Standard come `regolatori` dei
processi di formazione
Intervista al professor Franco
Cambi dell`Università di Firenze
Dare una definizione univoca del termine "competenza" non è semplice: è
in corso un dibattito che vede coinvolti gli esperti dell’educazione e
delle politiche della formazione e del lavoro. Il concetto di competenza
sta infatti diventando il fondamento sul quale sviluppare la formazione
dei soggetti dal punto di vista delle conoscenze disciplinari
(Matematica, Italiano, Inglese, Storia, Informatica, etc.) come delle
pratiche professionali.
In sintesi possiamo dire che le competenze rappresentano l’insieme dei
saperi e delle abilità che una persona possiede o che deve acquisire,
attraverso un percorso formativo o di aggiornamento professionale, in
relazione a degli standard minimi. Questi ultimi per quanto concerne
l`ambito lavorativo sono definiti attraverso
criteri nazionali, i quali stabiliscono la struttura generale dei
saperi e delle abilità richieste e da
parametri regionali, che hanno invece il compito di completare il
profilo rispetto alle specificità socio-economiche del territorio
locale. Per quanto concerne il contesto scolastico gli standard minimi
sono definiti attraverso
curricoli scolastici, i quali a loro volta sono struttati secondo la
logica "nazionale-locale".
Per fornire alcuni chiarimenti in proposito abbiamo intervistato Franco
Cambi, uno dei più conosciuti pedagogisti contemporanei, professore
ordinario di Pedagogia Generale presso la Facoltà di Scienze della
Formazione dell`Università di Firenze.
Nell`ambito della formazione che cosa sono gli standard e per cosa si
caratterizzano?
Lo standard è uno strumento di controllo e di verifica necessario per
equiparare i processi di formazione. Pertanto gli standard sono da
definire con precisione, fissandone bene anche le funzioni. La
definizione spetta a un`istituzione e/o a un istituto di ricerca,
proprio perché essi servono da "regolatori". I vari standard vanno
fissati nelle diverse discipline e nei vari ordini e gradi di scuola
attraverso un lavoro che tenga conto dell’età evolutiva (o, meglio,
degli stadi di sviluppo mentale), delle strutture delle discipline
(ovvero dei concetti formali e delle conoscenze di base, poi via via
rese più complesse, integrate tra loro etc. in modo da rendere posseduto
un sapere nella sua specificità e articolazione), dell’organizzazione
della didattica che deve svilupparsi in modo "costruttivo", così da fare
possedere in modo flessibile, applicativo, etc. le nozioni apprese e da
trasformarle in competenze appunto: ovvero in conoscenze trasferibili e
in capacità di dominarle in contesti diversi.
Per definire gli standard è necessario che operino i vari enti di
ricerca educativa nazionale: l’ INVALSI e l’INDIRE e in particolare il
primo, a cui è delegato specificatamente questo compito. Un impegno
conplesso, da svolgere non in modo generico e astratto, ma tenendo conto
della scuola di fatto" e di quella "di diritto", in modo da fissare
standard significativi per l’operare scolastico concreto al fine di
favorirne lo sviluppo.
Come saranno recepiti gli standard dal mondo della formazione?
Bene, se gestiti come punti di arrivo e non modelli e obiettivi
esaustivi. Punti di arrivo significa itinerari, significa traguardi,
significa obiettivi in costante evoluzione. Tali standard indicano
percorsi e traguardi insieme: sono punti ad quem, ma sono (e devono
essere) anche processi per … ; hanno il doppio statuto di tappe e di
compiti, ma proprio per questo innervano bene l’insegnamento. È
necessario per questo, che siano indicati come obiettivi: come
regolatori del processo e non solo come modelli di verifica o
contenuti-base delle discipline. Per definirsi in modo così flessibile,
critico, aperto gli standard devono essere collocati, e continuamente,
nell’iter didattico e formativo e mai separati da questo. Per evitare
l’astrazione e la rigidità degli standard, che li fanno diventare solo
dei regolatori formali o degli indicatori dogmatici.
Qual è il valore pedagogico degli standard, nella scuola italiana e
in quella europea?
In Italia rischiano di essere assunti come obiettivi unici. Il che è un
travisamento della funzione degli standard che deve essere "regolatore",
come già detto. Lo standard come regolatore si "accorpa" a tutto il
lavoro scolastico: deve essere in esso ricalibrato e "fecondato";
altrimenti è solo un indicatore astratto che rischia, piuttosto di
vincolarlo e di omogeneizzarlo, togliendogli la funzione specifica che
deve avere: indicare un punto di arrivo minimo e imprescindibile, non
essere l’insieme delle "cose" da insegnare. Pertanto ogni standard va
ripensato nel curricolo. Se no si fa, surrettiziamente, un "programma".
E la scuola dei programmi ce la siamo lasciata alle spalle, con la legge
dell’autonomia.
In quale rapporto gli standard si pongono rispetto al curricolo
scolastico?
In posizione dialettica: in quanto devono essere dei traguardi ma non
unici, infatti, i percorsi formativi in futuro saranno sempre più aperti
e al tempo stesso mirati. Quindi articolati e complessi. Gli standard
devono essere compresi nel curricolo, devono porsi come "punti di
crescita omogenei", ma non possono né debbono riassorbire tutto il
lavoro scolastico. Allora tra standard e curricolo c’è tensione e
integrazione insieme. E tali dispositivi devono essere attivi sulla
mente/coscienza e nella professionalità degli insegnanti, rendendoli
consapevoli della complessità del loro ruolo didattico. Su questi
aspetti articolati dei saperi scolastici e sul loro realizzarsi tra
conoscenze, competenze e riflessività rinvio al mio testo uscito nel
2004 presso Laterza: Saperi e competenze.
Quali sono le differenze di base tra standard e competenze?
Le competenze stanno negli standard, ma anche li superano poiché
reclamano ri-contestualizzazioni nuove delle tecniche acquisite.
Il rapporto è, anche qui dialettico. Gli standard sono "saperi minimi"
che, sì, richiedono conoscenze, competenze e riflessività, ma si
delineano secondo tracciati uniformi che sono meglio definibili per le
conoscenze. Le competenze, infatti, reclamano trasferibilità e
metaconoscenza, linearizzabili sì, ma attive soprattutto nei contesti,
nell’affrontare il nuovo, nel lavorare interpretando. Pertanto esse sono
meno standardizzabili, se non in senso assai generale e generico,
indicando stili di pensiero, atteggiamenti mentali, etc., di non facile
verificabilità (anche se possibile, almeno in parte).
Quali sono i vantaggi e gli svantaggi relativi all`introduzione nel
mondo della scuola e della formazione degli standard e delle competenze?
I vantaggi sono chiari: creano uniformità e verificabilità. Gli
svantaggi ci sono se gli standard equivalgono a tutto il lavoro
scolastico reintroducendo così la logica dei programmi rispetto a quella
del curricolo. La scuola attuale ha bisogno di fissare il proprio lavoro
su molti fronti: di stare dalla parte del curricolo e degli standard, di
articolare il proprio operare didattico secondo conoscenze, competenze e
riflessività, di lavorare tenendo ferma la verifica (la sua funzione
fondamentale) ma anche la progettazione (ancor più essenziale). Così,
però, la professionalità docente cambia radicalmente. Ed è questo che va
ripensato, rispetto al rischio di un ritorno (sia pure in modo non
esplicito) alla "scuola dei programmi". Quella scuola è inattuale,
archiviata dallo statuto dei saperi contemporanei, dallo sviluppo della
didattica, dalla stessa elaborazione pedagogica, ed è irresuscitabile
anche se la "scuola del curricolo" è ancora da costruire da organizzare
in sé e da "collocare" nella coscienza degli insegnanti.
A cura di Michela Salcioli, redazione webzine
[m.salcioli@indire.it]
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