La Procedura per l’incremento stipendiale

ALCUNE PROPOSTE DI MODIFICA

Umberto Tenuta

 

La maturità di una società democratica si misura dalle capacità critiche che i suoi cittadini, quale che sia il ruolo svolto, riescono a utilizzare.

Anche la questione della Procedura per l’incremento stipendiale andrebbe affrontata criticamente, prendendone in considerazione i vari aspetti.

La prima domanda da farsi riguarda l’esigenza della competenza professionale dei docenti.

Si ritiene necessaria una competenza professionale idonea ad assicurare a tutti gli alunni il successo formativo in termini di <<pieno sviluppo della persona umana>> e nel rispetto delle loro identità personali, sociali, culturali e professionali, così come viene sancito nel Regolamento dell’autonomia scolastica?

Se si risponde positivamente, occorre ancora domandarsi se questa competenza può rimanere quella accertata al momento dell’ingresso nei ruoli e non abbia invece bisogno di continuo aggiornamento, in relazione alla rapida obsolescenza dei saperi disciplinari e dell’avanzamento della ricerca sociopsicopedagogica.

È il docente uomo di cultura e quindi impegnato a tenere il passo con il continuo farsi della cultura?

Se si risponde positivamente anche a questa seconda domanda, occorre ancora chiedersi se tutti i docenti che si trovano ad insegnare nelle scuole garantiscono ai loro alunni questo diuturno impegno di aggiornamento.

Se si risponde positivamente, il discorso è chiuso.

Non c’è bisogno di incentivi: la scuola è un’isola felice, in cui ciascuno fa il suo dovere; in cui tutti i docenti si aggiornano, in cui tutti i docenti sono su un piano di sostanziale parità sia per quanto riguarda le loro competenze professionali, sia per quanto riguarda il loro impegno educativo e didattico.

Se invece si riconosce che, purtroppo, come nella società anche nella scuola, non tutti i docenti si impegnano allo stesso modo nell’aggiornamento delle loro competenze disciplinari e metodologico-didattiche, allora occorre evidentemente creare degli incentivi.

Quali incentivi?

Si può discutere sulla natura degli incentivi, ma evidentemente deve trattarsi di incentivi economici da attribuire a chi dimostra di migliorare le sue competenze professionali.

A questo punto il problema è come accertare il merito.

Non si può continuare ad offrire a tutti i docenti lo stesso trattamento economico, ma occorre differenziarlo a seconda del merito.

È questo il vero problema.

Nel passato, v’era un concorso per merito distinto, che non suscitava nessuno dei lamentati complessi di inferiorità e di discriminazione, perché tutti ritenevano che fosse giusto premiare il merito.

Ma il concorso per merito distinto è stato abolito.

V’era anche la qualifica annuale, attribuita dal Capo d’istituto.

È stata anch’essa abolita, sotto l’ondata egualitaristica del Sessantotto.

La normativa delegata ha vagamente delineato un controllo sociale, che non è stato mai disciplinato, che non ha funzionato, che è stato rifiutato nel momento in cui i genitori e gli alunni hanno avuto occasione di lamentare la non adeguata qualità dell’attività educativa e didattica di qualche docente.

Occorre quindi trovare delle procedure che consentano di accertare il merito dei docenti e degli altri operatori scolastici.

Per gli ispettori tecnici decide il Direttore generale; per i Dirigenti scolastici vi è un Nucleo di valutazione.

Per i docenti è stata prevista una procedura composita: curricolo (25 punti); competenze teoriche (25 punti), competenze didattiche (50 punti).

Si può discutere sul curricolo, ma forse il possesso di una seconda laurea e di titoli di specializzazione, la frequenza di corsi di formazione ecc. potrebbero meritare qualche attenzione.

Anche sulla competenza teorica si potrebbe discutere: non tanto sulla sua necessità, quanto sulle modalità di verifica.

I quiz dovrebbero offrire garanzia di "oggettività", ma soprattutto dovrebbero riguardare problematiche inequivocabili (a titolo meramente esemplificativo: qual è la legge quadro per l’integrazione degli alunni portatori di handicap? La legge 517/1977, la Legge 270/1982, la Legge 104/1992). Evidentemente, la risposta è inequivocabile e non dipende dalle idee di chi ha elaborato le domande (Pedagogia di Stato!).

Comunque, si tratta di prove discutibili.

Quella che invece appare la prova più adeguata è la verifica in situazione, a condizione che sia effettuata alla presenza degli alunni, possibilmente delle classi in cui si insegna.

Una lezione simulata non è una lezione, perché non tiene conto dei livelli di sviluppo, degli stili e dei ritmi di apprendimento degli alunni.

Una lezione in situazione, quindi.

Finalmente si scende sul terreno che è proprio dei docenti, nel campo della didattica, del "fare scuola" quotidiano, dove quello che conta non sono i titoli, le documentazioni, le risposte ai quiz, ma l’effettiva capacità educativa e didattica dei docenti.

Che cos’altro si deve valutare di un docente, se non l’efficacia delle sua azione educativa e didattica?

Chi è il "bravo" insegnante: quello che ha frequentato i corsi, che ha tre lauree, che è stato comandato ecc. ecc. o quello che sa effettivamente "fare scuola", che sa mettere gli alunni nelle migliori condizioni per comprendere ed apprendere?

I docenti dovrebbero essere soddisfatti di vedersi finalmente valutati per le loro effettive prestazioni didattiche.

La Procedura valorizza questa prova assegnando ad essa 50 punti.

Forse andrebbero aumentati a 70/75 punti.

Tuttavia, il problema riguarda il come effettuare la valutazione della lezione.

Chi può verificare, chi sa verificare?

Le preoccupazioni sono legittime.

Sembra che non abbiano completamente torto i Capi d’istituto nel rivendicare una qualche loro competenza in questo campo: il diuturno contatto con i docenti, con gli alunni, con i genitori dovrebbe mettere anche i Dirigenti scolastici nella condizione di esprimere una loro valutazione.

Peraltro, si potrebbero valorizzare anche il collegio dei docenti, i consigli di classe e soprattutto il Comitato di valutazione.

Ma, forse, la valutazione della competenza metodologico-didattica andrebbe effettuata sulla base dei risultati educativi e didattici raggiunti dagli alunni: dei risultati a lungo termine o a breve termine.

In ordine ai risultati a lungo termine, la questione si fa alquanto complessa, anche in riferimento ai trasferimenti dei docenti.

Più praticabile sembra la verifica dei risultati a breve termine.

Si possono verificare i risultati di una unità didattica (verifica in situazione). È quello che i docenti fanno quotidianamente.

La Commissione assegna al docente una unità didattica relativa ad un obiettivo ben definito e poi verifica se gli alunni hanno compreso ed appreso.

Sembra questa una Procedura pertinente, peraltro simile alla "vecchia" visita didattica, ma con le garanzie di una commissione esterna, che peraltro potrebbe anche essere costituita diversamente da come è stata disciplinata e prevedere eventualmente anche la partecipazione del capo d’istituto.

In conclusione, sembra che occorra puntare soprattutto sulla terza prova, da effettuare in situazione e da verificare, non tanto sulla base di elementi soggettivi, quanto sulla base oggettiva dei risultati apprenditivi conseguiti dagli alunni.

A questo punto, non vi dovrebbero essere difficoltà ad accettare la Procedura.

Si riduce il punteggio delle prime due prove e si aumenta il punteggio della verifica in situazione, che si effettua sui risultati conseguiti dagli alunni.

Su questo piano occorrerebbe discutere, evitando l’arroccamento su affermazioni di principio, quali quello dell’uguaglianza dei docenti o quello della discriminazione (serie A e serie B).

In questo modo si darebbe la dimostrazione agli utenti del servizio scolastico che i docenti difendono i loro diritti, ma lo fanno nel pieno rispetto dell’ineludibile diritto degli alunni ad avere tutti i docenti adeguatamente preparati ed impegnati.



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