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NEL SEGNO
DI FEDERICO II: CULTURA CORTESE E PENSIERO SCIENTIFICO NELLA MARCA
GIOIOSA Piero
Morpurgo
Percorsi
introduttivi alla mostra su Gli Ezzelini e l’Europa Signori
della Marca nell’Impero di Federico II (Bassano del Grappa 16
settembre 2001 –6 gennaio 2002 http://www.ezzelini.it)
Lo spazio
astrale Nel clima
nebbioso d’ Inghilterra apparve dalle nuvole l’ancora di una
nave, la quale dopo aver girato intorno sette volte rimase
agganciata sotto un mucchio di pietre. Spaventata la
gente si mise a gridare e notò
la corda muoversi come se qualcuno stesse tentando liberare l’ancora.
Però, malgrado tutti gli sforzi, l’ancora non cedette, allora
nell’aria densa si udì una voce simile al grido dei nostri
marinai quando chiamano l’ancora impigliata. A questo punto i
navigatori volanti mandarono uno di loro che scese lungo la fune.
Tuttavia il marinaio ‘extraterrestre’, quando aveva già
liberato l’ancora, fu afferrato dai presenti e malmenato. Il
poveretto morì soffocato dalla nebbia e dalla nostra umida
atmosfera. Allora sembra che i marinai celesti si misero a discutere
della sorte del loro compagno disperso e dopo un’ora tagliarono la
fune e vogarono via. Così
Gervasio di Tilbury riferì -nel 1214- (Otia Imperialia, Decisio
I, cap. 13 http://home.t-online.de/home/03581413454/home1.htm),
dell’ arrivo di una misteriosa “nave celeste” e del linciaggio
di uno dei suoi occupanti da parte della folla. La “nave celeste”
sarebbe giunta sulla Terra proprio navigando in quelle acque
sovracelesti immaginate per attenuare l’intenso calore degli
attriti delle sfere planetarie che ruotavano nel Cosmo, acque di cui
però un funzionario imperiale come Goffredo da Viterbo già nel
secolo XII negava l’esistenza
[1]
. La
disavventura del naufrago celeste testimonia con efficacia quanto
ampio fosse il sistema di relazioni che, nel Medioevo, legava la
Terra al Cielo e l’Uomo al Cosmo. Tutti questi rapporti
condizionavano i destini della vita dell’uomo e degli stati;
pertanto era necessario scrutare gli astri sia per studiarne
matematicamente i movimenti sia per divinare il futuro. Gli ampi
orizzonti della scienza medioevale sono ben rapprentati dalle
leggende che assegnavano all’astrolabio sia la proprietà di
fissare correttamente l’altezza di un pianeta a una determinata
latitudine sia la capacità di inviare ordini ai demoni celesti
[2]
. Dai
prodigi celesti alle gioie terrestri La vasta
dimensione, mentale e fisica, dello spazio appare dal
racconto tramandato dagli Otia Imperialia
che trasmette l’intensità della curiosità scientifica di
un Medioevo connotato da dimensioni cartografiche estremamente ampie
e dalla convinzione dell’esistenza di esseri dalle forme più
diverse come testimoniato dai Bestiari e dalle stessa
rappresentazioni che figurano sul mappamondo di Ebstorf attribuito
proprio a Gervasio di Tilbury. Altrettanto
risulta in analoghe elaborazioni geografiche e tra queste la carta
del Salterio di Londra,
(British
Library, ms. Add. 28681), come il
mappamondo di Hereford, la tavola Peutingeriana, l’Atlante di
Andrea Bianco del 1436, (Venezia, BN Marciana ms.
It. Z, 76 = 4783, f. 10) offrono le dimensioni di uno spazio del
Veneto ove quando appaiono Verona, Padova, Venezia, Aquileia sono
rappresentate come parte di un contesto unitario caratterizzato
dalla immensità dell’Adige. Entro questi contorni cartografici si
colloca la Marca amorosa. http://home.t-online.de/home/henkaipan/mundus.htm
http://perso.wanadoo.fr/chateaubriand/gibert.htm
http://www.tin.it/veniva/venetie/sources/fsource.htm
Di questa Terra l’anonimo
autore dell’Entrée d’Espagne
quando si riferisce alla Marca trevigiana
[3]
la definisce appunto terra gioiosa. In questo poema
franco-italiano del ‘300, l’espressione
joiose, in associazione
con l’attributo cortois,
qualificava il vasto territorio della pianura padana orientale,
comprendente le principali città della terraferma veneta, come
luogo privilegiato della vita cortese e cavalleresca “in cui tra
le insidie e le guerre fiorivano le feste e i tornei” accompagnati
dalla “poesia trobadorica”
[4]
. E ‘Giocosa’
si chiamava la casa di Mantova dove nel 1423 Vittorino da Feltre
insegnava ai figli di Gianfrancesco Gonzaga, ‘giocosa’ perchè
in quel luogo si studiava e si giocava e perchè alle pareti vi
erano dipinti giovani intenti al gioco
[5]
che trasmettevano quella stessa gioia che si rileva nell’osservare
i ragazzi che si tirano le palle di neve negli affreschi della Torre
dell’Aquila di Trento
[6]
. Tirannia e cortesia nelle città della MarcaLa tradizione del
nome felice che designava la Marca Trevigiana si inserì anche nei
testi di mago Merlino che profetizzerà: “la Marca
amorosa diventerà dolorosa e Lombardia e Romagna e Toscana ne
sentirà e saranno altresì dolorose, ivi appresso che la Marca il
suo nome arà cambiato d’amorosa in dolorosa /.../ la Marca
amorosa arà uno sì malvagio signore che sarà temuto dalla gente
come una folgora. E sotto la sua
signoria non potrà lo padre parlare allo figliuolo né l’uno
fratello all’altro per paura della morte: ma egli arà una usanza
buona che egli non vorrà in suo’ terre né ladri né traditori
... della sua superbia parlerà tutta Italia e ognuno lo temerà ...
”.
[7]
Non
a caso, in questo contesto, risalta un manoscritto del Roman de
Merlin (Parigi, B.N., fr. 15211) ‘visitato’ a Padova dal
Petrarca. Immagini
efficaci di affreschi, di cronisti, di testi scientifici e letterari
così come di una vasta trattatistica giuridica, che confermano l’idea
di queste contrade gioiose espressione che è entrata persino nella
toponomastica veneta. Tutta la
Marca appare pervasa da un ideale armonico della vita delle città e
degli uomini che si enuclea negli statuti di Treviso del 1313
[8]
dove in una premessa si sostiene che la concordia
et unitas animorum dei cittadini è una disposizione che dovrà
corrispondere ai criteri musicali dell’ armonia canora. E’
Treviso quella città dove ogni anno si svolgevano le battaglie del
Castel d’Amore
[9]
che -nel
1214- degenerò in una piccola guerra di Troia. Generalmente si
trattava di un appuntamento ludico che vedeva affrontarsi
gentiluomini e dame. Per quell’incontro si costruì un finto
castello nel quale si fecero prender posto le fanciulle, la
struttura era dotata di difese ‘cortesi’: ornamenti d’ogni
genere, drappi e baldacchini. Dal loro canto gli assedianti si
servirono di proiettili altrettanto ‘gentili’: datteri,
frittelle, fiale di balsamo e ogni genere di fiori
[10]
. Ma in quell’anno la rivalità tra padovani e
veneziani degenerò e il gioco licenzioso portò a un vero e proprio
confronto armato
[11]
. Non
sempre i giochi erano gradevoli. Alcuni di questi
divertimenti assunsero il carattere di una vera e propria danza
macabra come quando Alberico da Romano –nel 1250- fece impiccare
25 persone e per far divertire i presenti costrinse trenta donne (le
mogli, le madri, le sorelle e le figlie dei condannati) a
passeggiare seminude tra le gambe degli impiccati
[12]
. Le
fonti letterarie, al di là delle aspre note di frà Salimbene,
sottolineano che la Marca è terra di gran diletti come cantava
Niccolò de’ Rossi nel sec. XIV
[13]
e così Fazio degli Uberti nel Dittamondo: “Noi
trovammo Trevigi, nel cammino, / che di chiare fontane tutta
ride/
e
del piacer d'amor, che quivi è fino”
[14]
,
ma è terra in cui, per Petrarca, “la bella contrada di Trevigi
/ Ha le piaghe ancor fresche d'Azzolino”
[15]
, si tratta del ... “ gran Lupo rapace, / crudel
Tiranno, Azzolin di Romano, / il quale ancora a tutta gente
spiace...”
[16]
. Il
tiranno era un personaggio che tuttavia indulgeva ai piaceri della
vita cortese tanto che nel Novellino si legge che: Messere
Azzolino di Romano avea un suo favolatore, al / quale facea
favolare la notte quando erano le notti grandi / di verno”. Una
sera però il cantastorie era stanco e cercò di evitare il compito
raccontando di un
gregge che si trovava a un guado e quando, preso dal sonno, poi si
interruppe “e non dicea più. Messere Azzolino /
disse:
/ “Andè oltra”. / E 'l
favolatore disse: / “Messere, lasciate passare le
pecore, poi conteremo il fatto”
[17]
. L’imitazione dei cicli epiciPer comprendere a
cultura delle corti del ‘200 occorre apprezzare quella mentalità
fatta di immagini poetiche e architettoniche con cui ci si dilettò
ad imitare e a riprodurre eventi della Storia reinterpretati spesso
con la mediazione dei cicli epici http://www.lib.rochester.edu/camelot/mainmenu.htm
. La Chanson de
Roland come le imprese dei cavalieri della Tavola Rotonda furono
e sono libri affascinanti che furono letti e rappresentati anche
nella Marca:le tracce di questa pittura laica sopravvivono nei cicli
pittorici della chiesa di Sesto al Reghena
(Pordenone),http://progetti.webscuola.tin.it/multilab/udin04/visite/sesto/abbazia.html#CHIESA
negli affreschi di Treviso (Museo Civico) così come in molti
castelli dell’Italia settentrionale. Spiccano tra
queste raffigurazioni artistiche e letterarie: Castel Rodengo
(Merano) con il ciclo di Ivano e Castel Roncolo (Bolzano) quest’ultimo
costruito anche in forza di un instrumentum del notaio
imperiale di Federico II; nelle sale del castello appaiono sia i
cicli epici con le rappresentazioni di Carlo Magno e Artù e
Tristano sia la descrizione dei giochi con la palla e dei tornei
come le scene con musicanti) e falconieri
[18]
http://www.comune.bolzano.it/roncolo/ie/storia.htm
. Altrettanto
efficaci sono i cicli figurativi con le storie dei cavalieri della
Tavola Rotonda nel castello di Frugarolo (Alessandria) ove c’è un
re Artù che istruisce all’arte della falconeria http://www.deagostini.it/dea/arte/artu.html
[19]
. Cicli questi
ripresi anche dalla tradizione manoscritta arturiana così ben
appare dal manoscritto di Yale 229 riccamente miniato: http://inky.library.yale.edu/ARTHUR/IMAGES/Z4410021.JPG
[20]
.
In tutte
queste rappresentazioni risultano ricorrenti le immagini
naturalistiche, la presenza di scene cortesi; frequentissime le
immagini di falconieri che fanno in modo che si possa rappresentare
un contesto unitario della vita cortese che ben si lega all’affresco
bassanese di Palazzo Finco ove si notano:
un giullare con la viella, un giovane misterioso, un Federico
II che offre sorridente una rosa a una dama, verosimilmente la
regina Isabella, che guanto da caccia sorregge un falco. In poche
immagini vi è la sintesi del pensiero politico e scientifico del
secolo XIII. Infatti la cultura medioevale si caratterizzò proprio
per il vicendevole intrecciò di discipline: i poeti dovevan sapere
di scienza così come i giuristi non potevano esimersi dal conoscere
la poesia. E’ un mondo del pensiero estremamente interdipendente e
lontano da ogni settorializzazione ove poesia, scienza e politica si
mescolano fra loro. Poesia e
filosofia esaltano le virtù dell’uomo sapiente Questo
intersecarsi di interesse risulta bene da un manoscritto che
generalmente viene studiato come se i due testi rilegati assieme
fossero stati uniti per caso; un chiaro esempio della unitarietà
della cultura medievale è rappresentato
dal ms. oxoniense della Bodleian Library, Digby 23 che
presenta due opere distinte: il commento di Calcidio al Timeo
e la Chanson de Roland. http://image.ox.ac.uk/show?collection=bodleian&manuscript=msdigby23a
http://image.ox.ac.uk/show?collection=bodleian&manuscript=msdigby23b Testi per noi
diversi accomunati già nel sec. XIII da un unico intento dal
legatore ed evidentemente dal lettore perchè, come recita una
chiosa, in quodam libro in Timeo exortabatur homines ad virtutem (c.
3rA). Si intende evidentemente accostare uella stessa armonia che
pervadeva corpi celesti ed elementi caratterizzava anche le gesta di
Orlando giacché gli astri influiscono sulle virtù dei cavalieri e
gioiscono o patiscono quando il paladino vince o soffre. E difatti
nella Chanson con ‘il
Sole fu bello’ si segnala la disposizione di Dio a tutelare i
cavalieri, si indica dove sta il diritto e dove la ragione; ma
quando Orlando muore ‘A mezzogiorno vi sono grandi tenebre: /
non v’è chiarore, se il cielo non si fende’ e tutto è
accompagnato dai rumori degli uragani e dei terremoti che indicano
la fine del mondo. L’intreccio
tra cultura scientifica e letteraria è testimoniato da numerosi
manoscritti che circolarono in area patavina e questo dato è
rafforzato dalla presenza di poeti della Marca come Uc de saint Circ
che avevano studiato a Montpellier, città universitaria nota per
gli studi di medicina, mentre Sordello da Goito migrò verso la
Provenza dopo il suo soggiorno nella Marca
[21]
. E che la cultura cortese fosse fondata su di un mescolarsi di discipline è ben testimoniato proprio da Galvano, cavaliere di re Artù. Infatti dell’eroe si racconta che “sapeva meglio di chiunque altro guarire le piaghe”. E quando si accorse di un cavaliere ferito “Vede in una siepe un’erba molto efficace contro i dolori da ferita, va e la coglie”. Poi si avvicina alla damigella disperata e solo dopo aver constato che “il polso è buono, che la bocca e la gota non sono troppo fredde” dice: “Questo
cavaliere, damigella, è vivo, siatene certa: ha buon polso e buon
respiro e le sue piaghe non l’uccideranno. Ho portato un’erba da
cui avrà beneficio, credo, che diminuirà i suoi dolori appena l’avrà
sentita. Non v’è erba migliore per medicare le ferite. I libri dicono
ch’essa ha tanta forza che se la si legasse alla corteccia di un
albero molto vecchio, ma non ancora del tutto disseccato, le radici
riprenderebbero vita e l’albero diverrebbe sì sano che sarebbe
tutto coperto di foglie e fiori”
[22]
. http://www.uottawa.ca/academic/arts/lfa/activites/textes/perceval/cgrpres.htm
La ‘ricostruzione’ della Natura
Dunque
Galvano non è solo coraggioso, ma ha anche letto quei libri che
appartengono alla tradizione degli erbari medievali e alla
circolazione latina del trattato di Dioscoride cioè di quel
medico militare che scrisse in greco il celebre De Materia Medica
ove sono descritte e raffigurate circa 600 piante medicinali. In
quei disegni miniati si ravvisa l’intento di avere uno strumento
utilizzabile e quindi ben ordinato e questo si riscontra anche nel
tentativo di raffigurare in modo realistico le piante catalogate
così come risulta anche dal codice di Vienna del De materia
medica che influì sull’erbario medico del sec. VII (Napoli,
BN, ms. gr. 1) e quindi nelle stilizzazioni della copia del
Dioscoride del sec. XIII-XIV (Padova, Biblioteca del Seminario, ms.
194). E
proprio gli antichi modelli iconografici degli erbari avrebbero
influito su quella tipologia delle immagini tesa a rappresentare ea
que sunt sicut sunt e che traspare sia dal De arte venandi cum avibus (ms.
Roma, BAV, Pal. lat. 1701) sia dalla cosiddetta Bibbia di
Manfredi (ms. Roma, BAV, Vat. lat. 36 e in particolare ms.Torino,
BN, E IV 14) opere che circolarono ampiamente nell’ambito svevo e
ghibellino. Conforta questa tesi la testimonianza offerta dalle
miniature degli ‘erbari gemelli’ (mss. di Vienna cod. 93 e di
Firenze, Laurenz. 73.16) frutto dell’editoria scientifica promossa
da Federico II e Manfredi. In
tutto ciò se Galvano parla con il linguaggio dei medici, Aimerico
–nel prendere in giro Sordello da Goito- ripercorre gli echi
arturiani: così Sordello poeta della Marca è un ruffiano, un
matto, uno che riesce a prendere un boccale in testa in un modo non
s’era mai visto nemmeno ai tempi di re Artù
[23]
. La critica
giocosa e irriverente si accompagnò nella Marca a un atteggiamento
di pensiero che non riposava più sulla mera fiducia nei confronti
delle ‘autorità’ del passato. Infatti il medico Bruno da
Longoburgo, attivo a Salerno e poi
a Padova, dichiarò con nettezza, nella sua Chirurgia
Magna (terminata nel 1252), che avrebbe seguito il pensiero dei
‘classici’ solo dopo che quei risultati fossero stati confermati
dalla ragione e dalla esperienza (testimonio rationis et
exercitio ultimo)
[24]
. Studiare,
interpretare e rappresentare i segni della Natura appare l’obiettivo
di una scienza pluridisciplinare che tentò anche di riprodurre i
meccanismi di una machina mundi perchè così si segnalava l’efficacia
dell’ imperatore, del dominus Mundi. Al tempo di Federico II e di Ezzelino da Romano ciascun momento della vita privata e pubblica era organizzato ispirandosi ai principi per cui tanto l’organismo del corpo umano quanto il meccanismo, la machina, della vita sociale rispondevano alle armonie celesti e tutto ciò doveva essere apprezzabile dai cittadini (non a caso gli affreschi astrologici del Palazzo della Ragione di Padova [25] testimoniano una realtà ove la giustizia civile era amministrata in un quadro sovrastato dal diritto celeste). La rilevanza
assegnata dal render pubblica la sintonia con la Natura di chi guida
l’Impero fu manifestata dalla
messa in opera di veri e propri eventi propagandistici. Un esempio
significativo di queste scenografie è quanto accadde -secondo la
testimonianza di due cronisti- durante le nozze, combinate dalle
trattative di Pier della Vigna (ca. 1190-1249) che per questo fine
si recò in Inghilterra
[26]
, tra la sorella del sovrano inglese Enrico III e
Federico II. Gli accordi
prematrimoniali furono intessuti tra il novembre 1234 e il febbraio
1235; le trattative iniziarono con una lettera di Federico II ove si
premette quanto queste unioni siano necessarie per ottemperare all’armonia
della Natura
[27]
. E quando poi si celebrarono le nozze, nel febbraio del
1235, Isabella d’Inghilterra venne accolta a Colonia dove le
strade erano cosparse di fiori e su quel terreno, per
excogitatum ingenium, le si fecero incontro delle navi che
sembrava che veleggiassero, ma che in realtà eran mosse da cavalli
nascosti da onde di seta che coprivano anche i clerici
suaviter modulantes
[28]
.
Astrologia e astronomia nella vita pubblica e privata
L’episodio
permette di apprezzare una caratteristica della vita cortese che
appare sempre attenta ai moti dei pianeti. Infatti i cronisti
sottolinearono come l’ Imperatore nella prima notte che passò con
la nuova moglie noluit eam carnaliter cognoscere donec competens hora ab astrologis ei
nunciaretur. Venne quindi il momento propizio e, consumata carnali commixtione summo mane, l’Imperatore allora si
disse certo che il concepito fosse un maschio, il che non fu. In seguito
Federico II, confortato da tutti questi buoni auspici astrali e
carnali, si recò a Magonza dove sfruttò l’ottima natura del
momento per sviluppare la sua azione legislativa
[29]
poi espressa nella Constitutio
Pacisdove dispose che sub
felici nostrorum temporum statu
vigeat pacis et iusticiae moderamen. L’astrologia e
l’astronomia erano scienze indispensabili al sovrano e ne
orientavano le scelte. Cosìastrologi come Guido Bonatti e Salione
da Toledo furono attivi nella Marca. Proprio in un trattatodi
Salione si insegna a stabilire secondo criteri astrologici come si
possa a rispondere a domande quali: se si avranno figli o meno, in
che periodo della propria vita si potrà essere affetti da malattie,
se ci si sposerà o meno, come scegliere un itinerario, come si
comporterà un re, un amico, un nemico. La tipologia delle domande
appare molto simile ad analoghi quesiti riportati nel Liber
Introductorius (Oxford, Bodleian Library, ms. Bodley 266) di
Michele Scoto astrologo imperiale. Sempre Salione
propone anche come identificare astrologicamente il momento migliore
per procreare secondo determinate scelte cosmiche e questo ci
riporta alla mente la tecnica utililizzata anche da Federico II dopo
il matrimonio con Isabella d’Inghilterra. Il testo, al di
là dell’improbabile validità astrale, appare un valido strumento
per tentare di intendere quali fossero le preoccupazioni dell’uomo
medievale. Infatti Salione nel rispondere a diversi quesiti: a chi
chiede di sapere se un figlio sia legittimo o prodotto da un
adulterio, a chi vorrebbe conoscere se il nascituro sarà sapiente o
un bruto, come si interpretino i segni del volto nonché gli occhi ytalicorum
vel gallicorum, ci fa intendere quali fossero le possibile ansie
di chi si recava a chiedere di interpretare i destini celesti.
Del resto nel manoscritto si susseguono le domande sulle
possibilità di vita di un neonato (se riuscirà a nutrirsi, se
crescerà, se morirà subito dopo il parto). si assegna l’influsso
dei diversi pianeti sull’indole di ciascun neonato (ad es.
Mercurio contribuirà a farne un uomo di legge, di buone qualità
oratorie, appassionato alle antiquas res gestas, e quindi
dimostrerà un intelletto veloce e avrà molti libri). L’astrologo
inoltre insegna a riconoscere i signa: stulticie, ystrionum,
fidelitati, scelerum, latronum, fornicationum virorum et mulierum,
sodomitarum, impudicicie, castitatis… etc L’astrologo di
Ezzelino è estremamente attento all’analisi dei temperamenti
umani e di come questi possano essere regolati dai pianeti (ad es.
quando domina Marte la persona sarà di colore rosso con occhi
bianchi di grande statura e naso di notevoli dimensioni, con un buon
ingegno, ma con un cuore che lo induce a pensare e a parlar male).
In questo contesto si legge come l’influsso del Sole e della Luna
in Marte porteranno il nascituro ad avere grandi possedimenti,
dignità et habebit auxiliatores et sequaces et scribas et
portabuntur vexilla ante ipsum et perficitur mandatum eius a populo.
[30]
. Emerge da queste
note l’importanza di una scienza astrologica che per Michele Scoto
permetteva ai suoi artefici di conoscere multa secreta Dei e
di ottenere posti di prestigio presso magnates et barones
perchè riesce a sollevare dalle ansie gli uomini di potere
[31]
. Ecco perchè
presso Ezzelino da Romano operava anche Gherardo da Sabbioneta e
della sua attività abbiamo testimonianza in un codice della
Biblioteca Apostolica Vaticana
[32]
. Dal manoscritto emerge che l’astrologo nel suo
responso, intitolato significativamente De exercitu et bello,
escluse come non propizio alla battaglia –sulla scorta dell’auctoritas
di Aristotele - il giorno 22 agosto.Il
quesito dovrebbe corrispondere all’azione militare che portò poi
Ezzelino a mezzogiorno del 25 agosto del 1259 a lasciare Brescia per
tentare di occupare Milano la più ricca ed irriducibile nemica
dell' Impero; un analogo quesito fu riferito da Rolandino da Padova
per una data successiva al 23 agosto.
[33]
. Con questo vaticinio Gherardo avrebbe dunque annunciato
la possibiltà di una sconfitta essendo il quadro astrologico
sfavorevole “pro exercitu ficiendo neque pro bello”;
infatti Marte si sarebbe trovato in angolo ascendente rispetto allo
Scorpione e dunque secondo l’autorità di scienziati come “Hali
philosophus” (Ali ibn Ridwan che commentò l’opera di
Tolomeo) e degli astronomi Zahel ibn Bishr e di
Alkindi in posizione non favorevole alle imprese belliche
[34]
.
La morte
dei tiranni La stessa morte
di Ezzelino (1194-1259) assumerà nel cronista Rolandino da Padovail
senso di una vittoria della Natura sul tiranno che aveva stravolto
le regole del diritto delle genti. Alla sconfitta di Cassano d’
Adda il popolo si radunò con clamore, come talvolta sono soliti
fare gli stormi di uccelli garruli e minacciosi. In quelle
drammatiche circostanze la popolazione assisteva ai vani tentativi
dei sapienti; vani perché la medicina in qualche caso può
allontanare la morte, pur essendo impotente nell’evitarla. Nonostante tanto
affanno arrivò la morte con quel morso finale che altitudinem spernit, potenciam vilipendit, divitis preterit, superbiam
calcat pedibus, nobilitatem deridet. Il cronista, nell’offrire
l’impietoso racconto, sottolineò come l’intervento della morte
sia portatore di eguaglianza giacchè corpora
quoque cuncta sive deformia sive speciosa deformat, suumque dominium
infallibile triumphaliter monstrat in cunctis gentis super terram
[35]
. E
ancor più dettagliata, e compiaciuta, fu la descrizione de
morte pessima Friderici nella Vita
Innocentii IV: infatti l’ imperatore laborans
gravibus dissenteriis, frendens dentibus, spumans, et se discerpens,
ac rugiens immensis clamoribus, excommunicatus et depositus
miserabiliter expiravit ...mors enim peccatorum pessima et finis
eorum interitur terminatur
[36]
. Era
un destino terribile riservato a chi, non contento di aver costruito
latrine e bordelli in luogo delle chiese, aveva coltivato la
passione della sodomia. La
morte di Federico II rappresentava
così la fine di colui che, come aveva notato il cronista Saba
Malaspina, aveva creduto con la sua arte matematica di eguagliare la
natura di Dio. La
sofferenza della fine era
indirizzata a cancellare materialmente le gioie di chi aveva goduto
di beni materiali. Fu così anche per Cangrande della Scala ‘il
più gran tiranno dopo Azzolino da Romano’ che per Jacopo
della Lana visse e morì così
percorrendo un itinerario già tracciato dal mago di Federico
II, infatti: fu
adempiuta la profezia di maestro Michele /Scotto, che disse che 'l
Cane di Verona sarebbe signore /di Padova e di tutta la Marca di
Trivigi. Ma come piacque a Dio, e le più volte pare ch'avegna
/ per lo piacere di Dio e per mostrare la sua potenzia,
/ e
perché niuno si fidi in niuna felicitade umana, che / dopo la
grande allegrezza di messer Cane, adempiuti / gli suoi
intendimenti, venne il grande dolore, che /giunto lui in Trevigi, e
mangiato in tanta festa, incontanente /cadde malato, e il dì de la
Maddalena, dì / XXII di luglio, morì in Trevigi, e
fune portato morto /a soppellire a Verona, e di lui non rimase né
figlio né / figlia legittimo, altro che due bastardi....
[37]
. La morte del
tiranno fu, nel pensiero medievale, contornata da segni profetici;
in tal senso si orienta la chiusura dell’opera di Rolandino: qui
si attribuirà ad Ezzelino da Romano un sogno ove con un’immagine
efficace appare quanto fosse inscindibile il vincolo tra armonia
della Natura e ordine dei Governi. Infatti in quella
visione il colle di Romano cum
castro et hedificio cominciò ad elevarsi verso il cielo per poi
tramutarsi in neve e dissolversi nel nulla
[38]
; si annunciava così -con la rottura delle valenze
primordiali che connettevano in mixtiones
i quattro elementi e quindi con il dissolversi dei composti- la fine
del Governo di una famiglia che era stata accusata più volte di
aver infranto l’ ordo Naturae
[39]
. Tuttavia
Ezzelino si ribellò anche alla sconfitta e nonostante la clemenza
dei vincitori che portarono al suo capezzale i medici più sapienti
non permise ai dottori di farsi visitare e infine propriis
manibus sua vulnera laceravit
[40]
. Lo
attendeva l’Inferno (If. XII) di Dante, ma lo stesso Immanuel
Romano poeta ebraico alla corte dei Cangrande collocava all’
Inferno coloro che usarono la Sapienza per la loro fama
e promossero il loro nome sulla terra ... perciò a
mezzogiorno brancolano nella notte; uomini diversi dai saggi delle
nazioni del mondo che scelsero tra tutte le fedi le opinioni che
erano giuste e misero al servizio di tutti la loro Sapienza e che sono in Paradiso
[41]
. Un
Medioevo multidisciplinare Il
mondo sovraceleste, la scienza, la poesia, la politica appaiono
formare un nucleo compatto della cultura medievale volta a cogliere
armonie celesti e terrestri. Ecco perché in
una prospettiva che voglia comprendere quanto le mentalità dei
sovrani medievali fosse condizionata dalla ‘filosofia della Natura’
si dovrà presentare un
ordine della società della Marca Trevigiana fondato su un delicato
equilibrio di genti diverse, apparentemente opposte tra loro come
gli ‘elementi’, tuttavia tutte unite dal sovrano. E’ questo il
quadro offerto da Immanuel Romano
[42]
che, esaltando la vita di corte di Cangrande della
Scala, presentava l’intreccio di popoli e di discipline che
caratterizzarono tutta la Marca; così la lettura del Bisbidis
può servire da efficace commento dell’affresco del palazzo
abbaziale di San Zeno a Verona
[43]
; infatti il poeta cantava: ... Baroni
et marchesi
Di tutti i paesi, Gentili
et cortesi,
Qui veddi arrivare. Quivi
Astrologia
Con Philosophia, Et
di Theologia
Udrai disputare. Quivi Tedeschi
Latini et Franceschi
Fiamengi
e Ingheleschi Insieme
parlare; E
fanno un trombombe
Che par che rimbombe A
guisa di trombe
Che pian vol sonare Chitarre
et liuti
Viole et fiauti Voci,
alti et acuti,
Qui s’odon cantare. ... Qui
boni cantori
Con intonatori, Et
qui trovatori
Udrai concordare. ... Quivi
babbuini,
Romei, peregrini, Giudei,
Sarracini
Vedrai capitare. ... Istruzzi
et buovi
Selvaggi ritrovi Et
animai novi
Quant’ huom pò
contare. Qui
sono leoni,
Et gatti mammoni; Et
grossi montoni
Vedut’ ho cozzare. ... Qui
son altri stati
Sì ben divisati, Che
tra li beati
Sen può ragionare.
Sono
versi straordinari che rendono evidente quanto siano ingiusti e
ingiustificati quegli interventi di storici
improvvisati (ma anche affermati il che è più grave) che,
in questi giorni drammatici, parlano spesso di ‘integralismo
medievale’.
Piero
Morpurgo
[1]
Si rinvia qui a P. Morpurgo, L’armonia della natura e l’ordine
dei governi – Studi sulla cosmologia e sulla politica dei secoli
XIII-XIV, Micrologus 4, Turnhout – Firenze 2000; ulteriori
riferimenti bibliografici in http://www.morpurgo.wide.it.
[2]
Su questi temi si veda il sito Scientific Instruments of
Medieval and Renaissance Europe che raccoglie diverse
collezioni museali: http://www.mhs.ox.ac.uk/epact/
.
[3]
Canzone di gesta composta tra il 1330 e il 1340 da autore padovano
anonimo, in cui si racconta la campagna di Spagna di Carlomagno e
dei dodici paladini. Entrée
d’Espagne,
A. Thomas, ed., Paris 1913, 2 voll. (SATF,
60), vv. : «Je qe sui mis a dir
del neveu Carleman
| mon nom vos non dirai, mai sui Patavian, |d e la citez qe fist
Antenor le Troian, | en la joiose Marche del cortois Trivixan». Sulla
delimitazione del territorio designato come Marca Trevigiana in
questi versi v. F. Torraca, L’Entreé d’Espagne in Studi
di storia letteraria, Firenze 1923, pp. 164 e sgg; qui si riprende l’ampio intervento di M. Calzolari, Le
contrade gioiose. La tradizione del ciclo bretone in Italia e in
Friuli, in F.
Cavalli, et al. edd, Atti
del convegno Gli Echi della terra. Presenze celtiche in Friuli, Gorizia,
in stampa; qui si rinvia ai suoi approfondimenti bibliografici cfr.
http://www.celtifriuli.it
.
[4]
M. Boni, Poesia e vita
cortese nella Marca, in Studi
ezzeliniani, Roma, Istituto storico per il medioevo, 1963, pp.
163-188.
[5]
A. Rizzi, Ludus/ludere. Giocare in Italia alla fine del medio
evo, Roma-Treviso, Viella, 1995, p. 158.
[6]
G. Sebesta, Il lavoro dell’uomo nel ciclo dei mesi di Torre
Aquila, Trento, Servizio Beni Culturali, 1996, sub voce
Gennaio.
[7]
I. Sanesi, La Storia di Merlino di Paolino Pieri, Bergamo
1898, pp. xcv, 36 e
74-75; cfr- P. Morpurgo, La cultura scientifica nella Marca di
Ezzelino, in C. Bertelli - G. Marcadella, Gli Ezzelini
Signori della Marca nel cuore dell’Impero di Federico II,
Milano, Skira, 2001, pp. 157-167, ivi p. 157.
[8]
B. Betto, ed., Gli statuti del Comune di Treviso, Roma 1984-1986, vol. I, pp.
19-20. Su questi temi cfr. P. Morpurgo, La filosofia
federiciana negli Statuti cittadini dell’Italia settentrionale,
in C.D. Fonseca - R. Crotti, edd., Federico II e la civiltà
comunale del Nord, Pavia – Roma, De Luca, 2001, pp. 485-506.
[9]
Il
soggetto è stato ampiamente rappresentato nel Medioevo si veda ad
esempio la collezione di avori al Museo del Bargello di Firenze in
http://www.sbas.firenze.it/bargello/index.html
con data base.
[10]
G. Folena, Tradizione e
cultura trobadorica nelle corti e nelle città venete, in Storia
della cultura veneta, I, pp. 453-562, ivi
515; cfr. Rolandino da Padova, Cronica,
I, cap.xiii, in Bonardi, ed., pp. 24-25, in MGH, SS, XVIIII, pp.
45-46; G. Peron, Rolandino da Padova e la tradizione letteraria
del castello d’amore, in L. Bortolato, ed., Il castello d’amore.
Treviso e la civiltà cortese, Treviso 1986.
[11]
G. Folena, Tradizione
e cultura trobadorica nelle corti e nelle città venete, in Storia
della cultura veneta a cura di G. Folena, Vicenza, Neri Pozza,
, I, pp. 453-562.
[12]
G. Ortalli, Gioco
e giustizia nell’Italia di Comune, Treviso-Roma, Viella,
1993, p. 199.
[13]
Nicolò de' Rossi, Canzoniere Sivigliano, a cura di Mahmoud
Salem Elsheikh, Milano-Napoli, Ricciardi 1973, p. 234.
[14]
Fazio degli Uberti, Il Dittamondo e le Rime, a cura di
Giuseppe Corsi, vol. I, Bari, Laterza, 1952, p. 189.
[15]
Rime disperse di Francesco Petrarca o a lui attribuite, a
cura di Angelo Solerti, Firenze, Sansoni, 1909, p. 194.
[16]
Delle poesie di Antonio Pucci, voll. I-IV, a cura di
Ildefonso di San Luigi, in Delizie degli eruditi toscani,
tt. III-VI, Firenze, Cambiagi, 1772-1775, p.117.
[17]
Guido Favati, Genova, Bozzi, 1970, 198. Cfr. per una ricerca
testi: OVI, Opera del Vocabolario Italiano, in http://www.lib.uchicago.edu/efts/ARTFL/projects/OVI/#search
.
[18]
A. Bechtold, ed., Castel Roncolo. Il maniero illustrato,
Bolzano, Athesia, 2000, pp. 100, 132-150, 83-85.
[19]
E. Castelnuovo, ed., Le stanze di Artù. Gli affreschi di
Frugarolo e l’immaginario cavalleresco nell’autunno del
Medioevo, Milano, Electa, 1999, p. 142. [20] Ulteriori immagini si trovano nel sito http://www.princeton.edu/~lancelot/ della Princeton University che intende organizzare un archivio multimediale su Lancillotto e temi correllati chee rinvia a diversi codici : MS A = Chantilly, Musée Condé 472;MS C = ("Guiot"), Paris, Bibliothèque Nationale de France, fonds français 794; MS E = Escorial, Real Monasterio de San Lorenzo M.iii.21 (Under Construction);MS F = Paris, Bibliothèque Nationale de France, f. fr. 1450 ;MS G = Princeton, Firestone Library, Garrett 125;MS I = Paris, Bibliothèque de l'Institut de France 6138 (formerly 4676) (Under Construction) ;MS T = Paris, Bibliothèque Nationale de France, f. fr. 12560 ;MS V = Vatican, Biblioteca Vaticana, Regina 1725;U = Text of the Foulet-Uitti edition .
[21]
Su questi contatti francoveneti cfr. P. Marangon, Alle origini dell’aristotelismo padovano (sec. XII-XIII), Padova,
Antenore, 1977.
[22]
Chrétien de Troyes, Perceval, trad. it. di G. Algrati e
M.L. Magini, Milano, Mondadori, 1993, p. 94; cfr. http://www.mystical-www.co.uk/arthuriana2z/p.htm
.
[23]
Folena, Cultura trobadorica, cit., p. 500.
[24]
Marangon, Alle origini, cit., p. 55 e n.
[25]
P.L. Fantelli – F. Pellegrini, edd., Il Palazzo della Ragione
in Padova, Padova, Editoriale Programma, 1990.
[26]
J.L.A. Huillard-Bréholles, Vie et Correspondance de Pierre de la Vigne, Paris 1865, Reinheim
1966, pp. 20-23.
[27]
Le trattative e le relative lettere sono in MGH, LL, II, pp.
307-311.
[28]
Matteo di Parigi, Ex
Cronicis Maioribus, in MGH, SS, XXVIII, pp. 128-131; Ruggero
di Wendover, Chronica, H.O. Coxe, ed., London 1831-1844, IV, pp. 333-339
[29]
E. Kantorowicz, Federico II
imperatore, Berlin 1931, trad. it. Milano,
Garzanti, 1976, pp. 408-411 e 439-440; T. C. Van Cleve, The Emperor Frederick II of Hohenstaufen, Oxford, Oup, 1972,
pp.380-383, cfr. MGH, LL, Const.,
II, n. 196, p. 241.
[30]
P. Morpurgo, scheda del ms. di Venezia, Biblioteca Nazionale
Marciana, ms. lat. 6, 108, cc. 42v-44r;
52r; 54r; 55r; 69 r ; 74r-76r; 92r in
Bertelli-Marcadella, edd., Gli Ezzelini, cit.; cfr. L.
Thorndike, A third translation
by Salio, in “Speculum”, 32 (1957), pp. 116-117.
[31]
P.
Morpurgo, Note in margine a un poemetto astrologico presente
nei codici del Liber Particularis di Michele Scoto, in “Pluteus”
2(1984), pp. 5-13, ivi p. 9.
[32]
M. Calzolari, scheda del ms. Roma BAV, Vat. Lat. 4083, c. 16 r.,
in Bertelli-Marcadella, edd., Gli Ezzelini, cit.
[33]
Cfr. M. Pastore Stocchi, Ezzelino e l’astrologia, in G.
Cracco, ed., Nuovi Studi Ezzeliniani, Roma 1992.
[34]
Cfr. F. Carmody, Arabic Astronomical
and Astrological Sciences in Latin Translation, Berkeley 1956.
[35]
Rolandino da Padova,
Chronicon. Lib. xii, in MGH, SS, XIX, 142, in A. Bonardi, ed.,
in R.I.S.2 VIII/1, Città di Castello 1905-1908, p.
165; su gli aspetti della ritualità legata alla scomparsa dei
sovrani si consulti N. Pollini, La Mort du Prince - Rituels funéraires de la Maison de Savoie
(1343-1451), Lausanne 1994; D.L. D’Avray, Death and the Prince. Memorial
Preaching before 1350,
Oxford 1994.
[36]
A. Melloni, Innocenzo IV. La
concezione e l’esperienza della cristianità come “regimen
unius personae”, Bologna 1990, pp. 278-279.
[37]
Giovanni Villani, Nuova Cronica, a cura di Giuseppe Porta,
3 voll. (I. Libri I-VIII; II. Libri IX-XI; III. Libri XII-XIII),
Parma, Fondazione Pietro Bembo / Ugo Guanda Editore, 1990-1999, II,
694.
[38]
G. Cracco, Da Comune di
famiglie a città satellite (1183-1311),
in G. Cracco, ed., Storia
di Vicenza, Vicenza, Neri Pozza, 1988, p.
94; Rolandino da Padova, Chronicon,
in MGH, SS, XIX; in R.I.S.2,VIII/1, pp. 172-173.
[39]
Saba Malaspina, Liber
Gestorum, in G. Del Re, Cronisti
e scrittori sincroni napoletani, 2, Napoli 1845-1868, rist.
Bologna, Forni, 1976, II, p.224.
[40]
A. Murray, Suicide in the Middle Ages. The Violent against
Themselves, Oxford, Oup, p. 54.
[41]
Immanuello Romano, L’Inferno e il Paradiso, G. Battistoni,
ed., Giuntina, Firenze 2000, pp. 28 e 84.
[42]
Manuello Giudeo, Bisbidis,
in C. Cipolla - F. Pellegrini, edd., Poesie
minori riguardanti gli Scaligeri, “Bullettino dell’
Istituto Storico Italiano”, 24 (1902), pp. 51-55.
[43]
F. Zuliani, Gli affreschi del palazzo abbaziale di San Zeno a Verona, in M.S.
Calò Mariani, ed., Federico II. Immagine e potere,
Venezia, Marsilio, 1995, pp. 113-115. |
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