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SUPPORTI TERRITORIALI ALL’AUTONOMIA SCOLASTICA, CENTRI SERVIZI E RETI DI SCUOLE: L’ESPERIENZA PISANA E LE POSSIBILI GENERALIZZAZIONI (Rino Picchi) Le principali tappe del laboratorio pisano sull’autonomia. Correva l’anno 1993 quando fu varata la legge regionale n° 41 che modificava la vecchia legge regionale n°53 del 1981, relativa al diritto allo studio, che rappresenta un punto di svolta fondamentale per il nostro territorio. La scuola vedeva nell’Ente locale il gestore e il manutentore delle strutture edilizie e il pagatore a piè di lista di alcuni consumi (ed è ancora così in tutta Italia). Per sua natura il rapporto era perciò conflittuale tra le scuole, che chiedevano edifici e servizi migliori, e i Comuni che non sempre erano in grado di garantirli. La legge citata, stabiliva tra le altre cose, che una parte di finanziamenti relativi al diritto allo studio dovevano essere “indirizzati al sostegno e alla qualificazione dell’attività educativa e didattica della scuola, sia mediante interventi volti a prevenire situazioni di insuccesso, di dispersione o di esclusione, sia attraverso l’aggiornamento dei metodi e delle strumentazioni didattiche, sia per mezzo di esperienze di ricerca e di sperimentazione”. Ciò doveva avvenire attraverso “Progetti integrati di area”. Le Aree erano suddivisioni dei territori provinciali che raggruppavano più comuni di zone omogenee dal punto di vista territoriale e socio-economico. Ogni Area aveva una equipe che promuoveva e validava progetti attraverso il concorso e la partecipazione attiva di scuole e Comuni, con la Provincia che fungeva da soggetto di coordinamento e di controllo del rispetto degli indirizzi regionali. Tutto ciò ha rappresentato una palestra fondamentale di costruzione di rapporti di collaborazione tra scuole ed EE.LL., finalizzati alla raccolta di risorse destinate alla soluzione dei principali problemi scolastici della zona. Non più soggetti contrapposti ma uniti per capire le criticità del sistema scolastico locale e per progettare insieme possibili soluzioni. Parallelamente nasceva un’esigenza comune ai due soggetti: come si individuano le criticità del sistema scolastico? La domanda era indotta anche dai nuovi compiti assegnati alla scuola in un paese che ambiva ad essere tra le maggiori potenze economiche del mondo. Ad essa la comunità chiedeva di aumentare il livello medio di istruzione delle nuove generazioni, portandole a raggiungere quanto meno il diploma. Si sapeva bene che in mancanza di una chiara individuazione delle cause dell’insuccesso scolastico e dell’abbandono, il rischio di questa richiesta era una risposta della scuola che consentiva di ottenere un elevamento dei livelli di istruzione abbassando il livello della qualità del servizio scolastico. Nacquero così all’inizio degli anni ’90 le prime strutture di monitoraggio del sistema scolastico che in Toscana sorsero dal contributo congiunto di scuola e EE.LL. Pisa in questo caso fu tra le prime a creare l’Osservatorio scolastico provinciale (OSP) grazie alla volontà della Provincia e alla collaborazione di alcune scuole. Nella seconda metà degli anni ’90 fu dato inizio ad un processo di riforme strutturali che ancora oggi non si è concluso. La prima e più importante fu quella dell’autonomia scolastica, ormai consolidata dall’esser passata indenne da due legislature. Essa fu in realtà il risultato di un processo iniziato con l’art. 21 della legge 59 del marzo 1997 che stabilisce l’autonomia scolastica e delega il governo ad emanare i decreti attuativi. Ciò avvenne nel giugno 1998 col decreto sul dimensionamento (DPR 233) e nel marzo 1999 col regolamento dell’autonomia (DPR 275). L’operazione del dimensionamento appariva la più difficile da realizzare per la pesante riorganizzazione delle istituzioni scolastiche che comportava in quasi tutto il territorio nazionale per ottenere istituzioni scolastiche che rientrassero nei parametri dimensionali (tra 500 e 900 alunni). L’aver da alcuni anni realizzato una struttura come l’OSP, che forniva supporti alle decisioni a scuole ed EE.LL. e indicava le criticità del sistema scolastico locale, consentì di affidare a questo organismo la costruzione di una o più ipotesi di riorganizzazione che fossero tecnicamente valide e priva di condizionamenti politico-personalistici. Tale studio fu commissionato all’OSP subito dopo la pubblicazione della L. 59, quindi assai prima che uscisse il DPR 233, e i risultati furono presentati nell’ottobre 1997. Esso prevedeva un pesante taglio delle istituzioni (21 delle 75 esistenti all’epoca). L’inattaccabilità tecnica della soluzione che puntava a riorganizzare il sistema scolastico locale in modo da renderlo stabile nel tempo, ebbe la possibilità di essere discussa approfonditamente da tutti gli organismi scolastici e dai comuni ancor prima dell’uscita del DPR 233. Ciò consentì di trovare il consenso di tutti e fu così approvata nella conferenza scolastica provinciale senza alcun voto contrario. Il dibattito intorno all’autonomia scolastica, legato anche al trasferimento di competenze, sia dal centro alla periferia, sia dalla filiera della scuola a quella degli EE.LL. (si pensi al DPR 112), ruotava intorno a due tipi di dubbio: · riusciranno le scuole, abituate da sempre ad un centralismo ministeriale che le rendeva esecutrici di circolari e direttive che arrivavano dall’alto, a sfruttare gli spazi concessi dall’autonomia per migliorare i servizi e la didattica oppure ci sarà una selezione darwiniana con effetti disastrosi su una generazione di studenti? · come si assesteranno i rapporti tra scuole ed EE.LL., non attrezzati questi ultimi ad occuparsi di un settore delicato come la programmazione della rete scolastica e le nuove competenze previste dall’art. 139 del DPR 112? Saranno loro i nuovi “padroni” della scuola sostituendosi al MIUR? La situazione creatasi nel nostro territorio, di massima collaborazione tra i Comuni e la Provincia da una parte e le scuole dall’altra, fece nascere l’ipotesi di sperimentare percorsi di collaborazione che già si ipotizzavano nelle bozze di decreti sulla riforma dell’allora MPI e nel regolamento dell’autonomia. Tra la fine del 1998 e i primi mesi del 1999, maturò l’idea di sperimentare organismi di supporto all’autonomia, che nascessero da un’intesa tra tutte le Istituzioni scolastiche, tutti i Comuni, la Provincia di Pisa e il MPI. Furono individuate le principali criticità del sistema scolastico locale ed fu progettata una struttura che doveva raccogliere, relativamente alle criticità individuate, le migliori professionalità disponibili tra il personale della scuola della nostra provincia, organizzandole in una struttura articolata sul territorio. Il 23 aprile 1999, dopo un lavoro di alcuni mesi nei quali il progetto fu meglio articolato e dopo esser passato all’approvazione di tutte le scuole e di tutti i Comuni, fu firmato il protocollo d’intesa che destinava le risorse umane e finanziarie alla realizzazione di questa struttura, denominata Centro Servizi. La firma avvenne tra la Provincia di Pisa, cui i Comuni avevano dato delega riconoscendone il ruolo svolto, e il Ministro della Pubblica Istruzione che aveva raccolto l’adesione al progetto di tutte le scuole della provincia. Nei mesi successivi fu chiesto al personale scolastico interessato di fare domanda per entrare a far parte dei Centri Servizio. Per la prima volta furono selezionate le professionalità più adeguate a svolgere tale compito, attraverso forme di colloquio gestito da esperti selezionatori di personale delle aziende. Era un meccanismo mai praticato nella scuola e serviva ad individuare le capacità del personale di rapportarsi con gli altri, di partecipare ai gruppi di lavoro o di dirigerli. L’esperienza ha dimostrato che questo modo di operare era adeguato a garantire un buon livello di prestazioni professionali. Il personale scelto fu oggetto di un corso di formazione iniziale sul significato di struttura di servizio di supporto, sul modo di operare in essa e del come rapportarsi alle scuole. L’abitudine al lavoro nella scuola dove l’organizzazione è gerarchica richiedeva di preparare il personale su questo tema per evitare che il centro servizi si trasformasse in un “Provveditorato agli studi”. L’esperienza dette importanti indicazioni come dimostrano le relazioni periodiche e finali fatte dal Comitato di gestione, e dai rapporti di monitoraggio. Essa ha lasciato notevoli tracce nella nostra realtà provinciale e regionale nonostante questa forma di supporto fosse stata prevista dalla riforma del MPI (DPR 347/2000), ma successivamente cancellata dalla riforma che riorganizzava il MIUR (DPR 319/03 ).
I nodi problematici.
Quella esperienza ha portato a riflettere su alcuni temi che ancora oggi sono oggetto di discussione. 1 - La distribuzione delle risorse alla scuola da parte di altri soggetti può avvenire attraverso due modalità: · finanziamenti per progetti; · costruzione di strutture di servizi di supporto, quali delle due è la migliore? La prima modalità di distribuzione si è rivelata adatta quando si voglia valutare quale strategia adottare per aggredire un problema nuovo con strategie diverse, tra le quali non si è in grado di individuare a priori la migliore. Per esempio se si vuole stabilire quali siano i modi di intervento migliori per abbassare l’insuccesso scolastico dei maschi, assai più alto di quello delle femmine, si chiede alle scuole di proporre progetti finalizzati ad aggredire il problema. Sperimentati per un congruo tempo i progetti considerati più convincenti sulla carta e valutati alla fine i risultati, è necessario passare alla fase di generalizzazione delle metodologie rivelatesi migliori. In questa seconda fase è necessario costruire strutture di supporto che aiutino tutte le scuole del territorio a mettere in atto tali strategie. Ancor oggi è diffusa la prassi di fermarsi alla prima fase, degradando la natura eccezionale della progettualità a procedura ordinaria per la distribuzione di risorse. L’effetto risultante di questa prassi è una crescente sperequazione tra scuole del territorio. I progetti danno più risorse alle scuole che ne hanno già di più dal punto di vista professionale e delle capacità progettuali, senza che ciò contribuisca necessariamente a migliorare il problema che si vuole risolvere. I servizi di supporto sono invece per loro natura perequativi perché ad essi si rivolgono maggiormente le scuole che hanno difficoltà a risolvere da sole i problemi. Le risorse (il costo del servizio) sono utilizzate di più dalle scuole deboli che tra i vantaggi avranno anche la crescita delle professionalità interne che consentiranno lo sviluppo di autonome capacità di intervento. 2 – Chi stabilisce quali sono i servizi di supporto da attivare e la loro durata? L’esperienza ha dimostrato che le criticità del sistema scolastico locale debbono essere analizzate da una struttura riconosciuta valida da tutti i soggetti che operano nel sistema. Nel nostro caso è l’Osservatorio a cui si aggiunge il sistema nazionale di valutazione. Le scuole e gli EE.LL. decideranno quali priorità dare in base alle risorse e stabiliranno la durata ragionevole degli interventi su ogni criticità monitorando il sistema per vedere l’efficacia e l’efficienza del servizio. 3 – I Centri di servizio debbono nascere dall’alto, come strutture previste dalla riforma del MIUR, o dal basso come reti di scuole? Come già accennato, la prima riforma del MPI (il DPR 347/2000, art. 6 comma 2) prevedeva la possibilità della creazione di Centri di servizio di supporto alla didattica che a livello provinciale si affiancavano ai Centri di servizio amministrativo, i CSA (gli ex Provveditorati agli studi). Questo era anche il frutto del buon esito dell’esperienza pisana. Nella successiva legislatura, il DPR 319/03 che riformava il MIUR, ha modificato l’articolo in questione prevedendo a livello provinciale la sola presenza dei CSA. La creazione di Centri di supporto alla didattica è oggi possibile solo attraverso la rete di scuole territoriali, come previsto dal art. 7 del DPR 275/99 (regolamento dell’autonomia). Avendo ridotto le risorse finanziarie alle scuole ed avendo soppresso l’organico funzionale anche questa strada appare oggi poco praticabile.
Elenchiamo alcuni punti di forza che si sono rivelati importanti nell’esperienza pisana: 1) la legge regionale che trasferisce competenze sui livelli provinciali, per quanto attiene l’istruzione nei suoi vari aspetti (diritto allo studio, dimensionamento, formazione, apprendistato, ecc.): ha costituito il terreno fertile su cui si è sviluppata la collaborazione interistituzionale tra scuola, EE.LL. ed altri soggetti del territorio che operano nel settore dell’istruzione; 2) la costruzione di aree territoriali (raggruppamenti di comuni) denominate Zone, coincidenti col territorio su cui operano le singole USL, nelle quali le risorse passano attraverso una progettazione integrata tra Comuni e Istituzioni scolastiche, utile ad investire risorse nelle criticità del sistema scolastico locale: sono di fatto il luogo della progettazione integrata degli interventi per il miglioramento del servizio di istruzione; 3) la costruzione di un sistema informativo scolastico regionale che abbia le province come base territoriale di raccolta, controllo ed implementazione delle anagrafi scolastiche (alunni, scuole, offerta formativa, edilizia scolastica, ecc.). Il fine di tale sistema non è la costruzione delle banche dati, ma queste sono il mezzo per la fornitura di servizi di supporto alle decisioni per tutti i soggetti che operano localmente sul sistema scolastico. Tale sistema, che in Toscana si basa sugli OSP normati dalla LR 32/02 e dai Piani di indirizzo regionali, ha come primo compito quello di individuare le criticità del sistema scolastico locale e controllare poi l’efficacia degli interventi messi in atto dai vari soggetti. L’OSP opera in ogni provincia come rete formalizzata tra la Provincia, i Comuni e le Istituzioni scolastiche; 4) le non trascurabili risorse aggiuntive che gli EE.LL. mettono a disposizione delle scuole, oltre quanto dovuto (edilizia scolastica, consumi, logistica), finalizzate a migliorare la qualità del servizio scolastico: nella provincia di Pisa, un’indagine minuziosa fatta nel 2001 ha dimostrato che gli EE.LL. contribuiscono col 20% al costo pubblico di un alunno delle scuole statali; 5) Il ruolo di rappresentante effettivo degli interessi di tutti i Comuni, da parte della Provincia di Pisa, superando differenze politiche e interessi dei vari territori: la mancanza di questo requisito rende spesso in molte situazioni impraticabile la sinergia di interventi, tanto più importante oggi in un momento di calo delle risorse disponibili; 6) Il superamento della logica dei finanziamenti a progetti come metodo generale, per una maggiore diffusione di strutture di supporto alle scuole, condivise con loro e spesso gestite o dirette da personale della scuola, attraverso accordi o convenzioni che rappresentano l’applicazione dell’articolo sette del regolamento dell’autonomia, forse quello più importante ed ancora poco applicato. |
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