazione e simbolizzazione, ma riteniamo possa essere utile anche per avvicinarsi ad un utilizzo più consapevole e qualificato del linguaggio. Molto spesso infatti capita di osservare bambini bloccati di fronte a richieste di descrizione/racconto di oggetti/esperienze. Raramente succede invece che anche i più piccoli si rifiutino di parlare mentre stanno lavorando o di disegnare ciò che hanno visto se questo è abbastanza coinvolgente da interessarli. Si tratta a questo punto di verificare la validità dell’ipotesi con il lavoro in sezione.

 

                                                    I percorsi

 

  Si è messa a punto una metodologia articolata in sei fasi di lavoro strutturate nel modo presentato di seguito.

 

Fase 1): Contatto diretto con l’oggetto dell’osservazione: questo sarà portato e tenuto in sezione quanto più possibile vicino ai bambini per un tempo sufficiente a far sì che tutti possano avere la possibilità (e/o sviluppare la capacità) di osservarlo in situazioni non formalizzate (non meno di due settimane). I bambini saranno invitati (ma non ce ne sarà bisogno) a manipolarlo quanto più possibile liberamente, a pasticciare, a costruire, distruggere, ecc…In questo modo, anche i più restii ad entrare in contatto diretto con il materiale saranno stimolati dal comportamento più disinvolto degli altri e potranno così superare timori e insicurezze. Inoltre, nello svolgimento di queste azioni, avranno la possibilità di osservare da vicino e attraverso una modalità fortemente motivante aspetti che altrimenti potrebbero passare inosservati.

 

Fase 2): Osservazione dell’oggetto: superato il primo momento in cui il materiale introdotto è oggetto di un forte investimento emotivo, si passa all'osservazione delle caratteristiche distintive. Durante questa fase è possibile raccogliere materiale e iniziare prime forme di documentazione attraverso fotografie, diapositive, registrazioni audio e video. E’ a partire da questo momento che l’insegnante riprende le osservazioni dei bambini, li stimola proponendo domande, ricerca il materiale più funzionale all’attività.

 

Fase 3): Le caratteristiche emerse dalle conversazioni informali vengono ora elaborate individualmente. Occorre fare esperimenti, osservare cose e fenomeni, ma ciò che è significativo non sono le esperienze e le osservazioni, ma la traduzione in linguaggio di ciò che si sperimenta e/o si osserva. E’ importante che in questa fase ciascuno sia chiamato a rispondere individualmente. In questo modo ogni bambino ha la possibilità di riflettere e misurare le proprie conoscenze e abilità in relazione all’oggetto che si va osservando. Ma perché tale opportunità sia concretamente realizzabile è necessario mettere a disposizione degli alunni una gamma il più possibile ampia di linguaggi attraverso i quali possano esprimersi.

 

Fase 4): Le caratteristiche emerse dalle produzioni individuali vengono sistemate in elaborati collettivi. Il lavoro di gruppo può rappresentare, in questa fase un valido strumento di apprendimento: il confronto tra punti di vista diversi impedisce anche ai singoli di fissarsi su un'unica immagine o rappresentazione. Il gruppo svolge così una funzione di regolazione intellettuale: escludendo gli approcci troppo selettivi e soggettivi, permette di equilibrare punti di vista divergenti; è proprio nell'interazione con un oggetto (o un fenomeno) che gli alunni sono in grado di utilizzare, in maniera costruttiva, gli apporti degli altri.

 

Fase 5): Durante le discussioni di gruppo, vengono ripresi gli elaborati individuali alla ricerca del maggior numero di tratti capaci di definire l’oggetto dell’osservazione. In questo contesto è utile approfondire due aspetti: uno linguistico volto a sviluppare nei bambini la capacità di definire caratteristiche della realtà utilizzando termini quanto più possibile appropriati; uno grafico volto a sviluppare nei bambini la capacità di costruire e utilizzare simboli nelle loro rappresentazioni grafiche.

 

Fase 6): Le verifiche si concentreranno su due aspetti. Da un lato sarà verificata l’acquisizione di concetti e competenze attraverso l’utilizzo di schede individuali, rappresentazioni grafiche, attività di costruzione, conversazioni guidate e registrate, interviste. Dall’altro verranno verificate le modifiche comportamentali attraverso l'osservazione sistematica dei comportamenti e degli atteggiamenti iniziali/finali rispetto a materiali e strumenti e delle produzioni linguistiche spontanee in situazioni non legate all’attività.

     

 

 

 

                                    Bibliografia

 

  1. G. Cerini, Cinque punti frti degli Orientamenti ’91, in G. Zumino, I nuovi Orientamenti oltre il Duemila, Valore Scuola, Roma, 1999.
  2. P. Boscolo, Psicologia dell’apprendimento scolastico, Utet, Torino, 1997.
  3. A. R. Guerriero, L’educazione linguistica e i linguaggi delle scienze, La Nuova Italia, Firenze, 1987.
  4. K. Popper, Congetture e confutazioni, Il Mulino, Bologna, 1969.
  5. P. Merieu, Lavoro di gruppo e apprendimenti individuali, La Nuova Italia, Firenze, 1987.
  6. D. Hawkins, Imparare a vedere, Loescher, Torino, 1986.

 


 

[1] Costituisce il capitolo introduttivo del libro: P. Conti, C. Fiorentini, G. Zunino, Conoscere il mondo, Esplorare e scoprire le cose, il tempo e la natura, edizioni Junior, 2005. 

 


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