COMPETENZE: CONOSCENZE, CAPACITÀ E ATTEGGIAMENTI
Umberto Tenuta
Si è universalmente d’accordo nel ritenere che il fondamentale compito della scuola è quello di promuovere la formazione dell’uomo, del cittadino e del lavoratore.
L’uomo non nasce già formato o preformato dal codice genetico. Mentre il pulcino è quasi perfetto già al momento della nascita, invece il cucciolo dell’uomo deve realizzare le sue caratteristiche umane. Come afferma Kant, <<La bestia è già resa perfetta dall'istinto... L'uomo invece... non possiede un istinto e deve quindi formulare da sé il piano del proprio modo di agire... La specie umana deve esprimere con le sue forze e da se stessa le doti proprie dell'umanità. Una generazione educa l'altra... L'uomo può diventare tale solo con l'educazione>> (1).
Oggi sembrano superate le concezioni innatistiche secondo le quali le istruzioni contenute nel codice genetico portano deterministicamente alla formazione dell’uomo: l’uomo nasce predeterminato dal suo codice genetico.
Si è invece propensi a ritenere che la personalità sia la risultante dell’interazione dei fattori genetici con le stimolazioni socioculturali: i geni contengono delle possibilità formative che assumono forme diverse a seconda delle stimolazioni socioculturali.
L’uomo non è solo natura ma è anche e soprattutto cultura. È la cultura che fa l’uomo, l’uomo di un determinato paese, di una determinata religione, di un determinato orientamento ideologico, culturale, sociale, politico.
Tuttavia, ciò che maggiormente importa è precisare in che cosa consiste l’uomo.
L’uomo è l’insieme delle sue conoscenze, dei suoi saperi? Basta sapere come si fa per agire in un determinato modo? Basta conoscere le regole del gioco per saper giocare? Basta conoscere la teoria del nuoto per saper nuotare? Basta conoscere la teoria della guida per vincere i rally?
O, più semplicemente, basta conoscere la metrica e la prosodia per comporre la Divina Commedia? Basta conoscere le note, il pentagramma, le chiavi di sol e di violino per comporre le 9 sinfonie di Bethoven?
Non sembra che sia così.
Le conoscenze sono necessarie, indispensabili, imprescindibili, ma non bastano.
Occorrono le capacità.
Occorre acquisire la capacità di nuotare. L’atleta ha imparato le regole ma soprattutto ha acquisito le capacità che gli consentono di nuotare.
Specificamente, per quanto attiene ai compiti della scuola, da diversi decenni si va affermando che ciò che importa non è tanto il possesso delle conoscenze quanto l’acquisizione della capacità di imparare.
Il compito della scuola non è tanto quello di fare acquisire le conoscenze quanto di far acquisire la capacità.
In tal senso, nel RAS si precisa che <<Il Ministro della pubblica
istruzione… definisce …a) gli obiettivi generali del processo formativo;
b) gli obiettivi specifici di apprendimento relativi alle competenze degli
alunni>> e che << le istituzioni scolastiche possono
contribuire a definire gli obiettivi specifici di apprendimento di cui
all'articolo 8 riorganizzando i propri percorsi didattici secondo modalità
fondate su obiettivi formativi e competenze>>.
Gli obiettivi formativi sono espressi in termini di <<competenze>>.
Tale esigenza nasce da due considerazioni.
Da una parte, la rapida obsolescenza delle conoscenze impedisce di stabilire in anticipo quelle che saranno le nuove conoscenze, per cui occorre acquisire la capacità di imparare le sempre nuove conoscenze che si affacceranno all’orizzonte.
Dall’altra, occorre prendere consapevolezza che l’acquisizione delle conoscenze avviene sempre più fuori della scuola, attraverso i mass media e soprattutto attraverso Internet.
La scuola va perdendo sempre più il primato della trasmissione del sapere.
Peraltro, esistono altre motivazioni che portano a privilegiare il ruolo formativo della scuola, non solo sul piano cognitivo, ma anche sul piano motorio, affettivo, sociale ecc.
L’uomo non nasce con le capacità e non le sviluppa deterministicamente. Il processo di formazione della personalità non è la risultante di un processo di mero sviluppo, venir fuori, emergere di capacità. Tutte le capacità che costituiscono l’uomo, da quelle cognitive a quelle linguistiche, matematiche, musicali, sociali ecc. si formano, e si formano solo se vengono stimolate, promosse, sorrette nei lro processi di formazione. Il bambino acquisisce la capacità di camminare se vive in mezzo a persone che camminano; il bambino acquisisce la capacità di parlare se vive in mezzo a persone che parlano…
Le capacità non sono innate e non sono preformate ma si formano solo se sono adeguatamente promosse.
È necessaria l’azione formativa. Occorre promuovere, favorire, agevolare la formazione delle capacità.
In tal senso nel Regolamento dell’autonomia scolastica prevale la prospettiva formativa della scuola: la scuola dell’autonomia ha carattere preminentemente formativo.
Esplicitamente nel Regolamento dell’autonomia scolastica si afferma che gli obiettivi che la scuola dell’autonomia deve perseguire sono obiettivi formativi, cioè <<competenze>>: <<obiettivi specifici di apprendimento relativi alle competenze degli alunni>> .
Importano non tanto le conoscenze quanto le competenze.
In tale prospettiva, si aspettavano chiari e precisi orientamenti sin dal momento in cui si è avviato il discorso sui contenuti essenziali della scuola dell’autonomia. Si aspettava che anziché il sapere, le conoscenze essenziali, si fossero privilegiate le capacità, le competenze essenziali: non solo la conoscenza del teorema di Pitagora, ma la capacità di utilizzarlo; non tanto la conoscenza delle simmetrie quanto la capacità di costruirle, di vederle, di riconoscerle; non tanto la conoscenza delle regole grammaticali e sintattiche quanto la capacità di utilizzarle concretamente.
Non è stato proprio così! Ancora una volta è prevalsa la logica illuministica delle nozioni, del sapere, delle conoscenze. L’enciclopedia ha prevalso sulla testa ben fatta (2).
Ci si aspettava il Syllabus degli obiettivi formativi, cioè delle <<competenze>> (abilità, capacità), ma non sempre nella Bozza dei Nuovi Curricoli ¾ Indirizzi per l’attuazione del curricolo si ritrovano le capacità.
Occorre perciò ribadire, precisare con forza che la scuola dell’autonomia ha preminente carattere formativo, che essa mira non tanto all’acquisizione delle conoscenze quanto a promuovere la formazione della capacità di utilizzarle. Nella scuola occorre privilegiare le capacità sulle conoscenze.
Ma non bastano nemmeno le capacità.
Sarebbe certamente un passo innanzi se la scuola abbandonasse la prospettiva nozionistica che ancora la pervade e la rende anacronistica, inadeguata alle esigenze di una civiltà in rapida trasformazione, alle esigenze di una società democratica che ha bisogno dell’educazione delle nuove generazioni, oltre che della loro istruzione.
E tuttavia le capacità non bastano.
Non basta acquisire le capacità per impegnarsi ad utilizzarle.
Non basta saper leggere per ritrovarsi impegnati a leggere. Non basta saper risolvere i problemi per ritrovarsi impegnati nelle attività matematiche, non basta saper danzare per ritrovarsi nelle sale da ballo.
L’uomo, prima che sapiens e prima che habilis, è patiens (3).
Qualunque cosa faccia, l’uomo è mosso da qualche amore. Come scrive il Bastien, <<il maestro deve rivolgersi anche all’affettività dell’allievo, poiché non esiste attività senza amore. S. Tommaso così si esprime: <<Ogni essere che agisce, agisce per un fine. Ora, per ogni essere, il fine è il bene che si desidera e si ama. Da ciò è manifesto che ogni essere che agisce, qualunque sia questo essere, compie ogni sua azione, qualunque sia questa sua azione, mosso da qualche amore>> (4).
Le conoscenza motorie e le abilità motorie non bastano per vincere le maratone. Non basta conoscere le regole degli scacchi e non bastano le competenze scacchistiche per vincere i campionati. Non bastano le conoscenze e le competenze finanziarie per diventare capitani d’industria.
La pedagogia aziendale ha già compreso che prima delle conoscenze e delle competenze vengono le motivazioni, gli atteggiamenti. Come scrive Goleman, <<La nuova misura di eccellenza dà per scontato il possesso di capacità intellettuali e di conoscenze tecniche sufficienti a svolgere il nostro lavoro. Invece, punta principalmente su qualità personali come l’iniziativa e l’empatia, la capacità di adattarsi e di essere persuasivi>> (5).
Al primo posto occorre porre le motivazioni, gli interessi, gli atteggiamenti (6).
Come si diceva nei Programmi didattici del 1955, <<scopo essenziale della scuola non è tanto quello di impartire un complesso determinato di nozioni, quanto di comunicare al fanciullo la gioia ed il gusto di imparare e di fare da sé, perché ne conservi l'abito oltre i confini della scuola, per tutta la vita>>.
Peraltro, anche nel Documento dei saggi sui saperi essenziali si ritrovano alcune affermazioni in tale prospettiva (<<Ma la lettura va intesa e sollecitata anche come emozione immediata e bisogno-piacere inesauribile… Sembra essenziale, a questo riguardo, che bambini e ragazzi non perdano il piacere del matematizzare>>).
La scuola stenta a passare dalla logica delle conoscenze alla logica delle competenze, ma sembra addirittura refrattaria a fare spazio alle motivazioni intrinseche, a scoprire la sua autentica vocazione, a ritornare alle sue origini, che sono quelle della filosofia (amore del sapere), dello studio (studium=amore, passione), della profonda radice affettiva della passione conoscitiva dell’uomo testimoniata dal mito di Prometeo. L’uomo è espressione della sua povertà, che lo ha spinto a conoscere, ad avventurarsi lungo le strade del mondo, perché <<nati non foste a vivere come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza…>>.
Nasce curioso il bambino, desideroso di apprendere, di imparare, di formarsi, di divenire abile. Hodkin parla di curiosità innata(7). Il bambino, sin dal momento della nascita, è portato, spinto, orientato a conoscere. Il bambino è portato ad imparare a parlare, a correre, ad osservare, a capire, a comprendere. Si parla di un’età dei perché.
Assieme agli organi, il bambino porta la spinta ad esercitarli, ad imparare ad utilizzarli.
Bruner parla non solo di curiosità, ma anche di bisogno di competenza. Chi non aspira a diventare competente? A chi non piace sentirsi dire: <<sei bravo>>!
Il riconoscimento della bravura costituisce la più forte motivazione. Che altro sono i voti se no lo strumento per motivare gli alunni facendo leva sul loro naturale bisogno di diventare bravi, competenti, esperti?
Eppure la scuola non si propone esplicitamente di coltivare le motivazioni, gli atteggiamenti, gli interessi apprenditivi e formativi, malgrado gli ammonimenti del Rousseau, il quale, dovendo insegnare a leggere, si limita a far nascere in Emilio il bisogno di leggere, poiché un grande pedagogista si occupa delle motivazioni, più che dei metodi di insegnamento.
Ma quanto oggi è presente questo obiettivo formativo nell’azione educativa e didattica, nei processi di insegnamento volti a far apprendere a leggere, a scrivere, a far di conto, a far acquisire le conoscenze e le competenze linguistiche, storiche, geografiche, scientifiche?
Si è detto che si privilegia l’acquisizione delle conoscenze, ma anche quando si fa spazio all’acquisizione delle competenze si dimentica che al primo posto debbono stare gli atteggiamenti.
Malgrado tutti i discorsi sulla motivazione, in effetti la motivazione non stia né al primo né al secondo posto negli obiettivi che la scuola si propone di perseguire.
Il POF indica le conoscenze, indica le competenze, ma non indica gli atteggiamenti.
Eppure, la consapevolezza dell’importanza degli atteggiamenti come precisi obiettivi formativi da perseguire esplicitamente va maturando sempre più. Nelle trattazioni pedagogiche e didattiche ricorre sempre più il termine atteggiamenti.
Si è detto del Documento dei saggi sui saperi essenziali, ma è soprattutto nella Bozza dei Nuovi Curricoli ¾ Indirizzi per l’attuazione del curricolo che il discorso sugli atteggiamenti ha preso corpo. Il termine atteggiamenti ricorre decine di volte per indicare precisi obiettivi formativi da perseguire relativamente alle diverse discipline.
Forse occorre fare un discorso più esplicito. Occorre chiarire, precisare, affermare con forza che gli obiettivi formativi che la scuola deve perseguire sono costituiti dalle conoscenze essenziali, dalle capacità e soprattutto dagli atteggiamenti.
In ogni processo formativo ed apprenditivo occorre esplicitamente proporsi l’acquisizione di conoscenze essenziali, di capacità e di atteggiamenti. Occorre proporsi che i bambini acquisiscano la conoscenza della sequenza numerica verbale, ma occorre proporsi che essi apprendano soprattutto la capacità di contare e soprattutto occorre proporsi che essi maturino un atteggiamento che li porti a contare: a contare i giocattoli, le penne, i compagni, gli alberi, i fiori, le rondini, le farfalle…
In Lettera ad una professoressa, Don Milani diceva: <<agli svogliati date uno scopo>>.
La dispersione scolastica, l’insuccesso scolastico e la scarso profitto si combattono soprattutto sul piano delle motivazioni.
L’apprendimento non può essere imposto. Come afferma il Freinet, si può portare il cavallo alla fonte e fischiare quanto si vuole, ma se il cavallo non vuole bere, non beve (8).
Anche se fosse possibile, non sarebbe utile costringere gli alunni a studiare per tutta la durata del corso di studi. Nella prospettiva dell’educazione permanente, ciò che importa è soprattutto fare nascere il bisogno di imparare, <<la gioia ed il gusto di imparare e di fare da sé, perché ne conservi l'abito oltre i confini della scuola, per tutta la vita>>.
Ogni docente, entrando in aula non deve domandarsi tanto che cosa deve insegnare, quanto quali sono le capacità che gli alunni debbono apprendere e soprattutto quali sono gli atteggiamenti che egli deve suscitare nei singoli alunni.
Forse questa è la chiave di volta della riforma della scuola.
Gli obiettivi formativi essenziali, fondamentali, primari che la scuola deve impegnarsi a perseguire sono costituiti, non tanto dalle conoscenze e dalle competenze, quanto dagli atteggiamenti che gli alunni debbono maturare relativamente alle singole discipline e quindi nei confronti della scuola, non più percepita come luogo della pena di imparare, quanto come occasione per soddisfare i loro bisogni di conoscere, di formarsi, di crescere, di autorealizzarsi.
Occorre restituire ai giovani, a tutti i giovani, la gioia di imparare.
È questa la più importante ed urgente riforma della scuola.
Le altre riforme possono aspettare.
Note
KANT E., Pedagogia, O.D.C.U., Rimini, 1953, pp.25-27.1
2 MORIN E., La testa ben fatta – Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2000
3 In merito cfr. TENUTA U., I contenuti essenziali per la formazione di base: homo patiens, habilis, sapiens, in RIVISTA DELL’ISTRUZIONE, MAGGIOLI, RIMINI, 1998, N. 5.
4 Bastien H., Psicologia dell’apprendimento, La Scuola, Brescia, 1954, p. 102.
5 GOLEMAN D., Lavorare con l’intelligenza emotiva, come inventare un nuovo rapporto con il lavoro, RIZZOLI, MILANO, 2000, p. 13.
6 In merito cfr. TIRITICCO M., Valutazione degli apprendimenti e certificazione delle competenze, in IL DIRIGENTE SCOLASTICO, ROMA, Luglio-agosto 2000, pp. 41ss.
7 HODKIN R.A., La curiosità innata - Nuove prospettive dell'educazione, Armando, Roma, 1978.
8 FREINET C., I detti di Matteo, La Nuova Italia, Firenze, 1962