L’accoglienza del bambino disabile nella scuola
Umberto Tenuta
Madame De Staell accoglieva nel suo salotto parigino le personalità più eminenti del mondo della cultura del suo tempo: le accoglieva per ascoltarle e farle ascoltare, riconoscendone il valore.
Anche la scuola dovrebbe presentarsi come un salotto, pardon, come una sala di accoglienza, direbbero oggi i bioarchitetti.
Accogliere (accolligere= radunare): mettere insieme, creare un contesto umano, un vivaio di relazioni umane, nella prospettiva della crescita personale di tutti coloro che ne fanno parte, che ne sono parte integrante (integrazione).
Accogliere gli alunni disabili significa, appunto, fare in modo che essi siano parte integrante del contesto scolastico, assieme agli altri alunni, alla pari degli altri alunni, senza discriminazione alcuna.
Al riguardo, appare opportuno evidenziare che l’integrazione, e quindi l’accoglienza, non riguarda solo gli alunni in situazione di handicap, ma tutti gli alunni, in quanto riconosciuti e valorizzati nella loro diversità, nella irripetibile, unica, singolare personalità che costituisce il valore di ogni persona umana.
La scuola non può non riconoscere tutti nella loro diversità, facendosi scuola per tutti, scuola su misura dei singoli alunni, quali che siano le loro possibilità formative, che nessuno può diagnosticare in termini assoluti, perentori, definitivi, né per l’alunno in situazione di handicap, né per gli altri alunni.
Pertanto, l’accoglienza non può essere intesa come benevolenza, generosità, filantropia, ma come riconoscimento del valore della persona del disabile che, come tutti gli altri bambini, va accolto per le sue possibilità, per i potenziali valori umani di cui è portatore.
In tale prospettiva, l’accoglienza si configura, non come un generico atteggiamento di disponibilità umana, di benignità, di degnazione, ma come impegno forte di conoscenza e di valorizzazione della realtà personale, umana, sociale, familiare di ogni alunno, e quindi anche del disabile.
Innanzitutto, la conoscenza.
L’accogliere è un riconoscere le persone (Benvenuta, Maria!), un prendere atto dei valori di cui essi sono portatori.
E, quindi, si pone un impegno di conoscenza.
Ma l’accoglienza degli alunni, compresi i bambini disabili, non si configura solo come riconoscimento dei valori potenziali di cui ciascuno è portatore, ma anche e soprattutto come impegno di promozione della loro formazione.
L’accoglienza non si esaurisce nei saluti, nelle strette di mano, negli abbracci e nei baci.
L’accoglienza vera, autentica, sostanziale è quella che si estrinseca nell’impegno di promozione dello sviluppo, della formazione, dell’educazione e dell’istruzione degli alunni.
Di tutti gli alunni, e non solo degli alunni in situazione di handicap.
Sia ben chiaro una volta per tutte che l’integrazione degli alunni in situazione di handicap deve significare il superamento della loro emarginazione.
Essi non possono essere emarginati, anche se inseriti nella scuola comune, realizzando per loro, solo per loro, interventi specifici, differenziati, individualizzati.
L’integrazione degli alunni in situazione di handicap può essere realizzata solo in una scuola che si fa a misura di tutti gli alunni, perché tutti, non solo i disabili, sono diversi.
La diversità è caratteristica peculiare dell’uomo.
Il potenziale umano non riesce ad esprimersi in una sola cultura, in una sola lingua, in una sola attività umana, in una sola persona umana, ma ha bisogno delle diverse forme culturali, delle diverse lingue, delle diverse attività umane, dalla musica alla poesia, dalla pittura al teatro, dalla danza alla tecnologia, alla filosofia ecc.
E, perciò, la scuola non può offrire stimoli formativi uguali a tutti gli alunni, in quanto ciascun alunno ha le sue peculiari esigenze formative, i suoi ritmi ed i suoi stili di apprendimento.
La scuola è accogliente, quando si organizza a misura dei singoli alunni.
E, quindi, l’accoglienza comporta, non solo un atteggiamento di riconoscimento del valore dei singoli alunni, ma anche e soprattutto un impegno di promozione della loro formazione attraverso la realizzazione di un’organizzazione educativa e didattica personalizzata sia negli obiettivi che nei percorsi formativi.
Innanzitutto, è accogliente la scuola che non impone a tutti gli alunni le stesse mete formative.
L’educazione consiste nella promozione della formazione dell’uomo e del cittadino, che però si realizza, si deve sempre realizzare, nel rispetto delle identità personali, sociali e culturali dei singoli individui.
Ciascun alunno ha le sue esigenze formative, le sue disponibilità, le sue propensioni, le sue idiosincrasie personali: ogni essere umano è una realtà unica, irripetibile, singolare, che va riconosciuta, valorizzata, potenziata, anche tenendo presente che vive in una determinata cultura, in una determinata società, in una determinata realtà economica, dalle quali non può essere sradicato.
E quindi le mete formative debbono essere personalizzate.
In tale prospettiva, nella nuova scuola, nella scuola dell’autonomia, vi saranno obiettivi formativi nazionali, intesi alla formazione dell’uomo e del cittadino.
Anche se tali obiettivi formativi sono sostanzialmente uguali per tutti gli alunni, essi saranno però sempre personalizzati, almeno nei livelli e nelle forme del loro conseguimento. Tutti gli alunni impareranno la lingua italiana, ma ciascuno la parlerà con le sue personali inflessioni.
Tuttavia, accanto a questi obiettivi, vi saranno anche altri obiettivi, gli obiettivi integrativi e gli obiettivi aggiuntivi, più specificamente mirati alla personalizzazione dei percorsi formativi dei singoli alunni.
Ma la personalizzazione educativa non riguarda solo gli obiettivi formativi.
Essa riguarda anche e soprattutto i percorsi formativi.
Dopo i saluti, l’accoglienza non può tradursi nell’offerta degli stessi stimoli formativi a tutti gli alunni, misconoscendo i loro diversificati livelli, stili e ritmi di apprendimento.
È accogliente la scuola che consente a ciascun alunno, non solo al disabile, di procedere secondo i suoi ritmi ed i suoi stili di apprendimento, muovendo dai suoi livelli di sviluppo.
Non è certamente accogliente la scuola della lezione frontale, per sua natura uguale per tutti gli alunni e come tale discriminante, emarginante per coloro che non riescono a seguirla.
L’ingresso degli alunni in situazione di handicap nella scuola della lezione frontale si è tradotta, di fatto, in una riedizione della loro emarginazione, nell’ambito dell’aula comune o negli appositi laboratori ("aule di sostegno").
Occorre evidenziare con forza che l’integrazione non può avvenire nell’ambito di un’organizzazione didattica uguale per tutti gli alunni, per sua natura selettiva, qual era quella della scuola tradizionale.
Come si afferma nel Documento Falcucci del 1975, Magna Charta dell’integrazione degli alunni in situazione di handicap ¾ purtroppo non adeguatamente nota e tenuta presente¾ , l’integrazione degli alunni in situazione di handicap passa attraverso un nuovo modo di essere della scuola.
La scuola si pone come scuola che accoglie il disabile solo se si organizza a misura delle esigenze, dei ritmi e degli stili di apprendimento dei singoli alunni.
E questo la scuola può fare solo se, come ha insegnato in particolare la Montessori, si struttura in modo da rendere possibile l’individualizzazione dell’insegnamento per tutti gli alunni (1).
È accogliente la scuola che mette ciascun alunno nelle migliori condizioni per realizzare il pieno sviluppo delle sue potenzialità formative a cui ogni essere umano ha diritto (<<È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese>>).
Tuttavia, se l’accoglienza consiste nel riconoscimento del valore delle persone, ciò che importa è anche e soprattutto che le persone avvertano questo riconoscimento e si sentano aiutate nel loro impegno di autorealizzazione personale.
L’accoglienza si realizza solo quando le persone si sentono accolte, prese in considerazione, valorizzate.
E gli esseri umani si sentono valorizzati nella misura in cui avvertono di poter realizzare le loro potenzialità umane. Ogni essere umano aspira alla propria autorealizzazione.
Come si afferma nel Rapporto Faure, <<Ogni uomo è destinato ad essere un successo e il mondo è destinato ad accogliere questo successo>> (2).
Anche il disabile è destinato ad essere un successo.
Perché lo sia, la scuola lo deve accogliere, senza alcuna discriminazione, in un contesto educativo che sia a misura di ogni alunno, quali che siano le sue possibilità formative ed apprenditive.
Da trent’anni la scuola italiana sta affrontando questo problema, il problema dell’individualizzazione dell’insegnamento.
Non solo nel Documento Falcucci, ma anche nella Legge 517/1977 si afferma che l’integrazione degli alunni portatori di handicap deve avvenire nell’ambito di un’organizzazione educativa e didattica individualizzata.
Le specifiche indicazioni sull’individualizzazione dell’insegnamento contenute nei Programmi del 1979, del 1985 e del 1992 relativamente all’integrazione degli alunni portatori di handicap ribadiscono questa esigenza.
Anche la Legge 104/1992 afferma che l’integrazione degli alunni portatori di handicap deve essere realizzata attraverso un’organizzazione didattica flessibile, anche a classi aperte.
Ma l’equivoco di fondo che si è creato è che l’individualizzazione dell’insegnamento riguardi solo gli alunni portatori di handicap.
È vero che i processi apprenditivi e formativi degli alunni portatori di handicap si possono realizzare solo attraverso percorsi individualizzati o personalizzati (PEI o PEP).
Ma occorre evidenziare a tutto spiano che se nella scuola si attuano, e giustamente, i percorsi formativi individualizzati solo per gli alunni portatori di handicap, in questo modo non si realizza l’accoglienza degli alunni portatori di handicap, non si attua la loro integrazione, perché si pratica un’ennesima, anche se più sottile, camuffata, subdola emarginazione.
Gli alunni portatori di handicap non vengono accolti, ma vengono emarginati ogniqualvolta vengono trattati in modo diverso dagli altri.
E ciò che è particolarmente dannoso è che i bambini disabili, come ogni altra persona, avvertono questa discriminazione, anche quando le attenzioni nei loro confronti sono maggiori rispetto a quelle riservata agli altri alunni. La discriminazione, anche se positiva, rimane discriminazione.
Il che non significa che gli interventi formativi a favore degli alunni portatori di handicap non debbano essere differenziati, individualizzati, personalizzati.
Il grande salto di qualità che la scuola deve realizzare è consiste nella realizzazione di un’organizzazione educativa e didattica che sia differenziata, individualizzata, personalizzata per tutti gli alunni, e non soltanto per determinate categorie, quali gli alunni portatori di handicap.
Per due motivi: non solo perché l’accoglienza degli alunni portatori di handicap non sia diversa da quella degli altri alunni e perciò discriminante ed emarginante, ma anche e soprattutto perché tutti gli alunni hanno bisogno di percorsi didattici personalizzati.
Era questo il significato del primo comma degli articoli 2 e 7 della Legge 517/1977 e dell’art.14 della Legge 104/1992, nei quali si prevedeva un’organizzazione didattica individualizzata per tutti gli alunni, nell’ambito della quale si attuava l’integrazione degli alunni portatori di handicap.
È questa la prospettiva della scuola dell’autonomia che si intravede.
L’augurio è che questa prospettiva sia non solo delineata ma anche realizzata nella concreta organizzazione educativa e didattica di tutte le scuole.
Ci sono tutte le condizioni perché ciò si verifichi, soprattutto in un momento in cui la scuola parallela delle tecnologie multimediali si pone su questa strada.
Ma forse è opportuno essere vigili e portare avanti con forza questo discorso, se si vuole che i bambini disabili siano accolti nella scuola, alla pari degli altri bambini, secondo i principi non solo della filantropia, ma anche della Carta costituzionale (<<Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali>>).
L’accoglienza dei bambini disabili non è solo un atto di umana generosità, ma anche e soprattutto un dovere al quale nessuno è consentito sottrarsi.
Certamente, sarà meglio se da tutti sarà avvertito, insieme, come un obbligo morale e come un sentimento di profonda fraternità.
1 In merito a tale organizzazione, cfr., in particolare: UMBERTO TENUTA, Individualizzazione – Autonomia e flessibilità nell’azione educativa e didattica, La Scuola, Brescia, 1998.
2 FAURE E. (a cura di), Rapporto sulle strategie dell'educazione, Armando-UNESCO, Roma, 1973, P. 249.