GIOIA E GUSTO DI IMPARARE: LA MOTIVAZIONE AD APPRENDERE
Umberto Tenuta
Abbiamo detto e ripetuto, ossessivamente, che, almeno nella scuola, apprendere non può essere un obbligo, e quindi una pena, se non altro perché occorre continuare ad apprendere per tutto il corso della vita.
Non basta che oggi, con i premi o con i castighi, gli alunni apprendano, perché le conoscenze di oggi saranno obsolete domani e chi non ha acquisito, non solo la capacità di imparare, ma anche un atteggiamento positivo verso l’apprendimento, domani sarà nella stessa condizione di colui che oggi non ha appreso.
Anzi, c’è il rischio che coloro che sono stati costretti ad apprendere possano domani trovarsi in una condizione peggiore di coloro che non sono andati a scuola, i quali, pur non avendo appreso, non hanno maturato un atteggiamento negativo verso l’apprendimento.
In una civiltà statica bastava avere acquisito, non importa come, le conoscenze e le competenze che sarebbero bastate per tutta la vita, ma in una civiltà in rapida trasformazione non hanno importanza tanto le conoscenze e le competenze acquisite quanto la maturazione della capacità di imparare e soprattutto la voglia di continuare ad imparare.
Forse nemmeno a suo tempo è stata pienamente colta la grande significanza dell’affermazione contenuta nei Programmi didattici del 1955; <<scopo essenziale della scuola non è tanto quello di impartire un complesso determinato di nozioni, quanto di comunicare al fanciullo la gioia ed il gusto di imparare e di fare da sé, perché ne conservi l'abito oltre i confini della scuola, per tutta la vita>>.
Ciò che maggiormente importa che si acquisisca nella scuola è la gioia e il gusto di imparare.
Da una parte, la gioia: imparare con gioia, e non come pena, come condanna, come obbligo. L’apprendere non può non essere filosofia (amore del sapere).
Dall’altra, il gusto: la propensione ad imparare (portare dentro di sé la voglia di imparare: sete di sapere).
La gioia ed il gusto di imparare, sono questi gli obiettivi prioritari che la scuola, ad ogni livello, deve impegnarsi a perseguire, finalizzando ad essi la sua organizzazione e la sua impostazione educativa e didattica.
Nella scuola tutto deve essere fatto perché in ogni alunno maturino la gioia e il gusto di imparare.
Tuttavia, non si può non prendere atto che è estremamente difficile, quasi un’impresa disperata, riuscire ad operare questo cambiamento di prospettiva, non tanto nella consapevolezza, quanto negli atteggiamenti dei docenti.
In effetti, se, almeno sul piano della consapevolezza pedagogica, non si disconosce che occorre imparare ad imparare e che in tale prospettiva occorre maturare atteggiamenti positivi nei confronti dell’imparare, estremamente difficile risulta però operare un effettivo cambiamento di atteggiamento nella concreta attività educativa e didattica, modificando la consolidata prassi didattica che vede il docente impegnato a decidere e ad imporre quello che gli alunni debbono imparare: non sembra proprio che si possa e si debba mettere in discussione che spetti al docente, non solo prevedere quello che gli alunni debbono apprendere, ma anche imporre che gli alunni lo apprendano.
Il docente entra in classe e spiega la Rivoluzione francese: appare indiscutibile che gli alunni debbano stare attenti alla lezione e soprattutto debbano impararla. All’obbligo della frequenza non può non associarsi l’obbligo di imparare: che significato avrebbe la frequenza se ad essa non si accompagnasse l’obbligo di imparare?
Eppure, non è così.
Si può certamente imporre la frequenza, con i castighi, ed anche con i premi.
In effetti, la frequenza è quasi sempre assicurata, non solo nella scuola dell’obbligo, ma anche nelle scuole successive.
E, tuttavia, all’osservanza dell’obbligo della frequenza non sempre corrisponde l’osservanza dell’obbligo di apprendere. Come afferma il Freinet, si può portare il cavallo alla fonte e fischiare quanto si vuole, ma se il cavallo non vuole bere non beve (1).
Al riguardo, peraltro, giova evidenziare che, anche quando l’obbligo viene rispettato, anche quando gli alunni, obbligati con i castighi o con i premi, abbiano appreso, non si è raggiunto lo scopo, perché gli alunni, pur avendo acquisito le conoscenze di oggi, non hanno maturato la capacità e soprattutto la gioia e il gusto di continuare a imparare per tutto il corso della vita.
Che fare, allora?
Prima che a fare apprendere, occorre impegnarsi a far maturare la volontà di apprendere (2).
Entrando in classe, il primo impegno del docente non deve essere quello di spiegare, ma quello di suscitare la volontà di imparare quel determinato argomento.
Occorre che negli alunni sia presente la volontà di apprendere.
Deve trattarsi di volontà libera, non coatta.
La volontà può nascere dalla costrizione (premi e castighi erano uno dei capitoli essenziali dei trattati di pedagogia, fino all’altro giorno, e hanno lasciato traccia non facilmente rimovibile). Ma non serve.
La volontà deve essere libera.
Bruner afferma che occorre far leva soprattutto sulle motivazioni intrinseche, non su quelle estrinseche.
La soluzione potrebbe essere trovata negli interessi spontanei. L’Attivismo pedagogico ha esaltato gli interessi spontanei, interpretando in tale prospettiva il Rousseau. Ma con gli interessi spontanei non si va lontano, perché gli apprendimenti scolastici non possono essere sporadici, occasionali, frammentari, ma debbono essere organici, intenzionali, programmatici.
Se ci si affida agli interessi spontanei, si rischia di non perseguire le mete formative che pure gli alunni debbono conseguire per realizzare la piena formazione della loro personalità.
Gli alunni manifestano gli interessi più vari, eterogenei, disorganici.
Che fare, dunque?
Se gli interessi non possono essere quelli spontanei, ma debbono pur essere intrinseci, qual è la soluzione?
Bruner la offre, e non la offre solo Bruner (3).
La soluzione del problema è meno difficile di quanto possa apparire.
Gli esseri umani, in particolare i bambini, sono naturalmente portati ad apprendere. Come scrive il Bruner, <<La più singolare caratteristica umana è l'attitudine ad apprendere. L'apprendere è cosi profondamente insito nell'uomo, da essere quasi involontario, ed alcuni studiosi del comportamento umano hanno perfino sostenuto che la peculiarità della nostra specie è una particolare attitudine ad apprendere>>(4).
I bambini nascono naturalmente motivati ad apprendere.
Bruner afferma che le motivazioni intrinseche, di cui quasi tutti i bambini sono portatori, sono costituite dalla curiosità, dal desiderio di competenza, dal bisogno di identificazione, dalla motivazione della reciprocità.
Innanzi tutto la curiosità.
La prima motivazione , la più importante e significativa motivazione ad apprendere è l’innata curiosità umana (5).
Occorre far leva soprattutto sull’innata curiosità. Come afferma Bruner, <<Fin quando sarà possibile fare affidamento su questa importante motivazione umana, che si presenta come la più efficace e più sicura di tutte, sembra ovvio che la nostra istruzione artificiale possa essere resa meno artificiale, dal punto di vista delle motivazioni, impostandola in un primo tempo su forme più superficiali della curiosità e dell’attenzione e, successivamente, portando la curiosità a una espressione più sottile e più attiva>> (6).
Si tratta di fare affidamento soprattutto sulla innata curiosità degli alunni, alimentandola e soprattutto non spegnendola.
Innanzitutto, occorre avere l’accortezza di non spegnere l’innata curiosità, che è purtroppo quello che spesso avviene nella scuola, alla quale il bambino arriva ancora con il suo carico di domande e ne esce troppo spesso senza alcun desiderio di apprendere, di interrogare e di interrogarsi.
Solo alcuni, troppo pochi, escono indenni dall’azione distruttrice di ogni forma di curiosità che la scuola esercita: sono i pochi che diventeranno gli scienziati. Che altro è uno scienziato se non un individuo che ha avuto la forza di conservare le sue curiosità infantili? La cosa che più mi meraviglia, diceva Einstein, è che malgrado tutta la Matematica che ho imparato nella scuola, io abbia potuto conservare l’amore per la Matematica.
Molto spesso la scuola uccide la curiosità, la gioia di imparare (7).
Se la scuola non uccidesse l’innata curiosità, già sarebbe grandemente meritoria.
Ma non guasterebbe proprio che la scuola, oltre a non uccidere, coltivasse l’innata curiosità, la incrementasse, la valorizzasse.
Due appaiono i criteri fondamentali che al riguardo i docenti dovrebbero tenere presenti:
a) non fare nulla che possa distruggere l’innata curiosità
Prima di dare corso a qualsiasi attività scolastica, occorre domandarsi se essa può in qualche modo recare danno alla innata curiosità. Si pensi a tutte le attività che vengono imposte, a tutte le memorizzazioni che non nascono da un sentito bisogno di ricordare degli alunni, a tutti gli esercizi ripetitivi, noiosi, imposti come una pena ecc.
b) fare tutto quello che può alimentare l’innata curiosità
occorre organizzare l’attività didattica in modo che essa risponda sempre ad effettive domande, ad effettivi bisogni di conoscere, a reali interrogativi degli alunni.
In questo impegno volto a suscitare e ad incrementare la curiosità degli alunni, un ruolo determinante può essere giocato dalle tecnologie multimediali, opportunamente e sapientemente utilizzate dai docenti.
Immagini, luci e suoni vanno sapientemente utilizzati soprattutto per suscitare domande, motivazioni. interrogativi sempre più profondi e sempre più duraturi.
La curiosità si manifesta spontaneamente nei fanciulli, ma occorre saperla focalizzare sugli argomenti che fanno parte del curricolo scolastico e che si riferiscono agli specifici obiettivi formativi da perseguire, di volta in volta.
Tuttavia, occorre tenere presente che la curiosità può essere, non solo recepita, ma anche suscitata. G. Petter offre utili indicazioni a tal fine (8).
Più che raccogliere le domande, il docente deve saperle provocare, suscitare, promuovere.
Gli apprendimenti che si realizzano nella scuola debbono essere per quanto possibile organici e, pertanto, il compito dei docenti è soprattutto quello di suscitare le curiosità relative alle tematiche di volta in volta proposte. Quello che importa non è tanto che le domande sorgano spontaneamente dagli alunni quanto che le domande ci siano e siano domande effettive, espressione della reale curiosità degli alunni, del loro bisogno di conoscere.
In tale prospettiva, oltre a muovere dalle curiosità già esistenti, il docente deve sapere presentare inizialmente i compiti da intraprendere in modo che essi suscitino delle motivazioni, degli interessi, delle curiosità.
Tuttavia, le curiosità bisogna saperle, non solo suscitare ed incrementare, ma anche mantenere.
Le capacità di attenzione degli alunni vanno sempre più aumentando dalla scuola dell’infanzia alle scuole successive.
Il compito dei docenti è quello di fare in modo che le curiosità non vivano lo spazio di un attimo ma durino quanto più possibile.
Vi sono diverse strategie per suscitare le domande e per mantenere viva la curiosità.
Bruner fa riferimento all’effetto Zeigarnik(9). Fa parte della maestria didattica non soddisfare mai appieno le curiosità degli alunni ma fare in modo che al termine di ogni percorso didattico essi abbiano più domande di quante ne avevano all’inizio. È questa la caratteristica dei processi della ricerca scientifica, i quali lasciano sempre più interrogativi di quanti ne abbiano soddisfatti.
Per continuare ad apprendere per tutto il corso della vita, occorre che le domande generino domande, giammai risposte esaustive.
È il destino dell’uomo non trovare mai risposte definitive alle sue domande.
Il bravo docente è colui che, non solo sa far nascere le domande, ma sa farle moltiplicare.
Note
1 FREINET C., I detti di Matteo, La Nuova Italia, Firenze, 1962, p. 8.
2 La volontà di apprendere (Da: Bruner J. S., Verso una teoria dell’istruzione, Armando, Roma, 1967, capitolo VI, passim).
3 Bruner J. S., Verso una teoria dell’istruzione, Armando, Roma, 1967, capitolo VI; HODKIN R.A., La curiosità innata - Nuove prospettive dell'educazione, Armando, Roma, 1978.
4 Bruner J. S., Verso una teoria dell’istruzione, Armando, Roma, 1967, p. 177.
5 HODKIN R.A., La curiosità innata - Nuove prospettive dell'educazione, Armando, Roma, 1978.
6 Bruner J. S., Verso una teoria dell’istruzione, Armando, Roma, 1967, pp.
7 De closets F., La bonheur d’apprendre (et comment on l’assassine), Ed. du Seuil, Paris, 1996.
8 In merito cfr. PETTER G., Conversazioni psicologiche con gli insegnanti, Giunti-Barbèra, Firenze, 1971, volume. II, Capitolo IX. Ma vedi anche HODKIN R.A., La curiosità innata - Nuove prospettive dell'educazione, Armando, Roma, 1978.
9 Bruner J. S., Verso una teoria dell’istruzione, Armando, Roma, 1967, p. 185.