L’AMORE DEL SAPERE

di Piero Morpurgo

Il mondo esiste solo per il respiro dei bambini che vanno a scuola (Talmud babilonese - Shabbath 119b) in questo passo di una discussione talmudica che risale agli ambiti del patriarca Hillel si avverte la profondità dell’atteggiamento verso gli studi del mondo ebraico. "L’amore del sapere per sé stesso era una ragione dello straordinario valore attribuito all’educazione... Ma ancor più profonda era la coscienza che la vita stessa della comunità dipendesse dalla diffusione del sapere"; fu per questa consapevolezza che pochi anni prima della distruzione del Tempio (ca. 589 a.C.) fu stabilito un piano organico per l’istruzione dell’infanzia: in ogni città vi dovevano essere maestri che avrebbero dovuto insegnare ai giovani dall’età di sei anni sino almeno a sedici anni (1).

L’esaltazione della cultura nel mondo ebraico trova riscontro anche nell’usanza medioevale per cui, in Italia e in Spagna, le famiglie agiate impartivano ai loro figlioli lezioni private di materie non strettamente religiose, la tradizione voleva anche che ad ogni allievo benestante fossero affiancati uno o due coetanei di condizioni economiche più modeste. Fu proprio grazie a questo tipo di mecenatismo educativo che Abraham Ibn Ezra poté intraprendere gli studi nonostante le sue umili origini (2). Era questa l’espressione di quello spirito di ‘mutuo soccorso’ che aveva caratterizzato gli ebrei e che aveva lasciato allibito lo storico Tacito (57 d.C-117) (3).

Questo costume si compose, nel contesto andaluso, con la tendenza ad organizzare attività di studio estremamente "aperte" allo studio della scienza e della filosofia giacche l’orientamento didattico si integrava con il formarsi di una classe dirigente ebraica all’interno del mondo ispano-musulmano (4). Tanta attenzione agli studi coinvolgeva anche le donne le quali, di conseguenza, rivestirono ruoli importanti sia in ruoli amministrativi sia in compiti culturali (5).

La posizione di Seneca, come quella di Tacito, fu enfatizzata da un allievo di Abelardo che, nel secolo XII, annotava: "se i cristiani educano i loro figli lo fanno non per Dio ma per guadagno affinché un fratello, divenuto ecclesiastico, possa aiutare il padre e la madre e gli altri suoi fratelli al contrario gli Ebrei, per l’entusiasmo di Dio e per l’amore della Legge spingono ogni figlio allo studio in modo che possano comprendere la Legge di Dio e ciò accade non solo per i figli, ma anche per le figlie" (6).

La forza della tradizione educativa impressionò il filosofo del Paracleto. In genere non poteva non colpire quell’antico detto talmudico per cui si stabiliva: "Una città in cui non ci sono bambini che vanno a scuola sarà distrutta" (Talmud babilonese - Shabbath 119b).

(da Micrologus IX–Gli Ebrei e le Scienze nel Medioevo: http://sismel.meri.unifi.it/micrologus/)


Note

1. A. Cohen, Il Talmud, trad. A. Toaff, Bari 1998, pp. 214-218; cfr. M. Orfali, Talmud y Cristianismo. Historia y causas de un conflicto, Barcelona 1998.

2. Grabois, Ecoles et, 940.

3. Historiae V,5. Cfr. D. Rokéah, Tacitus and Ancient Antisemitism, in "Revue des Etudes Juives", 154 (1995), 281-294.

4. Grabois, Ecoles et, 953, 955-956.

5. B. Dobson, The Role of Jewish Women in Medieval England, in Wood, ed., Christianity and, 145-168.

6. B. Smalley, The study of the Bible in the Middle Ages, Oxford 1941, 55; A. Landgraf, ed., Commentarius Cantabrigiensis in Epistola Pauli e Schola Petri Abaelardi, Notre Dame Ind. 1937, II, p-434; cfr. M. Lemoine, Abélard et les juifs, in "Revue des Etudes Juives", 153 (1994), pp- 253-267.