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La scuola media tra cicli e gradi Montesilvano (Pescara), 21.XI.2004
Il convegno nazionale dell’UCIIM sul tema La scuola media tra cicli e gradi, tenutosi a Montesilvano (Pescara), in collaborazione con l’IRRE Abruzzo, dal 18 al 21 novembre, ha condotto un’approfondita analisi scientifica e una meditata riflessione propositiva sulle tematiche più urgenti e controverse dell’innovazione scolastica in corso, in riferimento alla legge Moratti 53/2003, al d. leg. 59/2004 e alla circolare 29/2004.
Il lavoro è stato condotto sulla base degli interventi introduttivi di Luciano Corradini, presidente dell’UCIIM e di Gaetano Bonetta, presidente dell’IRRE, Antonio Mascioli presidente regionale UCIIM, delle relazioni di Emilio Butturini, Elio Damiano, Piero Cattaneo, Carlo Petracca, Maria Teresa Moscato, Ezio Sciarra, Giuseppe Desideri, Giuseppe Richiedei e degli interventi, in assemblea e nell’ambito di quattro gruppi di lavoro, di centinaia di docenti e dirigenti rappresentativi di quasi tutte le regioni italiane.
La scuola media unica, secondaria, orientativa, nata istituzionalmente nel biennio 1962/1963, è stata conquistata attraverso una lunga battaglia culturale e politica, condotta soprattutto da parte dell’UCIIM, in particolare dal suo presidente e fondatore Gesualdo Nosengo, che vide in essa la prima consistente attuazione del dettato costituzionale del 1948 e che affrontò perciò anche dolorose lacerazioni interne.
I quarant’anni trascorsi, la mancata riforma della secondaria superiore e della formazione professionale e i cambiamenti intervenuti a livello sociale, costituzionale e normativo, hanno reso necessario un ripensamento unitario di tutto il sistema scolastico.
Col riordino dei cicli proposti dal ministro Berlinguer e dalla maggioranza dell’Ulivo con la legge 30, furono però compromesse l’identità e la funzione della scuola media, nell’ambito di un primo ciclo di soli sette anni. La nuova maggioranza che sostiene il ministro Moratti ha ricuperato il triennio della scuola media, collegandola più saldamente al primo ciclo, pur conservandone la secondarietà, come primo dei due gradi in cui questa si articola.
L’UCIIM ha apprezzato questa scelta, così come le intenzioni dichiarate della riforma, che trovano corrispondenza in alcuni principi costituzionali e in valori radicati nella coscienza collettiva, ma non ha condiviso il metodo e il merito di tutte le innovazioni che ne accompagnano la rinascita istituzionale.
L’elaborazione tutta interna al Ministero delle norme e delle Indicazioni nazionali, contrariamente alla prassi consolidata della collaborazione fra Ministero e mondo della scuola e dell’università, attraverso commissioni rappresentative di diverse competenze disciplinari e posizioni culturali, ha dato luogo non solo a sviste, ma anche a scelte discutibili e talora discusse e rifiutate dal mondo della scuola, che ha visto, talora fondatamente, talora pregiudizialmente, compromessa quell’autonomia che pure la costituzione riconosce alle scuole, e quella libertà professionale e quella possibilità di fornire ai ragazzi un’offerta formativa di qualità, che pure alcune norme prevedono.
Al di là delle inevitabili incertezze di carattere teorico, relative ai modelli culturali e didattici utilizzati nel delineare gli ordinamenti e le Indicazioni nazionali, il rischio è che i docenti restino in una condizione di estraneità e d’indifferenza nei riguardi di un rilevante processo riformatore, che pure costituisce per la scuola un’opportunità di carattere storico.
Sarebbe triste se il Ministero non riuscisse ad esercitare pienamente quel ruolo di autorevolezza e di terzietà, di promozione e di servizio che gli compete, nel complesso della governance delle autonomie, e venisse percepito come una sorta di giudice burocratico che stabilisce attraverso i binennali sondaggi dell’INVALSI quali sono le cose che veramente contano nella scuola, al di là delle nobili e condivisibili affermazioni di principio, presenti nei profili e in parte delle Indicazioni nazionali.
Sarebbe anche triste se il MIUR si manifestasse rigido in questioni che non hanno ancora trovato un assestamento sul piano culturale e sul piano contrattuale, come nel caso del tutor e del portfolio, e fosse invece troppo incerto e flessibile, là dove si attendono certezze e rigore, come sul piano della certificazione della valutazione. Cadrebbe allora la sua credibilità, perchè prevarrebbero conformismo, sfiducia, timore, al posto della libertà didattica, dello spirito di collaborazione e del coraggio.
Temendo questi esiti, i docenti dell’UCIIM presenti al Convegno nazionale hanno approfondito le questioni più delicate del processo in corso, con spirito insieme critico e costruttivo, per consentire di superare incertezze e ambiguità e per stabilire un nesso fra la conquista storica della scuola media e le norme recenti.
E’ con questo spirito di lealtà verso le istituzioni che l’UCIIM ha cercato di farsi ascoltare, senza molto successo, nel corso di questa legislatura, in sede ministeriale e in sede parlamentare. Avrebbe infatti desiderato operare in un contesto più ricco di posizioni e di competenze, per poter elaborare dialogicamente il proprio contributo.
Questo atteggiamento si è assunto anche in incontri fra le associazioni e i sindacati, a proposito di stato giuridico dei docenti, e nel recente incontro nazionale promosso dalle associazioni disciplinariste. Non è però agevole invitare i colleghi a discutere e a fare proposte costruttive, quando si dà l’impressione che tutto proceda anche senza e perfino contro il parere dei soggetti interessati.
Così si è notato che il forum delle associazioni professionali di docenti, che il Ministero ha istituito con saggia decisione, ma forse un po’ tardi rispetto ai processi che sono in corso, non procede con scioltezza e con l’auspicabile disponibilità condivisa a trovare punti di convergenza su singoli problemi.
Se il significato politico tende a prevalere sul merito tecnico e professionale dei problemi, inevitabilmente s’indebolisce lo sforzo di collaborazione. L’UCIIM ritiene suo dovere procedere nella linea della deontologia professionale e dell’assunzione personale e comunitaria delle proprie responsabilità, pur non ignorando le responsabilità di scelte che finiscono per penalizzare la scuola, soprattutto con la scarsità delle risorse rese disponibili per l’attuazione delle riforme.
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