L’eredità educativa del Novecento (1)
di Angelo Gaudio (2)
Il secolo che volge al termine ci lascia certamente anche una serie di eredità in ambito, o forse sarebbe meglio dire dal punto di vista, educativo dal punto di vista delle idee sull'educazione e da quello della realtà educative. Come tutte le eredità che si rispettino essa comprende crediti, le cose fatte e/o pensate, e debiti, le cose da fare e, si spera, anche da pensare.
Dal punto di vista delle idee è stato il secolo durante il quale la scoperta del fanciullo si è tradotta da intuizione (quale era stata a partire da Rousseau) in idee specifiche sullo sviluppo psico-fisico e in sensibilità corrente. Il movimento delle scuole nuove, basato sui principi dell'attivismo, si sviluppa principalmente in Belgio, Svizzera ed Inghilterra.Le sue basi teoriche sono basate sull'idea (ispirata dal pensiero del Roussseau) di una pedagogia centrata sul discente e basata su studi di carattere medico e psicologico sullo sviluppo psico-fisico del fanciullo. Si tratta di esperienze nate in contesti privati e volontari di elite, importanti sul piano scientifico e teorico ma con ricadute relativamente ridotte sulla realtà di una scuola di massa che ben difficilmente può avere quelle caratteristiche di laboratorio scientifico in cui tali teorie si sono sviluppate.Tali elaborazioni sono state particolarmente sviluppate dalla tradizione accademica di Ginevra sviluppatasi a partire da Edouard Claparède (1873-1940) fino a Jean Piaget (1896-1980) che ha anche una importante proiezione istituzionale nel Bureau International de l'Education che è diventato una istituzione nell'ambito dell'UNESCO. Nello stesso ambito ma con una maggiore rapporto con esperienze locali di curricoli scolastici è il movimento educativo americano che trova le sue fondazioni sul piano teorico con la tradizione iniziata da John Dewey (1859-1952) con la concezione della educazione come strumento di socializzazione e la teorizzazione sulla sua funzionalità ad una società democratica e la relativa svalutazione del carattere accademico e libresco della scuola. Tale orientamento appare anche come una razionalizzazione alta delle caratteristiche della high school americana che è relativamente informale perché non deve produrre credenziali accademiche aventi un valore legale rigido. L'insistenza sulla necessità di motivare lo studente è ovviamente uno strumento ed un'esigenza sempre riaffermata e mai pienamente raggiunta.
L'importanza dell'attivismo sta anche nei tentativi di sintesi compiuti tra alcune sue esigenze e tradizioni di pensiero differenti come l'idealismo (come in Giuseppe Lombardo Radice (1879-1938) e in Ernesto Codignola (1885-1965), il marxismo (come in Anton Semenovic Makarenko (1888-1939) e in Antonio Gramsci (1891-1937) e il personalismo cristiano (come in Michel Eugène Devaud (1876-1942) e Gesualdo Nosengo (1906-1968).
Il pensiero pedagogico pedagogico della seconda metà del secolo è segnato sul versante filosofico dall'influsso della cultura "postmoderna" (e quindi dalla fine delle certezze sul soggetto educatore ed educando) e dalla tentazione tecnocratica di ridurre l'educazione a funzione di un sistema le cui finalità siano decise in ultima analisi dal mercato.
Si è parlato del Novecento come del "Secolo della scuola". La definizione è efficace se si ricorda che appunto solo nel 900 la scuola è divenuta, di fatto e di diritto, una realtà di tutti e per tutti dapprima a livello primario e poi anche a livello secondario, almeno nei paesi economicamente sviluppati. L’alfabetizzazione è un processo in via di completamento in alcune aree del terzo mondo, anche se le relative certezze che si hanno per aree politicamente stabili e realmente "in via di sviluppo" come l’India sono solo speranze per aree politicamente molto instabili e solo sulla carta "in via di sviluppo" come alcune zone dell’Africa. I sistemi scolastici hanno comunque tutti problemi di adattamento alle mutate situazioni e ormai è diffusa la consapevolezza che non esiste una riforma "definitiva" o una soluzione ottimale, pur in presenza di problemi analoghi. I problemi reali sono ovviamente particolari anche se la loro risoluzione non può essere mai ridotta ad un fatto tecnico ma è sempre una questione profondamente politica che è legata anche a scelte di allocazione di risorse materiali ed umane. L'istruzione primaria è compiutamente diventata da "scuola per il popolo" a primo livello di una "scuola per tutti", mentre il concetto di alfabetizzazione si è esteso anche per la crescente delega alla scuola di "competenze" che precedentemente venivano acquisite nella famiglia e/o nel gruppo dei pari. La istruzione secondaria deve diventare, non solo essere dal punto di vista quantitativo, una scuola per tutti come lo è da molto tempo l'istruzione primaria. Molto più aperta ed opinabile è la questione di dove collocare la soglia di differenziazione dei diversi percorsi culturali e/o professionali. E' ormai senso comune che buona parte del curricolo debba essere comune ma è aperta la questione di quale comprensività, cioè della scelta, inevitabilmente politica, dei contenuti minimi del curricolo di cultura generale.
La dimensione della professionalizzazione si situa nel nesso tra istruzione secondaria e istruzione terziaria. Il caso tedesco, con la presenza di un forte legame tra canale professionale della scuola e apprendistato "sul campo" è un modello che probabilmente potrebbe essere tenuto presente, anche se probabilmente a livello terziario.
La istruzione terziaria, che non vuol dire solo e necessariamente università, si dibatte nei due nessi tra formazione generale e formazione professionale (per gli studenti) e tra didattica e ricerca (per i docenti).
Due questioni trasversali da ricordare sono l'uso e l'approccio verso i media (strumenti e/o incorporanti una "Cultura"?) e la globalizzazione (quale?) che va insegnata e in qualche modo vissuta anche in educazione. La questione docente è insieme un problema di qualità e di quantità. Mentre la quantità è in definitiva una questione economica (basta dare ai docenti stipendi adeguati per far sì che ce ne siano quanti ne servono). Le ragioni economiche del mercato del lavoro si scontrano con i meccanismi decisionali dell'allocazione delle risorse pubbliche. Qualunque politico dirà che l'educazione è molto importante, ma solo alcuni saranno disponibili a dirsi favorevoli ad una maggiore spesa pubblica per l'istruzione. Allo stesso modo il cittadino-contribuente non facilmente sarà disponibile a pagare più tasse per un servizio che è percepito come particolare perché destinato in genere ad una fascia di età della popolazione, quella giovanile, che tra l'altro nei paesi sviluppati è percentualmente in diminuzione.
Da un punto di vista qualitativo bisogna decidere in quale misura il docente debba avere un ruolo specifico, divenendo in buona sostanza un istruttore che si serve di certi metodi e di certe tecnologie e tendenzialmente è addirittura sostituibile con delle macchine, o un ruolo globale e complesso di educatore.
Si tratta di consapevolezze psico-pedagogiche che sono cosa non sempre coincidente con la loro concreta utilizzabilità che è una questione variabile nei diversi contesti. Come è evidente si tratta di problemi che riguardano l’umanità e, come tali, interrogano in modo eminente la coscienza di tutti quei cattolici che sono impegnati, a qualsiasi livello, nella difficile professione dell’educatore.
Anche il magistero ecclesiastico ha maturato in modo esplicito nel corso del secolo una consapevolezza più esplicita e particolare dell'importanza delle questioni educative. La rivendicazione del ruolo educativo della Chiesa era già largamente presente nel magistero sociale dell'ultimo scorcio del diciannovesimo secolo, ma con toni difensivi di fronte a stati spesso governati da elites laiciste. La prima enciclica dedicata specificamente all'educazione, la "Divini illius magistri del 1929, ha come impliciti interlocutori in negativo gli stati totalitari, ma anche la pedagogia genericamente definibile come attivistica, nelle sue diverse matrici idealiste o pragmatiste, ed è anche un documento in positivo nella misura in cui stimola lo sviluppo di una riflessione pedagogica cristianamente ispirata che ravvivi quella prassi educativa e pastorale che aveva conosciuto a partire dall'Ottocento una grande fioritura di nuove congregazioni religiose che avevano segnato una nuova importante tappa almeno nei fatti diversa da quella iniziata nell'età della riforma cattolica. Il Concilio Vaticano II dedica all'educazione una dichiarazione, la Gravissimum educationis del 1965, che probabilmente non è uno dei documenti più innovativi del magistero conciliare, collocandosi in una linea di prevalente continuità, mentre il più recente magistero si è spesso soffermato su questioni importanti, ma particolari, come le scuole cattoliche o l'insegnamento scolastico della religione, mentre il rapporto tra il magistero e la riflessione pedagogica non sempre è così vivo e fecondo come potrebbe essere.
(1) Professore associato di Educazione comparata - Università degli studi di Udine
(2) in "Proposta educativa del Movimento di Impegno Educativo di A. C.", a. VIII, n. 2, maggio-agosto 1999, 29-31