IMPARARE è INVENTARE
Umberto Tenuta
Scrive S. Tommaso d’Aquino: <<vi è un doppio modo di acquistare la scienza:
· uno quando la ragione naturale da se stessa giunge alla conoscenza di cose ignote - e questo modo si chiama invenzione;
· l’altro quando la ragione naturale viene aiutata da qualcuno dall’esterno - e questa maniera si chiama dottrina (insegnamento).
In ciò in vero che viene prodotto dalla natura e dall’arte, l’arte procede allo stesso modo e con gli stessi mezzi che la natura.
Come infatti la natura guarirebbe riscaldando chi soffre di frigidezza, così fa pure il medico; per cui si dice che l’arte imita la natura.
Il simile accade anche nell’acquisto della scienza:
· il docente cioè conduce altri alla scienza di cose ignote allo stesso modo che uno, scoprendo, conduce se stesso alla conoscenza di ciò che ignora>>(1).
Quando gli alunni debbono apprendere un concetto, il docente deve resistere alla tentazione di presentarglielo già bell’e definito, magari facendo ricorso alle più sofisticate presentazioni ipermediali.
Se, come oggi si è tutti d’accordo, le conoscenze, prima che apprese, debbono essere comprese, è necessario che esse, per essere comprese¸siano scoperte, per cui i docenti, anziché impegnarsi a descrivere, presentare, illustrare le conoscenze, debbono organizzare le situazioni che mettano gli alunni nella condizione di scoprirle.
Il principio della scoperta (riscoperta) vale sia quando gli alunni debbono apprendere concetti semplici, sia quando debbono apprendere regole, procedure, teorie.
La scoperta dei concetti
Se gli alunni debbono apprendere concetti, anche semplici, quali quelli di perimetro, di trapezio, di articolo, di lago ecc., gli insegnanti debbono creare le situazioni didattiche che consentano agli alunni di scoprire (costruire) tali concetti.
Così come gli uomini hanno spontaneamente scoperto (costruito) tutte le conoscenze oggi possedute dall’umanità, anche gli alunni possono riscoprire i concetti attraverso le quotidiane esperienze di vita, le quali però non offrono la garanzia che tutti gli alunni apprendano i concetti che si ritengono didatticamente importanti e che gli apprendimenti avvengano in tempi brevi.
La scuola si sostituisce alle esperienze spontanee, in quanto costituisce un ambiente artificiale creato appositamente per facilitare la scoperta dei concetti da parte di tutti gli alunni.
Come afferma il Bruner, <<la specie umana, anche prescindendo dalla cultura acquisita nel corso della storia, potrebbe, col tempo, reinventare il linguaggio e le tecnologia che hanno reso possibile la espressione della sua potenza, ma lo sviluppo di un singolo individuo, concepito al di fuori di ogni presupposto culturale, costituirebbe un’ipotesi del tutto inverosimile>>(2).
Perché il singolo individuo possa impossessarsi del patrimonio culturale acquisito dagli uomini nel corso dei millenni e possa sviluppare le capacità e gli atteggiamenti che ad esso si sono accompagnati, è necessario un ambiente appositamente organizzato che consenta di favorire e abbreviare i tempi dell’apprendimento. Tale ambiente è la scuola, la quale, afferma ancora Bruner, <<è uno speciale tipo di vita, accuratamente programmato al fine di sfruttare al massimo quegli anni ricchi di possibilità formative che caratterizzano lo sviluppo dell’homo sapiens e che distinguono la specie umana dalle altre>>(3).
Pertanto, il compito dei docenti è quello di creare situazioni artificiali, quanto più possibile simili a quelli naturali (<<l’arte imita la natura>>, dice S.Tommaso D’Aquino), capaci di consentire la reinvenzione dei concetti.
Per organizzare siffatte situazioni si possono utilizzare materiali didattici comuni, come hanno sempre fatto i grandi educatori (4), oppure materiali didattici strutturati, come ha fatto in particolare la Montessori (5).
A titolo esemplificativo, ci proponiamo di presentare prossimamente, sempre in Didattica@edscuola.com, gli itinerari didattici relativi alla scoperta di alcuni concetti. Più che di vere e proprie unità didattiche, si tratta di schemi, di abbozzi, che vanno di volta adeguati ai particolari contesti educativi, tenendo presenti i livelli di sviluppo dei singoli alunni , le loro motivazioni, le situazioni ambientali ecc.
Gli esempi si propongono di offrire un’idea di quelli che dovrebbero essere gli specifici itinerari didattici relativi alla scoperta dei più diversi concetti delle singole discipline.
Le condizioni essenziali per la realizzazione di tali itinerari sono le seguenti:
1) ogni esperienza dovrebbe muovere da situazioni problematiche concrete (motivazioni, interessi, domande…), in quanto gli alunni non debbono essere mai costretti a imparare, ma debbono essere sempre motivati, facendo affidamento soprattutto sulla loro innata curiosità (6) (motivazione);
2) le esperienze dovrebbero essere realizzate dagli alunni possibilmente in gruppi di tre/quattro, in modo da favorire il confronto delle idee, la discussione delle diverse posizioni, l’analisi da diverse angolazioni personali ecc. (cooperative learning);
3) le esperienze dovrebbero risultare sempre adeguate ai livelli di sviluppo dei singoli alunni (alle loro capacità ed ai loro atteggiamenti) ed ai loro livelli di apprendimento (pre-conoscenze), oltre che ai loro ritmi e stili apprenditivi (individualizzazione dell’insegnamento);
4) le esperienze dovrebbero essere realizzate prima con materiali didattici concreti, comuni e strutturati, e poi anche con materiali iconici e simbolici (dal concreto all’astratto);
5) al termine delle esperienze, il docente dovrebbe procedere, con il più largo coinvolgimento degli alunni, alla sistematizzazione delle conclusioni cui sono pervenuti i singoli gruppi di alunni, in modo da offrire la presentazione scientifica corretta dei concetti scoperti (sintesi magistrale);
6) i concetti dovrebbero essere poi oggetto di opportune esercitazioni in modo che ogni alunno li possa acquisire in forma stabile, consolidandone il possesso (attività di consolidamento);
7) infine, i concetti acquisiti dovrebbero essere utilizzati per la scoperta di altri concetti (transfer).
A documentazione di una tale impostazione didattica, si ritiene opportuno riportare una pagina di M. Montessori (7).
LA MAESTRA
La maestra che vuole prepararsi a questa speciale educazione, bisogna dunque che abbia chiara innanzi tutto questa idea: che non si tratta di dare al fanciullo delle cognizioni sulle qualità delle cose - come dimensioni, forma, colore - con il mezzo di oggetti. Né lo scopo è di indurre il bambino a saper usare, senza errore, il materiale che gli si presenta, eseguendo bene un esercizio. Ciò metterebbe il nostro materiale alla stregua di qualunque altro - p. es.: di quello Froebel - e richiederebbe di continuo l'opera attiva della maestra, che dovrebbe agire fornendo cognizioni, affrettandosi a correggere ogni errore, fino a che il bambino non avesse imparato. Infine il materiale non è un nuovo mezzo che si pone in mano all'antica maestra attiva per aiutarla nel suo compito d'insegnante. Qui si tratta di un radicale spostamento dell'attività che, prima insita nella maestra, è, col nostro metodo, lasciata invece prevalentemente al bambino. L’opera dell'educazione è divisa tra maestra e ambiente. Alla antica maestra «insegnante» è sostituito un insieme assai più complesso, cioè coesistono alla maestra molti oggetti (i mezzi di sviluppo) che cooperano alla educazione del bambino. La differenza profonda che c'è tra questo metodo e le cosiddette «lezioni oggettive» dei vecchi metodi è che gli «oggetti» non sono un aiuto per la maestra che deve spiegare, cioè non sono « mezzi didattici ». Ma sono un aiuto al bambino il quale li sceglie, se li appropria, li usa, e secondo le proprie tendenze e bisogni, secondo l'impulso dell'interesse. Così gli oggetti diventano «mezzi dì sviluppo ». Gli oggetti e non l'insegnamento della maestra sono la cosa principale: ed essendo il bambino che li usa, egli, il bambino, è l'entità attiva e non la maestra. La maestra tuttavia ha molte e non facili mansioni: la sua cooperazione è tutt'altro che esclusa: ma diventa prudente, delicata e multiforme. Non abbisognano le sue parole, la sua energia, la sua severità, ma quel che occorre è la sapienza oculata nell'osservare, nel servire, nell'accorrere o nel ritirarsi, nel parlare o nel tacere, secondo i casi e i bisogni. Essa deve acquistare una agilità morale, che finora non le fu chiesta da nessun altro metodo, fatta di calma, di pazienza, di carità e di umiltà. La virtù e non le parole sono la sua massima preparazione. Volendo riassumere il suo principale compito nella pratica della scuola, si può accennarlo così: la maestra deve spiegare l'uso del materiale. Essa è principalmente un punto di collegamento tra il materiale (gli oggetti) e il bambino. Compito semplice, modesto e pur delicato assai più di quando, nelle vecchie scuole, il materiale era invece un semplice punto d'aiuto alla corrispondenza intellettuale tra la maestra che deve trasmettere le sue idee e il bambino che deve riceverle. Qui la maestra non fa altra cosa che facilitare e chiarire al bambino il lavoro attivissimo e continuo che gli è riserbato: «scegliere oggetti» e «esercitarsi con essi». Qualche cosa di simile a quanto succede in una palestra ginnastica ove sono necessari il maestro e gli strumenti: il maestro insegna colà l'uso delle parallele o delle altalene; fa vedere come i pesi si maneggino, ecc., e gli allievi usano quegli oggetti, e con l'uso «sviluppano » forza, agilità e tutto quanto è possibile che si sviluppi, quando le energie muscolari sono messe in rapporto con i vari mezzi che la palestra offre per esercitarsi. Quel maestro di Ginnastica non è un parlatore, è un indicatore. E come con parole sulle teorie della ginnastica non riuscirebbe a fare robusto uno solo dei suoi allievi, così la vecchia scuola falliva assolutamente nel fortificare l'individualità e il carattere dei bambini. Nelle nostre scuole invece, dove la maestra si limita a indicare e a dirigere, a metter a disposizione una palestra di esercizi mentali, i bambini si rinforzano, diventano individualità di robusto carattere, di profonda disciplina, e acquistano una salute interiore che è appunto il brillante risultato della liberazione dell'anima. È duplice lo studio che deve fare la maestra; perché essa deve ben conoscere il lavoro che spetta a lei e l'ufficio riserbato invece al « materiale » cioè « ai mezzi di sviluppo ». è difficile preparare « teoricamente » una tale maestra, che deve « formare se stessa », che deve apprendere a osservare, a essere calma, paziente e umile, a trattenere i propri impulsi, e che ha un compito eminentemente pratico nella sua delicata missione. Essa ha più bisogno, a sua volta, di una palestra per l'anima sua che di un libro per la sua intelligenza. Tuttavia il suo «compito attivo» si può apprendere con chiarezza e facilità, quello cioè che riguarda la maestra come ente che pone il bambino in rapporto col suo reattivo. Essa deve sapere scegliere l'oggetto adatto, e porgerlo in modo da farlo, comprendere e da provocare da parte del fanciullo un interesse profondo. La maestra deve perciò conoscere assai bene il materiale ¾ e tenerlo di continuo presente innanzi alla sua mente¾ e apprendere con esattezza la tecnica, anchessa sperimentalmente determinata, nel presentare il materiale, e nel trattar il bambino per guidarlo efficacemente. A tutto questo ha riguardo in modo speciale la preparazione della maestra. Essa potrà studiare teoricamente alcuni principi generali utilissimi per orientarsi nella pratica, ma acquisterà solo con l'esperienza quelle delicate modalità che variano nel trattare individui diversi, per non trattenere menti più sviluppate con materiali inferiori alle capacità individuali, destando tedio, e d'altra parte non offrire oggetti ancora non apprezzabili, mortificando così il primo entusiasmo infantile. Conoscere ìl materiale. - Per conoscere il materiale la maestra,non deve contentarsi di vederlo, di studiarlo sulla guida del libro, o di apprenderne l'uso dall'esposizione di un insegnante. Ma occorre che si eserciti lungamente con esso […]. Dare lezioni. - La maestra, nel suo ufficio di guidare il lavoro del bambino col materiale (le lezioni della maestra), deve distinguere due tempi diversi. Nel primo essa mette il bambino in comunicazione col materiale, lo <<inizia>> al suo uso (tempo dell'iniziazione). Nel secondo essa interviene a illuminare il bambino che già è riuscito, coi suoi esercizi spontanei, a distinguere le differenze tra le cose. Allora la maestra può meglio determinare le idee acquistate spontaneamente dal bambino, se necessario, e dare la nomenclatura relativa alle differenze percepite. |
1 S. TOMMASO D’AQUINO (a cura di M. Casotti), De magistro, La scuola, Brescia, 1957, p 28.
2 Bruner J. S., Verso una teoria dell’istruzione, Armando, Roma, 1967. pp.17-18.
3 BRUNER J. S., Dopo Dewey, Armando, Roma, 1970, p. 17.
4 Il riferimento più forte è alle sorelle Agazzi, ma tutte le esperienze di "scuole nuove" sono fondate soprattutto sull’utilizzazione di materiali didattici comuni, naturali, offerti dall’ambiente. Al riguardo, cfr.: ROMANINI L., La metodologia moderna nella scuola elementare, La Scuola, Brescia, 1955; ROMANINI L., Il movimento pedagogico all’estero (vol. I - Le idee; vol. II - Le esperienze), La Scuola, Brescia, 1955.
5 Tra le altre opere, cfr. MONTESSORI M., La scoperta del bambino, Garzanti, Milano, 1950 e, per la Matematica: MONTESSORI M., Psicoaritmetica, Garzanti, Milano, 1971.
6 HODKIN R.A., La curiosità innata - Nuove prospettive dell'educazione, Armando, Roma, 1978.
7 Da MONTESSORI M., La scoperta del bambino, Garzanti, Milano, 2000, pp.164-168 (Le enfatizzazioni in neretto sono nostre).