Formazione
di Umberto Tenuta
Afferma Kant che l'uomo non
nasce tale, ma può diventarlo solo attraverso l'educazione
[1]
.
Mentre l'animale è
predeterminato dall'istinto, invece il bambino, al momento della nascita,
è solo un candidato alla condizione umana e la sua effettiva
umanizzazione si realizza soltanto se entra a far parte di una determinata
società umana, acquisendone la cultura.
L'uomo non è un essere
naturale, ma un prodotto della cultura: è la cultura che crea l'uomo.
Ma anche la cultura non è un
dato della natura. Gli strumenti, le tecniche, le conoscenze, gli
atteggiamenti, i valori che costituiscono la cultura non si trovano già
bell'e fatti nella natura, ma sono una costruzione che l'uomo ha
cominciato a realizzare sin dalla sua comparsa sulla faccia della terra e
che continua ininterrottamente a realizzare.
Caratteristica peculiare della
cultura è la sua trasmissibilità.
Gli strumenti, le
tecniche, i concetti, i valori, gli atteggiamenti che il singolo uomo
costruisce non restano confinati in lui, ma si trasmettono agli
altri uomini, cumulandosi con altri apporti, per creare un patrimonio
culturale che poi viene trasmesso alle nuove generazioni, le quali lo
integrano con i loro contributi e, così arricchito, lo trasmettono
alle successive generazioni
[2]
.
In questa
trasmissione consiste il processo che in termini antropologici viene
definito inculturazione, in termini sociologici socializzazione e in termini pedagogici educazione.
In tal senso Kant dice che
<<una generazione educa l'altra>>
[3]
.
Connaturata all'incompiutezza
nativa dell'uomo è la sua attitudine ad apprendere. L'uomo è
naturalmente portato ad apprendere: il bambino comincia ad apprendere
spontaneamente sin dalla nascita
[4]
.
La trasmissione culturale
comincia ad attuarsi attraverso l'apprendimento spontaneo: così come i
primi uomini, i bambini apprendono gran parte del loro patrimonio
culturale mediante le interazioni sociali che essi attuano nei loro contesti
di vita.
Tuttavia, quando il patrimonio
culturale si è accresciuto, anche per effetto della sua specializzazione,
non sono risultate più sufficienti le normali interazioni sociali per
assicurare la trasmissione del patrimonio culturale alle nuove
generazioni e si è via via sempre più reso necessario affidare
questo compito ad individui con particolari competenze, in genere ai
sacerdoti.
Infine, la
specializzazione del compito della trasmissione culturale si è resa
ancor più necessaria con l'invenzione della scrittura ed il conseguente
passaggio dalla cultura orale alla cultura scritta, per cui si è
addivenuti alla creazione della vera e propria scuola
[5]
.
Tuttavia, anche quando, nel
corso della storia, le singole società hanno avvertito l'esigenza di una
istituzione specializzata, qual è la scuola, non è mai venuta meno la
trasmissione culturale realizzantesi attraverso le spontanee interazioni
sociali: anche oggi il compito della trasmissione culturale viene assolto
sia dalle naturali esperienze di vita che dalla scuola.
In merito alla trasmissione
culturale, è opportuno precisare la funzione che essa svolge nella
formazione dell'uomo.
L'uomo nasce sprovvisto, non
solo di conoscenze, ma anche di capacità.
Le tecniche, le conoscenze ed
i valori, che l'uomo crea o apprende, non restano a livello di strumenti
da utilizzare, ma lo modificano, promuovendo la formazione di capacità,
di abilità e di atteggiamenti.
Accanto alla sua funzione
informativa, la trasmissione culturale assolve perciò anche ad una funzione formativa.
Al momento della nascita, il
bambino possiede solo alcuni riflessi innati: le sue capacità motorie,
linguistiche, intellettive ecc. si sviluppano solo con il loro esercizio
[6]
.
Inoltre, si deve rilevare che,
connessi agli strumenti, sono sempre stati, non solo le abilità, ma anche gli
atteggiamenti ed i valori relativi al loro impiego. Ad esempio,
l'uso dell'ascia richiedeva alcune essenziali abilità, ma comportava
anche l'assunzione di ben precisi criteri in ordine al suo impiego: per
abbattere alberi o uomini.
Nel corso dei millenni l'uomo,
non solo ha ampliato le sue conoscenze ed ha sviluppato le sue capacità, ma
ha anche creato i valori sociali, morali, religiosi che caratterizzano la
sua cultura e costituiscono quindi la sua umanità.
In tal senso, il processo di
inculturazione attraverso il quale gradualmente si forma la personalità
si concretizza nell'acquisizione di conoscenze, nella maturazione di capacità, nell'assimilazione di valori.
Ne consegue che, come si
verifica nei processi spontanei di inculturazione, anche nella scuola
occorre promuovere, assieme all'acquisizione di conoscenze ed allo
sviluppo di capacità, abilità, atteggiamenti, anche l'assimilazione di
valori.
Il processo di formazione
della personalità, anche se in gran parte si realizza spontaneamente nel
contesto socioculturale in cui l'individuo vive, non è però ineluttabile.
Poiché comunemente si ha conoscenza solo di bambini che vivono in contesti
sociali, si è portati a ritenere che il bambino maturi le sue
caratteristiche umane indipendentemente dalle interazioni sociali.
Invece, anche i ritrovamenti
di bambini cresciuti fuori dai contesti sociali dimostrano che così non
è: questi bambini non avevano sviluppato nessuna caratteristica umana
(non camminavano eretti, non parlavano, non possedevano capacità logiche).
Ove ce ne fosse bisogno, questi bambini dimostrano che, privo della
possibilità di realizzare interazioni culturali, il cucciolo dell'uomo non sviluppa nessuna delle sue potenzialità
umane.
Le prime e fondamentali
stimolazioni culturali che consentono di pervenire alla condizione umana
vengono offerte al bambino dal contesto familiare e sociale in cui egli
vive.
Sono i genitori, i fratelli e
gli altri familiari i primi educatori del bambino; poi, a poco a poco,
intervengono anche i componenti del gruppo sociale di appartenenza e,
quindi, assieme alla scuola, le associazioni, le istituzioni religiose,
politiche, sindacali, ricreative ecc.
In ordine al processo di
formazione della personalità, si pone innanzitutto il problema del ruolo
che l'educando e gli educatori hanno in esso: l'educazione va considerata
come sviluppo (autoeducazione), come
azione antroploplastica (eteroeducazione)
o come promozione della formazione?
Concepire l'educazione come sviluppo
significa considerare il processo di formazione della personalità come
autorealizzantesi (autoeducazione).
L'autoeducazione
può essere vista in una prospettiva naturalistica, assimilandola allo
sviluppo vegetale ed animale oppure in una prospettiva idealistica,
concependola come autocreazione
[7]
.
Concepire l'educazione come sviluppo
significa ritenere che la personalità è predeterminata dal codice
genetico o da un'idea archetipa (che può essere idealisticamente
concepita anche come progressiva autocreazione), per cui il suo sviluppo non
può non avvenire in una forma predefinita o autocreantesi: l'educazione è il
processo attraverso il quale l'individuo si sviluppa, cioè esce dal
viluppo e appare in quella che è la sua forma data.
Come diceva Pindaro, si
diventa quello che si è.
Secondo tale concezione, le
stimolazioni esterne sono solo l'occasione, la condizione necessaria, ma non
sufficiente e soprattutto non produttiva del manifestarsi delle capacità,
delle abilità, degli atteggiamenti, che sono preesistenti, almeno come
potenzialità: se mancano le stimolazioni, essi non si manifestano, ma, in
presenza di adeguate stimolazioni, essi vengono fuori così come sono
prefigurati.
In tale prospettiva,
l'educazione viene intesa come ex-ducere, cioè trarre fuori. Al limite, si ritiene che non solo
le capacità e gli atteggiamenti, ma che anche le conoscenze siano
innate nei singoli individui, per cui il compito degli educatori è
semplicemente quello di favorirne la manifestazione (maieutica
socratica).
Invece, concepire l'educazione
come azione antropoplastica
significa ritenere che al momento della nascita l'individuo sia una mera
possibilità, plastica e aperta, cioè suscettibile di assumere tutte le
forme possibili: come molle cera, egli può essere modellato dall'educatore (eteroeducazione).
Come in pieno Positivismo
ottocentesco affermava l'Ardigò, la cultura della società in cui
l'individuo vive costituisce una vera e propria matrice che modella
l'individuo e gli fa assumere le conoscenze, le abilità, gli
atteggiamenti, i valori che sono propri di essa.
Sono le stimolazioni
socioculturali che modellano la personalità, nel senso che le danno forma, la
conformano al modello culturale di cui sono portatori la famiglia, la
società, gli educatori.
In tale prospettiva,
l'educazione viene concepita come azione antropoplastica, cioè come
azione modellatrice dell'uomo.
In termini moderni, questa
concezione è fatta propria dalle teorie comportamentistiche e, in
particolare, dallo Skinner, il quale afferma di poter fare di un bambino
sano quello che si vuole.
Evidentemente, tale concezione
configura l'educazione come addestramento o ammaestramento: si tratta di
una prospettiva in cui l'uomo viene considerato alla stregua dell'animale,
messo alla completa mercé dell'ammaestratore, privo di ogni
riconoscimento della propria personalità.
Le due concezioni appaiono
antitetiche: da una parte, lo sviluppo (intelligenti si nasce), dall'altra l'azione antropoplastica (intelligenti si diventa).
La questione è estremamente
complessa e controversa.
Da una parte, si rileva che
gli individui assumono i modi di essere della cultura nella quale vivono,
dall'altra, però, si obietta che anche nella stessa cultura gli individui
non sviluppano le stesse capacità, abilità, valori; pur assumendo le
caratteristiche della personalità
di base
[8]
di una determinata
società, gli individui non risultano tutti eguali, ma si diversificano
l'uno dall'altro: i cinesi sono diversi, non solo dagli inglesi che vivono in
un'altra cultura, ma anche tra di loro, nonostante il fatto che vivano nella
stessa cultura, la quale evidentemente non riesce a dare a tutti la stessa
forma.
In effetti, le due concezioni,
nel mentre colgono aspetti significativi del processo educativo, risultano
però unilaterali.
Oggi si è portati a ritenere
che la formazione della personalità non possa prescindere dalle
stimolazioni culturali, le quali però non vengono subite passivamente
dal soggetto: ogni essere umano porta con sé, sin dalla nascita, una sua idiosincrasia
personale, che lo induce ad utilizzare gli influssi ambientali in modo
personale e come tale estremamente originale.
Le stimolazioni culturali
offerte dalla famiglia, dalla società, e quindi anche dalla scuola, hanno
un'influenza notevole sul processo di formazione della personalità,
perché in fondo costituiscono il "materiale" con il quale questa si
costruisce, ma non possono essere considerati come deterministici, nel
senso che non si offrono quale matrice entro la quale la personalità
viene modellata, come sostengono le concezioni sociologiche e, in
particolare, il comportamentismo skinneriano.
Pur assolutamente
indispensabili, perché senza di essi non si ha formazione umana, in
effetti le stimolazioni culturali non modellano dall'esterno la
personalità, la quale si realizza sempre in una forma originale, singolare,
irripetibile, attraverso la mediazione del soggetto, come peraltro
dimostra il fatto che gli individui appartenenti ad una determinata
cultura, seppure abbiano la stessa personalità di base, si presentano però
diversi l'uno dall'altro.
Come a livello biologico, i
singoli individui, non solo assumono soltanto determinati alimenti tra
quelli che vengono loro offerti, ma questi alimenti poi trasformano in
sostanze diverse da individuo ad individuo, così le molteplici stimolazioni
culturali non condizionano allo stesso modo i diversi individui, sia perché
questi ne effettuano una selezione, sia perché le mediano, cioè le
interpretano, le vivono, le assimilano in una forma diversa.
Questa mediazione avviene a
livello conscio e inconscio. Anche quando ancora l'individuo non è capace
di fare scelte, vi è in lui una disponibilità, un'attitudine che lo
rende sensibile a determinate stimolazioni anziché ad altre e che lo
porta a dare propri significati alle stimolazioni. A mano a mano, poi, che
matura la sua capacità di scelta, l'individuo ricerca consapevolmente
certe stimolazioni e ne trascura altre.
In tale prospettiva,
l'educazione non viene concepita, né come azione
antropoplastica (eteroeducazione), né come sviluppo
(autoeducazione), ma come promozione
dei processi formativi.
L'educazione non è il venire
fuori di ciò che già esiste nel soggetto, ma non è nemmeno il dare forma ad
una sostanza amorfa: essa può essere concepita come promozione dei processi
formativi, i quali trovano sempre nel soggetto il costruttore inconsapevole
o consapevole della propria personalità.
Concepire l'educazione come
promozione significa riconoscere che il protagonista della propria
formazione è il soggetto, che utilizza le stimolazioni culturali
offertegli dalla società in cui vive per realizzare la sua
umanizzazione.
Nei primi anni di vita, il
bambino riceve le stimolazioni culturali in forma inconsapevole, ma ciò non
significa che egli le subisca passivamente, in quanto, come si è detto,
egli dimostra già una sua capacità selettiva ed assimilativa che lo
porta a preferire alcune stimolazioni culturali anziché altre e comunque
ad assimilare le stimolazioni, interpretandole, trasformandole,
elaborandole secondo il suo personale modo di essere.
Evidentemente, non si può
disconoscere che in tale fase i processi formativi risultino grandemente
condizionati dalle offerte culturali dell'ambiente di vita. Non potendo
consapevolmente andare alla ricerca delle stimolazioni culturali, il
bambino non può non utilizzare le sole stimolazioni socioculturali che gli
vengono offerte, seppure elaborandole secondo le sue personali
predisposizioni.
Questo spiega la grande
incidenza che hanno le prime esperienze nei processi di formazione della
personalità di base.
Solo a mano a mano che
l'individuo matura la coscienza di sé, diventa capace di ricercare e di
selezionare le stimolazioni culturali meglio rispondenti alle sue
predisposizioni.
Si tratta di un cammino lungo,
che vede all'inizio preponderante la figura dell'educatore, la quale a
mano a mano tende a farsi sempre meno consistente, fino al punto da non
essere più necessaria, quando il soggetto diventa completamente
autonomo, cioè capace di autoeducarsi.
Tale itinerario può essere
descritto come il passaggio dall'eteroeducazione all'autoeducazione
[9]
, con l'avvertenza però di
non intendere l'eteroeducazione come azione antropoplastica che prescinda
completamente dall'attività del soggetto. Anche se a livello
inconsapevole, il costruttore della propria personalità è sempre il
soggetto, che seleziona, elabora e assimila le stimolazioni culturali di
cui ha comunque bisogno. Peraltro, è pure da tener presente che anche
quando si parla di autoeducazione, non si vuol dire che il soggetto possa
fare a meno delle stimolazioni culturali, ma solo che queste egli può
scegliere ed elaborare con piena consapevolezza.
Tale processo può essere reso
più chiaro prendendo in considerazione l'apprendimento,
che rappresenta lo strumento attraverso il quale si realizza la
formazione della personalità.
Secondo le concezioni
antropoplastiche che fanno capo, in particolare, alla gnoseologia
empiristica, le stimolazioni culturali vanno ad imprimersi nella mente del
soggetto, la quale si presenta come una tabula
rasa su cui è possibile scrivere quello che si vuole.
In tale prospettiva,
l'insegnare
tradurre in segni (in-signare)
assumeva
il significato di tracciare i
segni nella mente del soggetto, il quale le subisce passivamente,
risultandone formato: esse gli vengono trasmesse, date, imposte.
L'attività dell'insegnare è
preponderante: è essa che determina i risultati di quello che chiamiamo
apprendimento.
L'alunno è insegnato, è
formato, è modellato dall'esterno, per cui si dice che nei processi di
apprendimento l'alunno è passivo e si parla quindi di scuola passiva.
È questa la concezione della
scuola magistrocentrica.
Sebbene la gnoseologia
empiristica abbia accentuato il ruolo passivo del soggetto nei processi di
apprendimento, tuttavia nelle concezioni più moderne non si misconosce
che egli abbia anche un ruolo attivo.
Ad esempio, nella concezione
skinneriana, gli stimoli condizionano il soggetto, nel senso che producono in
lui gli effetti che l'educatore si propone di ottenere, ma ciò avviene
facendo riferimento al repertorio di risposte innate di cui il soggetto è
portatore e comunque alla sua attività: l'educatore rinforza le sue
risposte. Resta però il fatto che è l'educatore a scegliere quali risposte
rinforzare e in tal modo è lui che determina i risultati formativi.
Tuttavia, oggi si riconosce
sempre più il ruolo attivo del soggetto nei processi di apprendimento.
Anche
nell'apprendimento per associazione, quando, ad esempio, il nome sedia
viene associato ad un determinato oggetto, il bambino è attivo, perché
è lui che collega il nome all'oggetto.
L'insegnare viene concepito,
non come produttore, ma come promotore dell'apprendere: insegnare non
significa trasmettere il sapere, ma promuoverne l'apprendimento.
In tale prospettiva,
l'insegnante non fa altro che rispettare quelli che sono i naturali processi
di apprendimento.
Al momento della comparsa
dell'uomo sulla faccia della terra, le conoscenze, le abilità, gli
atteggiamenti, i valori che costituiscono la sua cultura, cioè la sua humanitas,
non esistevano né nell'uomo né fuori di lui: egli non li portava innati e
non li poteva ricevere dal mondo esterno già bell'e fatti.
Se li è dovuti creare,
inventare, costruire da sé.
L'uomo ha esplorato il mondo e
ne ha tratto la propria conoscenza; ha sperimentato e selezionato gli
atteggiamenti e le norme di comportamento più favorevoli e li ha fatti
propri: egli ha creato così la sua cultura.
Anche se risulta più corretta
l'espressione costruzione del
sapere, si può continuare ad utilizzare la più consueta espressione scoperta
del sapere, intesa non tanto come disvelamento quanto come invenzione,
creazione, costruzione, appunto, del sapere, degli atteggiamenti, dei
valori che costituiscono la cultura umana.
In tale prospettiva,
l'educazione può essere concepita come promozione dell'apprendimento: della
scoperta, della creazione, dell'invenzione, della costruzione delle
conoscenze, degli atteggiamenti, dei valori da parte dei singoli individui.
L'educazione è l'attività di
promozione dei processi di apprendimento: promuovere i processi di
apprendimento significa stimolarli, orientarli, favorirli.
L'insegnante non si
sostituisce all'allievo, ma lo aiuta nella sua attività di apprendimento,
senza mai presumere di operare in sua vece.
Tale situazione è bene
espressa dall'invocazione che la Montessori mette sulla bocca di una bambina:
<<Maestra, aiutami a fare da sola>>.
In tale prospettiva,
l'insegnare consiste nell'offrire i segni che consentano all'allievo di apprendere.
I segni possono essere
costituiti dagli oggetti e dalle esperienze reali ovvero dalla loro
rappresentazione iconica o simbolica.
L'alunno può scoprire che le
due caramelle che gli ha dato la mamma e
le tre caramelle che gli ha dato il papà sono tante quante le dita della sua
mano, ma questa corrispondenza biunivoca può scoprirla anche tra le mele e le
dita disegnate o rappresentate con le cifre.
Ciò che importa è la
scoperta: è il bambino che scopre la corrispondenza, non è l'insegnante
che la imprime nella mente dell'alunno.
Peraltro, ha poca importanza
che questa sia una scoperta fatta per la prima volta o sia invece una
riscoperta di una conoscenza che gli uomini hanno già da tempo realizzato:
per il bambino non è una riscoperta, ma una scoperta.
Il problema, semmai, consiste
nel decidere se i segni di cui il bambino possa più utilmente avvalersi
siano gli oggetti concreti o le loro rappresentazioni.
Stanti i livelli di sviluppo
dell'alunno di scuola elementare, è opportuno muovere dagli oggetti
reali, perché occorre tener presente che le sue modalità di pensiero sono
quelle operatorie concrete.
Tuttavia, ciò che
maggiormente importa è che sia l'allievo a fare le sue scoperte. Se l'allievo
è capace di scoprire un concetto muovendo dai simboli, la cosa va
benissimo. Ma se ciò non risulta agevole, allora è opportuno ricorrere
alla rappresentazione iconica o alla rappresentazione concreta.
A questo punto, ci si può
domandare se l'allievo può fare da solo le sue scoperte.
Preso atto che tutto quello
che l'uomo ha appreso è stato da lui scoperto, inventato, costruito,
non si può non ammettere che l'allievo possa da solo pervenire alla
scoperta.
Ma, come afferma il Bruner, è
praticamente inverosimile che il singolo individuo, lasciato a se stesso,
possa riscoprire da solo tutta la cultura che l'umanità ha creato nella
sua lunga storia
[10]
.
Il bambino ha bisogno degli
adulti per imparare: egli si appropria della cultura che il gruppo sociale di
appartenenza ha creato, attraverso un processo di assimilazione, di
imitazione, di riscoperta, di reinvenzione, di ricostruzione.
In tale prospettiva, l'autoeducazione
in senso assoluto riguarda solo le persone mature, divenute capaci di fare
scoperte senza l'aiuto degli altri.
Nell'età evolutiva, il
giovane ha quasi sempre bisogno dell'aiuto diretto o indiretto degli
educatori che lo stimolino, lo sostengano, lo orientino nel suo processo di
riscoperta, di assimilazione, di elaborazione personale, di imitazione.
In mancanza, i processi di apprendimento risultano non finalizzati e
pertanto disorganici ed aleatori.
Evidentemente, l'aiuto può
venire direttamente dalle persone o indirettamente dalle situazioni di
apprendimento da loro create
[11]
.
L'offerta dei segni può
essere effettuata nei modi più diversi. Ciò che importa è tenere presente
che si tratta di segni che debbono poter essere letti, cioè decodificati,
interpretati dal soggetto.
Per apprendere, il bambino ha
bisogno di cose o di segni, i quali possono essere offerti
inconsapevolmente, come avviene nei contesti di vita, oppure consapevolmente,
come si verifica nelle apposite istituzioni educative.
Nella famiglia, nei gruppi di
pari, nella società, i segni sono comunemente offerti con scarsa o senza
alcuna intenzionalità educativa. Gli apprendimenti sono legati alle
normali attività, alle quotidiane interazioni sociali. Il bambino
apprende a parlare attraverso le interazioni verbali con i familiari, i
quali non si propongono di insegnargli a parlare, anche se non sempre
questa intenzionalità è assente.
Nella scuola e nelle altre
istituzioni educative invece si ha una precisa intenzionalità formativa.
In tal senso si parla di educazione
funzionale e di educazione
intenzionale: la prima si attua spontaneamente nei contesti di
vita e risulta quasi sempre disorganica, frammentaria, aleatoria; la seconda
si attua soprattutto nelle istituzioni scolastiche e dovrebbe risultare
più efficace, più produttiva, più valida, sia sul piano quantitativo
che sul piano qualitativo.
Il diritto di educare
appartiene innanzitutto ai genitori, sia per diritto naturale che per
riconoscimento della Costituzione: <<È dovere e diritto dei genitori
mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del
matrimonio>> (art. 30).
La famiglia
costituisce la sede primaria dell'educazione del fanciullo. Il discorso
socio-psico-pedagogico contemporaneo ha confermato il fondamentale
ruolo educativo della famiglia, che già nel passato era stato
riconosciuto da numerosi pedagogisti, in particolare dal Pestalozzi che ha
esaltato la figura educativa della madre, oltre che del padre, in libri
suggestivi, quali Madre e figlio
e Leonardo e Geltrude. Nel nostro
secolo numerosi studiosi hanno evidenziato i danni difficilmente
riparabili che le carenze di cure materne producono nei primissimi anni di
vita dei bambini, in riferimento al costituirsi delle istanze
psico-affettive della fiducia di base,
dell'iniziativa, dell'autonomia. Allo stesso tempo, è stato evidenziato il ruolo che la
famiglia svolge nella promozione dello sviluppo cognitivo, con
particolare riferimento allo sviluppo del linguaggio
e del pensiero
[12]
.
Il ruolo della famiglia
discende non solo dal fatto che essa è, in senso temporale, la prima
istituzione che si prende cura del bambino, ma anche dalla particolare natura
affettiva dei rapporti e delle interazioni che in essa si svolgono.
L'universale riconoscimento
del ruolo fondamentale svolto dalla famiglia nella formazione della
personalità impone che siano assicurate le migliori condizioni personali,
culturali e socioeconomiche perché essa possa assolvere pienamente
tale compito.
Tra queste condizioni risulta
essenziale la coerenza degli atteggiamenti educativi dei diversi
componenti della famiglia. In ordine a questi, ad una accentuazione, se
non esclusivizzazione, del ruolo educativo della madre, di recente ha fatto
seguito un'attenta considerazione del ruolo paterno, che viene ritenuto
almeno complementare a quello materno. Tuttavia, oggi si ritiene che vadano
considerati non i singoli componenti ma il contesto familiare. Scrive in
merito la Santelli Beccegato che <<si avverte oggi sempre più
chiaramente il senso di una funzione
parentale globale, dove le scelte educative riescano ad emergere secondo
un progetto profondamente condiviso. In questo
contesto...(occorre ricercare) risposte adeguate alle esigenze specifiche
del figlio, con una complementarità di azioni di volta in volta da
ricercare e da costruire>>
[13]
.
La famiglia va considerata
come un gruppo unitario di persone che interagiscono tra loro, creando una
determinata atmosfera, che deriva la propria validità educativa dalla
misura in cui riesce a creare una propria dinamica armonia di vedute e
di intenti. Come scrive ancora la Santelli Beccegato, <<si
configurano come basilari, per qualificare un valido tessuto familiare,
l'armonia di affetti, la solidarietà profonda che è reciproca e costante
disponibilità>>
[14]
.
A riprova di tale esigenza
potrebbe essere additata la crisi di valori che frequentemente oggi si
riscontra nei giovani e che trova le sue origini non secondarie anche
nella disgregazione della famiglia, frutto molto spesso delle
difficoltà di intesa tra i genitori, che non riescono a trovare la
necessaria sintonia per costituire un'unità affettiva.
Assieme a quello della
famiglia va considerato anche il ruolo svolto dalle ampie interazioni
socioculturali che il bambino vive nei più vari contesti
sociali, dal vicinato ai gruppi dei pari, alla chiesa,
alle associazioni ecc.
Quando il bambino non rimane
forzatamente e dannosamente chiuso nell'ambito delle mura domestiche, ma ha la
possibilità di stabilire più ampie relazioni sociali, la sua formazione si
arricchisce e si approfondisce.
Ai contesti familiari e
sociali di esperienza oggi si aggiungono i mezzi
di comunicazione di massa che assorbono ampio spazio nella giornata
dei bambini, svolgendo un ruolo fortemente incisivo nel processo della loro
formazione complessiva. I bambini di oggi possono essere considerati
"figli" non solo della
famiglia ma anche della televisione, dei videogames, del computer, della
stampa (fumetti, giornalini ecc.).
Il vicinato,
soprattutto nel passato, svolgeva un essenziale ruolo educativo,
caratterizzandosi per la sua sostanziale coerenza con l'azione svolta dalla
famiglia, della quale costituiva quasi una prosecuzione, sia perché
risultava alla stessa notevolmente omogeneo dal punto di vista
socioculturale, sia perché operava con la sua approvazione, più o meno
consapevolmente accordata. Difficilmente il vicinato si poneva in
netto contrasto con l'indirizzo educativo della famiglia; quando lo faceva,
avveniva, o perché esso si poneva in una prospettiva emendativa
rispetto alla famiglia, quasi sua coscienza critica, o perché assumeva una
funzione integrativa, per una esigenza di discontinuità che può essere
ritenuta essenziale al processo unitario di formazione della personale.
La Chiesa, che nel passato ha molto spesso surrogato la scuola, continua a
svolgere un ruolo fondamentale nella formazione dei giovani, in particolare
nel campo religioso, ma anche in
campo morale e sociale.
La partecipazione alla vita
ecclesiale, oltre ai momenti formativi costituiti per tutti i credenti
dalla preparazione al primo incontro con l'Eucarestia e dalla scuola di
catechismo, rappresenta una occasione formativa continua.
Si pensi, in particolare, alle
omelie domenicali, alle cerimonie dell'anno liturgico, alla stessa
confessione, significativo momento di riflessione.
Inoltre, la Parrocchia
rappresenta per i credenti una seconda famiglia
la famiglia spirituale
costituendosi come occasione di interazioni umane
e sociali educativamente orientate.
In particolare, oggi, in
assenza di spazi di incontro dei fanciulli nell'ambiente urbano, la
parrocchia, con le sue varie iniziative (oratori, scouts, gruppi missionari
ecc.) offre occasioni di vita di gruppo di rilevante significato
formativo.
A ciò si aggiungano le
stimolazioni della stampa religiosa (depliants, giornalini, libri ecc.).
La valenza formativa della
vita ecclesiale non rimane limitata alla formazione religiosa e morale,
che pure ha un rilevante significato, ma si estende alla formazione sociale e
culturale in genere: l'anno liturgico e la storia sacra possono
contribuire alla formazione storica; la stampa missionaria alla formazione
geografica; l'arte sacra alla formazione estetica; i canti e le musiche
alla formazione musicale ecc.
La scuola non ha mai avuto il
monopolio della trasmissione culturale, la quale nelle culture orali avveniva
esclusivamente attraverso le interazioni sociali della vita
quotidiana.
Anche nella civiltà dei
nostri giorni, la gran parte delle conoscenze viene acquisita
attraverso le interazioni sociali più varie di cui il fanciullo è
protagonista nella famiglia e nel più vasto contesto sociale, nel quale
occupano un posto di grande rilievo i mezzi
di comunicazione di massa, rappresentati dai manifesti, dalle
pubblicazioni a stampa e soprattutto dai mezzi audiovisivi (dischi,
audiocassette, radio, televisione, cinema, computer ecc.). Il fanciullo
è immerso quotidianamente in un contesto di stimolazioni culturali
estremamente ricco e vario che gli assicura l'acquisizione di un patrimonio di
conoscenze di gran lunga più vasto di quello acquisito nella scuola.
La civiltà contemporanea è
caratterizzata dalla esplosione delle conoscenze che, nella loro
varietà, incoerenza e contraddizione, si offrono e si impongono con
particolare incisività soprattutto attraverso i mass-media, la cui presenza nella vita quotidiana degli
individui è destinata ad accrescersi, anche attraverso le vie
telematiche che collegheranno sempre più gli individui a reti di banche
dati di dimensioni planetarie.
Il sistema formativo, seppure
comprensivo delle più varie agenzie, trova tuttavia nella scuola (asilo nido,
scuola materna, scuola
elementare, scuola media ecc.), i cui interventi sono intenzionali
e sistematici, la sua
istituzione più rappresentativa.
Anche se le altre istituzioni,
come la famiglia e la chiesa, hanno anche precise finalità formative,
tuttavia è la scuola l'istituzione educativa per antonomasia, in quanto
esclusivamente finalizzata ad educare e ad istruire le giovani generazioni,
in forma diretta, secondo programmi che fissano le finalità da
perseguire, le vie da seguire, i mezzi da utilizzare, i criteri e gli
strumenti di verifica.
L'educazione intenzionale si
caratterizza, oltre che per la sua sistematicità , soprattutto per la
chiara consapevolezza delle sue finalità.
Ciò non significa che anche
l'educazione funzionale non persegua di fatto precise finalità, ma queste non
sono consapevoli: costituiscono un programma occulto. In fondo, ogni
società offre come stimolazioni formative la sua cultura, cioè le
tecniche, le conoscenze ed i valori che esprimono le caratteristiche proprie
degli individui che la compongono e che come tali essa tende a riprodurre:
ogni società vive negli individui che la compongono e tende a perpetuarsi
attraverso la loro riproduzione fisica e culturale.
Tale finalità è perseguita
in modo sistematico quando l'educazione diventa un'azione intenzionale, come
si verifica nella scuola, alla quale sono assegnate precise finalità
educative, riguardanti sia la formazione generale dell'uomo che la formazione
specifica del cittadino, del lavoratore ecc.
In ordine alle finalità
dell'educazione, ci si domanda innanzitutto se esse cambiano completamente
da società a società o siano invece universali.
In merito, pur tenendo
presente che l'uomo si esprime in forme diverse nelle diverse culture, non
si può disconoscere che c'è qualcosa che accomuna gli uomini di tutte
le culture: lo spartano e l'ateniese; il greco ed il romano; l'egiziano ed
il maia, il cinese e l'inglese.
Ciò che accomuna gli uomini
di tutti i tempi e di tutti i luoghi, distinguendoli dagli animali, è
costituito dalla capacità di ragionare, che secondo la definizione di
Boezio costituisce la natura umana (individua substantia rationalis naturae), assieme al
linguaggio verbale, alla sensibilità estetica, all'atteggiamento
religioso ed alle altre caratteristiche umane, che, seppure in forme
diverse, si ritrovano in tutte le società e in tutte le culture.
Ciò che unisce prevale su
ciò che differenzia.
Ciò che unisce costituisce
l'umanità, ciò che fa essere uomo ogni figlio di donna, quali che siano il
colore della sua pelle, la lingua che parla, il cibo di cui si alimenta, gli
indumenti di cui si veste, le divinità che adora
Ebbene, l'educazione deve
perseguire innanzitutto la formazione di ciò che unisce: la capacità di
ragionare prima che il possesso di determinate conoscenze, la capacità di
comunicare prima che il possesso di una determinata lingua,
l'atteggiamento religioso prima che una determinata fede ecc.
Ma l'educazione non può
nemmeno trascurare ciò che differenzia, sì, i singoli uomini, ma arricchisce
la singola persona e la comune natura umana, la quale non si ritrova mai tutta
in un solo individuo o in una sola
cultura. A differenza degli animali, nei quali le differenze fra i singoli
individui sono minime, negli uomini le differenze sono enormi, a livello
non solo quantitativo ma anche qualitativo: l'umanità è così complessa,
varia, ricca, che ha bisogno di tutti gli individui e di tutte le culture per
esprimersi. Al patrimonio finito di istinti che la natura ha
selezionato nell'animale corrisponde una cultura umana senza limiti e
senza confini: il poeta e lo scienziato, il matematico e il letterato, il
peccatore ed il santo, il giocatore d'azzardo e l'avaro, il romantico e il
razionalista, il cinese ed il maia ecc.
Gli Umanisti ponevano come
finalità dell'educazione l'uomo microcosmo, l'uomo che rappresentasse
l'umanità, l'uomo che possedesse tutto il sapere (Pico della Mirandola) e
tutte le virtù (...).
È possibile questo? È
possibile che l'uomo assommi in sé tutta l'umanità che si è espressa nei
diversi popoli e nei diversi individui che hanno popolato la faccia della
terra e che costituisce quella che in senso quantitativo e qualitativo
viene definita humanitas?
È questo il concetto più
pieno e comprensivo della formazione integrale dell'uomo, dell'uomo intero, dell'uomo non
dimidiato, dell'uomo microcosmo, che il poeta Terenzio riassumeva nel
motto homo sum, nihil humani a me
alienum puto.
Evidentemente, la formazione
integrale non può essere concepita in senso quantitativo.
Il singolo individuo non può
racchiudere in sé l'universale umanità che gli innumerevoli uomini vissuti
sulla faccia della terra hanno creato. In fondo, l'uomo è l'unica creatura
dell'universo che ha prodotto molto più di quanto il singolo individuo
possa fare proprio.
Ma certamente non si può
concepire l'uomo come frazione temporale e spaziale di umanità
l'uomo hic et
nunc
, come singolo pezzo di una macchina complessa.
Se così fosse, egli non sarebbe uomo, ma parte dell'uomo.
Ogni essere umano va
considerato come uomo intero, come piena umanità. In ogni uomo deve
rivivere l'umanità di tutti gli uomini che sono stati e che sono, degli
uomini di tutti i tempi e di tutti i luoghi. Il singolo uomo deve poter
rivivere in sé, capire, comprendere gli altri, quali che essi siano: il
santo, il poeta, il pittore, il soldato, il sacerdote, l'esquimese, il maia...
L'uomo non può essere chiuso
all'altro uomo, vicino o lontano che sia, nel tempo e nello spazio, pena il
venir meno della comune umanità.
In tal senso, l'educazione non
può non essere formazione integrale, acquisizione di tutte le capacità, le
abilità, gli atteggiamenti, i saperi che gli uomini hanno creato in tutti i
luoghi e in tutti i tempi.
Ogni individuo deve essere
innanzitutto uomo.
È questo il concetto di
formazione dell'uomo, intesa come formazione generale, come formazione che
caratterizza tutti gli uomini. È la formazione che fa uomo ogni figlio
di donna, a prescindere dal secolo in cui vive, dal paese in cui abita, dal
mestiere che esercita, dalla lingua che parla.
Evidentemente, le finalità
della formazione dell'uomo non possono prescindere da quella che è la
realtà storica, sociale, culturale, economica, politica nella quale vive.
Seppure universale, la natura umana si realizza poi sempre nella concretezza
delle situazioni storiche. Anche se la sua umanità
lo pone al di sopra del tempo e dello spazio, in effetti poi l'uomo vive nel
tempo e nello spazio, nel quale però non rimane confinato.
Pertanto, nella individuazione
delle finalità educazione, se da una parte non si può dimenticare la
universale natura umana, dall'altra non si possono trascurare quelle che sono
le concrete situazioni in cui egli si forma e vive
[15]
.
Vi sono finalità storiche,
che collocano l'uomo in un determinato paese e in determinato tempo, ma queste
non possono negare le finalità astroiche, quelle che pongono l'uomo al di
fuori del tempo e dello spazio, nella sua universale umanità.
Forse, l'espressione formazione
dell'uomo e del cittadino può servire anche a conciliare queste due
esigenze diverse. Da una parte, la formazione
dell'uomo, considerato nella sua natura universale, dall'altra la formazione
del cittadino di questo paese, la formazione
del lavoratore di questa era tecnologica ecc.
In verità, il riferimento al cittadino,
oltre che all'uomo, può essere ritenuto pleonastico. Se non fosse che
dell'uomo sono state elaborate, nella storia del pensiero umano, le
concezioni più diverse, tra le quali quella rousseauiana di un essere
avulso dal contesto sociale e civile, non ci sarebbe certamente stato
bisogno di associare alla formazione dell'uomo quella del cittadino. In
una concezione integrale della persona umana, l'uomo raggiunge la sua piena
espressione quando si sviluppa anche come cittadino di un determinato
Stato. L'uomo cosmopolita è in fondo un'utopia, perché l'uomo è sempre
cittadino di uno Stato, anche se questo si identifica con il mondo
intero; al di fuori del consorzio sociale, l'uomo è una mera
astrazione: Robinson Crusoè continua a vivere con i prodotti e secondo
le regole della società nella quale si era formato
[16]
.
La formazione dell'uomo, ma
anche la formazione del cittadino: non esiste l'uomo astratto, ma l'uomo
concreto, di questo tempo, di questa società; non esiste il cittadino
del mondo, ma il cittadino di questa nazione, di questo Stato, di questa
città. Il problema è quello di non chiudersi agli altri: di essere cittadini
di questo Paese e di aprirsi al mondo intero.
La formazione dell'uomo, ma
anche del lavoratore: agricoltore, artigiano, avvocato ecc. Il problema è
quello di rimanere uomo che riconosce la sua appartenenza all'umanità, pur
facendosi cittadino, meccanico, scienziato, poeta.
Come è possibile ciò?
Evidentemente, si pone innanzitutto il problema della formazione generale
dell'uomo, di coltivare nell'uomo la formazione di tutti i germi
dell'umanità: in tal senso occorre coltivare nel bambino ciò che è
generale piuttosto che ciò che è particolare ovvero ciò che è
particolare senza sacrificare ciò che è generale.
Occorre conservare, anzi
coltivare, quella plasticità che al momento della nascita, ad esempio,
rende il bambino cittadino del mondo, al di sopra del tempo e dello
spazio, per cui egli può apprendere la lingua e la cultura delle genti più
diverse.
La formazione
di base va intesa non tanto come propedeutica alla successiva
formazione, ma come formazione umana in senso lato, come formazione che
accomuna gli individui anziché dividerli per lingua, per religione, per
professione.
In tale prospettiva, ciò che
conta non è lo specifico, ma il generale: non è il sapere ma la capacità
di imparare, non è il valore ma la capacità di valutare, non è la tecnica
ma la capacità di inventare.
Ognuno poi farà le sue
scelte, assumerà la sua fisionomia, la sua lingua, il suo mestiere, sarà
Marco o Filippo, italiano o francese, artigiano o avvocato, ma senza
dimenticare di essere uomo, anzi continuando a sentirsi innanzitutto
uomo: approfondirà la Storia o la Matematica, ma resterà aperto alla
Musica e alle Scienze.
In tal senso, la scuola, in
particolare quella di base, deve promuovere innanzitutto la formazione di
abilità, di capacità, di atteggiamenti generali: deve promuovere la
formazione dell'intelligenza prima che l'acquisizione di abitudini, la
formazione della sensibilità estetica prima che l'acquisizione della tecnica
della pittura, la maturazione sociale prima che i costumi di un determinato
gruppo sociale ecc.
Forse troppo facilmente nella
scuola di base si dimentica che le discipline debbono servire
innanzitutto a scopi formativi, che la Matematica deve contribuire
soprattutto alla formazione dei molteplici aspetti del pensiero, che la
Storia deve servire a comprendere l'uomo nella sua avventura temporale, che
la Geografia deve servire a uscire dal chiuso del natio loco ecc.
Pertanto, più che
all'acquisizione di un determinato patrimonio di conoscenze, occorre
mirare alla formazione motoria, affettiva, sociale, morale, linguistica,
intellettuale ecc.
Alla scuola elementare, nata
in un contesto culturale diverso da quello attuale, nel quale peraltro non si
era ancora acquisita sufficiente consapevolezza che lo sviluppo delle
capacità umane non avviene spontaneamente, ma va stimolato, promosso,
favorito, si è assegnato soprattutto il compito di impartire delle
nozioni, gli elementi del sapere, le discipline.
Malgrado le affermazioni di
principio presenti nei programmi che si sono succeduti dal 1860 in poi, tale
orientamento ha sostanzialmente caratterizzato la scuola
elementare fino ai nostri giorni.
Ora, si avverte forte,
impellente, univoca, l'esigenza di tornare a parlare di formazione.
Se uomini non si nasce ma si
diventa solo attraverso l'educazione, il primo obiettivo di chi si occupa
della formazione dell'uomo deve essere la formazione dell'uomo, cioè la
formazione degli aspetti strutturali della personalità, costituiti
dalla motricità, dall'affettività, dalla relazionalità, dall'intelligenza
ecc.
Come affermava il Gabelli,
prima di riempire la mente, occorre formarla: diversamente non è
nemmeno possibile riempirla!
Si tratta perciò di porre
innanzitutto come finalità della scuola di base la formazione motoria,
affettiva, sociale, religiosa, linguistica, intellettiva ecc.
Non si può pensare di
impegnare i bambini nei processi di apprendimento, se essi non sono capaci
di percepire, di generalizzare, di astrarre, di concettualizzare, di
simbolizzare ecc.
Queste capacità non sono
innate, ma si sviluppano, si formano, si costruiscono. Il loro sviluppo
avviene, sì, anche spontaneamente, attraverso le interazioni sociali che si
attuano nei contesti di vita del bambino, ma, poiché questo sviluppo risulta
aleatorio, si rendono necessari opportuni interventi educativi
finalizzati, mirati, intenzionali
da effettuare soprattutto nell'asilo nido e
nella scuola materna, ma da continuare anche nella scuola elementare e
nella stessa scuola media.
Non ci si può limitare a
prendere atto che i bambini presentano lacune, incapacità, inettitudini;
occorre invece che la scuola di base si ponga come obiettivo innanzitutto la
formazione degli atteggiamenti affettivi, sociali, morali, religiosi; delle
abilità motorie; dei poteri mentali in genere.
Molto spesso si è portati a
trascurare questi aspetti formativi e ci si preoccupa soprattutto del
patrimonio di conoscenze da acquisire. Queste sono necessarie, ma occorre
tener presente che non possono essere acquisite e non possono essere
utilizzate senza quelle.
Le difficoltà di
apprendimento dipendono molto spesso da scarso equilibrio socio-emotivo, da
difficoltà percettive e astrattive, da incapacità di concettualizzazione e
di simbolizzazione ecc.
Si pensi all'insegnamento
linguistico, nel quale, ad esempio, il bambino incontra difficoltà a
scrivere, non solo perché non possiede gli strumenti linguistici, ma anche
perché non ha imparato ad esprimersi, a comunicare, a dare ordine alle
proprie idee.
Pertanto, occorre promuovere
innanzitutto queste capacità, prescindendo dagli strumenti espressivi e
comunicativi specifici: il linguaggio viene prima dei singoli linguaggi.
Si dirà che il linguaggio non
si sviluppa in astratto, ma apprendendo una determinata lingua.
A prescindere dal fatto che vi
sono linguaggi più accessibili, più naturali, più spontanei, come
quelli mimici e gestuali, che vanno valorizzati, occorre tener presente che
ciò che importa non è tanto l'apprendimento formale di una lingua quanto
le finalità formative che ci si propone di conseguire attraverso la sua
acquisizione.
Ad esempio, nell'apprendimento
del leggere e dello scrivere si deve mirare, prima che alla tecnica di
codificazione e decodificazione alfabetica, alla espressione e alla
comunicazione: il bambino deve sempre scrivere per esprimere e comunicare
le sue idee, i suoi pensieri, i suoi stati d'animo. Lo scrivere non deve
essere un mero esercizio tecnico, ma deve rispondere sempre ad una esigenza
comunicativa ed espressiva. Solo in questo modo esso assume finalità
formative.
La scuola materna, la scuola
elementare e la scuola media sono nate con finalità ed in tempi diversi e
solo dopo gli anni '50 è andato maturando il concetto di formazione
di base e quindi l'idea di un sistema formativo unitario che le
comprendesse tutt'e tre , per cui si è cominciato a parlare di scuola
di base.
Oggi, soprattutto dopo gli
Orientamenti educativi del 1991, si ha una visione abbastanza matura del
concetto di formazione di base, come peraltro testimonia la normativa
sulla continuità educativa di cui agli artt. 1 e 2 della L. 148/1990 e la
relativa disciplina amministrativa
[17]
.
Pertanto, risulta più agevole
ricercare e definire le precise finalità formative che le tre
scuole di base debbono unitariamente perseguire al fine di assicurare la
formazione di base di tutti i cittadini.
In tale prospettiva, occorre
innanzitutto superare le visioni settoriali delle tre scuole, legate ai
tempi e alle culture in cui sono nate. Solo attraverso questa
revisione è possibile pervenire a individuare quelle che sono le loro
comuni finalità formative, muovendo da una visione integrale dell'uomo,
considerato nella molteplicità e unitarietà dei suoi aspetti
costitutivi.
A tali aspetti si è sempre
fatto riferimento nei testi programmatici della scuola elementare e della
scuola media, anche se spesso in modo generico, con affermazioni di
principio confinate nelle loro premesse, ma poi l'attenzione si è spostata
sui saperi, sulle discipline di studio: sugli apprendimenti anziché sulle
formazioni.
Gli esiti di una tale
disattenzione nei confronti dei fini formativi appaiono preoccupanti e la
società tutta prende ogni giorno di più consapevolezza che occorre
promuovere innanzitutto la formazione complessiva della personalità.
Non basta il leggere, lo
scrivere, il far di conto e nemmeno la storia, la geografia, le scienze:
occorre mirare esplicitamente, intenzionalmente, sistematicamente, alla
formazione motoria, emotivo-affettiva, sociale, morale, religiosa,
cognitiva ecc.
[1]
Scrive Kant che <<La
bestia è già resa perfetta dall'istinto... L'uomo invece... non possiede
un itinto e deve quindi formulare da sé il piano del proprio modo di
agire... La specie umana deve esprimere con le sue forze e da se stessa le
doti proprie dell'umanità. Una generazione educa l'altra... L'uomo può
diventare tale solo con l'educazione>> (KANT E., Pedagogia,
O.D.C.U., Rimini, 1953, pp.25-27).
[2]
Tale patrimonio non materiale costituisce il capitale
invisibile, secondo la felice espressione del Gozzer (GOZZER G., Il
capitale invisbile, Armando, Roma, 1973).
[3]
KANT, E., Op. cit., p. 35. In merito, cfr. anche: TRSTENJAK A., Il cammino dell'uomo, La Scuola, Brescia, 1975; PERETTI M., Cultura,
La Scuola, Brescia, 1978.
[4]
Secondo le più recenti ricerche, anche prima.
[5]
Secondo il Laeng, la scuola nasce appunto con l'invenzione della
scrittura (LAENG M., La scuola oggi, La Nuova Italia, Firenze, 1975, pp. 3-5).
[6]
Piaget afferma che anche i poteri logici non sono innati, ma si
sviluppano attraverso il loro esercizio: <<...la
logica non è innata nel bambino. Se la logica stessa si costruisce invece
di essere innata, ne consegue che il primo compito dell'educazione è di
formare la ragione>> (PIAGET J.,
Dove va l'educazione, Armando, Roma, 1974, p. 51).
[7]
Nell'idealismo l'educazione viene concepita come autocreazione o autoctisi (Neoidealismo gentiliano).
[8]
Si intende per personalità di
base l'insieme delle caratteristiche che sono proprie degli individui
appartenenti ad una determinata società (TENTORI T., Antropologia
culturale, Studium, Roma, 1960, pp.86ss.).
[9]
I termini auto ed eteroeducazione assumono spesso diversi significati: a rigore, per eteroeducazione
si intende l'azione di formazione esercitata da fattori esterni
all'individuo (azione antropoplastica) e per autoeducazione
il processo di sviluppo, secondo il naturalismo pedagogico, o di
autocreazione, secondo l'idealismo (autoctisi,
secondo il Gentile). Tuttavia, molto spesso per eteroeducazione ed
autoeducazione si intendono, rispettivamente, le influenze educative esterne
e l'azione personale attraverso la quale tali influenze vengono
assimilate, fatte proprie.
[10]
Come afferma il Bruner, <<la specie umana, anche prescindendo dalla cultura acquisita nel
corso della storia, potrebbe, col tempo, reinventare il linguaggio e la
tecnlogia che hanno reso possibile l'espressione della sua potenza, ma lo
sviluppo di un singolo individuo, concepito al di fuori di ogni presupposto
culturale, costituirebbe un'ipotesi inverosimile>> (BRUNER J.S., Verso
una teoria dell'istruzione, Armando, Roma, 1967, p.17.)
[11]
La Montessori aiutava gli alunni, organizzando apposite situazioni di
apprendimento costituite soprattutto dai materiali strutturati. Al posto dei
materiali possono essere offerti immagini o materiali simbolici attraverso
la viva voce degli insegnanti, i libri o appositi strumenti tecnologici.
[12]
BOWLBY J., Cure materne e igiene
mentale del fanciullo, Giunti-Barbèra, Firenze, 1975; SPITZ R. A.,
Il primo anno di vita del bambino, Giunti-Barbèra, Firenze, 1962;
AINSWORTH M.D., La carenza di cure
materne, Armando, Roma, 1966; RUTTER M., Cure
materne e sviluppo psicologico del bambino, Il Mulino, Bologna, 1973;
BERNSTEIN B., Struttura sociale,
linguaggio e apprendimento, in PASSOW A., L'educazione
degli svantaggiati, Angeli, Milano, 1972.
[13]
SANTELLI BECCEGATO L., Famiglia, in FLORES D'ARCAIS G. (a cura di), Nuovo dizionario di pedagogia, Paoline, Roma, 1982, p. 470. In
merito al ruolo educativo della famiglia, cfr., in particolare: AA.VV., Famiglia
ed educazione, La Scuola, Brescia, 1964; PERETTI M.,
L'educazione familiare oggi, La Scuola, Brescia, 1972; GALLI N., Problemi attuali di pedagogia familiare, La Scuola, Brescia, 1972;
GALLI N., Nuovi problemi di pedagogia
familiare, La Scuola, Brescia, 1974. OSTERRIETH P., Il bambino della famiglia, Loescher, Torino, 1974; AA.VV., Educazione
familiare e cambiamento culturale, La Scuola, Brescia, 1981.
[14]
SANTELLI BECCEGATO L., ibidem.
[15]
SANTOMAURO G., Per una pedagogia in
situazione, La Scuola, Brescia, 1967.
[16]
Un problema a a sé stante è costituito dai nomadi.
[17]
La continuità educativa risulta disciplinata dall'O.M. annessa alla C.M.n°339
del 16.11.1992.
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