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RECUPERO, SOSTEGNO ED APPROFONDIMENTO Umberto
Tenuta
L’uniformismo
didattico si esprimeva in forma eclatante anche in riferimento all’attività
di recupero, la quale non veniva considerata parte
integrante del processo didattico. L’attività
didattica si esauriva nella verifica finale, attraverso la quale il
docente prendeva atto degli alunni che avevano appreso e degli
alunni che non avevano appreso, ma senza che questa verifica, salvo
eccezioni, avesse alcun effetto sul prosieguo della sua attività,
la quale peraltro molto spesso faceva anche a meno della verifica. In
effetti, l’attività didattica del docente era ritenuta completa
al momento della sua attuazione. Il compito del docente era quello
di spiegare, illustrare, presentare, dimostrare. Impegnarsi ad
apprendere e riuscire ad apprendere erano problemi dei singoli
alunni, dei quali quasi sempre il docente non si occupava,
preoccupandosi solo di verificare in epoche prestabilite gli
apprendimenti complessivi. Il docente non si preoccupava dei singoli
apprendimenti ma degli apprendimenti complessivi, al termine di un
certo periodo di tempo, per cui poteva limitarsi ad effettuare solo
le verifiche al termine del trimestre/quadrimestre. Il
docente riteneva che il suo compito era esclusivamente quello di
fare lezione, e di farla bene. L’eventuale accertamento degli
apprendimenti degli alunni veniva effettuato, quando veniva
effettuato, solo in vista del giudizio finale di ammissione alla
classe successiva, ma non aveva alcun effetto sull’andamento dell’attività
didattica, la quale proseguiva anche senza tenere conto alcuno dei
mancati apprendimenti, ai quali avrebbero semmai dovuto porre riparo
solo gli alunni interessati, per proprio conto, al di fuori dell’ordinaria
attività didattica della scuola. Solo
negli ultimi decenni, con l’affermarsi della scuola dell’obbligo,
estesa nel 1962 alla scuola media, ci si è cominciati a porre il
problema del recupero, ma con iniziative aggiuntive
alla normale attività didattica, e come tali opzionali, da svolgere
a latere o in orario aggiuntivo
[1]
. Ancora
oggi molto spesso il recupero viene considerato in
tale prospettiva e non viene posto come momento costitutivo,
integrante, del normale processo didattico, che deve prevedere come
fisiologici gli eventuali insuccessi apprenditivi di alcuni alunni. Al
riguardo, è appena il caso di evidenziare che gli interventi
didattici, svolti nella forma della lezione frontale o della
ricerca, si configurano sempre come percorsi apprenditivi che non
possono garantire sempre il successo di tutti gli alunni. Oggi più
che mai si ritiene superata ogni prospettiva deterministica anche
nell’organizzazione e nell’impostazione dell’azione educativa
e didattica: nessun docente può presumere che la lezione o la
ricerca proposta agli alunni sia valida in assoluto e debba
necessariamente portare tutti gli alunni all’apprendimento. Il
successo nei processi apprenditivi è legato a diversi fattori, tra
i quali il primo è costituito dai prerequisiti cognitivi ed
affettivi
[2]
, ma è legato anche a fattori
imponderabili che i docenti non sempre possono prevedere e che a
volte possono portare all’insuccesso anche alunni che normalmente
non presentano particolari difficoltà di apprendimento. Pur
in presenza delle migliori situazioni di apprendimento, alcuni
alunni possono non apprendere ed avere bisogno di interventi di recupero.
Evidentemente, quando l’attività didattica non è rapportata alle
caratteristiche personali dei singoli alunni, in particolare ai loro
livelli di sviluppo e di apprendimento, e soprattutto quando non si
rapporta alle loro precedenti conoscenze ovvero, più comunemente,
quando mancano le necessarie motivazioni, si può verificare che
alcuni alunni non pervengano all’acquisizione degli obiettivi
formativi che sono stati oggetto della lezione frontale o della
ricerca (unità didattiche) e che pertanto abbiano bisogno di
appositi interventi di recupero. In
tal senso, si deve ritenere che l’attività di recupero sia
componente organica, costitutiva, normale dell’attività didattica
e che pertanto, dopo la verifica, i docenti debbano programmare e
attivare appositi interventi di recupero. In tal senso, gli interventi
di recupero non costruiscono oggetto di iniziative speciali,
come l’art. 4.4 del RAS potrebbe lasciar intendere. Il recupero
ed il sostegno sono componenti ordinarie, costitutive,
strutturali del processo didattico (unità didattiche). Ciò
va tenuto ben presente, almeno per due motivi. Innanzitutto,
è opportuno che i mancati apprendimenti non si cumulino, perché in
questo modo l’insuccesso crea insuccesso (l’alunno che non ha
appreso incontra difficoltà a proseguire nei successivi
apprendimenti). In
secondo luogo, il recupero non deve essere effettuato a
parte, magari da altri docenti: nessun docente meglio di quello che
ha seguito l’alunno può capire le difficoltà incontrate e porvi
riparo. Comunque,
le attività di recupero, così come le comuni attività
didattiche, debbono essere anch’esse flessibili, personalizzate, a
misura dei singoli alunni. Così come deve risultare a misura dei
singoli alunni l’ordinaria attività educativa e didattica, anzi a
maggior ragione, debbono risultare a misura dei singoli alunni gli interventi
di recupero, i quali si attuano proprio quando la normale,
comune, ordinaria attività didattica non è risultata
personalizzata e perciò non ha avuto successo.
ATTIVITÀ
DI SOSTEGNO E ATTIVITÀ DI APPROFONDIMENTO In
tale prospettiva, strettamente connesse alle attività di recupero
sono le attività di sostegno e le attività di
approfondimento. È
evidente che il recupero per gli alunni in situazione di handicap
deve essere realizzato in forme più differenziate che possono
richiedere l’intervento dell’apposito docente di sostegno. Il
docente curricolare predispone le attività di recupero per
gli alunni in situazione di handicap avvalendosi della competente
collaborazione del docente di sostegno, il quale peraltro può
eventualmente curare direttamente tali attività (attività di
sostegno). In
effetti, il sostegno va inteso, sia come consulenza del docente di
sostegno al docente curricolare in ordine a tutta l’attività
educativa e didattica che si svolge nella classe e nella scuola, sia
come specifiche attività, che possono riguardare il primo approccio
all’acquisizione dei concetti o le specifiche attività di
recupero, in caso di insuccesso del primo. In quest’ultimo
caso, i docenti curricolari programmano per gli alunni interessati
le attività di recupero e si avvalgono, per gli alunni in
situazione di handicap, della collaborazione dei docenti di
sostegno, i quali peraltro possono anche farsi direttamente carico
della realizzazione di tali attività, che così assumono la
denominazione di attività di sostegno. Peraltro,
le attività di sostegno possono essere anche attuate nell’ambito
dei normali percorsi didattici articolati, quando gli alunni in
situazione di handicap hanno bisogno di seguire percorsi
apprenditivi particolarmente differenziati. Al
riguardo, è opportuno evidenziare che nel momento in cui alcuni
gruppi di alunni effettuano le attività di recupero, che
possono peraltro essere diversificate a seconda delle
caratteristiche personali dei singoli alunni, gli eventuali alunni
in situazione di handicap effettuano le attività di sostegno,
gli altri alunni debbono pur essi risultare impegnati in specifiche
attività. Nella
scuola di ieri, il problema non si poneva, perché il docente era
sempre impegnato con l’intera scolaresca, in quanto le attività
di recupero e le attività di sostegno venivano
effettuate al di fuori del normale orario oppure, nel caso delle attività
di sostegno e a volte anche delle attività di recupero,
venivano svolte a latere della normale attività didattica.
Il docente restava sempre impegnato a svolgere, a portare avanti il
normale curricolo, anche quando alcuni alunni uscivano dall’aula
per effettuare le attività di recupero o le attività di
sostegno. Purtroppo
solo voci isolate (vox clamans in deserto!) hanno denunciato
il danno e la beffa che nel recupero e nel sostegno subivano gli
alunni, i quali non solo non si trovavano nelle migliori condizioni
per apprendere, ma venivano isolati dalla classe e impegnati a
recuperare gli apprendimenti non riusciti, mentre gli altri alunni
proseguivano nel normale svolgimento del curricolo, con la
conseguenza che il loro divario dagli altri alunni si accresceva. In
tal senso, si rilevava che l’insuccesso opera secondo una logica a
forbice, in quanto l’insuccesso crea ulteriore insuccesso. L’alunno
in situazione di handicap o non in situazione di handicap, quando
non riesce ad apprendere, “rimane indietro” e si allontana
sempre più dall’andamento della propria classe. Il gruppo più
consistente degli alunni della classe procede secondo il proprio
ritmo, non rallenta e, quindi, gli alunni, che non ce la fanno a
tenere il passo, restano indietro, sempre più indietro, fino a
risultare “dispersi”. La dispersione scolastica riguarda anche
questi alunni che la scuola, con il suo passo uniforme, perde lungo
la strada. La
soluzione del problema degli alunni che la scuola perde non sembra
essere quella delle iniziative di recupero e delle iniziative
di sostegno attuate a latere o al di fuori della normale
organizzazione educativa e didattica. Sembra
perciò opportuno, nell’ambito di un’organizzazione educativa e
didattica personalizzata per tutti gli alunni, e non solo per gli
alunni in situazione di handicap, prevedere sempre per tutti gli
alunni, non solo momenti di differenziazione delle attività di
apprendimento, sia negli obiettivi formativi, attraverso
specifici percorsi apprenditivi integrativi, sia nei percorsi
apprenditivi, attraverso specifici percorsi didattici
differenziati, ma anche nei normali percorsi didattici
articolati prevedendo un’articolazione dei percorsi di
apprendimento in momenti di lavoro comune all’intera classe
(momenti della motivazione, della progettazione, delle
esperienze di ricerca, della verifica), sia momenti
diversificati dopo la verifica, i quali comprendono attività di
recupero, attività di sostegno ed attività di
approfondimento. In
effetti, come si è già detto, l’attività didattica può
svolgersi, sia attraverso attività comuni a tutti gli alunni, quali
le lezioni frontali e le attività di ricerca/riscoperta/reinvenzione/ricostruzione
(problem solving), effettuate dagli alunni individualmente o
in gruppi, sia attraverso attività diversificate. Già
attraverso le attività comuni, ordinarie, “normali” è
possibile diversificare i percorsi apprenditivi dei singoli alunni,
consentendo anche il perseguimento degli obiettivi formativi al
livello minimo o a livelli più approfonditi per gli alunni che
hanno difficoltà di apprendimento. Tuttavia,
la diversificazione è possibile soprattutto attraverso
la costituzione di gruppi di alunni:
a)
impegnati
a perseguire gli obiettivi formativi che meglio rispondono alle loro
predilezioni;
b)
impegnati
a svolgere, a seconda delle esigenze, attività di recupero
oppure attività di sostegno, attività compensative, attività
di approfondimento, attività di arricchimento ecc.
(Dal volume: UMBERTO TENUTA, La flessibilità nella scuola e la centralità dell’alunno, ANICIA, ROMA, in corso di stampa)
[1]
In merito cfr. si vedano la Legge 270/1982 e tutte le disposizioni
normative sulle attività integrative.
[2]
BLOOM B.S., Caratteristiche
umane e apprendimento scolastico, Armando, Roma, 1979.
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