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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
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UN NUMERO, UNA STORIA

Paola Falsini

Liceo Scientifico Statale "A. M. Enriquez Agnoletti", Sesto Fiorentino

Gruppo di Ricerca e Sperimentazione Didattica in Educazione Scientifica del CIDI di Firenze

 

La riflessione che vado qui a proporre scaturisce dalla mia esperienza, ormai più che decennale, d'insegnamento della Fisica; voglio subito precisare che il lavoro didattico offre a un insegnante attento, che non etichetti sempre come strafalcioni gli "errori" degli studenti, una miniera praticamente inesauribile di spunti di riflessione e che, come emergerà da quanto segue, l'argomento a cui dedico queste poche pagine è correlato con tematiche anche più vaste inerenti la didattica della Fisica e delle discipline scientifiche in generale.

La mia riflessione prende spunto dalla confusione presente nei nostri studenti nell'uso dei verbi misurare e calcolare, e va poi ad occuparsi  del rapporto con i numeri nell'ambito della Fisica. Parto da alcuni esempi tratti appunto dalla pratica scolastica; e non è neppure necessario che io vada a scartabellare in archivio per trovarli … la confusione cui mi riferisco è così frequente che per avere qualche esempio è bastato sfogliare l'ultimo pacco di compiti da correggere.

In una verifica al termine di un percorso sulla gravitazione universale (terza liceo scientifico P.N.I.) si pone la domanda Perché si dice che Cavendish pesò la Terra? Leggo tra le righe di una delle risposte: "… Con il suo apparecchio Cavendish calcolò la forza tra due sfere più pesanti e due più piccole…" (Antonio). Lo studente avrebbe dovuto essere più preciso e dire che fu misurato un angolo, da cui fu possibile risalire all'intensità di una forza; ma scegliendo di essere sintetico l'espressione corretta sarebbe stata misurò la forza. Ancora nell'ambito della stessa verifica una ragazza scrive che "… Cavendish calcolò di quanto si torceva il filo …" (Alice), laddove, come spiegato sopra, l'angolo di torsione del filo, nella bilancia di torsione usata da Cavendish, è proprio la grandezza da lui direttamente misurata. Ancora un altro esempio, riferito a un contesto diverso; si tratta dell'interazione elettrostatica e l'insegnante vuole far riflettere sul fatto che la definizione di una nuova grandezza fisica, la carica elettrica, implica la definizione di una procedura di confronto, di misura appunto. Per questo pone la domanda Come si misura la massa? con l'intento di sottolineare che sappiamo cos'è la massa perché sappiamo misurarla; la risposta di una studentessa è che la massa si ottiene facendo la forza fratto l'accelerazione. Certamente, la massa inerziale si può ricavare dalla misura dell'accelerazione impressa all'oggetto in questione da una forza nota, ma non è questo ciò che la mia studentessa intendeva: non stava pensando a un laboratorio ma a un foglio di carta! Mi stava dicendo come si fa a calcolare la massa dalla seconda legge della dinamica; evidentemente nella sua percezione la Fisica si fa con le formule matematiche, o peggio ancora la Fisica coincide con le formule matematiche! E ancora un esempio, l'ultimo, tratto da un ambito ancora diverso, l'equilibrio di un oggetto su un piano inclinato ruvido. Si chiedeva Come si dovrebbe procedere per determinare il valore del coefficiente d'attrito? In particolare, cosa si dovrebbe misurare? Qui la risposta sorprende ancora di più, dato l'uso esplicito del verbo misurare; scelgo una risposta "campione": Si dovrebbe calcolare l'angolo limite per cui si ha equilibrio… (Valentina). E non c'è bisogno di commentare ulteriormente (tranne aggiungere che questa è la risposta data da uno degli studenti più "bravi").  

 

Nella pratica scientifica le due azioni del misurare e del calcolare sono molto spesso intrecciate e il risultato di una misura indiretta implica sempre un calcolo.  Tuttavia dal modo di esprimersi degli studenti si evince solo mancanza di chiarezza nei significati dei due verbi e, soprattutto, tra i due, è "calcolare" che è usato a sproposito: gli studenti troppo spesso lo usano al posto di misurare, mai accade il contrario.

 Non è difficile, a mio avviso, riconoscere il motivo di questo uso errato: i nostri studenti hanno pochissime occasioni nella scuola di eseguire misure; e non parlo di misure di precisione, intendo la misura nel senso più ampio possibile, che comprenda ad esempio il fare delle stime; operazioni anche grossolane in cui si arrivi comunque ad associare un numero ad un oggetto fisico. Un'operatività di questo genere è quasi del tutto estranea al nostro fare scuola, dove l'ambito di attività è troppo spesso definito dalla lavagna e dal gesso, dal quaderno e dall'inchiostro (nella Scuola Secondaria al troppo spesso bisogna sostituire sempre). Laddove questa operatività è presente, nella scuola di base, essa è troppe volte fine a se stessa, non seguita dall'importante fase della concettualizzazione che dovrebbe costruire il ponte tra realtà e modelli astratti. Il fare fine a se stesso, il susseguirsi disordinato e casuale di attività, non servono alla costruzione di relazioni e di significati. E anche quando si parta dal concreto per costruire un particolare concetto o una relazione, si ha spesso troppa fretta d'introdurre definizioni e formule matematiche, di passare al linguaggio formale e rigoroso; dal concreto all'astratto, sì, ma lasciando ai ragazzi il tempo di costruire solidi ponti per questo passaggio.

Il risultato di questa situazione negativa è che i numeri, che in Fisica esprimono il risultato di una misura,  per i nostri studenti hanno significato solo in relazione al calcolo. Il calcolo è l'attività fondamentale loro richiesta nello studio della matematica; un calcolo darà la soluzione di un problema e la risposta sarà un numero. Tanto che, come abbiamo visto, quando facciamo loro una domanda nell'ambito della Fisica (come si misura la massa?) la loro mente corre alla ricerca della formula giusta. Condizione necessaria ma, ahimè,  anche sufficiente perché un problema sia ben risolto è che si sia ottenuto il risultato numerico corretto. [Possiamo dunque comprendere l'ostinazione di Emma Castelnuovo a non voler riportare i risultati degli esercizi nei suoi libri di testo, nonostante le insistenti richieste della casa editrice! (*)] Sta a noi insegnanti far intendere che siamo interessati al processo che lo studente ha messo in atto, piuttosto che al risultato numerico, che la risoluzione di un problema potrebbe essere raccontata, potrebbe somigliare a una storia, in cui c'è un prima e un dopo; se abbiamo accolto la lezione di Bruner sulla centralità della narrazione.

Certamente questo genere di attenzione, di interesse da parte dell'insegnante dovrebbe condurre a proporre quesiti di un genere diverso rispetto quelli che troviamo nei manuali scientifici scolastici, qualcosa che non si riduca necessariamente all'utilizzo di una formula per cavarne un risultato numerico; è necessario dare più spazio a questioni di tipo qualitativo, quesiti la cui risposta  sia un testo scritto, o in cui si chieda di arrivare a dare stime ragionevoli di una certa grandezza. Non finisce mai di sorprendermi il disorientamento degli studenti quando, in un compito in classe, si chiede loro di stimare una grandezza; ad esempio, sempre in riferimento alla verifica sulla gravitazione cui ci si è riferiti sopra, si chiedeva di dare una stima delle forze in gioco nell'esperimento di Cavendish o della forza con cui interagiscono due persone; in quella che dev'essere solo una stima, nessuno tra gli studenti ha scelto per le due persone la stessa massa, e così si sono viste coppie di valori come 50 Kg e 53 kg. Allo stesso modo, proponendo un'immagine famosa dal testo "Il Piccolo Principe", gli studenti si sono trovati in difficoltà, o per lo meno hanno espresso disagio, nel dover scegliere un valore per il raggio dell'asteroide (ai fini di determinare il peso del Piccolo Principe). Tale disagio si ricollega alla scarsa abitudine a misurare e alla lontananza di senso pratico e manualità dal nostro modo di fare scuola, a cui abbiamo già accennato.

E ancora un'osservazione sui numeri come risultati di un calcolo; nasce ancora disagio, disorientamento negli studenti se si chiede loro di commentare un risultato ottenuto: il fatto che il peso del Piccolo Principe sul suo asteroide B612 risultasse diecimila volte più piccolo di un Newton ha lasciato gli studenti completamente indifferenti! Evidentemente a loro i numeri non parlano.

Non solo i numeri non parlano, ma, per come sono presentati nelle tabelle dei manuali, i numeri non hanno storia. Nella formulazione degli esercizi di fine capitolo[1],  i dati numerici sono tutti sullo stesso piano e non si distingue tra ciò che è relativamente facile misurare direttamente e ciò che si può ricavare solo indirettamente da un calcolo; tra che cosa si è misurato prima e ciò che si è ottenuto dopo. Spieghiamoci con un esempio: "gli astronauti hanno misurato l'accelerazione di caduta libera sulla Luna; da questo dato e dal raggio della Luna calcolare la massa della Luna". Che senso ha proporre un tale quesito? Come avrebbero potuto gli astronauti arrivare sulla Luna se la massa di questa non fosse già stata conosciuta? Problemi di questo genere servono solo all'addestramento dei nostri studenti; e spesso gli studenti vogliono essere addestrati, perché sanno che questo produrrà il genere di abilità che la scuola, generalmente, chiederà loro. Ma è davvero questo l'obiettivo del nostro insegnamento? Quanto più ricco di senso e di motivazione sarebbe occuparsi del "come e quando è stato possibile conoscere il valore di una determinata grandezza?" ! In una prima Liceo Scientifico è frequente trovare studenti che conoscono il valore della velocità della luce; non capita invece mai che uno studente mostri una curiosità del genere indicato, che chieda  "come è stato possibile ricavare questo valore?" Domande di questo tipo sono invece ricche, sia dal punto di vista dei concetti fisici e delle relazioni coinvolte, sia dal punto di vista della storia della disciplina.

Thomas S. Kuhn, lo storico che ha analizzato la storia della Scienza in termini di paradigmi e di rivoluzioni, ha altresì dato grande rilievo al lavoro svolto dagli scienziati nei periodi di, cosiddetta, scienza normale[2]. La storia della determinazione delle costanti fisiche e dei valori di molte grandezze, dati di cui sono piene le tabelle nei manuali scientifici, potrebbe contribuire dunque a formare nei nostri studenti un'immagine più appropriata di ciò che la scienza è, di ciò che gli scienziati fanno. Bruner[3] ha scritto che il processo del fare scienza è narrativo, che la storia della Scienza può dunque "essere raccontata in forma drammatica, come una serie di vicende quasi eroiche di soluzione di problemi". Invece nella Fisica, come viene percepita dai nostri studenti,  non c'è una trama, non c'è una storia; come avrebbe potuto, altrimenti, una studentessa scrivere che le masse di Mercurio e di Venere, che non hanno satelliti, sono state ricavate dalla misura dell'accelerazione di caduta degli oggetti sulla loro superficie? Che storia è questa? Chi mai è andato su questi pianeti?

 

Ho riferito diversi esempi, ho detto che è stato sufficiente sfogliare l'ultimo pacco di compiti per trovare esempi della confusione tra misurare e calcolare; ma devo precisare che è stato possibile far emergere questa confusione perché ormai da diverso tempo la mia scelta è quella di "far scrivere di Fisica" ai miei studenti; se invece un compito scritto di Fisica si riduce a una sequenza di formule algebriche e calcoli è evidente che suggerirà molto poco all'insegnante (speriamo che suggerisca almeno, prima o poi, l'insensatezza di una prova di questo genere!).

 

In conclusione, mi sento di affermare che solo un radicale cambiamento nell'insegnamento scientifico potrà consentire di superare le difficoltà qui esposte, dalla confusione di significato tra misurare e calcolare, al cattivo rapporto con i numeri, a molto altro ancora. Le indicazioni al cambiamento qui presentate in modo occasionale implicano un abbandono della logica dello svolgimento del programma, delle pretese enciclopediche, del carattere addestrativo della nostra didattica; si tratta, a partire dalla scuola di base[4],  di dare rilievo alla costruzione dei concetti, dei significati; di scegliere percorsi didattici, nei contenuti e nelle metodologie, in cui ricchezza di senso e di significato per i nostri studenti, prendano il posto di estraneità e indifferenza.

 

 


 

(*) Mi riferisco all'intervento di E. Lugarini, della casa editrice La Nuova Italia, in occasione di Omaggio a Emma Castelunuovo- Campidoglio, Sala della Protomoteca, venerdì 12 dicembre 2003


 

[1] L. Stefanini, A. Berra "Difficoltà nella formulazione dei problemi di Fisica" in NUOVA SECONDARIA,  n. 5  2004

[2] T.S. Kuhn "La tensione essenziale", Einaudi, 1985

[3] J. Bruner "La cultura dell'educazine, Feltrinelli, 1997

[4] L. Barsantini e C. Fiorentini  (a cura di) "L'insegnamento delle Scienze verso un curricolo verticale", I.R.R.S.A.E. Abruzzo  2001  

 


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