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CAMPO DI BATTAGLIA La scuola non è un campo di battaglia Lettere-Risponde Barbara Palombelli Sono una ragazza di 18 anni che sta per affrontare il nuovo esame di licenza classica. La mia carriera scolastica è stata piuttosto travagliata. Inizialmente mi sono sentita sopraffare dal clima di lotta fra compagni; mi sono dovuta sottoporre a uno studio arido e pedante; ho dovuto soffocare le mie naturali propensioni, mi è sembrato di non avere la possibilità di riflettere su cosa stavo studiando; mi è parso di non arricchirmi di contenuti culturali bensì di dati. Poi, crescendo, ho intrapreso un cammino più personale che mi ha portato a non impegnarmi unicamente nelle materie di studio ma a dedicarmi a ciò che veramente mi interessa e mi coinvolge. Ho dovuto affrontare momenti di sconfitta, come votazioni basse e giudizi poco positivi da parte dei professori. Ma ora ho un certo equilibrio interiore e un profondo e sincero amore per la cultura che con la scuola non avrei mai ottenuto. La scuola è un campo di battaglia dove i più deboli (per più deboli non intendo certo i più ignoranti, anzi) soccombono. Alcuni professori, presi dalla smania di terminare i fatidici programmi ministeriali, si dimenticano di dare cultura; di creare interesse attorno alla propria materia, di instaurare un colloquio con chi hanno davanti. Arrivano a preferire automi insensibili che imparano tutto a memoria, che non sanno cosa succede nel mondo, che non leggono, che non vanno né a teatro né al cinema; screditando e valutando negativamente persone, magari emotive, che però si interessano a ciò che li circonda e si appassionano veramente a quello che studiano. Vorrei dire a tutti i professori di guardare a fondo negli occhi dei loro alunni, di parlare con loro e chiedergli cosa fanno quando non sono a scuola, cosa sognano, quali sono i loro rapporti con gli altri, perché piangono… Vorrei dire a tutti gli alunni di abbandonare le lotte e i confronti con i voti, e di pensare chi sono e cosa vogliono. La scuola non è tutto e un voto non ci potrà mai rappresentare, il nostro valore è un altro ed è composto di fattori che raramente i professori sanno cogliere. La vita non è solo in queste grigie mura scolastiche. Avremo mille modi di riscattarci e di dimostrare quello che siamo: con grandi gesti, ma soprattutto nelle piccole cose di ogni giorno. Sto male quando leggo dei suicidi di miei coetanei e quando ne sento parlare dai miei amici. Talvolta anche io ho sfiorato l'idea di togliermi la vita, ma l’ho subito scansata con orrore e rabbia: dovrei rinunciare al mio futuro? Lo so che a volte ci si sente soffocare e non si scorge nemmeno un atomo di speranza, ma bisogna lottare e non lasciarsi travolgere da questi pensieri. Valeria
COMMENTO Una lettera di una ragazza di 18 anni, ma che potrebbe essere quella di una bambina di sei anni o di una matura psicopedagogista che parla di personalizzazione degli obiettivi formativi (dedicarmi a ciò che veramente mi interessa e mi coinvolge), di motivazioni che spesso la scuola ignora (profondo e sincero amore per la cultura che con la scuola non avrei mai ottenuto), di conoscenza degli alunni (guardare a fondo negli occhi dei loro alunni, di parlare con loro e chiedergli cosa fanno quando non sono a scuola, cosa sognano, quali sono i loro rapporti con gli altri, perché piangono…). Un trattato di psicopedagogia! Forse è il caso di prendere atto che la psicopedagogia la conoscono anche i nostri alunni, e che perciò sarebbe opportuno ascoltarli di più. Umberto Tenuta
(Già pubblicata su SPAZIO DIDATTICA, http://www.provveditorato.starnet.it/) |
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