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Valutare o sopravvalutare? L'effetto Matteo Nella famosa parabola dei talenti, l'evangelista Matteo fa dire al padrone che aveva assegnato i suoi beni ai servi in misura variabile: "Poiché a chiunque ha, sarà dato e sovrabbonderà, ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha". Il servo che aveva avuto cinque talenti ne aveva infatti guadagnati altri cinque; quello che ne aveva avuti due ne aveva guadagnati altri due; quello che ne aveva avuto uno solo era con questo rimasto. Nell'interpretazione cristiana i talenti non possiedono un significato puramente economico ma sono piuttosto riferiti al patrimonio di intelligenza, volontà, affetti degli individui, dati per essere messi in gioco e fatti fruttare in base a ciò che ciascuno è, con la propria ricchezza personale, con le proprie qualità. Per questo motivo alla parabola si è fatto riferimento in numerosi settori scientifici (in particolare nelle scienze sociali, psicologiche ed educative) per indicare il fenomeno in base al quale "chi più ha più avrà; chi meno ha meno avrà". L'espressione Matthew effect fu utilizzata in primo luogo da Robert Merton per evidenziare come, in campo scientifico, uno scienziato già conosciuto goda di maggior credito di un ricercatore poco noto, anche se i lavori di entrambi sono pressoché equivalenti. La conseguenza è che il grande scienziato più facilmente riceverà premi e riconoscimenti, anche quando i suoi lavori sono in realtà il frutto del lavoro di allievi e collaboratori (si vedano in proposito i criteri di assegnazione di molti premi Nobel, che hanno totalmente disconosciuto il lavoro di molte donne scienziato). L'essenza dell' effetto Matteo consiste quindi nel fatto che vantaggi e svantaggi presentano un effetto cumulativo. A livello di senso comune ciò corrisponde al realizzarsi del cosiddetto "circolo vizioso", in genere citato però quasi esclusivamente in riferimento all'aumento esponenziale degli effetti negativi. A livello scientifico corrisponde a una specifica teoria, molto utilizzata in campo economico (la causalità cumulativa) ma confermata da evidenze raccolte in molteplici campi disciplinari. Come spesso succede, in campo scolastico l' effetto Matteo viene colto dagli insegnanti quasi esclusivamente a livello intuitivo. Gli insegnanti rilevano che i bambini che dispongono di un vocabolario più ricco imparano a leggere più facilmente; che quelli che dispongono di un buon patrimonio di conoscenze e di esperienze apprendono più facilmente la storia, la geografia, le scienze; che, al contrario, i bambini che più incontrano problemi nell'apprendere sono quelli che partono da un livello di sviluppo cognitivo più basso; ma non sanno dare una spiegazione corretta di ciò oppure si riferiscono genericamente alle caratteristiche della famiglia di provenienza. L' effetto Matteo invita invece a considerare che nell'interpretare i comportamenti degli alunni occorrerebbe riferirsi a ciò che avviene dentro di loro, nella loro mente: gli elementi esterni sono ciò che favoriscono o non favoriscono questi cambiamenti, ma non ne sono l'elemento primario. L' effetto Matteo rappresenta infatti una caratteristica precipua dello sviluppo, secondo la quale quanto più elevato è il livello di sviluppo a cui si è giunti, tanto maggiori sono le possibilità di un ulteriore sviluppo. Poiché l'apprendimento è una delle forme di cambiamento in cui si estrinseca lo sviluppo, ovviamente l' effetto Matteo si constata anche nell'acquisizione di nuove conoscenze e di nuove capacità. Keith Stanovich, uno psicologo che ha studiato in particolare l'apprendimento della lettura, ha fatto ricorso all' effetto Matteo per indicare un fenomeno presente nelle prime fasi di apprendimento della lettura. Si verifica infatti che qualora il bambino non riesca ad apprendere adeguatamente la lettura strumentale (il che nel nostro sistema scolastico avviene in prima e seconda elementare) non potrà comprendere quello che legge e ciò avrà due conseguenze molto gravi: da un lato condurrà il bambino a leggere sempre meno e quindi ad aumentare il suo ritardo nell'acquisire gli skills specifici; dall'altro a incontrare molti problemi nell'apprendere le conoscenze di carattere disciplinare (per le quali non è più sufficiente utilizzare l'esperienza diretta ma occorre necessariamente far ricorso ai libri). Le differenze tra questo bambino e i pari andranno quindi man mano aumentando, fino a poter condurre, alcuni anni più tardi, addirittura all'abbandono della scuola. Non si deve però pensare che nell' effetto Matteo sia in gioco solo la quantità di informazioni, di nozioni, di conoscenze fattuali. L' effetto Matteo in realtà coinvolge profondamente la motivazione ad apprendere, in quanto il bambino che parte dai livelli più bassi fa più facilmente e più frequentemente l'esperienza dell'insuccesso scolastico e con probabilità sempre minori si troverà ad avere la possibilità di realizzare in modo adeguato le attività scolastiche. Si instaura pertanto un ciclo negativo in cui l'esperienza ripetuta del fallimento conduce alla frustrazione, induce a evitare le attività per le quali non ci si sente preparati, fa mancare la possibilità di fruire dei necessari esercizi, non permette di migliorare. Si tratta di esperienze di cui il bambino coglie molto efficacemente le valenze negative e che lo portano alla perdita dell'autostima e del senso di autoefficacia, fino a farlo giungere alla decisione di non apprendere più. Ma l' effetto Matteo evidenzia anche, in modo speculare, come invece l'esperienza del successo scolastico, proprio perché connessa alla sensazione del progressivo miglioramento delle proprie capacità, conduca a un progressivo aumento dell'impegno e della motivazione ad apprendere e quindi al conseguimento di risultati sempre migliori.. Ogni insegnante dovrebbe pertanto riflettere su quanto le forme di valutazione utilizzate e, in particolare, le modalità di espressione di tale valutazione (non sul documento ufficiale ma nel rapporto continuo e quotidiano con l'allievo) possano ulteriormente accentuare l' effetto Matteo . Non si tratta semplicemente di decidere se utilizzare o no i voti: questi non hanno effetti molto diversi dall'utilizzo di termini come "gravemente insufficiente" o "molto buono" o da frasi apparentemente neutre ma invece fortemente svalutative (specie se pronunciate con toni di voce di forte riprovazione). Si tratta, semmai, di riflettere su due aspetti che a nostro avviso risultano essere poco presenti nella scuola odierna. Il primo si riferisce a un costrutto troppo presto abbandonato, forse perché interpretato a livello quasi esclusivamente burocratico: quello di competenza. L'acquisizione delle competenze-chiave di ciascuna fascia di età e di ciascun livello scolastico possiede infatti un valore protettivo, in quanto consente al bambino di essere consapevole del progressivo miglioramento delle proprie capacità e, soprattutto, di provare quel sentimento pressoché assente dalla scuola odierna (a tutti i livelli, compresa l'università) che consiste nel "piacere della competenza". Non si tratta di riesumare modelli di portfolio inefficaci e ponderosi in cui il riferimento alle competenze era spesso solo nominalistico. Si tratta piuttosto di ripensare l'organizzazione del lavoro scolastico, rivalutando le dimensioni che nei decenni passati sono risultate troppo spesso trascurate: la sequenzialità e il tempo necessario per apprendere. L' effetto Matteo ci ricorda infatti che l'apprendimento deve essere fondato necessariamente sulla gradualità: non la gradualità estrinseca e artificiosa dei libri di testo ma la gradualità connessa alle modalità di funzionamento della mente e del cervello degli allievi. Soprattutto ci ricorda come solo il consolidamento degli apprendimenti realizzati nelle prime fasi di scolarizzazione possa consentire ulteriori e sempre più complessi apprendimenti. Il secondo aspetto ha carattere più generale e si riferisce alla relazione alunno-insegnante. L' effetto Matteo, nel richiamare la necessità che si instauri un ciclo positivo di successo nell'apprendimento, implica che l'atteggiamento dell'insegnante sia fondamentale. Andrea Smorti ricorda, riferendosi allo sviluppo sociale del bambino, come in genere i genitori esprimano una sopravvalutazione delle capacità dei figli piccoli e sottolinea come tale sopravvalutazione sia all'origine dei rilevanti progressi che i bambini realizzano nei primi anni di vita. L'inizio della frequenza scolastica in genere fa sperimentare al bambino una relazione in cui invece accade il contrario: troppo spesso gli insegnanti sottolineano quasi esclusivamente le incapacità e gli errori anziché le riuscite. Forse, prima di tornare a discettare di prove oggettive, valutazione formativa e sommativa, test, occorrerebbe allora realizzare anche a scuola quella condizione che lo psicologo Bronfenbrenner riteneva essenziale affinché un individuo si sviluppasse e crescesse in modo adeguato: fare in modo che "ogni bambino possa disporre di almeno un adulto disponibile a stravedere per lui". Gli studi sull'attaccamento ci hanno dimostrato che tale figura è essenziale anche nel contesto scolastico e soprattutto hanno evidenziato come "stravedere per un bambino" sia l'esatto contrario di quella non direttività per troppo tempo gabellata come metodo educativo efficace. Del resto sono sempre più numerosi gli studi che evidenziano come uno dei fattori che maggiormente influenzano l'apprendimento sia il livello delle aspettative che i genitori e la scuola nutrono nei confronti dei bambini: aspettative che non devono essere irrealistiche ma che, come ci ha insegnato Vygotskij, devono collocarsi a un livello un po' superiore a quello già raggiunto dal bambino. Quindi ripensiamo pure gli strumenti e le modalità della valutazione, ma innanzitutto mettiamo in primo piano quelli che Brazelton ha definito i "bisogni irrinunciabili" dei bambini, la cui soddisfazione non soltanto consente loro di apprendere senza problemi, ma riduce la probabilità che vengano messi in atto comportamenti socialmente disadattivi. Il nostro scopo di insegnanti è infatti di far sì che tutti gli alunni facciano fruttare i loro talenti, proprio come i servi della parabola.
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