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Riforma Moratti e autonomia scolastica (*) di Luciano Corradini
Una buona notizia: né ridere né piangere, ma capire e cogliere le opportunità Questa la decisione fondamentale votata dalla Camera il 18 febbraio scorso, con 238 voti a favore, 6 contro e 4 astenuti. L’opposizione non ha partecipato al voto. L’approvazione di questo disegno di legge delega al Governo, che per diventare definitiva ha bisogno di un breve passaggio tecnico al Senato, è senz’altro una buona notizia per chi sperimenta da anni le conseguenze negative della precarietà istituzionale e dell’incertezza. Se si guarda agli ultimi 50 anni e ai prossimi 50, questa legge può assumere il carattere di una svolta, perché può rimettere in moto il processo riformatore, salvando alcuni profili importanti della scuola attuale, innovando altri profili e aprendo nuove possibilità, ancora allo stato larvale, per la formazione professionale. Si rende in tal modo possibile il passaggio dall’attenzione un poco ossessiva all’ingegneria istituzionale, che la scuola ha vissuto da quando Luigi Berlinguer presentò il disegno di legge sul "riordino dei cicli scolastici" (14.1.1997), all’organizzazione concreta dei curricoli, alla didattica e all’educazione: fase, questa, che si è già in parte vissuta, ma senza esito, col ministro Tullio De Mauro e con la sua maxicommissione. Si ricorda questa vicenda, nella speranza che qualcosa di analogo si faccia anche in questa legislatura, e questa volta con esito positivo, anche col contributo delle associazioni professionali dei docenti. Visto da vicino, il provvedimento, votato dalla sola maggioranza, che per di più condiziona il varo dei previsti decreti delegati alla contestuale approvazione di leggi di spesa, lasciando nell’incertezza i tempi della copertura, non è entusiasmante: esso appare coerente con la bassa marea di tipo ideale, psicologico, politico, finanziario di un paese che non sembra capace di vivere all’altezza delle sue aspirazioni. Il coraggio di decidere, da parte del ministro Letizia Moratti e della maggioranza parlamentare, è stato pagato col prezzo elevato della "blindatura" del testo: il che ha praticamente vanificato non solo la possibilità di una collaborazione fra le parti per il superiore bene comune della scuola, ma anche il senso delle "audizioni" con cui le associazioni professionali, fra cui l’UCIIM, avevano espresso preoccupazioni, segnalato problemi, indicato possibili soluzioni alternative. E’ vero che entro la maggioranza c’è stata una sorta di patto, per la trasformazione di taluni emendamenti in ordini del giorno, che il Ministro s’è impegnato a rispettare. Ciò non toglie però l’amarezza per le angustie politiche e istituzionali attraverso cui è dovuta passare una riforma a cui si sta lavorando in diverse sedi da almeno quarant’anni. L’elenco dei limiti di questo provvedimento è abbastanza lungo e non ci consente di esultare, come fece Nosengo quando fu approvata la legge istitutiva della scuola media (1962) o come facemmo quando si approvò la legge delega sullo stato giuridico e sulla partecipazione (1973). Tuttavia non diamo per conclusa la partita, che per certi aspetti comincia ora. Alcuni nostri colleghi, capovolgendo l’ottimismo di Pangloss, ritengono di vivere nel peggiore dei mondi possibili, che Berlusconi, Tremonti, Bossi, Moratti siano i quattro cavalieri dell’apocalisse e che la scuola statale sia sul punto di sparire, per lasciar posto ad un supermercato. Non crediamo d’essere a questo punto, anche se temiamo che la cura di drastico "dimagrimento" cui è sottoposta la scuola sia espressione di una sorta di anoressia di lungo periodo, se non si risveglierà una nuova coscienza educativa nel Paese. Noi non pensiamo d’essere i più bravi e i più illuminati esperti di civismo e di politica scolastica, ma è certo che la nostra moderazione riformistica d’ispirazione personalistica e comunitaria ci avrebbe suggerito di non entrare in campo "a gamba tesa", come si è fatto e si continua a fare da parte di personaggi autorevoli di questa come anche della passata legislatura. Alieni, manzonianamente, da "servo encomio e da codardo oltraggio", pensiamo, spinozianamente, ma senza determinismo metafisico, che di fronte a quello che è successo non c’è da ridere né da piangere, né da detestare, né da esultare, ma da capire. E soprattutto da lavorare, in tutte le sedi, distinguendo i limiti reali da quelli immaginari e cercando di utilizzare al meglio il poco vento che ancora spira, per prendere il largo con la nave della scuola e della formazione, nel mare del nuovo secolo e della nuova Europa. Mentre questa nave è sballottata dai venti della legge costituzionale 3/2001 dell’Ulivo e della annunciata legge Bossi sulla devolution, un punto fermo resta sicuramente l’autonomia, che è stata elevata a rango costituzionale. Sappiamo che questo non basta, che i nobili possono anche morire di fame. Nel dibattito parlamentare si è protestato per la sua pallida presenza nella legge Moratti. Rendere meno precaria e più solida l’autonomia Prendiamo intanto atto di quanto dicono, in questa legge, il primo comma, citato sopra, e il terzo comma dell’art. 1, il quale recita: "Per la realizzazione delle finalità della presente legge, il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca predispone, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge medesima, un piano programmatico di interventi finanziari, da sottoporre all'approvazione del Consiglio dei ministri, previa intesa con la Conferenza unificata di cui al citato decreto legislativo n. 281 del 1997, a sostegno: a) della riforma degli ordinamenti e degli interventi connessi con la loro attuazione e con lo sviluppo e la valorizzazione dell'autonomia delle istituzioni scolastiche. Si è già visto che il problema finanziario non è ancora stato risolto in modo chiaro da questa legge. Vedremo fra tre mesi che cosa il Governo saprà fare. Quanto si è già fatto nella finanziaria, letto alla luce del nostro debito pubblico, che è ancora intorno al 110% del PIL, e del "patto di stabilità" europeo, che non ci consente mirabolanti flessibilità, non ci lascia tranquilli. Un’autonomia senza professionisti motivati e preparati e senza risorse economiche per attuare iniziative di "arricchimento dell’offerta formativa", come prevede il dpr 275/1999, assomiglia alle nozze con i fichi secchi. Ci chiediamo: i sacrifici previsti sono proprio tutti necessari o sono dovuti alla disattenzione verso quel valore fondante della società futura che è costituito dal "sistema educativo di istruzione e di formazione"? Se ci convincono, maggioranza e opposizione in un serrato confronto, che finora non c’è stato, che questi sacrifici sono necessari, possiamo anche ricordare che gli antichi romani, mangiando fichi secchi e noci, che pure sembravano disprezzare nei loro proverbi, hanno fatto l’Europa di allora. Se di austerità si deve parlare, se ne parli sul serio, per tutti, a cominciare da chi ha il potere e il dovere di decidere per il bene comune, perché si possa insieme combattere i mali comuni. Se no l’autonomia assomiglia alla concessione di un titolo nobiliare senza feudo: una sorta di "todos caballeros" di un sovrano distratto che fra i nuovi privilegiati non fa crescere né la dignità, né la fedeltà, né la solidarietà. L’UCIIM ha creduto nell’autonomia scolastica e in qualche modo ha aiutato i suoi soci ad esercitarla ancor prima che le leggi la riconoscessero, a dosi crescenti: per questo non si rassegna a lasciare impallidire e squalificare questa grande opportunità. In questa grande trasformazione della scuola sono presenti logiche e aspettative contraddittorie. E’ indubbio che certe operazioni relative agli ordinamenti si pilotano meglio dall’alto e che molti preferirebbero avere i nodi sciolti dal centro piuttosto che discutere ogni innovazione, piccola o grande, in condizioni di relativa incertezza, di faticosa discussione fra colleghi e fra diverse componenti, e di scarsità di risorse. E’ però altrettanto vero che la soma si aggiusta secondo le proprie forze e secondo la natura della strada che si percorre, più che con decisioni uniformi e inappellabili La frase che Maria Montessori mette in bocca al bambino: «aiutami a fare da me», interpreta bene lo spirito delle richieste che le scuole autonome, consapevoli dei loro compiti e dei loro limiti, rivolgono ai diversi soggetti chiamati a coordinare e facilitare i processi di autonomia amministrativa, didattica, finanziaria, di ricerca e sviluppo. Si tratta di non attendersi tutto dal Ministero, né tutto dalle regioni, dalle province e dai comuni, ma di non pretendere di fare tutto da sé. Le sindromi dell’abbandono, dell’autosufficienza e del risentimento sono tra i nemici più temibili di un’autonomia che aspiri ad essere corresponsabile del processo rimesso in moto dalla legge delega e dai prossimi decreti.
(*) prossimamente sulla rivista "La scuola e l'uomo" |
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