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BAUMAN: VITE
DI CORSA NELLA SOCIETA’ LIQUIDA
La
perdita di senso del tempo - tipica della condizione umana nella
‘modernità liquida’ - è uno degli aspetti fondamentali
dello
scenario nel quale Bauman vede persone e gruppi sociali muoversi in un
dinamismo frenetico che travolge ogni dimensione della vita. Nella
società liquida prevalgono quelle che Bertman, citato in
Vite di corsa, ha definito 'cultura
dell’adesso‘ e ‘cultura della
fretta’ che insieme mettono
in crisi anche le dimensioni costitutive più intime della personalità e
del comportamento, come le aspirazioni e le potenzialità di
costruirsi persone, cioè
soggetti capaci di pensare, di aderire a principi e obiettivi di
autoregolazione e soddisfazione, di instaurare relazioni interpersonali
gratificanti e portatrici di un equilibrio emotivo non effimero. Quella che fino a qualche anno fa caratterizzava la vita dei soli
giovani e giovanissimi, presi in un
perpetuo e trafelato presente
in cui tutto è affidato all’esperienza del momento, sembra ormai la
condizione umana generalizzata.
Non so se è
metodologicamente corretto recensire insieme più di un’opera di un
Autore. Sono indotto a
farlo per diversi motivi. Il primo deriva dalla ‘storia personale’ e dal
profilo culturale dell’Autore che negli ultimi decenni ha rivolto le sue
analisi su una molteplicità di campi di indagine.. Dopo intensi studi
di questioni di filosofia politica e di sociologia generale, da diversi
anni Bauman va dedicando un’attenzione sempre più specifica ad
atteggiamenti e comportamenti umani, soggettivi e collettivi, nella
società postmoderna e globalizzata, che egli preferisce definire
liquida, con una suggestiva
connotazione metaforica che
in opere successive riferisce alla vita, alla paura, all’amore. Non è difficile
ritrovarsi nelle analisi descrittive di una quotidianità diffusa con le
quali, di volta in volta, egli sostiene la sua tesi. Viene facile
vedervi più o meno riflessi aspetti della vita di persone e gruppi
sociali che si lasciano trascinare da una sorta di coazione consumistica
che sospinge verso un ruolo ineluttabile di consumatori, mettendo in
crisi identità e possibilità di esercitare spazi ragionevoli di
autonomia, di decisione soggettiva, di rapporti umani significativi e di
interessarsi a problemi comuni e collettivi. Il senso di
insoddisfazione e di incertezza ( già delineato in
Società dell’incertezza e voglia
di comunità) che consegue
ad un ritmo/scenario di vita consumistico e competitivo, dove
per occupare la scena bisogna
cacciare via gli altri, ha indotto Bauman a ribadire in seguito
(Conferenza tenuta a Bologna tre anni fa) che ‘siamo
condannati a vivere in un’incertezza permanente’,
che è causa ed effetto di precarietà emozionale e instabilità
relazionale e valoriale. In un processo
continuo di ampliamento/specificazione dei suoi campi di analisi, sul
finire del secolo Bauman con
Modernità liquida apre il
ciclo che gli ha procurato maggiore notorietà, a livello mondiale,
quello della ‘liquidità’, caratteristica emblematica della
postmodernità. Da allora il sociologo polacco, con ritmo incalzante, ha
analizzato aspetti specifici della condizione umana nella società
liquida vischiosamente connessa alla vita liquida.
“Vita
liquida” e “modernità liquida” sono profondamente connesse tra loro. …
Il carattere liquido della vita e quello della società si alimentano e
si rafforzano a vicenda. La vita liquida, come la società
liquido-moderna non è in grado di conservare la propria forma o di
tenersi in rotta a lungo”. (Vita liquida, Introduzione, pag. VII). E più recentemente
preso atto che la sindrome
consumistica è fatta tutta di velocità, eccesso e scarto (Consumo,
dunque sono, pag. 108)
riprende l’analisi delle ripercussioni del consumismo sui comportamenti
delle persone nella società globalizzata. A ben considerare
l’orizzonte di problemi sui quali ─ di anno in anno ─ sofferma
l’attenzione e le modalità con cui li analizza, non è facile definire il
profilo di Bauman. Sociologo ? Filosofo ? Qualcuno lo ha definito
‘anatomista’ della società contemporanea.
Senza nulla togliere alla sua eccellente capacità descrittiva del nostro
tempo e dei meccanismi socio-economici che influenzano bisogni e
comportamenti umani, a ben leggere le sue tante opere sulla ‘liquidità’
della vita delle persone, delle loro relazioni, delle motivazioni dei
loro comportamenti, alla fine, dopo la diagnosi e la interpretazione,
sostenuta anche da studi di altri autori, resta ─ e non è poco ─ il
contributo ‘propositivo’ del suo pensiero che non manca in nessuna delle
sue opere. Qualcuno si è chiesto anche se egli sia ottimista o
pessimista. Senza rievocare una frase fatta di qualche anno fa, si nota
chiaramente che il rigore dell’analisi non gli consente di prefigurare
prospettive rosee o soluzioni facili. Ma
dove
più dove meno, nelle diverse opere, a un certo punto Bauman dismette i
panni del sociologo e assume quelli del saggio
e del filosofo sociale,
quasi del
pedagogo
che ─ pur consapevole delle difficoltà di tracciare ipotesi e vie di
uscita ─ fornisce qualche indicazione praticabile, nonostante tutto, che
affida però alla disponibilità di uomini e donne del nostro tempo,
considerati nella non facile intersezione di individuo
e persona
nel significato specifico che egli attribuisce a questi termini.
Questo avviene quasi sempre nella seconda parte delle sue opere, che
perciò bisogna avere la cura e la pazienza di leggere per intero,
resistendo alla tentazione – che pure può affiorare – di non andare fino
in fondo perché talvolta l’analisi della quotidianità sembra rasentare
l’ovvio o il già sentito. Egli infatti costruisce le sue argomentazioni
sulla base di dati e di contributi di ricerca di una infinità di
studiosi di molti campi di indagine. Parti preziose
delle riflessioni di Bauman sono sintetizzate in capitoli dai titoli
invitanti e propositivi:“Far
affiorare le paure”, “Il
pensiero contro la paura” (ultimi due capitoli di
Paura liquida);“
Imparare a camminare sulle sabbie
mobili” (pare di risentire uno dei Frammenti apocrifi di Borges
quando dice che dobbiamo ‘costruire
sulla sabbia come fosse pietra’),
“Pensare in tempi oscuri, rileggendo Arendt e Adorno” (ultimi
capitoli di Vita liquida). Altre volte nel
titolo stesso ( non solo in italiano ma anche in edizioni originali) si
trovano espresse le istanze dialettiche del rigore dell’analisi e della
possibile scommessa per non rimanerne schiacciati. Senza facili
illusioni, sembrano elementi utili che possono suggerire una qualche via
di uscita ─ per quanto impervia ed estremamente impegnativa ─ che non
può non cercare di tentare chi non vuole rassegnarsi all’apatia e alla
perdita di identità e di senso, almeno di se stesso e della propria
esistenza.
Un consiglio e un criterio Conoscere il
pensiero di Bauman può essere, anzi è, senz’altro interessante e utile
per le persone che si occupano di processi e problemi educativi e, in
genere, di problemi socio-culturali. Per molteplici ragioni. Ma chi
vuole farlo dovrebbe cercare di evitare un rischio paradossale e un
‘effetto perverso’ quello, cioè, di cadere nelle trappole del
‘consumismo’ che l’Autore vorrebbe vedere – se non evitato – almeno
contenuto e dominato da parte dei suoi lettori,e non solo. È probabile che
l’interesse per i suoi libri, che si susseguono a breve distanza di
tempo (spesso più di uno nello stesso anno intorno allo stesso tema), e
si richiamano (per la ripresa o l’approfondimento di problematiche già
trattate) possa indurre una sorta di
sindrome consumistica
spingendo i lettori ad acquistarli tutti fino all’ultimo. Non conviene; e,
per certi aspetti, forse non è necessario se si vuole cogliere e
valorizzare il senso dei contributi di riflessione che l’anziano
studioso va elaborando da molti anni sul nostro tempo e sui
comportamenti diffusi tra noi che lo viviamo. Per fare tesoro
delle sue riflessioni ed indicazioni potrebbe anche bastarne uno di ogni
ciclo (se così si può dire),
da leggere però a fondo, utilizzandolo cioè per ‘fare
una pausa e pensare’ , come egli dice all’inizio del primo capitolo
di L’arte della vita (2009).
È vero, i ‘cicli’ (o campi di analisi) di Bauman sono tanti e
bisognerebbe avere cura (o la fortuna) di sceglierne qualcuno tra gli
scritti ‘fondamentali’. “Vite di
corsa” non mi sembra tale. Raccoglie una
lezione magistrale tenuta da Bauman a Bologna e non esprime concetti
‘nuovi’, in quanto sintesi di argomentazioni già presenti in precedenti
opere. Per la verità, bisogna anche riconoscere e sapere che l’anziano
studioso non ha la primogenitura o l’esclusiva delle problematiche che
affronta e delle analisi che effettua. Ha avuto però, ed ha senz’altro,
una singolare capacità di rendere affascinante la descrizione di
problemi e processi nei quali tutti siamo immersi e di portarli
all’attenzione di un vasto pubblico che, se vuole, può servirsene per
capire e intervenire con qualche efficacia nei campi di azione di sua
competenza. Purché l’interesse sia sostenuto da intento non superficiale
di cambiamento o almeno di ‘resistenza’ alle conseguenze e ai rischi dei
macroprocessi che stritolano il soggetto nella società post- moderna.
Ma Bauman ‘colpisce’
ancora
Tra i tantissimi libri di Bauman, come dicevo, non è facile ‘scegliere’
e orientarsi, perché i
cicli
(o campi di analisi) non solo sono tanti ma quasi sempre contengono
rimandi, riprese, approfondimenti e integrazioni, inquadrabili in una
quasi ineludibile ottica sistemica dove
tutto si tiene
e dove il Nostro non smette di sorprendere e di suscitare interesse con
la sua produzione a getto continuo, richiamando magari argomenti già
trattati qualche anno fa. E, tranne che per qualche aspetto, non si
tratta di mere ‘ripetizioni’, bensì di riprese e puntualizzazioni.
C’è
sempre qualche spunto nuovo e qualche spiraglio di prospettiva o qualche
ipotesi di comportamenti possibili di cui egli delinea la praticabilità
nella società liquida della postmodernità, nel contesto consumistico
diffuso e negli scenari della globalizzazione. Che
fare dunque? Continuare ad acquistare e a leggere i libri di Bauman? O
scegliere di utilizzare qualche ‘filone’ del suo pensiero riferito alla
politica, alla morale (cui ha dedicato particolare attenzione
nell’ultimo anno), all’educazione delle nuove generazioni? Orientamenti in tal senso ci sono già e vanno tenuti in dovuta
considerazione, anche perché –senza nulla togliere ad una lettura
personale degli scritti di Bauman– una lettura ‘esperta’ può fornire
qualche chiave di lettura. Uno sguardo panoramico sulla sua vastissima
produzione senza pregiudicare la libera lettura può servire ad
orientarsi e ad evitare il rischio di disperdersi in una produzione così
vasta. Per
quanto riguarda la scuola e l’educazione, alcuni pedagogisti italiani
hanno già cercato di analizzare il pensiero di Bauman per coglierne
spunti di riflessione utili per coloro che si occupano di problematiche
educative nel nostro tempo. Alba Porcheddu, ad esempio, (docente
all’Università La Sapienza di
Roma ), dopo aver pubblicato una lunga intervista con Bauman,
sull’educazione (Anicia, 2005), ha curato un’opera collettanea:
La crisi del soggetto nella modernità
liquida. Una nuova sfida per l’educazione,
Unicopli, Milano, 2006. Ma non si tratta di un caso isolato, perché le
analisi ‘sociologiche’ di Bauman interpellano fortemente educatori e
docenti che cercano di affrontare i problemi dell’educazione e della
formazione nella società complessa non con teorie ingenue ma con la
consapevolezza e la competenza di ‘professionisti riflessivi’.
Docenti ed educatori –e tutti coloro che
ambiscono ad un ruolo di ‘intellettuali’– possono inoltre trovare
senz’altro utile la lettura di un’opera di Bauman tradotta in Italia nel
2007 da Bollati e Boringhieri,
La decadenza degli intellettuali,
che nel titolo originale bene e meglio esprime il problema di fondo sul
quale egli vuole richiamare l’attenzione: il loro passaggio da
Legislators
a
Interpreters,
ossia lo scadimento del loro ruolo nella società
postmoderna.
Ma Bauman
forse si rivolge non ad un pubblico ristretto bensì aperto e vasto (1),
auspicando che gli
uomini e le donne del nostro tempo riescano a realizzare nei diversi
momenti della loro esistenza una sintesi virtuosa tra
individuo e
persona, com’egli li intende,
senza farsi schiacciare, anzi senza annullarsi, nello
sciame inquieto dei
consumatori. Lo studioso
polacco sa che non è facile oggi
assumere atteggiamenti e comportamenti
‘ appropriati’, tra
l’etica del lavoro e
l’estetica del consumo. Lo si
avverte chiaramente non solo in
Le sfide dell’etica (1996), ma anche in alcune opere degli ultimi
anni, come Homo consumens,
nel cui sottotitolo troviamo l’efficace metafora dello
sciame inquieto.
Ancora meglio in L’arte della
vita (2009) dove delinea
la scommessa ardita –per gli uomini contemporanei– di dare prova di
inventiva, creatività, riflessione e impegno personale tenace (per
decidere e riuscire ad agire di conseguenza) e quindi anche di capacità
di sofferenza, dolore e ricerca faticosa, continua e profonda. A ben
leggere anche negli ultimi scritti, alla fine, Bauman fa appello al
soggetto-uomo/donna del nostro tempo visto nella intersezione
individuo-persona, ovviamente senza
maschera. E non
è un fatto casuale. Anzi penso che sia un suo preciso modo di
considerare le funzioni e il ruolo della Sociologia. Nell’ambito di
polemiche insorte anche in ambito accademico, per il calo del numero di
iscritti ai corsi di laurea in sociologia, e di fronte ad accuse
malevole che gli rinfacciavano di fare analisi senza formulare proposte
conseguenti, Bauman si è difeso dichiarando apertamente che
‘
Il compito della sociologia è venire in
aiuto dell´individuo. Dobbiamo porci a servizio della libertà. È
qualcosa che abbiamo perso di vista’. Credo
che per queste ed altre considerazioni, il pensiero e le opere di Bauman
da alcuni anni sono oggetto di studio da parte di pedagogisti e uomini
di scuola alla ricerca non certo di ‘ricette’ ma di possibili orizzonti
di senso e di ancoraggi non superficiali al meglio della riflessione
sociologico-filosofica sul tempo presente, al fine di fondare e
impostare l’azione educativa su basi non illusorie e non arrendevoli ma
realistiche, progettuali, per un’azione –quella di educare e orientare i
comportamenti delle nuove generazioni– sempre più difficoltosa e sempre
a rischio; oggi più che mai.
Tra le poche ‘vie’
percorribili, Bauman a un certo punto ipotizza anche un "Empowerment",
che egli vede ed auspica come "capacità di compiere scelte ed agire
efficacemente in base alle scelte compiute". Anche se non è proprio
questo il compito del ‘sociologo’, egli getta così –come è stato notato─
un asse fra passato, presente e futuro,
legando le scelte in una sequenza
dove il tempo non è una trama "puntillistica" di attimi, ma una curva
evolutiva che solo la nostra volontà può inclinare verso l'alto o verso
il basso.
(1)
ad un pubblico ancora più vasto sembra rivolgersi con l’ultima sua opera:
Vite che non
possiamo
permetterci,
trad. it. di Marco Cupellaro, Laterza, 2001, in cui evidenzia in
particolare la
crisi del credito
che a molti è
apparsa come un ‘fallimento’ del
sistema bancario mentre in effetti è stato uno straordinario successo
mondiale delle banche che sono riuscite
‘ a
trasformare una grande maggioranza di uomini e donne, vecchi e giovani,
in una razza di debitori. Le banche hanno ottenuto quello che volevano:
una razza di eterni debitori che vive in una condizione di indebitamento
che si autoperpetua’.
E questo è accaduto per effetto di quei comportamenti indotti dalla
globalizzazione e dal consumismo di cui l’anziano sociologo, da anni, si
occupa con tagliente acume – non scevro da sottile
ironia.
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