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LE SCUOLE E GLI EBREI (*) di Piero Morpurgo
L’ ANTISEMITISMO E L’ODIO PER LE SCUOLE Il termine ‘antisemitismo’ nacque in Germania nel 1879 come bandiera di una propaganda politica che teorizzava la riduzione dei ‘diritti civili’ diffusi dalla Rivoluzione Francese che portarono, tra l’altro, a un’ espansione del sistema della pubblica istruzione. Dühring nel 1893 vede proprio nelle aule l’inizio dell’opera di diffusione dell’educazione al razzismo; infatti scriveva: "Già i bambini nelle scuole, lo ripetiamo, devono imparare cos’è un ebreo e che aspetto ha, così come imparano a conoscere con precisione e a distinguere animali e piante ... Già i bambini delle elementari devono imparare cos’è un ebreo, sulla base di immagini che riproducono fedelmente i caratteri razziali e, secondo l’occasione, anche in base a esemplari viventi. Infatti perchè i bambini devono imparare esattamente le forme delle piante e degli animali e non degli uomini? La conoscenza degli uomini non è molto più importante?" Così in Germania si affermava una visione della società umana razzista, così si seminava l’odio individuando nelle scuole il terreno ove far crescere questa pianta. Non era un caso poichè proprio ai bambini e alle scuole gli ebrei avevano dedicato infinita attenzione. E ciò è confermato dalla frase per cui Il mondo esiste solo per il respiro dei bambini che vanno a scuola (Talmud babilonese - Shabbath 119b); in questo passo di una discussione talmudica che risale agli ambiti del patriarca Hillel si avverte la profondità dell’atteggiamento verso gli studi del mondo ebraico. "L’amore del sapere per sè stesso era una ragione dello straordinario valore attribuito all’educazione... Ma ancor più profonda era la coscienza che la vita stessa della comunità dipendesse dalla diffusione del sapere"; fu per questa consapevolezza che, pochi anni prima della distruzione del Tempio (ca. 589 a. C.), fu stabilito un piano organico per l’istruzione dell’infanzia: in ogni città vi dovevano essere maestri che avrebbero dovuto insegnare ai giovani dall’età di sei anni sino almeno a sedici anni. Appare già qui quel che nitidamente ha tracciato Robert Bonfil: il culto di Gerusalemme e il saldissimo nesso organico tra città, culto del sacro ed esercizio del potere politico. E’ Gerusalemme un luogo terreno e non un immaginario centro celeste che viene esaltato: "L’aria stessa che si respira in Terra d’ Israele rende saggi (Talmud Babilonese Bovò Bathrà 158 b); delle dieci misure di saggezza che furono date al mondo, nove furono assegnate alla Terra d’Israele e una sola al resto del mondo (Talmud Babilonese Kiddushim 49 b)". L’esaltazione del governo sapiente e la sensibilità per l’istruzione pubblica innescarono quell’odio antiebraico che si manifestò dall’ Antichità sino al nostro ‘900; difatti con le persecuzioni fasciste e naziste quel mondo ebraico dedito agli studi fu colpito duramente; ogni programma inteso al genocidio ha avuto un obiettivo principale: lo sterminio dei bimbi e l’annientamento delle menti di chi studia e questo è accaduto anche con la Shoah. Consensi e ostilità del passato Seneca, intorno alla metà del I sec. d. C., condannò il riposo sabbatico e le pratiche dei giudei; questa posizione è pervenuta attraverso il De civitate Dei (VI,11) di Agostino ove si legge che si stava diffondendo "la consuetudine di un popolo scelleratissimo in modo tale che ormai è accolta da tutte le terrre tanto che i vinti diedero le leggi ai vincitori". Allora Seneca (50 a.C. - 40 d.C.) si preoccupava perché l’ebraismo sembrava affermarsi nei diversi settori della sua società; tuttavia quel timore era accompagnato da una constatazione sul rigore degli ebrei: "Quelli conoscono le ragioni del proprio culto; mentre la gran parte del popolo (romano) compie dei riti e ignora perché lo faccia". Seneca era talmente preoccupato dal diffondersi di costumi giudaizzanti che aveva proclamato che quella gente ‘scellerata’ pur essendo stata vinta aveva imposto le leggi ai vincitori. Non mancavano eventi prodigiosi che, segnalati dal cielo, annunciavano la conversione degli ebrei come accadde a Minorca nel 418 d. C. Il susseguirsi di elementi di forte tensione sono resi evidenti dalle distruzioni delle sinagoghe di Clermont e Orleans nel sec. VI; tuttavia nel 585 gli ebrei di Orleans accolsero il re Guntram cantando in ebraico con la speranza che il re avrebbe favorito la ricostruzione della sinagoga. Più tardi Agobardo di Lione (769-840) scrisse che sotto Luigi il Pio (781-840): "a corte gli ebrei sono particolarmente popolari ... Le persone importanti si interessano alle preghiere e alle benedizioni degli ebrei ... Gli ebrei sono sempre occupati a mostrare i diplomi imperiali che sono stati loro concessi con il sigillo e il nome dell’imperatore e che proteggono i privilegi che gli sono stati garantiti. Essi hanno il diritto di costruire sinagoghe contro la legge Non c’è dubbio che gli ebrei sfruttino la gloria dei loro antenati e le loro donne sfoggiano vestiti che dicono essere stati donati dal re e dalla dame del palazzo. Per di più ci sono cristiani che raccontano che gli ebrei sono migliori predicatori dei preti". Agobardo partecipò alla rivolta contro il re e per ciò fu sollevato dalla carica di arcivescovo; di questo amaro destino incolpò gli ebrei poiché egli era intervenuto affinché i giudei non si servissero di schiavi cristiani e tantomeno li vendessero ai Musulmani Questa posizione si era scontrata con l’ira di chi proteggeva gli ebrei nella corte carolingia. Inoltre Agobardo era indignato perché molte donne cristiane lavoravano per gli ebrei durante la domenica e celebravano lo Shabbath; il fatto era stato reso ancor più amaro perché gli ufficiali imperiali avevano cambiato il giorno di mercato dal sabato alla domenica in modo da garantire i riti della religione ebraica. Per tutto ciò Agobardo si era opposto a Luigi il Pio che lo sostituì con Amalarius di Metz che era noto per dire messa assieme agli ebrei. Il timore per le conversioni dei cristiani era favorito anche dalla persistente tradizione di istituire scuole ebraiche. Si trattava di paure antiche che si ritrovano anche nella leggenda di san Silvestro ove si narra come Elena, madre di Costantino, convocò centosessantuno ebrei di grande erudizione per discutere della conversione al cristianesimo del figlio Costantino. Di tanti sapienti solo dodici affrontarono Silvestro e tutti furono sconfitti dalle deduzioni cristologiche di Silvestro nonché dal un suo intervento miracxoloso in virtù del quale il santo resuscitò un toro che era stato ucciso da una parola sussurrata all’ orecchio della bestia feroce dall’ebreo Zambri, parola che per Silvestro era ispirata dal demonio. Si stabilì anche così il nesso tra il sapere degli ebrei e la loro collusione con il demonio. Si affermò così anche la contrapposizione tra cielo e terra come emerge dalla leggenda di san Paolo . Conversioni ‘miracolose’ degli ebrei sono attestate nella Leggenda aurea ove si presenta la città di Edessa, luogo di sepoltura dell’apostolo Tommaso, come un paese, che ‘per grazia del Salvatore e dell’apostolo’ , in cui non può vivere nessun eretico, nessun ebreo, nessun pagano e nessun tiranno vi può esercitare la sua prepotenza. Il mecenatismo educativo L’opposizione al pluralismo religioso si scontrò con l’esaltazione della cultura nel mondo ebraico che trovò riscontro anche nell’usanza medioevale per cui, in Italia e in Spagna, le famiglie agiate impartivano ai loro figlioli lezioni private di materie non strettamente religiose, la tradizione voleva anche che ad ogni allievo benestante fossero affiancati uno o due coetanei di condizioni economiche più modeste. Fu proprio grazie a questo tipo di mecenatismo educativo che Abraham Ibn Ezra poté intraprendere gli studi nonostante le sue umili origini. Era questa l’espressione di quello spirito di ‘mutuo soccorso’ indirizzato anche verso l’infanzia che aveva caratterizzato gli ebrei e che aveva lasciato allibito lo storico Tacito (57 d.C-117) che si mostrava assai preoccupato per quello spirito di solidarietà che, a suo avviso, costituiva l’espressione di una profonda ostilità nei confronti di tutte le altre popolazioni: adversus omnes alios hostile odium. La presupposta ‘asocialità’ degli ebrei costituì una costante della polemica antiebraica; eppure Filone aveva accusato violentemente il mondo greco e romano per la disumana pratica dell’infanticidio che rappresenterebbe non solo l’assassinio più abominevole, ma anche il segno di un intolleranza inaccettabile verso tutti gli esseri umani: "...Nessuno infatti è così pazzo da credere che coloro i quali hanno trattato in un modo così vergognoso la propria carne e il proprio sangue tratteranno poi con onore gli stranieri". L’affermarsi di una concezione della vita ebraica che componeva il diritto dell’infanzia con quello dell’istruzione si indirizzò, nel contesto del Medioevo andaluso, con la tendenza ad organizzare attività di studio estremamente "aperte" allo studio della scienza e della filosofia giacche l’orientamento didattico si integrava con il formarsi di una classe dirigente ebraica all’interno del mondo ispano-musulmano. Tanta attenzione agli studi coinvolgeva anche le donne le quali, di conseguenza, rivestirono ruoli importanti sia in ruoli amministrativi sia in compiti culturali. La posizione di Seneca, come quella di Tacito, fu ripresa ed enfatizzata da un allievo di Abelardo che, nel secolo XII, annotava: "se i cristiani educano i loro figli lo fanno non per Dio ma per guadagno affinché un fratello, divenuto ecclesiastico, possa aiutare il padre e la madre e gli altri suoi fratelli al contrario gli Ebrei, per l’entusiasmo di Dio e per l’amore della Legge spingono ogni figlio allo studio in modo che possano comprendere la Legge di Dio e ciò accade non solo per i figli, ma anche per le figlie". La forza della tradizione educativa impressionò il filosofo del Paracleto. In genere non poteva non colpire quell’antico detto talmudico per cui si stabiliva: "Una città in cui non ci sono bambini che vanno a scuola sarà distrutta" (Talmud babilonese - Shabbath 119b). Le abilità linguistiche e l’ obbligo di studiare Inoltre impressionava il livello elevato delle competenze linguistiche del mondo ebraico: il fatto era stato rilevato nell’ 846 quando Ibn Khurdhadhbah nel Libro delle Rotte e dei Regni descrisse le qualità dei mercanti ebrei Radaniti che mettevano in contatto la corte carolingia con i mercanti orientali; di questi commercianti disse che: "... parlano, arabo, persiano, romano, francese, spagnolo, slavo. Essi viaggiano dall’Est all’Ovest e dall’Ovest all’Est, per terra come per mare ...". I risultati di questi viaggi si tradussero spesso in attività commerciali ben organizzate: nel 973 un arabo che visitò Magonza rimase incantato dalla quantità di spezie che gli ebrei erano stati capaci di importare e raccontò anche di aver visto una moneta coniata in uno stato dell’Asia centrale. Sono questi gli anni in cui la diffusione della cultura ebraica è fortemente indebitata all’affermarsi della civiltà ispano-musulmana ove affluirono migrazioni di ebrei orientali che vi portarono le tradizioni talmudiche fiorite in Egitto e a Kairouan (Tunisi). Poco tempo dopo -nel 1170- Yosef Qimhi esaltava l’attività di studio e il rispetto delle leggi degli ebrei contrapponendoli al disordine dei cristiani. Infatti il filosofo ebreo nel Libro della Alleanza polemizzava contro i cristiani sostenendo che: "...Tra gli ebrei l’ oppressore e il ladro non sono così diffusi come tra i cristiani che derubano la gente per la strada, li rapiscono e talvolta gli cavano gli occhi. Gli ebrei e le ebree sono modesti nelle loro azioni. Educano i loro figli, dalla più tenera infanzia alla maturità, agli insegnamenti della Torah e qualora essi pronuncino qualche parola infame vengono subito picchiati e puniti affinché non imprechino più...". Questo impegno educativo è testimoniato dalla vasta rete di scuole talmudiche che furono fondate in un gran numero di città della Francia tra cui Reims, Rouen, Parigi, Troyes, Auxerre, Sens, Melun e Orleans. In particolare Golb ha rilevato che, non più tardi del secolo XI, nel Nord Europa le comunità ebraiche di diverse città stabilirono un ‘protocollo’ per raggiungere livelli elevati di cultura sollecitando il sostegno economico delle istituzioni cittadine. Il documento è stato tramandato con la denominazione di Antiche Regole per lo Studio della Torah che sono tradite da una copia manoscritta risalente al 1309 (Oxford, Bodleian Library, hebr. 873, cc. 196-199). Il testo prescriveva l’obbligo di istituire un midrash o una casa di studio per ogni comunità e prevedeva una tassa per tutti gli ebrei affinché potessero essere finanziate le accademie e i loro studenti e perché si potesse provvedere agli stipendi dei maestri e dei traduttori così come all’acquisto dei libri. Si invitavano inoltre gli insegnanti a esporre testi scritti e a sollecitare le domande degli studenti. D’altronde Ivan Marcus ha messo in luce come la dedizione ebraica nell’insegnare a leggere e scrivere fu tale da ricorrere a una didattica del tutto particolare. L’iniziazione agli studi aveva un ‘rito di passaggio’ del tutto particolare: all’età di cinque anni i bimbi e le bimbe venivano invitati a ‘gustare’ i simboli dell’alfabeto scritti con il miele nell’auspicio che analoga dolcezza fosse ritrovata nella lettura della Torah. In particolare nel medioevo germanico come in quello francese il maestro invitava prima a recitare ad alta voce l’alfabeto (dall’inizio alla fine e viceversa) e poi a leccare le tavolette o la pergamena ove le lettere erano state cosparse di miele; in altri casi all’allievo si offrivano da mangiare uova sode decorate con l’alfabeto o biscotti a forma di lettere. Di questo avviso era anche il rabbino Simha di Vitry che, nel sec. XII, esortava i genitori a rassicurare il figliolo alla gioia degli studi "perché è necessario sedurre immediatamente il piccolo agli studi anche se poi la sua schiena conoscerà la bacchetta". Il piano didattico era ben delineato nelle Leggi dell’Apprendimento ove si legge che: "Quando un giovane raggiunge l’età di cinque anni il padre dovrà affidarlo a un insegnante affinché il figlio inizi ad apprendere dal primo del mese di Nisan (aprile)... . Il genitore dovrà stipulare con chiarezza il programma degli studi in questo modo: ‘Vi avviso che voi dovrete insegnare a mio figlio a riconoscere le lettere nel primo mese, e le vocali nel secondo, e nel terzo la combinazione delle lettere in parole. In seguito il ragazzo dovrà dedicarsi allo studio del libro del Levitico". Ancor più dettagliata è la programmazione didattica di Joseph Ibn Kaspi (1279-1332) che lasciò una lettera testamento al dodicenne Salomon: "Figlio mio fai attenzione alle mie parole ora che tu hai dodici anni. Ancora per due anni ti dedicherai allo studio della Bibbia e del Talmud. Quando avrai compiuto l’età di quattordici anni continuerai a studiare queste materie e consacrerai gran parte del tempo agli studi delle matematiche. Tu comincerai con il ‘Libro dei Numeri’ di Abraham Ibn Ezra; poi tu studierai Euclide e al Farghani e il libro sul calcolo dei moti delle stelle di Abraham bar Hiyya. Ti concentrerai per un po’ di tempo sui trattati di morale che sono: il ‘Libro dei Proverbi’, l’ ‘Ecclesiaste’ e il ‘Trattato dei Padri’ (Pirqe Abot) quest’ ultimo con la prefazione e il commento di Maimonide; dovrai poi accostarti al libro ‘Madda’ di Maimonide. In seguito tu prenderai l’ ‘Ethica’ di Aristotele di cui ho redatto un compendio e quindi un altro volume che non si trova più tra di noi che è il ‘Libro dei comportamenti morali dei filosofi’... Per tutto ciò tu impiegherai due anni. All’età di sedici anni tu programmerai alcune ore per occuparti della Bibbia, del libro di Isaac Alfasi e della Mishna Torah di Maimonide. Cosicché quando tu avrai diciottanni dedicherai il tuo tempo alle scienze che ti ho già menzionato e vi aggiungerai lo studio delle scienze della natura (la Fisica) per altri due anni . Raggiunti i vent’anni ‘costruisci la tua casa’ (ammogliati). Non allontanerai mai la mano dai libri di filosofia; cominciando dalla metafisica per poter conoscere quella di Aristotele e dei suoi discepoli e la ‘Guida dei Perplessi’ di Maimonide". Nel contesto culturale europeo del sec. XII il mondo ebraico appare dotato di una grande versatilità linguistica giacché ai ragazzi ebrei veniva proposto anche l’insegnamento del latino e delle lingue volgari: lo testimonia Rashi (1040-1106) che fondò un centro di studi a Troyes e questa attitudine alla didattica delle lingue è ancora presente nel 1436 ad Aix en Provence dove un giovane ebreo viene spinto a studiare il latino dalla nonna che gli promette di lasciargli in eredità i suoi libri. Il tutto sta a testimoniare l’attenzione con cui gli ebrei seguivano la formazione delle abilità nello scrivere e nel leggere dei loro figlioli. E’ questo un particolare che appare costante in tutta l’ Europa medievale, benché nelle valli del Reno fosse più forte l’interesse per lo studio del Talmud che non quello per la filosofia. Rilevante era comunque lo spirito di collaborazione tra le diverse comunità ebraiche e il sostegno economico offerto a quanti erano in condizioni economiche disagiate. Questo spirito di dedizione alla cultura è stato rilevato, sia da Sir Richard Southern sia da Susan Reynolds. Si consideri pure che la storia di questo periodo dimostra una continua ansietà e una insicurezza intellettuale della cultura cristiana dinanzi all’organizzazione culturale delle comunità ebraiche: il dubbio che si poteva insinuare tra i credenti era un fattore di profonda preoccupazione. Il tutto era aggravato dal fascino pericoloso che esercitava una efficiente organizzazione culturale. La fondazione di nuove scuole e l’emanazione dei divieti La deliberata volontà di fondare nuove scuole preoccupò notevolmente le istituzioni ecclesiastiche tanto che il Concilio di Parigi del 1215 condannò questo spirito; infatti "cum foeneratores et maligni ecclesie persecutores ubique errigant synagogas malignantium, contradictionibus suis contra Deum et ecclesiam propositis, ipsi de novo erexerunt novas scholas filiorum suorum et doctrinas illorum contra vera rudimenta scholarum, facientes eos informari ad scribenda debita patrum suorum per usuram adquisita; ideoque statuimus, ut a modo non liceat illis hec artificia scribendi, sed veram doctrinam addiscere cum nulli liceat locupletari jactura alterius". L’intento di controllare la diffusione cultura ebraica fu ribadito anche da Innocenzo IV (m. 1254) che proclamò: "Il Papa ha potere e giurisdizione su tutti. Può anche giudicare gli Ebrei. Può farlo se essi agiscono in senso contrario alle regole morali della loro Legge e non vengono puniti dai loro prelati, e ugualmente quando incorrono in eresie rispetto alla loro propria legge. E’ per questa ragione che i papi Gregorio IX e Innocenzo IV hanno fatto bruciare i loro libri. Perché contenevano molte eresie". Il susseguirsi dei divieti colpì soprattutto la possibilità di leggere il Talmud:
L’accesa polemica antiebraica fu accompagnata da altre condanne: a) quella dei libri di filosofia naturale:
b) quella riguardante il pensiero politico di Federico II anche per la politica imperiale che accoglie a corte numerosi intellettuali ebrei:
I massacri e la propaganda Questo impulso pedagogico fu pesantemente ostacolato dalle persecuzioni antiebraiche promosse in occasione della prima crociata: tutta l’area di Rouen fu devastata nel 1096 da Robert Curthouse e da altri crociati che nel loro dirigersi verso oriente bruciarono tutti i libri delle scuole rabbiniche. Altrettanto accadde in Germania al passaggio delle truppe di Emicho; fu così che Eliezer ben Nathan (Magonza 1090 ca.-1165 ca.) descrisse i soldati cristiani che: "..Entravano casa per casa e passavano a fil di spada quanti vi trovavano, senza aver pietà né di uomini né di donne. Abbattevano le case, demolivano le torri, saccheggiavano. Gettavano a terra i lilbri della Legge e li calpestavano, facevano rimbobare le loro voci nel Tempio come nei giorni di festa. Divorarono Israele a bocca piena...". I massacri si susseguirono per tutta la Germania e la violenza fu tale che molti ebrei preferirono il suicidio alla ferocia dei crociati che non tralasciarono di distruggere gli oggetti di culto e soprattutto i libri. Salomon ben Simeon racconta come nell’eccidio degli ebrei di Colonia -dal 30 maggio al 1 luglio 1096- i crociati avessero distrutto la sinagoga impossessandosi dei rotoli della Torah che furono oggetto di dileggio e vennero dispersi per le strade. Anche nel Perceval ci si avvalse dei caratteri della propaganda antiebraica: il cavaliere recuperò la memoria il Venerdì santo quando "i malvagi Giudei, nel loro odio (li si dovrebbe uccidere come cani), fecero il proprio male e il nostro bene, quando lo misero sulla croce. Persero se stessi e salvarono noi". I caratteri della polemica furono esasperati da una nutrita serie di caricature che infierivano sui cosiddetti ‘stereotipi ebraici’. Almeno dal 1290 la letteratura e l’arte inglese ironizzarono su: i nasi aquilini, le enormi labbra, gli occhi abnormi con cui gli ebrei venivano connotati. Con nasi adunchi furono rappresentati: Caino, quanti parteciparono alla crocefissione di Cristo, gli uccisori di santo Stefano e nelle raffigurazioni della Passione di Cristo ricorrono i caratteri delle ‘grandi bocche’ degli ebrei. Dall’ Antichità, al Medioevo, sino al nostro mondo contemporaneo ogni persecuzione contro gli ebrei è iniziata sempre con il rogo dei libri e la chiusura delle scuole. Verso una società dell’emarginazione Le riflessioni di Moore fanno meditare: con estrema nettezza si afferma che in molti son convinti che non c’è connessione tra l’antisemitismo dei nostri tempi e quello che investì l’ Europa dei secoli XII-XIII in quanto il primo dipenderebbe solo dall’industrializzazione della società. Queste teorie sono rese più intricate anche per il fatto che una accurata disamina della storia degli ebrei è confinata generalmente a settori specialistici che si sottraggono al confronto con le dinamiche culturali e politiche dell’ Occidente latino. L’ostilità contro gli ebrei viene confinata così a un mero dissidio teologico o ad una mancata volontà di integrazione. Eppure sottende dietro l’antisemitismo medievale un evento politico di portata considerevole: la nascita dell’Europa, l’avvento di una "persecuting society" che emargina il ‘deviante’ costruendo immagini repulsive. In realtà lo sviluppo di una "società dell’emarginazione" avvenne anche in conseguenza di un profondo contrasto sull’idea di scienza e sul diverso modo di intendere le istituzioni scolastiche; infatti gli ebrei almeno sino alla fine del secolo dodicesimo erano "far to their Christians counterparts. They had mantained a widespread and coherent educational structure from a much earlier date . At a more mundane level, the skills of numeracy, literacy, and the manipulation of legal texts were much more widely disseminated among them. Wherever there were Jewish communities, there were schools". I piaceri della vita contrapposti agli studi L’insistenza delle persecuzioni portò al fenomeno delle conversioni forzate e inoltre alterò profondamente il carattere di alcune comunità che assunsero stili di vita non consoni all’ebraismo. Questa tendenza è documentata dal poeta Todros ben Judah Halevi (ca. 1247-1306) che nei suoi versi racconta come lasciò gli studi per dedicarsi ai piaceri della vita di corte: C’è stato un grande mutamento: si è liberata l’epoca del caos. La nostra fede nel Testamento raggrizinsce dinanzi a un’altra, così come prima di una scottatura fa la pelle delicata. Abbondano i peccatori e i ribelli miscredenti, Cosiddetti ebrei che abbracciano la tradizione cristiana. C’è chi, allontanatosi dalla Legge di Mosé, cammina nelle tenebre, e chi trasgredisce i precetti dei Saggi, troppo accecati per apprezzare la fede ebraica. Le notti passate a studiare il Talmud si sono ridotte. Dicono: "Aleph-Beth ci basteranno con un po’ di scrittura. Non conosciamo l’ebraico, il castigliano è la nostra lingua, o l’arabo." Siano condannati! In questi versi l’uso del castigliano viene condannato nonostante che -pur permanendo ancora dubbi sulle motivazioni che spinsero Alfonso X ad adottare quella lingua come ufficiale- il mondo ebraico fu portato anche a vedere in quella scelta linguistica la rottura dell’unità cristiana dell’ Occidente rappresentata dal latino. Infatti gli ebrei "diedero un grande apporto all’uso del castigliano come lingua comune ai tre gruppi etnici. Essi, avendo raggiunto in questo periodo un alto rango presso i signori, svolgevano la fondamentale funzione di consiglieri. ... In tutte le opere scientifiche di autore noto è sempre attivo l’intervento degli ebrei: essi costituiscono un 42% del numero totale dei collaboratori e partecipano, con compiti diversi al 74% delle opere. A volte lavorano insieme ai cristiani mentre questi ultimi, dal canto loro, non lavorano mai soli, senza la collaborazione di ebrei (tranne Fernando de Toledo, che forse apparteneva ai ‘conversos’)". Nello stesso periodo Yosef Caspi pronunciò un’ altra denuncia sulla degenerazione degli studi; infatti il filosofo ricorda di essere recato al Cairo all’età di trentacinque anni (ca. 1314) per andare alla scuola di Maimonide, ma vi trovò "i suoi discendenti della quarta e della quinta generazione" e ne rimase così sconcertato da annotare: "Vi ero andato perché gente scriteriata mi aveva detto che vi si trovavano grandi studiosi, ma ne restai ampiamente deluso...". Dubbi su alcuni orientamenti di quanti attendevano ai nuovi studi furono sollevati anche da Immanuel Romano che nel suo Inferno condannò: Aristotele "perché credeva nella preesistenza dell’ Universo", Galeno che "ebbe la sfacciataggine di parlare contro Mosé", Platone per la sua teoria sulle Idee, Ippocrate per aver occultato i suoi libri, Avicenna per aver sostenuto essere possibile la generazione spontanea dell’uomo. Fu nell’ Inferno che Immanuel Romano incontrò: "... una schiera di uomini ciechi dei quali ne riconobbi circa centoventi considerati dalla loro tribù dotti e sapienti, guida di migliaia in Israele. L’Uomo che mi sorreggeva a destra mi disse: ‘Questi uomini si sono spossati nel peccato poiché avevano occhi per vedere e non videro. Conoscevano i gradi della Sapienza e il Suo valore ma non videro la luce nella Sua luce. Usarono la Sapienza per la loro fama e promossero il loro nome sulla terra e disprezzarono la conoscenza dei concetti spirituali: perciò a mezzogiorno brancolano come nella notte e vanno a tentoni come chi è senza vista. E la notorietà a cui erano attacati e che amavano hanno dovuto lasciarla fuori dell’accampamento. Le loro fortune divennero acqua imputridita .... Soluzioni..... al problema ebraico Martin Lutero (1483-1546) arrivò a suggerire alcuni ‘consigli salutari per estirpare la dottrina blasfema dei Giudei’: ...prima di tutto... è cosa utile bruciare tutte le loro Sinagoghe... in secondo luogo, siano distrutte e devastate anche le loro case private... in terzo luogo, siano privati di tutti i libri di preghiere e i testi talmudici, nei quali si insegnano idolatrie, menzogne, stupidaggini... in quarto luogo, sia tolto ai Rabbini, sotto pena di morte, il compito di insegnare. Si trattò di un messaggio inquietante che, nel negare l’apporto della cultura ebraica alla società europea, faceva intuire orribili tentazioni. Non tutti erano convinti di quei suggerimenti. Intorno al 1507 un ebreo convertito, indotto dai Domenicani di Colonia, cominciò a diffondere libelli in cui si accusava la letteratura ebraica di insultare la fede cristiana. L’azione di Johannes Pfefferkorn riuscì a sollevare dinanzi alla corte presieduta dall’ imperatore Massimiliano I che promulgò un decreto di confisca dei libri ebraici per poter accertare la veridicità delle accuse. Il decreto fu sospeso dopo i primi sequestri; tuttavia l’imperatore chiese a Jakob van Hoogstraeten, Grande Inquisitore di Colonia, e a Johannes Reuchlin (1455-1522) di redarre un parere legale. Sulla base dunque del diritto canonico Reuchlin concludeva che: "Noi non dobbiamo bruciare i libri degli Ebrei e che mediante argomenti logici noi dobbiamo convincerli con la gentilezza e l’amabilità della persuasione, e con l’aiuto di Dio, ad accettare la nostra fede". Eppure il Medioevo e l’Umanesimo avevano visto un’interessante unità d’intenti tra tra i filosofi ebrei e quanti inseguivano l’ideale del Principe sapiente. Fu proprio nel sec. XIII che si realizzò all’interno della Magna Curia quel vincolo che legava indissolubilmente i fondamenti dell’autorità politica e l’ attività di studio e di osservazione delle regole della natura: fu questo principio una preoccupazione costante dell’ imperatore Federico II che -a tal fine- non trascurò di dedicarsi all’esegesi di un testo di estremo rilievo per assicurare prestigio alla sovranità: la Guida dei Perplessi di Maimonide. Questa impostazione che tendeva a voler conciliare armoniosamente le leggi della Natura e quelle dello Stato si ritroverà in Jean Bodin (1529-1596) che, non a caso, si avvarrà della lettura delle opere di Abraham Ibn Ezra e di Maimonide. Infatti nei Sei libri dello Stato è possibile rintracciare l’eredità di un pensiero medievale che esemplò sui modelli della Natura una teoria dell’ordine dello Stato. Inoltre in Bodin v’è coincidenza tra il passo della Guida dei Perplessi che loda la prudenza della lentezza dei processi della Natura evidenziata sia dal graduale sviluppo del cervello sia dal progressivo adattarsi dei piccoli mamiferi ai cibi solidi. Questo ritmo, che procede adagio, per Maimonide è da adottarsi anche per ciò che concerne l’ affermazione della Legge; questa cautela si rendeva necessaria poichè "essendo impossibile passare improvvisamente da un estremo ad un altro è altrettanto impossibile -per la natura dell’uomo- affrontare un radicale mutamento di tutto ciò a cui era stato abituato". Analogamente Bodin non solo ripercorre il filo della Lettera sull’astrologia di Maimonide; ma prendendo ad esempio i meccanismi della Natura, noti attraverso la scienza medica, invita a non introdurre con violenza novità e cambiamenti delle consuetudini. Infatti "la natura degli uomini e delle cose umane è straordinariamente labile, e scivola a precipizio di continuo dal bene al male... è necessario, quando ciò si verifiche, che si facciano nuove ordinanze; tuttavia ciò si deve fare con gradualità e non tutto in una volta...". Le fonti di Bodin mostrano con evidenza la rilevanza del pensiero politico di Maimonide e di Abraham ibn Ezra; quest’ultimo nel suo Commentario all’Ecclesiaste sottolineò la necessità che la forza del sapere s’incontrasse con l’autorità del sovrano. Proprio Bodin giunse ad esaltare gli ebrei come i migliori interpreti sia degli eventi naturali sia di quelli divini; d’altronde -affermava Bodin- se la verità scientifica si afferma attraverso il ragionamento e l’esperienza non si può sottovalutare come il linguaggio e il metodo degli ebrei sia quello che indica la possibilità di avvicinarsi alla verità. Non si può dunque trascurare qui che il pensiero politico di Bodin si sviluppò in conseguenza di una storia del pensiero politico medievale che discusse animatamente la filosofia ebraica. Tra i centri animatori di questo singolare intreccio di filosofia-politica e religione vi fu il Regno di Sicilia che divenne il tramite di influenze ebraiche sulle correnti politiche medievali. Fu proprio Bodin ad affermare come nelle Pandette degli ebrei (Talmud) non c’è che la corte dei senatori o dei saggi, da essi chiamati hacamim, che possa giudicare in base ad equità". D’altronde lo stesso Maimonide aveva scritto che "poichè le punizioni e i giudizi sono evidentemente indispensabili sarà necessario nominare giudici per tutte le città del paese, occorrerà ascoltare i testimoni e che vi sia un re di cui tutti abbiano timore e rispetto e che sia in grado di controllare la popolazione con vari mezzi e che possa rafforzare e sostenere l’autorità dei giudici". Non diversamente Federico II esaltò la sua corte come organo supremo di giustizia che attingendo alla tradizione antica innova il diritto introducendo de gremio nature tutto ciò che si rende necessario a coltivare le virtù. La tradizione ebraica che esaltava il sovrano sapiente guardava alla saggezza del re Salomone, poeta e scienziato (1 Re 5, 9-14); si trattava di un indirizzo profondamente radicato nel pensiero medievale e moderno che fu particolarmente esaltato dal pensiero ebraico. Esemplare a questo proposito è l’opera di Yohanan ben Yishaq Alemanno (1435-1504 ca.) che non solo sottolinea come il giovane destinato alla perfezione debba studiare Inoltre esalta Lorenzo de’ Medici e le virtù dei fiorentini che "sono tutti amanti della saggezza, ciò che costituisce la base del governo di uno Stato: dalla saggezza essi attingono i princìpi per fondare le loro leggi e il loro diritto, entrambi basati sulla scienza, sul senno, sulla conoscenza e su ogni arte" . Interdizioni e diritti Il mecenatismo culturale dei granduchi di Toscana continuò anche quando, dopo il 1492, molti ebrei espulsi dalla Spagna ripararono in Italia. L’editto di Ferdinando e Isabella di Castiglia accusava tra l’altro gli ebrei di attirare i cristiani invitandoli alla lettura offrendo anche ai bambini i libri della loro fede. Difatti in molti atti inquisitoriali si accusano gli ebrei di leggere; così una testimonianza riferisce di un ebreo che leggeva un libro a una donna e alla figlia che lo ascoltavano sedute accanto a lui. E che la lettura fosse pericolosa emerge anche dagli atti di pentimento dove si ammette : "dichiaro di essere colpevole per aver letto e aver sentito leggere da un libro delle Leggi di Mosé". Nonostante il proclama del re di Spagna e la crescente intolleranza europea il granduca Ferdinando -nel 1591- emanò lo statuto noto come Livornina. Il documento fu di estrema imprtanza per l’insediamento ebraico di Livorno; infatti garantiva agli ebrei: libertà di religione e di culto, libertà di movimento, autonomia amministrativa, tutele nei confronti dell’Inquisizione, la cittadinanza toscana. Fu così che la comunità sefardita di Livorno ebbe la possibilità di svilupparsi e di insediare una scuola riservata solo ai maschi. L’istituzione poteva contare su una rete di associazioni che fornivano: assistenza medica gratuita ai poveri e sostegno economico a studenti e maestri indigenti. L’impulso a sviluppare la diffusione del sapere fu reso ben evidente dalla fondazione -nel 1675- a Livorno di un’accademia letteraria che gli animatori ebrei chiamarono Los Sitibundos con l’esplicito intento di esaltare la sete del sapere che per gli accademici livornesi era rappresentata dal passo biblico: "O voi tutti che siete assetati vanite all’acqua (Isaia 55,1)". Nello studiare questa accademia Julia Liebermann ha messo in risalto un ‘discorso’ di José Penso de La Vega (1650 ca. -1692) che intendeva dimostrare come: a) il padre che non fa da maestro ai figli non è un vero padre; b) la madre che non allatta i figli non è una vera madre; c) il padre che fa anche da maestro ai figli è due volte padre; d) la madre che allatta i figli è due volte madre; e) ogni maestro è padre anche se non ha figli suoi; f) ogni balia che allatta è madre anche se non ha figli suoi. E’ davvero importante l’analisi che fa Penso e che ribadisce una tradizione talmudica per cui i maestri erano tenuti nella più alta considerazione (vengono esaltate le figure di insegnanti come Mosè, Abramo, e Noè. Questa alta considerazione di chi insegna è ben esplicito; infatti se in genere il figlio è tenuto ad alzarsi in piedi quando entra suo padre, ma la regola si inverte se il figlio è un maestro (Babà Metzià 2,11). Emile Zola: un testimone coraggioso della transizione all’età dei diritti Qualora si voglia intendere lo spirito di rinnovamento che investì il mondo della scuola tra la metà dell’ ‘800 e gli inizi del ‘900 non si potrà far a meno di leggere attentamente il romanzo Vérité di Zola. In quelle pagine si avverte l’emozione di chi insegna senza dogmi per affermare le verità della scienza sperimentale abituando i giovani a giudicare e a formarsi una coscienza critica che stimoli quel bisogno di sapere che conduce alla pace, alla libertà d’espressione, alla giustizia. All’interno di un racconto con una trama che vede un maestro ebreo ingiustamente accusato di aver violentato e ucciso un giovane cattolico si leva fortissima la richiesta di dignità per gli insegnanti malpagati: "permettete ai più umili maestri di vivere con dignità e voi vedrete, vedrete, che poco a poco quei maestri si formeranno per divenire gli apostoli della ragione, dell’equità, voi li vedrete diffondersi nelle campagne e nelle città per portare la buona parola della libertà distruggendo ovunque l’errore e la menzogna quasi come se fossero i missionari di una nuova umanità! Allora la Chiesa sarà sconfitta perchè non può che vivere e trionfare sull’ignoranza; allora tutta la nazione si metterà in marcia, ormai liberata da ogni ostacolo, verso la Città futura della solidarietà e della pace". .... "Fulminea ed evidente si rivelerà come un crimine sociale quella leggenda che parla dei benefici dell’ignoranza. La povertà, la sporcizia, l’iniquità, la superstizione, la menzogna, la tirannia, il disprezzo e lo sfruttamento della donna,la sottomissione e l’istupidimento dell’uomo, tutti i vizi fisici e morali sono i frutti di un’ignoranza voluta, eretta a sistema di governo e a politica religiosa. Solo la conoscenza potrà stroncare i dogmi ingannevoli e annientare quanti chi li ha sfruttati; solo la conoscenza potrà essere la fonte di grandi ricchezze che come i raccolti abbondanti porterà a una fioritura generale degli spiriti. No! Non c’è mai stato benessere nell’ignoranza; il benessere è nel sapere che dovrà cambiare l’orrendo terreno della miseria materiale e morale in una terra vasta e feconda dove, anno dopo anno, la cultura moltiplicherà le ricchezze... così, un giorno, la Nazione sarà costruita attraverso l’ efficace istruzione di tutti i cittadini; così la Nazione diverrà capace di verità e di giustizia". La città senza ebrei La lucidità di Zola non era isolata: nel 1922 Hugo Bettauer descrisse profeticamente ne’ La città senza ebrei come il Parlamento austriaco avesse deliberato di espellere gli ebrei da Vienna perché sosteneva il Cancelliere: "La cosa è semplice: noi ariani austriaci non siamo all’altezza degli ebrei, siamo dominati oppressi, violentati da una piccola minoranza, proprio perché questa minoranza possiede delle qualità che ci mancano. ... Con la loro enorme capacità intellettiva, con il loro cosmopolitismo libero da tradizioni, con la loro duttilità felina, il loro intuito fulmineo, con le loro capacità affinate da un’oppressione millenaria, ci hanno sopraffatto, sono diventati nostri padroni, hanno posto sotto il loro potere tutta la vita economica, spirituale e culturale. .. O noi o gli ebrei! O noi, che siamo i nove decimi della popolazione, dobbiamo andare in rovina, o gli ebrei devono sparire!". Il romanzo ipotizzò così le procedure per l’espulsione di tutti gli ebrei, dei convertiti, dei loro discendenti nonché la requisizione di tutti i beni ebraici sospettati di essere stati accumulati ingiustamente. Fu così che "l’ultimo giorno dell’anno si trasformò per Vienna in un giorno di festa mai visto prima ... all’una del pomeriggio le sirene diedero il segnale che l’ultimo treno con ebrei aveva lasciato Vienna, alle sei di sera tutte le campane delle chiese suonarono per annunciare che in tutta l’Austria non c’era più un ebreo". La ‘festa’ terminò rapidamente: Vienna si accorse che non c’era più quel fervore culturale che animava i teatri, che i caffé del Ring andavano in malora, che era aumentata la disoccupazione e rincarati gli affitti; per di più la città, percorsa tutta da uomini croceuncinati, fu presa da un’incredibile tristezza. La crisi fu tale che si decise di convocare nuove elezioni che rovesciarono lo schieramento antisemita e il capo socialdemocratico chiese: "che il nuovo parlamento apra le porte a un nuovo futuro e dia ai nostri concittadini ebrei la possibilità di adoperarsi di nuovo al nostro fianco, di impegnare, con noi e non contro di noi, la loro intelligenza, la loro assiduità, la loro capacità lavorativa e la loro creatività nell’interesse del paese". E allora si immaginò che gli ebrei fossero riaccolti a Vienna da un discorso del borgomastro che iniziò dicendo "Mio caro ebreo!...". Purtroppo la favola di Bettauer ebbe un altro epilogo: l’autore del romanzo fu ammazzato il 10 marzo 1925 da un giovane nazista e dei 180.000 israeliti degli anni trenta ne tornarono a Vienna circa 4500. Si spense così la Vienna ricca di stimoli culturali, di tradizioni e di grande storia. Effettivamente Vienna dopo l’emancipazione del 1867 aveva visto un incremento della popolazione ebraica che nel 1910 costituiva circa il 9% della popolazione (175.300). La presenza ebraica si fece notare per il diverso sistema di valori che li spinse -aboliti gli antichi divieti- ad iscriversi ai diversi corsi di istruzione secondaria ed universitaria: nel 1912 il 47,4 % degli studenti delle scuole secondarie e il 24,5 % di chi frequentava l’università (esclusa teologia) era di origine ebraica. Questa ‘invasione’ di studenti aveva suscitato -nel 1876- l’aspra critica del professore di medicina Theodor Billroth che teorizzava l’incompatibilità tra ebrei e tedeschi. Infatti ‘anche se gli ebrei scrivono in tedesco in modo migliore e più gradevole di molti tedeschi genuini’ c’è una profonda diversità tra tutti questi cittadini e questa è la stessa che sentiva un Teutonico dinanzi a un Fenicio. La favola fu sostituita dall’avverarsi di un altro ‘sogno’: quello fatto da Joseph Scheicher che -nel 1900- immaginava come Vienna sarebbe stata ‘libera da ebrei’ che avevano inquinato le scuole, le università e gli ospedali e questa ‘pulizia’ avrebbe comportato la fine di un mito cui erano attacati gli ebrei: il parlamentarismo. Tentativi di rinnovamento: tra leggende medievali e rivoluzioni Bettauer aveva riscontrato nelle comunità ebraiche quella stessa vitalità che aveva suscitato l’ammirazione del Boccaccio. Tra Medioevo ed Età Moderna non erano mancate le proposte di integrazione che però dovettero attendere il 1789. La Rivoluzione Francese vide l’affermarsi di un dibattito esteso e pubblico sui diritti di cittadinanza degli ebrei. Vi fu chi allora riprese l’antico tema dell’ebreo che ‘naturaliter’ si ritrae dall’ organizzazione della società . Infatti Ermanno di Carinzia (fl. 1138-1143), nel De Essentiis, sostiene che appartiene a Saturno la melancolia, l’inganno, la cattiveria e che queste disposizioni caratterizzano il popolo ebraico. La tesi dell’ abbondanza della "bile nera" nel popolo ebraico fu discussa anche in una questio parigina ove si sostenne che per questa disposizione, poiché melancolicus fugit cohabitacionem et congregacionem et diligit loca secretaria vel solitaria, si capisce perchè iudei naturaliter retrahunt se a societate. Su questo tema, che individua nell’influsso degli astri la l’indole ebraica a non integrarsi nella società, intervenne anche il medico Bernard de Gordon (fl. 1303) precisando che la natura ‘melancolica’ degli ebrei era dovuta non solo all’ozio, ma anche alla perpetua maledizione divina. In verità da parte cristiana si proclamava la necessità di questa separazione giacche lo stesso Roberto Grossatesta (1168-1253), pur essendo interessato alla produzione culturale ebraica, ebbe modo di ammonire: cohabitacionem Cristianorum cum Judaeis quantum vobis possibile est impedire curetis. Per Ermanno di Carinzia la dipendenza da Saturno spiegava anche il motivo per cui gli ebrei osservano il Sabato: tale giorno ab ipso Sabdai dictum quod in eorum lingua nomen est Saturni; sic Christi fidelibus diem Solis quo Sol iustitie Christus dominus ab inferis rediens tamquam Sol oriens, claritate sua universo mundo illuxit. Sull’indole dei popoli così determinata dagli astri Ermanno di Carinzia era stato estremamente esplicito: Solis autem honestas, liberalitas, victoria, Iovis pax equitas, humanitas, que sive in populo Romano, sive in populo Christiano requiramus, in illo gesta et leges Romane, in hoc ecclesiastice docent historie. Dal suo canto l’abate Maury -nel ‘700- contestava che gli ebrei non potessero partecipare alla vita di una nazione perchè, oltre allo Shabbath, avevano 56 festività di più dei cristiani e ciò ostacolava lo sviluppo dell’agricoltura; tra l’altro erano noti: per la la pigrizia, per la tendenza a sposarsi troppo presto, per l’inettitudine al comando degli eserciti. Dunque non potevano essere francesi. Singolarmente un certo disprezzo -dovuto all’avversità contro le organizzazioni religiose- viene anche da Thomas Paine, celebre sostenitore dei Diritti dell’ Uomo, che tuttavia indica gli ebrei come soggetti naturalmente degradati dallo sposarsi sempre tra di loro. Sul fronte opposto il vescovo di Autun sostenne il buon livello culturale degli ebrei di Bordeaux e di Avignone nonché le radici antiche di quegli insediamentiche avevano sempre rispettato le regole locali. Fu questo il tempo in cui le riforme napoleoniche erano state estese anche all’ Italia ed alcune novità avevano preceduto la stessa Rivoluzione Francese: Giuseppe II, nel 1781, aveva permesso agli ebrei di frequentare le scuole pubbliche e le università e il principio era stato esteso anche a Trieste. Fondare le scuole Tuttavia se si esaminano alcuni indirizzi storiografici non sembra che ci sia soffermati con la necessaria attenzione sull’ apporto dei contributi che vennero dal mondo ebraico allo sviluppo della storia della scuola. Eppure nel 1860 a Parigi era stata fondata l’ Alliance Israélite Universelle che si impegnava a istituire scuole in tutto il bacino del Mediterraneo. La tabella di Aron Rodrigue offre una chiara indicazione della forza di espansione del progetto educativo che -si noti- subì un calo in conseguenza della Grande Guerra:
Nel 1903 l’ Alliance Israélite Universelle varò un programma per tutte le scuole primarie che ancor oggi conserva elementi di grande lungimiranza: "...non bisognerà mai perdere di vista quel che è il fine della scuola primaria. Questo fine non è quello di dare agli allievi un’istruzione tecnica, o di formarli per certi indirizzi, quali ad esempio quello commerciale. Soprattuto non si dovrà avere come scopo, ripercorrendo un errore estremamente diffuso in Oriente e che funesta l’istruzione, l’insegnamento delle lingue. Le lingue sono uno strumento non un fine, una forma del pensiero e della conoscenza, non il pensiero e la conoscenza stessa. Ogni direttore si guarderà dunque dallo snaturare la scuola primaria trasformandola in una scuola di lingue o in una scuola professionale ove l’insegnamento sia indirizzato al conseguimento di vantaggi immediati, o all’applicazione immediata delle conoscenze acquisite volte al salario e all’operare strumenti di lavoro...". L’ impegno pedagogico ebraico era stato vivacemente contestato dai gesuiti e nel 1888 papa Leone XIII con l’enciclica Libertas aveva proclamato che solo "la Chiesa ... ha l’inviolabile diritto alla libertà di ammaestrare le genti". Si trattava di un’asserzione che poi era stata aspramente criticata da Gaetano Salvemini che -il 2 luglio 1920- in un suo intervento alla Camera dei Deputati aveva parlato in favore della scuola privata purchè gli studenti fossero controllati da un esame di Stato e si era pronunciato contro la ‘libertà sussidiata’ e il ‘diritto di preminenza’ cioè contro l’idea che la scuola privata dovesse essere finanziata dallo Stato e contro la pretesa che la Chiesa potesse controllare gli indirizzi della scuola pubblica. Allora Salvemini denunciò che "i partiti che dovrebbero continuare le tradizioni del Risorgimento abbandonano la scuola come si butta una ciabatta vecchia nella spazzatura", allora l’insigne storico temeva che la scuola potesse essere controllata dall’integralismo religioso. L’odio razziale nasce dall’ostilità al rinnovamento della Scuola: ieri e oggi Oggi non si può più insistere -come fanno alcuni manuali di storia- nel tentare di giustificare una politica razzista con il fatto che l’Italia vi sarebbe stata portata per colpa del progetto di un folle dittatore straniero; purtroppo oggi occorre capire che la storia del fascismo si connotò per una impronta razzista maturata ben prima di analoghi provvedimenti nazisti: sono le fonti storiche che mettono in evidenza questa prospettiva. Del resto è il materiale documentario che offre le prove di quelle tragedie della storia che hanno visto in più di un caso progettare, anche nella contemporanea età dei diritti, lo sterminio di intere popolazioni. Quel che è successo nei Balcani è stato messo in luce con grande coraggio dallo storico Grmek che ha ripercorso i momenti di un’ideologia serba che indigna per la sua aberrazione. Si tratta del concetto di ‘pulizia etnica’ proclamato già nel 1807 dal primo Consiglio di Stato serbo. I documenti pubblicati danno bene l’idea del progetto: cancellare ogni traccia della memoria del nemico dopo averlo sgozzato, cacciare gli arabi, gli ebrei, gli zingari. Tema ricorrente anche in Serbia fu quello per cui gli ebrei vennero più volte accusati di praticare il cannibalismo. In questa campagna antisemita la Serbia si distinse a tal punto che -nel 1941- gli occupanti nazisti di Belgrado si complimentarono con le autorità del paese perchè avevano realizzato la prima nazione in Europa Judenfrei: libera da ebrei. Anche in questo caso l’impronta razzista nasceva dall’insofferenza per il fatto che nel 1878 ebrei e musulmani avevano ottenuto garanzie sui loro diritti civili. Quell’evento aveva scatenato le proteste del ministro degli esteri serbo. Nel 1902 il presidente dell’ accademia serba era stato estremamente chiaro: "occorre lo sterminio il nostro o il vostro"; l’obiettivo erano i croati comunque definiti figli di Giuda. Le fonti riportate da Grmek impressionano perché evidenziano un uso massiccio della propaganda italiana: da Pasquale Mancini (m. 1888) fautore del colonialismo in Abissinia al poeta futurista Marinetti amante delle guerre purificatrici. E infatti la contaminazione tra gli orientamenti ‘letterari’ italiani e serbi è evidente perchè dal 1924 della Serbia si susseguirono gli appelli a far nuotare il nemico nel sangue. Poi nel 1939 fu proposta la ‘soluzione finale’ per il Kosovo; si trattava di incendiare i villaggi e di espellere le popolazioni inferiori. L’esecuzione del piano era stata accuratamente redatta: occupare il territorio e ‘pulirlo’. Gli effetti si manifestarono subito attraverso dettagliate relazioni: nel 1942 a Foca mille morti con trecento tra donne e bambini, a Jahorina 2.000 sgozzati e poi ancora villaggi bruciati, donne e bimbi assassinati. Uno di questi rapporti dichiara letteralmente: "Durante l’operazione si è proceduto all’annientamento totale della popolazione musulmana senza considerazione di sesso e d’età". Distruggere le scuole I serbi alla morte di Tito (1981) ripresero il progetto con un memorandum pubblicato nel 1986 che aveva il dichiarato fine di restituire alla Serbia la sua dignità offesa e di conquistare il Kosovo Pertanto, per restituire la piena integrità nazionale, si stabiliva di combattere l’ideologia interetnica anche trasformando le scuole e le università; con questi intenti nel 1987 si prospetta il controllo demografico del ‘nemico’, mentre nel 1989 si dispone la chiusura delle scuole ‘kosovare’ per arrivare poi nel 1992 al progetto "eugenetico" per una Serbia purificata. Non diversa era stata la politica di Mussolini che aveva disposto -nel 1928- la chiusura delle scuole croate di Fiume. E’ ben chiaro come al centro di ogni progetto di totalitarismo vi sia l’intenzione di distruggere la libertà della scuola; oggi come ieri, oggi che ricordiamo i 20 insegnanti di una scuola elementare del Kosovo trucidati dinanzi ai piccoli allievi dalle forze del nazionalismo serbo. Ieri quando furono colpiti i bimbi, tutti e in particolare i piccoli ebrei; oggi quando nei bimbi kosovari si vede una minaccia per la purezza della razza. Per comprendere quanto la Shoah abbia colpito la scuola c’è un’immagine efficace: è quella di due pietre incise che -nel quartiere ebraico di Roisiers a Parigi- ricordano come da una scuola elementare furono 165 i bambini che morirono nei campi di sterminio; sempre su quelle lapidi si rammenta come tanti altri bimbi furono salvati dal direttore di quella scuola. Quelle pietre invitano a non dimenticare e il ricordo va soprattutto a quei piccoli scolari e ai loro coetanei che a Roma come a Varsavia furono privati di tutto: degli affetti, dei giochi, della possibilità di studiare e di vivere. Le leggi razziali in Italia e in Europa colpirono i bimbi e gli studenti e questo obiettivo fu enunciato con chiarezza. Anche per questo è importante ricordare e leggere il passo del libro della Bibbia che dice: "se un fatto simile è mai avvenuto ai vostri giorni o ai giorni dei padri vostri; discorretene ai vostri figli e i figli vostri ai figli loro, e i figli loro all’altra generazione" (Joele 1,1); queste parole ben si compongono con l’ammonimento di Primo Levi: "Meditate che questo è stato". La storia di questa tragedia ha dei colpevoli ben definiti: il fascismo di Mussolini e il nazismo di Hitler con tutti i loro sostenitori; la storia di questo immane disastro si innesta in un drammatico percorso di cui è bene conoscere alcuni elementi forniti dalla stessa successione degli eventi che spesso sono stati volutamente intrecciati tra loro. In Italia con un sincronismo malevolo e intenzionale Mussolini fece pubblicare il 14 luglio del 1938 il Manifesto degli scienziati razzisti; il documento fu diffuso proprio nell’anniversario di quella Rivoluzione Francese che aveva proclamato al Mondo l’idea dei Diritti dell’Uomo sancendo così anche il principio per cui "nessuno debba essere molestato per le sue opinioni religiose". Quella arrogante coincidenza di date permette di guardare alla Francia quando -nel 1901- Emile Zola alla Lega per i Diritti dell’Uomo parlava sull’idea di giustizia nell’insegnamento; in quell’occasione lo scrittore aveva voluto precisare: "Certamente si alla giustizia nell’insegnamento, ma prima di tutto occorre verità nell’insegnamento. Tutta la vittoria del domani è qui. E’ necessario che ci sia un popolo istruito abituato alle verità sperimentali della scienza perché sia capace di giustizia. ...". Queste posizioni erano il frutto di un percorso che aveva visto la Ligue Française de l'Enseignement organizzare, nel 1889, un congresso ove si proclamò che "l’interesse dell’istruzione popolare comporta un legame geloso poichè è una causa che richiede completa dedizione. L’istruzione popolare non ammette che si possa far prevalere altri obiettivi che contrastino i suoi interessi. Chi lavora per l’istruzione popolare dovrà dimenticare il resto... si tratta di un dovere universale che coincide con l’interesse universale e con il principio superiore della solidarietà tra i popoli". A questi lavori partecipò anche Augusto Franchetti (1840-1905) in rappresentanza delle scuole popolari fiorentine. Pochi anni dopo fu pronunciato il discorso di Zola che invitava alla libertà dell’istruzione laica in quanto presupposto fondamentale per realizzare una società fondata sulla giustizia e sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione. Proprio in quel periodo Zola si era impegnato nella difesa di Dreyfus un ufficiale francese che era stato accusato ingiustamente di tradimento soprattutto perché ebreo. Le battaglie di Zola legano la lotta contro l’antisemitismo alla strenua difesa del principio per cui vi debba essere una società fondata sul libero confronto delle idee. Effettivamente il legame tra esplosione delle persecuzioni antiebraiche e i tentativi di impedire la libertà della scienza e della cultura è uno degli elementi che permette di capire le radici di un antisemitismo italiano che ebbe come obiettivo principe il rinnovamento del mondo della scuola italiana che era stato avviato tra ‘800 e ‘900. Infatti l’ impegno dei Franchetti era legato all’azione di Adele Levi Della Vida, madre di Amelia Levi moglie di Luigi Luzzati nominato presidente del Consiglio dei Ministri dal 1910 al 1911 e nonna di Guido Castelnuovo, che istituì, prima a Venezia nel 1869 e poi a Verona e Padova nel 1874, quei ‘giardini di infanzia’ dove si apprendeva giocando e da cui, in parte, prese le mosse l’opera di Maria Montessori osteggiata dalla "Civiltà Cattolica". In questa azione educativa di fine ‘800 v’era il senso di un impegno civile che colmava l’impossibilità per le donne di partecipare alla vita istituzionale del paese. Per questi motivi molte figure femminili del mondo ebraico si impegnarono nel programma di estensione delle attività scolastiche. In questo contesto si impegnarono sia Aurelia Josz (poi arrestata a Alassio) e uccisa all’arrivo ad Auscwitz sia Emma Modena fondatrice della prima scuola agraria femmile italiana. La spinta a fondare le scuole aveva visto Emanuele Colonna Sinai (m. 1763) e Samuel Vita Finzi (m. 1796) disporre nei loro testamenti che fossero costruite scuole e asili con i loro lasciti; fu così che a Torino -nel 1823- si inaugurarono nuove strutture per gli studenti che erano gratuite per i bisognosi e soggette a un’offerta per le famiglie agiate. Questa istituzione si ampliò progressivamente riuscendo a fornire libri di testo e a provvedere al servizio di mensa. Le scuole ebraiche di Torino sperimentarono -dal 1935- il doposcuola mettendo a disposizione 17 insegnanti di lettere, 5 di matematica, 3 di ragioneria, 3 di scienze, 4 di lingue e 2 di disegno, 3 maestre, il tutto per un’ottantina di iscritti; se poi ai ragazzi più grandi non fosse stato possibile frequentare il pomeriggio furono organizzati anche dei corsi serali. La Patria e la Scuola In occasione dell’inaugurazione dell’anno scolastico 1941-1942 il preside Giacomo Tedesco rivolse agli studenti queste parole: "... Qui voi imparate ad essere fieri di sentirvi italiani ed ebrei, perché essere italiani significa aver partecipato o partecipare idealmente a quella schiera di eroi, martiri e profeti che soffrirono e lottarono per la libertà del popolo italiano e dei popoli europei, spezzando le catene del duro secolare servaggio, essere ebreo significa combattere in ogni luogo e in ogni tempo per il trionfo della verità e della giustizia. .... Ora nella scuola dovete studiare perché siete ebrei; non è un buon ebreo chi non studia con puro amore e dell’ intera dedizione della sua volontà". L’impegno per la costruzione dell’Italia unita è stato spesso trascurato dalla storiografia; benché il discorso del rabbino Lelio Cantoni che -il 21 novembre 1847- pronunziò agli allievi israeliti di Torino non lasci adito a dubbi: "sorride ai genitori israeliti e a noi tutti lietissima l’immagine di un migliore e non rimoto avvenire, riparatore del passato, fecondo di gloria e di grandezza civile, nunzio di quell’era sospirata che segnar deve l’accordo frattellevole fra i vari cittadini di una stessa e italiana Patria, cui i figli di Israele non ultimi offronsi di difendere con il proprio sangue e di illustrarla col senno e colla mano". Nello stesso periodo Vincenzo Gioberti, esaltando la cultura degli israeliti, scriveva: "chi oggi travolge le profezie divine per opprimere ‘piamente’ i poveri Ebrei non è meno empio di quei cattolici che contorcevano le Scritture per ardere o macellare gli eretici e uccidere con armi sicarie i principi che li favorivano. Un secolo che biasima gli ergastoli non può approvare i ghetti...". E proprio nei ghetti ove era proibito alle istituzioni di carità aiutare gli ‘infedeli’ si svilupparono le Confraternite di beneficenza ebraiche affinché si potesse dar aiuto ai sofferenti e ai poveri; fu così che a Torino -nel 1832- fu fondata una "Confraternita a sollievo delle puerpere indigenti" con l’obiettivo di sostenere i lattanti. Queste iniziative proseguirono anche dopo l’Unità d’Italia e riguardarono non più solo gli ebrei, ma tutti i cittadini: Laura Franchetti Morpurgo fu segretaria del Dispensario per bambini gracili e convalescenti di Via della Ninna di Firenze che -almeno sino al 1937- si occupò di fornire ai bambini povere "un sussidio alimentare consistente soprattutto in riso, farina e pastina". Su queste basi si formò Adele Levi Della Vida e proprio della pedagogista veneziana abbiamo una descrizione che se ben letta avrebbe fatto capire quale sarebbe stato il danno della propaganda antisemita: "Adele Levi era cresciuta in ambiente aperto alle idee più belle e attraenti di Patria e di Libertà. Ebrea, ma di una di quelle famiglie, come i Nathan, i Rosselli, i Luzzati ecc., a cui l’Italia guarda con riconoscenza. Ebrea, ma la cui religione si confonde con il culto dell’Italia... Senza dubbio la Levi afferrò l’importanza di introdurre in Italia un Istituto di carattere aconfessionale dove anche gli ebrei potessero trovare favorevole accoglienza alla pari dei cattolici. Troppo avea sofferto in vita sua di questa disparità di trattamento là ove ancora sopravviveva per non trovare orrore di tutte le forme di esclusione dal comune banchetto della vita spirituale della Nazione" . Adele Levi Della Vida si preoccupò costantantemente dell’educazione popolare e non a caso quando si trasferì a Firenze nel 1888 non solo si impegnò per istituire un Giardino d’Infanzia a Castello, non solo divenne ispettrice delle scuole elementari, ma fu pure socia fondatrice della "Scuola del Popolo" diretta da Pietro Dazzi. La dittatura e la Scuola L’azione della dittatura fascista recise tutte queste esperienze: nel novembre del 1933 il periodico "La Scuola Fascista" commentò con entusiasmo la chiusura di tutte quelle scuole autonome che passavano d’autorità sotto il controllo del regime; la "Difesa della Razza" del settembre del 1938 in un articolo dal titolo Scuole israelitiche forniva l’elenco di tutte le scuole ebraiche affermando che eran troppe; inoltre si prendeva a dileggio un libro usato in quelle scuole dove si esaltavano il disarmo (Isaia 2,4) e il sogno di una pace mondiale (Isaia 11,6). Ancor più esplicito fu l’articolo intitolato "Bonifica libraria" : Ecco l’ammonticchiarsi davanti ai nostri occhi di libri di letteratura amena, la quale talvolta ama specializzarsi in letteratura per l’infanzia. Affondiamo le mani in questi mucchi. Ci accorgiamo che i nostri fanciulli cantano sulla lira di Lina Schwarz, ebrea, e le nostre giovinette sospirano con Cordelia, ebrea, sognano con Emma Boghen Conigliani, ebrea, o s’immalinconiscono con Haydée, ebrea, o si erudiscono con Orvieto ed Errera, ebree. E l’elenco potrebbe continuare. Che cos’è mai questo monopolio della letteratura infantile ed amena?... Ogni personaggio uscito da penna ebraica talmudeggia, il che è quanto dire erra interpretando, e interpreta errando, stati d’animo impulsi, desideri, passioni. Non ci si creda, quindi, inesorabili se proponiamo che in questo campo della letteratura amena e infantile sia bandita ogni indulgenza. La polemica colpiva Laura Orvieto, ma già da tempo aveva investito quelle scuole popolari italiane sostenute dalle famiglie ebraiche dei Franchetti e dei Morpurgo e degli Orvieto: ‘scolette’ le definì il Brasca in un suo saggio che non condivideva tanta ansia nella lotta contro l’analfabetismo perché -a suo avviso- era necessario un maggiore impegno a contenere le ‘devianze’. In quella occasione il Brasca criticò anche la Mostra Storica della Scuola Italiana organizzata a Firenze nel 1925 da Salomone Morpurgo perchè in quella esposizione vi sarebbe stato un eccesso di ‘teoria’ osservazione questa mossa da uno studioso attento ai problemi di statistica. Maestri coraggiosi Alla critica, verosimilmente, non piacquero le parti che riportavano gli inni studenteschi di libertà dei moti che si svilupparono dal 1831 al 1848; tantomeno si confaceva al regime fascista il ricordo di Giuseppe Mazzini che insegnava agli operai emigrati a Londra nonchè le testimonianze degli studi di Guglielmo Oberdan e di Cesare Battisti. L’organizzazione della mostra sulla storia della scuola italiana capitò in un periodo che vedeva sulle colonne del Corriere della Sera sia l’illustrazione della riforma scolastica di Gentile con il giornale che inveiva contro i professori che si facevano prendere dalla ‘scarlattina della politica’ (CdS del 3-02-1925) sia l’aspra polemica che investì l’Associazione Nazionale Combattenti che -il 7 febbraio 1925- dichiarava di essere irriducibile dinanzi all’obbligo di difesa sia dello Statuto sia dei principi di libertà e di eguaglianza dinanzi alla legge. Allora Il Piccolo di Trieste che aveva sostenuto la Mostra Storica era stato più volte censurato per essersi schierato dalla parte dei combattenti e la tensione si aggravò quando in occasione del cinquantesimo della nascita di Cesare Battisti furono esposti a Trento manifesti inneggianti alle libertà repubblicane prontamente sequestrati dalla polizia (CdS del 7-02-1925). Negli stessi giorni Nello Rosselli, ebreo, e Pietro Jahier, valdese, ambedue profondamente legati a Salomone Morpurgo, organizzarono a Firenze una manifestazione per ricordare il cinquantesimo della nascita di Cesare Battisti (1875-1916) e in onore di Matteotti e dell’ Italia Libera; si ripeteva così l’iniziativa che era già stata presa nel luglio del 1924 per commemorare la morte del coraggioso patriota trentino che era stato studente a Firenze. E proprio nel febbraio del 1925 l’ebreo Vittorio Polacco interveniva -tra gli applausi- al Senato del Regno d’Italia contro l’insegnamento obbligatorio della religione cattolica e affinché "per non essere meno liberali dell’Austria" le minoranze religiose fossero tutelate all’interno delle aule scolastiche sia perché ebrei e valdesi hanno dimostrato attaccamento alla Patria sia perché proprio nelle pubbliche scuole dovrebbe rinsaldarsi il vincolo tra i fratelli di qualsiasi fede e di qualsiasi classe sociale. Allora si denunciava l’idea che la scuola fosse trasformata "in un centro di proselitismo religioso, quasi un vivaio di catecumeni"; allora si contestava la nuova legge sulla stampa "dove giustamente si comminano pene a chi offenda la religione cattolica, ma poi di tutte le altre si tace quasi potessero impunemente insultarsi". E proprio nel marzo dello stesso anno Salomone Morpurgo e Ernesta Bittanti Battisti -con grande coraggio- dedicarono una delle sale della Mostra Storica della Scuola Italiana alle opere di Cesare Battisti. "La Nazione" di Firenze diede scarni resoconti della Mostra Storica esaltando invece l’esposizione della Mostra Didattica Nazionale che presentava i lavori di allievi e professori delle scuole italiane: gli articoli del 5 e 6 marzo 1925 e quelli del 2 e 9/10 aprile non accennarono ai contenuti delle sale relative a Battisti e Oberdan, nulla si disse del documento esposto che dimostrava l’impegno alla lotta per la libertà che le giovani triestine avevano intrapreso nel 22 settembre del 1916 quando le studentesse del Liceo Femminile "dimostrativamente non cantarono assieme alle altre l’ Inno popolare e con ciò tentarono di istigare pubblicamente al disprezzo e all’odio contro l’Imperatore". Invece la "Nazione" commentò con enfasi la Mostra Didattica affermando che lì si vedeva "la bontà della nostra razza". Si trattò di una posizione che fa ben intuire come fosse l’esortazione all’impegno civile l’obiettivo di critiche e prese di distanza: si trattava di colpire quello stesso spirito che aveva portato Giovanni Sforza (1840-1922) a pubblicare un libretto Nelle nozze Franchetti-Morpurgo ove si esaltavano la libertà di stampa e i diritti della persona nonchè il coraggioso schierarsi degli scienziati nella vita politica. Gli eventi che videro la nascita di provvedimenti restrittivi della libertà di insegnamento e di associazione si intrecciarono tra loro. Fu così che il 22 febbraio del 1925 il comitato centrale dell’Associazione Nazionale Combattenti fu sospeso dal governo di Mussolini e sostituito il tutto avveniva proprio mentre si avviava una riforma della scuola che conteneva le premesse per limitare il pluralismo delle fedi religiose e per condizionare ideologicamente la vita scolastica. L’azione intimidatoria contro insegnanti e oppositori del regime apparve esplicita con l’articolo 1 della legge n. 2300 del 24 dicembre 1925 che prevedeva il licenziamento nei confronti di coloro che si venissero a trovare "in condizioni di incompatibilità con le generali direttive politiche del Governo". In realtà già nell’ ottobre del 1925 i professori Gaetano Salvemini e Gino Luzzato erano stati rimossi dalle cattedre universitarie di Firenze e Venezia perché erano incompatibili con il regime. Nel quadro di un crescente integralismo che monta nel 1925 occorre inserire l’azione contro Ernesto Buonaiuti che dopo una serie di amare condanne vide il 30 gennaio del 1925 l’iscrizione di tutte le sue opere all’Indice dei libri proibiti. Circolari e divieti Tutto il mondo della scuola -tra il 1926 e il 1929- si trovò sottoposto a un diluvio di circolari ‘riservatissime’ che ingiungevano al Regio Provveditorato Veneto di controllare e segnalare gli ‘apostati’, i non credenti, e quanti erano attratti dalla "Sezione Italiana dei Diritti dell’Uomo". Non vi può essere dubbio sul fatto che il fascismo perseguì sin dagli esordi una politica razzista enfatizzata già dai discorsi di Mussolini nel 1921 e nel 1927 e dai provvedimenti discriminatori ‘contro il celibato’ presi nel 1926, nel 1927 e nel 1929, nonché dai titoli X e XI del Codice Rocco del 1930 che punivano ‘i delitti contro la integrità e la sanità della stirpe’. Il 1923 aveva visto anche l’approvazione dell’insegnamento obbligatorio della religione cattolica nelle scuole italiane; il provvedimento aveva destato profondo sconcerto tra gli ebrei italiani ed era stato poi integrato da un regio decreto del 26 aprile 1928 che affidava ai direttori delle scuole la potestà di verificare se chi rifiutava quell’insegnamento lo facesse spinto da profondità di intenti morali. L’intromissione nella vita privata dei cittadini era del tutto evidente e lasciò increduli quanti avevano interpretato diversamente gli ideali del Risorgimento; tuttavia ancor più sconcertante fu il discorso pronunziato da Benedetto Croce in occasione dell’istituzione dell’insegnamento della religione. Allora il filosofo dichiarò di votare a favore perché gli italiani avevano bisogno di una formazione morale che ‘in quel momento’ poteva avvenire anche attraverso la religione cattolica che avrebbe insegnato a non compiere errori come si raccontava avesse fatto Garibaldi quando nominò cappellano militare un ebreo di nome Sacerdote che gli si era rivolto per avere un posto di lavoro. Le ‘diversità’ religiose erano controllate e discriminate: con il Regio Decreto n. 289 del 28 febbraio 1930 si disponeva che l’esercizio dei culti ammessi nel Regno doveva essere autorizzato dal Ministero della Giustizia e dell’Interno; questa norma illiberale fu dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale solo (!) con la sentenza n. 59 del 18-24 novembre del 1958. In verità lo stesso Regio Decreto ereditava anche quella norma di derivazione (art. 289) austriaca per cui si sarebbe potuto organizzare all’interno delle scuole pubbliche l’insegnamento di ‘un culto diverso dalla religione di Stato’ previa autorizzazione diretta del Provveditore agli Studi il quale può agire di concerto con i ministeri della Pubblica Istruzione, della Giustizia e dell’Interno. Il testo è vigente. Nel frattempo, prima in Italia e poi in Germania, gli istituti scientifici erano stati tutti indirizzati verso una politica apertamente razzista: l’Istituto Italiano di Statistica varò sin dal 1926 un programma di ‘controllo della razza’; del resto simili intenti erano stati annunciati nel 1925 con l’istituzione dell’ Opera Nazionale Maternità e Infanzia. In proposito non possono sussistere dubbi; infatti Lomonaco-Aprile, nel commentare la legge del 10 dicembre 1925 (n. 2277) poi rivista nel provvedimento del 13 aprile 1933 (n. 298), affermò che gli indirizzi italiani erano ben diversi dai provvedimenti assistenzialisti inglesi e francesi giacché l’ ONMI "è un organismo politico informato ad un concetto sintetico di miglioramento e difesa della razza". Alla fondazione dell’ ISTAT seguì quella dell’IRI. Questo istituto avrebbe dovuto promuovere l’industria italiana; tuttavia -a dispetto di quanti credono oggi di ravvisare nelle scelte economiche di Mussolini elementi di ‘modernità’- questo organismo ebbe il compito di controllare il mercato finanziario italiano e soprattutto di impossessarsi e di sottoporre a censura l’editoria: l’intento era quello non solo di controllare una possibile fonte di dissenso, ma anche quello di trarre un profitto economico per la dittatura. Del resto le malversazioni economiche del regime fascista erano state già denunciate da Giacomo Matteotti il 6 giugno 1923 in un discorso alla Camera dei Deputati. L’organizzazione del consenso fu fonte di notevoli guadagni per l’organizzazione del fascismo. Basti pensare all’operazione di controllo dei sillabari e delle antologie in uso nelle scuole elementari e medie che -dal 1925- vide un incremento costante delle esaltazioni delle azioni del regime e della glorificazione del duce. S’aggiunga inoltre che -dal 1926- l’insegnamento dell’educazione fisica fu assegnata all’ Opera Nazionale Balilla e che -tra il 1935 e il 1937- tutti i bambini furono inquadrati secondo dchemi militari nelle organizzazioni dei Figli della Lupa (6-8 anni), dei Balilla (8-12 anni) e negli Avanguardisti (12-18 anni). Tutte queste strutture vennero poi assorbite -nel 1937- dalla Gioventù Italiana del Littorio direttamente dipendente dal Partito fascista. L’opera di controllo delle coscienze delle giovani generazioni era finalizzata non solo al rafforzamento del regime, ma anche al consolidamento economico di una dittatura che nello stabilire che vi dovesse essere un ‘libro unico’ per le scuole elementari (legge 7 gennaio 1929, n. 5) realizzava considerevoli entrate. L’operazione di controllo dell’educazione è esplicita. Nel 1934 si dichiarò: "La scuola italiana in tutti i suoi gradi e i suoi insegnamenti si ispiri alle idealità del Fascismo, educhi la gioventù italiana a comprendere il fascismo, a nobilitarsi nel fascismo, a vivere nel clima storico creato dalla Rivoluzione fascista" Inoltre occorre sottolineare che i movimenti per l’emancipazione dei diritti civili degli ebrei sono sempre coincisi con la richiesta di maggiori diritti sociali per l’insieme di tutti i cittadini; pertanto l’affermarsi di una società fondata sul totalitarismo e sulla persecuzione delle minoranze comporta generalmente l’esplosione della propaganda contro la cultura ebraica e la modifica in senso autoritario dei programmi di insegnamento di tutte le scuole. C’è una costante su cui si innestano i fenomeni antiebraici come del resto tutti i processi del totalitarismo: questa costante è data dall’odio espresso da ogni integralismo verso il mondo della scuola. Si può intendere anche così la genesi dell’ostilità verso tutto quel mondo ebraico che ha sempre assegnato grande rilevanza al sapere, agli studi e alla necessità di leggere. Dall’ Antichità, al Medioevo, al ‘900 la scolarizzazione di massa è stata sempre guardata con diffidenza giacché la scuola -ricordava Don Lorenzo Milani- può essere un ‘male’ perché può aprire le menti all’impegno nei partiti e nei sindacati giacché lo studio permette di comprendere e difendere i propri diritti. Non fu quindi un caso che -in Italia innanzitutto- i primi provvedimenti anti-ebraici furono adottati proprio per la "difesa della razza nella scuola" e non fu un caso che in Polonia dinanzi alle persecuzioni si reagì istituendo un gran numero di scuole clandestine. Passione per la Scuola nonostante la persecuzione Dai ghetti assediati -nel 1940- Mary Berg annotava nel suo diario "Ora ci sono moltissime scuole illegali e si moltiplicano ogni giorno. La gente studia nelle soffitte e nelle cantine e tutte le materie sono comprese nei programmi persino latino e greco... Non vi sono studenti svogliati. La natura illegale di questo insegnamento, il pericolo che ci minaccia ad ogni istante, colma ognuno di uno strano zelo...". Questa situazione fu descritta con cura: "i giovani ebrei studiano in segreto. ...In caso di pericolo i ragazzi sanno nascondere i loro libri. I giovani ebrei sono scaltri quando escono per recarsi all’insegnamento clandestino nascondono libri e quaderni tra pantaloni e stomaco indi abbottonano giacche e cappotti". La passione per la scrittura appare anche dai diari, la sua ‘seconda pelle’, di Ana Novac scritti ad Auschwitz e in altri sette campi di concentramento su materiali di fortuna che venivano nascosti negli zoccoli; quelle note come molte altre rappresentarono i segni di una passione per gli studi che portano il professore di Hannah Goslar e di Anna Frank a parlare dell’amore di Dante per Beatrice proprio il giorno dopo che la moglie di quell’insegnante era stata deportata. E quando Hannah e Anna si reincontrarono nel campo di concentramento cominciarono a sperare che a primavera sarebbero tornate a scuola. Si trattava della stessa speranza di Lia Levi che trepidante all’indomani della Liberazione sperava in una sessione speciale d’esami per i bimbi che avevano studiato clandestinamente, provvedimento che l’Italia appena liberata non volle, o non poté, accordare. Eppure proprio sulla scuola aveva infierito il regime fascista tanto che Bruna Levi Schreiber scrive: "Passano i giorni, iniziano le scuole e tu ragazza ebrea rimani a casa. Non puoi nemmeno ascoltare la radio: è proibito agli ebrei possedere una radio. ... Sei disperata, umiliata, non parli più con nessuno, giri a vuoto per casa, senza far nulla, perché non hai nulla da fare, nulla di costruttivo per il tuo futuro. ... Sei infelice perché scuola per te come per tutti, oggi come ieri come domani, vuol dire anche centro di aggregazione, lavoro organizzato, risate, compagnia, appuntamenti per il pomeriggio... vita!". Era la scuola l’occasione per il miglioramento della società civile e anche a questa istituzione Anna Frank assegnava la possibilità dell’emancipazione femminile: "Più volte mi sono posta una di quelle domande che non mi danno pace, e cioè perché un tempo, e spesso anche adesso, la donna nei popoli occupa un posto molto meno importante rispetto all’ uomo ... Per fortuna la scuola, il lavoro, il progresso hanno un po’ aperto gli occhi alle donne". L’amore per lo studio e per la scrittura erano garanzia di vita; è questo un impegno lo si ritrova nel padre di Jona Oberski che appena portato nel lager non smise di insegnare le lettere dell’alfabeto ebraico al figliolo. Non diverso fu lo spirito della piccola Louise Jacobson che -imprigionata a Drancy prima di essere inviata a Auschwitz- ringraziava nelle sue lettere per i libri che arrivavano nei pacchi o protestava perchè non aveva da leggere. Così anche nel ghetto di Lodz, intorno al 1942, si continuava a far cantare ai piccoli scolari: "Nella stanza brucia un fuoco / nella stanza fa un bel caldo / e il rabbino va insegnando ai bambini l’alfabeto /... / Bimbi attenti abbiate caro / ciò che voi imparate qui! / Una volta ancora e ancora dite dunque l’abc, / una volta ancora e ancora dite dunque l’abc! / Via bambini la paura, ogni inizio è duro assai; chi ha imparato ben la Torah / è felice / e di che ha bisogno in più? / ... / Grandi bimbi diverrete/ e da soli capirete / quante lacrime e che pianto / nelle lettere ci sia! / Bimbi attenti abbiate caro / ciò che voi imparate qui! / Una volta ancora e ancora dite dunque l’abc, / una volta ancora e ancora dite dunque l’abc! / Ma se un giorno, bimbi cari, / dell’esilio trascinare / il destino ahimè dovrete / ed i triboli saprete, / il conforto allor cercate / proprio dentro questi segni, / ben addentro in lor guardate! / Bimbi attenti abbiate caro / ciò che voi imparate qui! / Una volta ancora e ancora dite dunque l’abc, / una volta ancora e ancora dite dunque l’abc!. Scrivere per testimoniare Il culto della scrittura divenne in quei drammatici anni impegno per la memoria. Fu così per Simha Guterman che redasse un libro e che era costituito da tante striscioline di carta che erano state sigillate in una bottiglia che dal 1942 al 1978 rimase nascosta sotto i gradini di una casa. Quando quella bottiglia fu ritrovata si comprese che si trattava di un racconto sulla storia degli ebrei di Plock dall'inizio della guerra (1939) alla liquidazione del ghetto (1942). Quel diario trasmette al tempo stesso sia l’idea di un’ Europa allo stremo sia la determinazione di un testimone che annota: "L'animo ferito, il petto oppresso, il cuore dolorante, gli occhi pieni di lacrime, i pugni serrati, scriverò tutto con il sangue e il pus delle piaghe, per testimoniare la bassezza e l'ignominia cui può giungere l'essere umano". Guterman non fu l’unico ad escogitare il mezzo per trasmettere la memoria; persino i membri di quella squadra speciale nota come Sonderkommando e che era costituita per lo più da ebrei addetti ai forni crematori ebbero la forza di cercare di fissare la memoria. Invece tra il 1945 e il 1980 nel terreno attorno ai resti dei crematori dei campi di sterminio di Auschwitz-Birkenau furono trovati ben nascosti una serie di manoscritti, talvolta danneggiati, ma sostanzialmente leggibili. L’intento delle opere è evidente: Salmen Gradowski aveva chiuso le sue carte in una borraccia di metallo ed aveva annotato in quattro lingue -polacco, russo, francese e tedesco- un’avvertenza: "Interessatevi a questo documento poiché contiene un materiale molto importante per la storia.... Desidero lasciare questo scritto come pure numerose altre annotazioni a memoria del futuro mondo pacificato affinché si sappia cos’è accaduto. L’ ho sepolto sotto le ceneri, ritenendo che si trattasse del luogo più sicuro, dove certamente un giorno si sarebbe scavato per trovare le tracce di milioni di uomini uccisi. ...Vi è sepolta anche una grande quantità di denti. Noi, i lavoratori del Kommando, li abbiamo sparsi apposta nel terreno, perché il mondo potesse trovare le tracce concrete di milioni di uomini ammazzati... Esprima il futuro il suo giudizio su di noi in base alle mie annotazioni e che possa il mondo dare uno sguardo almeno su una goccia, su un frammento del mondo tragico in cui abbiamo vissuto. 6 settembre 1944". Altrettanta fermezza di intenti mostrò Salmen Lewenthal che avvolse le sue note con della tela cerata rinchiudendole poi in un vaso per conserve con tappo metallico; in quei fogli descrisse tra l’altro l’uccisione di 600 (forse 1.000) ragazzi di età compresa tra i 12 e i 18 anni: "Gli uomini delle SS stavano lì con un ghigno di contentezza... Gli uomini delle SS li inseguirono, li tempestarono di colpi, fino a che, dominata la situazione, li spinsero nel bunker. La loro gioia era indescrivibile. Non avevano mai avuto dei figli?". Asili nido e scuole del popolo Per gli ebrei la scuola è sempre stata fondamento di vita, momento di trasmissione della memoria, organizzazione del confronto pacifico; anche per questo la lettura ha costantamente rappresentato la possibilità di discutere e di criticare; e fu anche per questo spirito che, quando -nel 1933- la famiglia di Anna Frank fu obbligata a emigrare da Francoforte in Olanda, la bimba fu iscritta alle scuole Montessori; infatti quello spirito educativo era improntato al rispetto della ‘libertà’ del bambino e di ogni confessione religiosa. E proprio l’ebreo Leopoldo Franchetti (1847-1917) aveva appoggiato finanziariamente l’istituzione delle scuole Montessori in Italia. Questo accadeva quando l’Italia stava tentando faticosamente di trasformare il sistema scolastico, ma il fascismo interruppe drasticamente un’opera di diffusione della cultura che aveva avuto il sostegno partecipe di famiglie ebraiche come quelle dei Franchetti, degli Orvieto, di Pellegrino Rosselli e di Domenico Comparetti nonché delle organizzazioni israelitiche. Quegli obiettivi educativi si tradussero nell’attivo sostegno delle Scuole del Popolo volute -nel 1867- da Pietro Dazzi. Si trattò di indirizzi di una politica scolastica che sono stati spesso fraintesi da una storiografia che ha accusato uomini come Salvemini di essersi schierati per una politica scolastica che dividesse i ‘ricchi’ dai ‘poveri’; in realtà non è stato analizzato a sufficienza il progetto complessivo di un mondo culturale che mirava a costruire un’Italia effettivamente unita. Di grande efficacia e -oggi- di estrema attualità fu il discorso del senatore Barsanti a favore degli asili nido (noti come ‘presepi’): "Avviene sovente che sia vietato alle madri di darsi ad un utile lavoro per la necessità di non abbandonare a sè stessa la prole che per la troppo tenera età le scuole e gli Asili non possono accogliere ancora"; la scuola per Barsanti era il mezzo per istituire la fraternità tra le classi sociali, era il luogo dove tutti i fanciulli debbono imparare ad apprendere ad emendare gli errori dei dirigenti affinché si possa "avviare la società verso un crescente benessere". Pochi anni prima -nel 1843- il sacerdote Ferrante Aporti aveva descritto i diversi tipi di istituzioni infantili soffermandosi con entusiasmo sulla generosità degli israeliti di Livorno che costruirono "con private elargizioni un ampio e bellissimo edifizio consacrato interamente all’istruzione primaria" che comprendeva spazi particolari per quei fanciulli poveri che superata l’età di sei anni avevano diritto a frequentare gli ‘asili’ e gli studi superiori con il sostegno della comunità israelitica tanto che gli ebrei erano ammirati "dai cristiani più illuminati". Questi indirizzi erano fortemente sostenuti dalle società per la diffusione del mutuo insegnamento e già nel 1827 Aporti aveva inaugurato a Cremona una scuola infantile a pagamento riconosciuta dal governo austriaco nel 1829 e affiancata da una scuola gratuita aperta nel 1831. Le nuove istituzioni hanno come punto di riferimento i precedenti storici dati: dal Réglement pour les enfants de Port Royal di Jacqueline Pascal (1657), dall’attività dell’Università Israelitica di Firenze (1753), dalle iniziative della marchesa Pastoret di Parigi (1800) e della principessa Lippe-Detmolt a Berlino. Nonostante che spesso l’Aporti sia stato giudicato un conservatore bisogna tener presente che l’istituzione degli asili infantili fu vista con molto sospetto dalla Chiesa di Roma anche perchè le società di promozione di queste istituzioni erano animate da protestanti e da ebrei. Si arrivò persino a una sentenza dell’Inquisizione che -nel 1837- condannava queste iniziative pronunciandosi contro "chi tentava di introdurre negli Stati Pontifici le cosiddette scuole infantili o Sale d’Asilo per l’Infanzia d’ambi i sessi". Allora ci si preoccupava perché "s’erano già stampati e distribuiti libri di piccola mole, nei quali v’erano i regolamenti per le medesime non contenenti quello spirito veramente cattolico che deve presiedere alla formazione della mente..."; pertanto gli "Eminentissimi Inquisitori... hanno giudicato cosa piena di pericoli, per non dire di peggio, l’ammettere nello stato Pontificio la introduzione di siffatte scuole infantili e quindi hanno stimato di doverle proibire... il quale giudizio è stato pienamente approvato da Sua Santità". Tra gli obiettivi v’era l’asilo pisano istituito nel 1833 dalla protestante Matilde Calandrini (1794-1866) che, nel 1845, fu costretta dal vescovo di Pisa a sospendere ogni sua attività perché le sue teorie didattiche erano pericolose per la morale della popolazione e soprattutto perché la signora attirava maestre e insegnanti per proporrre loro corsi di aggiornamento serali. Sulla spinta pedagogica del protestante Ernesto Mayer (poi incarcerato a Castel Sant’Angelo) furono organizzate istituzioni scolastiche innovative quali l’ Orfanotrofio tecnologico di Prato voluto -nel 1837- dall’ex operaio Gaetano Magnolfi per far in modo che si formassero "fabbri, tessitori, falegnami, artefici fatti, teste che ragionano e mani che producono.."; fu Isidoro Del Lungo (1842-1927) a commemorare il benefattore di Prato e fu un discorso che già nel 1898 -anno della crisi franco britannica e del caso Dreyfus- che si chiuse invocando "la pace, oggi, in nome del dovere e del diritto, del lavoro e della carità; ... la pace, che renda ai campi le braccia dei lavoratori, che i trovati della scienza volga a istrumenti non di distruzione e d’immiserimento, ma di produzione e di popolare agiatezza, di universali commerci, di trionfali esplorazioni per entro a’ misteri non ancora rivelati della natura. L’entusiasmo per l’organizzazione di nuove scuole portò in Italia alla fondazione della Guida dell’ Educatore fondata da Raffaello Lambruschini nel novembre 1835 che curiosamente da sacerdote e da antipositivista teorizzava già la necessità come la libertà d’insegnamento fosse il rimedio più sicuro contro il deteriorarsi della scuola sia pubblica sia privata. Inoltre il Lambruschini polemizza contro chi esalta la bontà dei tempi antichi screditando le nuove istituzioni educative e filantropiche: non è vero che asili e scuole d’infanzia siano il segno del deteriorarsi della società. Infatti se è vero che la scuola infantile è nata per garantire alle madri la possibilità di lavorare è anche vero che questo impegno delle donne è un’indicazione di un uso intelligente delle forze umane. Del resto non è vero che la scuola distrugga la famiglia, bensì la rafforza cementandola con l’amore del municipio, l’amore della nazione, l’amore dell’umanità e ciò il Lambruschini lo sosteneva esaltando le scuole fiorentine in contraddittorio con il Capponi che vedeva nella scuola un motivo di dissoluzione nazionale e sociale Tuttavia le ostilità erano fortissime e investivano l’intero orientamento della società civile europea. Tra i tenaci oppositori del rinnovamento vi fu Louis Veuillot che esaltando il governo di papa Gregorio XVI difese la Roma papale nel volume Le parfum de Rome che contrappose all’ altro volume dedicato agli Odeurs de Paris: nella capitale francese si trovano tutti i segni del progresso scientifico e tutte quelle possibilità che rendono l’uomo protagonista della società; ma tutto ciò avrebbe creato -per Veuillot- una rete di interessi e di ambizioni che era in grado di distogliere l’uomo dalle sue riflessioni interiori. Questi vizi non esistono nella Roma papale ove non esiste la febbre economica moderna fatta di ferrovie, industrie, dinamismo intellettuale; infatti la legge divina non impone all’uomo di cercare le ricchezze, gli agi o la sapienza, ma anzitutto di salvare l’anima. In questo contesto l’istituzione delle scuole pubbliche e laiche incontrò nello stato unitario italiano moltissime difficoltà. Esemplare è -nel 1876- l’azione legale di Augusto Franchetti (1840-1905) che, rappresentando il Municipio di San Niccolò (Arezzo), contestò al demanio la requisizione di una scuola popolare. Era accaduto che la signora Lucrezia Tommasi aveva lasciato -nel 1799- tutti i suoi beni affinché si costruisse una scuola e aveva nominato esecutore testamentario il vescovo di Fiesole. La scuola fu requisita dal demanio perché ritenuta soggetta alla legge del 1866 che disponeva l’incameramento dei beni ecclesiastici. Tuttavia Franchetti esibì i documenti del Governo Granducale che attestavano l’indole laica del legato e che era caratteristica della politica di Leopoldo I di "istabilire case di educazione ... che siano laiche". In ogni caso la legge del 1866 era stata intesa per " al mantenimento e al miglioramento e non già alla distruzione di ciò che può diffondere l’educazione popolare"; del resto -nel 1866- il Consiglio di Stato aveva riconosciuto al comune di Assisi il diritto ad amministrare le scuole popolari === Dal suo canto -nel 1905- Desiderio Pazzagli, direttore delle scuole popolari, teorizzava la necessità di una estesa scolarizzazione per combattere l’oscurantismo. Appaiono così mal motivate le tesi che individuano in questi orientamenti un eccesso di ‘paternalismo borghese’ che fondava le scuole popolari per rispondere alle esigenze del mercato. L’affermazione sembra non tener conto che l’ Italia -nel 1861- presentava un analfabetismo pari al 74,6% dell’intera popolazione mentre all’interno della componente ebraica questo dato si riduceva solo al 5,8%; poi nel 1927 non si registrò alcun analfabeta tra gli ebrei italiani a fronte di una percentuale del 27% tra i cittadini del Regno d’Italia. Il fenomeno dell’analfabetismo degli italiani è impressionante e appare derivare come osserva Armando Petrucci da quelle resistenze della Chiesa che si svilupparono contro l’idea di un’istruzione di massa che avveniva in nome di uno Stato laico. Scuole professionali finanziate da comunità israelitiche E’ sulla base di questi dati che, a fronte di un analfabetismo che in Italia -nel 1901- era del 48,7 %, appare del tutto innovativo il programma d’esame delle scuole professionali fiorentine "Pietro Dazzi" che prevedeva "Una prova scritta ed orale per l’italiano pel francese, per l’inglese, pel tedesco, per l’aritmetica e per la geometria; mentre per la storia, geografia, la computisteria, la fisica, la chimica, la storia naturale, si fa la prova orale soltanto, e per la calligrafia il solamente il saggio grafico"; inoltre nelle classi di disegno era previsto un apposito saggio che era valutato tenendo conto delle opere svolte nell’anno scolastico e così pure nelle classi professionali si giudicava l’acquisizione delle competenze professionali. Inoltre l’esito dell’esame era comunicato all’istante -circostanza su cui oggi si esita- e prevedeva diverse possibilità: una licenza con la media di 9/10, un certificato d’onore con 8/10, un attestato con 6/10. A questi programmi collaborò l’ Istituto Israelita d’Arti e Mestieri di Firenze, senza chiedere una qualsiasi impronta confessionale, con quella stessa generosità di intenti che aveva portato l’ Alliance Israélite Universelle ad assicurare ai bimbi ebrei una scolarità regolare sviluppando -tra il 1862 e il 1910- una vasta rete di scuole in tutti i paesi che si affacciavano sul Mediterraneo. La consapevolezza dell’importanza di innalzare i livelli di istruzione dei cittadini fu una costante del mondo ebraico e quando si costituì lo stato di Israele fu avviato un programma per ottenere una convergenza dei livelli di istruzione tra gli ebrei di origine afro-asiatica e quelli di provenienza europea-americana arrivando a ridurre considerevolmente il divario formativo e riuscendo a far in modo che quasi tutti i cittadini di Israele all’inizio degli anni ‘90 completassero la scuola secondaria superiore. Questo sostegno all’istruzione primaria e secondaria era una tradizione già ben radicata nell’Italia che tra la fine del Settecento e la prima metà dell’Ottocento aveva indirizzato i lasciti degli ebrei perché fosse favorita l’istituzione di scuole per tutti i bambini e in particolare per i poveri: a Torino, Vercelli e Asti furono aperti numerosi istituti alcuni dei quali con sezioni per i ‘non -ebrei’ e molte di queste aperture possono essere ricondotte a Moses Mendelssohn (1729-1786). Tutte queste direttrici di politica scolastica spiegano perché l’ostilità contro gli ebrei non possa essere interpretata come un semplice fenomeno di dissenso religioso o come la mera rappresentazione di uno scontro tra modelli economici. Per gli ebrei A questo proposito fu sempre Zola ad aver pronunciato parole efficaci nel suo saggio Per gli ebrei ove l’intellettuale francese scriveva agli antisemiti: "state per organizzare le persecuzioni, riprendete a predicare una nuova guerra santa perché gli ebrei siano braccati, derubati, messi in catene... voi siete più di duecento milioni mentre gli ebrei arrivano appena a cinque milioni e voi gridate al terrore, che coraggio avete, che coraggio organizzare le guerre contro una piccola minoranza, non avete capito che il giorno che farete in modo che l’ebreo sia come noi lui sarà nostro fratello. Cambiate tattica, aprite le braccia, realizzate l’eguaglianza sociale, abbracciate gli ebrei, arricchiamoci delle loro qualità, cessate i confronti razziali con l’unità delle genti. Noi dobbiamo distruggere le frontiere, sognare la comunità dei popoli, l’incontro delle religioni per aiutare tutti ad uscire dalla miseria del vivere quotidiano. Ma se qualcuno seguirà quel manipolo di imbecilli o di ipocriti che ogni mattino grida ‘ammazziamo gli ebrei, massacriamo, sterminiamo’...". Allora -scriveva Zola- accadrà qualcosa che non potrà essere più abominevole. Era il 1896 ed è accaduto nel 1938 in Italia e quel che è accaduto è stato preparato con cura e per tempo, almeno dal 1926. Inesorabile fu l’applicazione delle leggi: non stupiscono le reazioni umane, ma indigna l’eccesso di zelo e l’accanimento persecutorio: il 5 settembre 1938 l’archivista fiorentina Anna Maria Enriques fu tra i primi cittadini italiani ad essere dispensata dal servizio e privata dello stipendio; al tempo stesso Pietro Fedele, Presidente dell’Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, rifiutò di pubblicare l’edizione delle Carte del monastero di S. Maria di Firenze perché la curatrice ‘era ebrea’ benché si sapesse che aveva aderito al Movimento cristiano-sociale. Ben presto la Enriques prese parte alla Resistenza e fu poi fucilata dalla Gestapo il 12 giugno 1944 dopo esser stata torturata. Isa Lori Sanfilippo assieme a Raoul Manselli ritrovarono le carte dell’archivista che furono pubblicate -nel 1990- cinquantanni dopo la loro stesura. Questo lasso di tempo indica le dimensioni della ferita inferta a tutta la cultura italiana. Anna Maria Enriques era nipote di Federigo Enriques e cugina dei Castelnuovo, dei Franchetti, dei Morpurgo; si trattava di un gruppo familiare che era molto legato ai fratelli Rosselli e ai Volterra. I matematici ‘ebrei’ Allucinanti appaiono le invettive contro i matematici ‘ebrei’ così come risulta da un gruppo di lettere scritte tra il 1909 e il 1924: allora si ipotizzava che la scuola di matematica romana finisse nelle mani degli ebrei, allora si denunciava che gli ebrei spadroneggiavano in modo così indegno da voler conquistare la presidenza dell’Accademia dei Lincei, allora si temeva la diffusione della teoria della relatività e delle dottrine di Einstein; pertanto si invitava a dare grattacapi agli scienziati giudii indicando come riprovevole lo ‘spirito di corpo ebraico’ che guida Enriques, Castelnuovo, Levi-Civita, Volterra. Il ‘nemico’ era chiaramente indicato e se è pur vero che nell’aprile del 1925 Benedetto Croce organizzò il Manifesto degli intellettuali antifascisti al quale aveva aderito anche Guido Castelnuovo tuttavia la violenza e la perseveranza della persecuzione fu terribile: non appena furono pubblicate le leggi razziali ai professori Castelnuovo, Enriques e Levi-Civita fu impedito fisicamente di entrare nella facoltà di matematica dell’Università di Roma e l’azione fu condotta da zelanti allievi e professori che dovevano molto a quei maestri. Poi, il 17 febbraio del 1939, la Regia Questura di Roma inviava una nota all’Ufficio di P.S. di Castropretorio ove si diceva: "viene riferito che il Prof. Guido Castelnuovo ... ebreo, andrebbe pubblicamente sparlando del Regime e del Duce. Si prega voler disporre accertamenti urgenti e fornire informazioni sulla condotta, razza e religione del Castelnuovo". Le circostanze denunciate corrispondevano alla verità: il professore si era più volte pronunciato pubblicamente per la strada contro il fascismo; tuttavia il 28 febbraio 1939 la risposta del commissariato occultò i fatti: "Da riservati accertamenti eseguiti non è risultato che predetto abbia mai proferito frasi sconvenienti nei riguardi del Regime e del Duce; ne è ritenuto capace di farlo. Il Castelnuovo è di razza ebrea, ma non professa alcuna religione. E’ ritenuto persona (retta ed) onesta (sotto tutti gli aspetti) e, stando alle apparenze, mantiene contegno indifferente nei riguardi della politica razzista, si mostra ossequiente alle leggi ed alle autorità. Ho disposto pertanto attenta vigilanza nei confronti del predetto...". Il documento mostra l’evidente disagio del funzionario che, tra l’altro, prima si sbilancia e scrive che il Castelnuovo è: ‘persona retta sotto tutti gli aspetti’ e poi depenna più volte la frase, correggendola, temendo di eccedere nella protezione che l’ignoto funzionario accordò al matematico comportandosi così ben diversamente dalla gran parte dei professori dell’Università di Roma che evitarono accuratamente di mostrare il benché minimo cenno di solidarietà. Singolarmente proprio i Castelnuovo riuscirono a scappare nel terribile ottobre del 1943 grazie al Commisariato di P.S. di Piazza Bologna che fece circolare la notizia della razzia. Se queste erano le premesse si capisce bene quali furono le conseguenze: con un sinistro eccesso di zelo alcuni scienziati italiani si diedero un gran da fare per "arianizzare" i comitati di redazione delle riviste scientifiche espellendone gli italoebrei per sconfiggere i ‘complotti ebraici’. Nonostante la durezza dell’intervento razziale Guido Castelnuovo fece in modo di attivare a Roma un’università clandestina per l’insegnamento delle scienze matematiche e fisiche che funzionò a Roma tra il ‘41 e il ‘43 mentre negli stessi anni, a Milano e Torino, Edoardo Volterra collaborava ad analoghe università clandestine che preparavano agli studi economico-giuridici; altrettanto impegno fu testimoniato a Ferrara da Giorgio Bassani per gli studenti esclusi dalla frequenza delle lezioni perché ebrei. La ‘qualità’ della razza La politica razziale si annuncia così con una progressione inquietante; difatti le leggi del 1938 erano state precedute da una miriade di ‘piccoli’ provvedimenti che facevano intuire la sciagura: nel 1937 venivano proibite le relazioni di tipo coniugale con gli abitanti dell’ Africa colonizzata dalle truppe fasciste. Al tempo stesso Giuseppe Bottai intervenne per difendere la qualità della razza italiana che "deve essere tutelata da ogni pericolosa contaminazione di sangue". Si raccoglievano così i prodotti di una politica iniziata nel 1926 quando venne creato l’Istituto centrale di statistica (Istat) che con la sua struttura costituì una sorta di superministero che aveva l’obbiettivo di sviluppare l’ideologia demografica mussoliniana. Qui si comprende come il fascismo stesse elaborando una politica apertamente razzista; non fu un caso che a dirigere l’Istat fu messo quel Corrado Gini che -nel 1911- aveva esaltato la superiore intelligenza degli italiani di Trieste impegnati nella "diuturna lotta contra la minacciosa invadenza degli Slavi". Lo scienziato -dimentico delle precedenti affermazioni- dichiarò nel 1931 che l’elevato livello di fecondità nel Veneto era dovuto alla mescolanza di sangue con gli Slavi e questa tesi gli costò l’accusa di antifascismo !. Tuttavia non si sminuiva quella linea che perseguiva il rafforzamento della razza; anzi Gini - sempre nel 1931- predispose una scheda antropometrica destinata a raccogliere dati qualitatitivi relativi alle famiglie. La scheda ‘biotipologica’ era stata teorizzata da Nicola Pende e da altri scienziati che sostennero la politica antisemita del governo fascista. Ogni settore della cultura fu investito da un’ondata di razzismo antisemita che colpì persino quel futurismo di Marinetti che aveva esaltato le ‘mascelle quadrate stritolatrici’ di Mussolini; infatti mentre viene diffuso il manifesto sulla razza si organizza una violenta campagna contro l’arte moderna che, riprendendo la battaglia contro l’ "arte degenerata" del nazismo, veniva definita ebraica e bolscevica. Difesa della Patria e dei Diritti Civili L’organizzazione della spietata persecuzione avvenne nonostante che gli ebrei avessero dato prova d’immenso amore per ciascuna Patria -anche in occasione della Grande Guerra- diversificandosi anche nelle scelte politiche in modo tale che era del tutto risibile ogni tesi che propagandava la minaccia di un complotto mondiale ebraico. Anche qui qualche numero rende evidente l’affermazione: 320.000 soldati ebrei combatterono per l’ impero austroungarico, la loro nazione; mentre -con la stessa fede religiosa ebraica- 55.000 furono i francesi e 650.000 i russi impegnati nella difesa dei loro Paesi. La natura devastante del conflitto portò a circa otto milioni di morti e di questi 140.000 erano ‘ebrei’. Nonostante che l’esempio di lealtà patriottica degli ebrei italiani fosse indiscutibile Cecchelli in un opuscolo su La questione ebraica introduce il tema riportando l’aforisma di una società segreta inglese istituita per preservare la ‘razza britannica’: "Un cane bracco non potrà mai essere un buon levriere e così un ebreo potrà essere un ebreo, ma non sarà mai un inglese". L’impegno degli ebrei italiani a difesa della Patria e dei diritti civili è stato sottolineato nel diario di Ernesta Bittanti, vedova di Cesare Battisti; dal suo canto proprio in quel periodo Amelia Rosselli dichiarava "Ebrei, ma prima di tutto italiani". Questa tesi trova un ulteriore riscontro nel coinvolgimento del mondo ebraico durante la guerra di secessione americana del 1865: allora furono 6.000 gli ebrei a combattere tra i nordisti mentre sul fronte opposto vi furono 1.200 soldati sudisti d’origine ebraica. A quel tempo il rabbino americano Einhorn -già nel 1855- aveva proclamato: "Rompiamo le catene dell’oppressione, lasciamo liberi i popoli oppressi e distruggiamo ogni giogo". Questi e altri dati rendono del tutto incompatibile l’affermarsi di una dittatura con la civiltà ebraica. Certamente non si può nascondere che che vi furono tanti ebrei che aderirono sin dalla prima ora ai regimi totalitaristi dell’Italia e della Germania; il filologo Giorgio Levi Della Vida che rifiutò di giurare fedeltà al fascismo scriveva che "vedermi messo in un fascio con loro -dopo le leggi razziali del ‘38- (il vocabolo è qui appropriato quanto mai) mi fa provare un certo senso di disagio". Non diversi furono i sentimenti di Einstein nei confronti del dottor Haber, premio Nobel per la chimica nel 1918. Lo scienziato aveva contribuito in modo determinante ad incrementare la produzione agricola mediante i fertilizzanti chimici. Haber diresse poi -dal 1910- un centro di ricerca in Germania ove riuscì a far lavorare anche Einstein. La foga per le ‘invenzioni’ aveva cancellato ogni sentimento di civile prudenza poiché lo scienziato aveva aspramente condannato la dichiarazione di Einstein che, dagli Stati Uniti, aveva fatto sapere che la Germania hitleriana non garantiva più "ai suoi cittadini né le libertà civili, né la tolleranza e l’eguaglianza davanti alla legge". Così, mentre Einstein si impegnava a difendere i diritti civili, il dottor Haber continuò a dedicarsi alla produzione di armi chimiche sino al 1933 quando si rese conto che nella sua Germania in virtù delle terribili leggi razziali tutti i suoi colleghi ebrei erano perseguitati. Si trattò di una tardiva presa di coscienza giacché anche Haber aveva un cognome ebraico e per questo fu costretto all’esilio. Le leggi razziali Ora, con la pubblicazione delle infinite circolari che stabilivano la censura, ci si rende ben conto come quelle leggi razziali del ‘38 furono preparate con una pianificazione accurata: già dal 1934 le autorità di polizia provvedevano al sequestro di libri che offendevano la "dignità della razza"; del resto con il Testo Unico di Pubblica Sicurezza del 1926 (rivisto nel 1931) si erano ben fondate le premesse della persecuzione che prevedeva la censura preventiva per difendere il "sentimento nazionale". E i quotidiani ormai tutti assunti dalla propaganda fascista commentarono con orgoglio che -nel 1933- non c’era bisogno dei roghi con cui i libri venivano distrutti dai nazisti in quanto la lungimiranza dell’ Italia aveva provveduto a istituire una censura preventiva così rigida che già nel 1927 tutto era sotto controllo. E l’accanimento censorio fu tutto orientato verso chi era sospettato di inquinare la purezza italiana. E in questo quadto rientrò la legge del 7 gennaio 1929, n. 5 che istituiva il testo unico di Stato perché la scuola italiana potesse in tutti i suoi gradi ispirarsi alle idealità del fascismo. La politica di controllo delle pubblicazioni per la ‘difesa della razza’ fu così accanita che -nel 1934- si arrivò al sequestro di un romanzo d’avventure che narrava l’amore di un intellettuale africano con una donna italiana. Si estendeva intanto la propaganda antisemita e già nel 1937 si diffusero indagini che denunciavano come oltre il 41% dei letterati, degli storici e dei giornalisti fosse ebreo; mentre solo il 24% era da classificarsi cristiano. La campagna per la ‘difesa della razza’ a Vicenza e Bassano Quanto fosse martellante la propaganda antiebraica appare bene anche dai quotidiani locali vicentini. La "Vedetta fascista" di Vicenza avverte in prima pagina che il numero degli ebrei in Europa è esagerato (9-07-1938); questo tema fu ripreso più volte (4-08-1938) anche per denunciare che a Milano giungono migliaia di ebrei dalla Germania e da tutta l’Europa provocando seri problemi (12-08-1938): non vengono certo per lavorare... sono pericolosi... elementi deleteri, insoddisfatti... in genere portatori di bacilli il cui scopo reale è il disgregamento delle nazioni (18-08-1938). Nel frattempo si esalta l’antica purezza di sangue che è titolo di nobiltà della nazione italiana (15-07). Si giunge al 31 luglio quando a tutto pagina il giornale vicentino riporta l’ammonimento del duce: "Anche sulla questione della razza noi tireremo dritto"; "Dire che il fascismo ha imitato qualcuno o qualcosa è semplicemente assurdo". Non si nascose affatto l’origine degli intenti quando il 31 agosto del 1938 si dichiarò a tutta pagina: "Il Duce impostò nel 1921 il problema della razza"; l’articolo rammentava ancora una volta che in Italia gli ebrei erano troppi e che già nel 1921 Mussolini dichiarò intollerabile il gran numero di ebrei presenti nell’amministrazione. Questa idea delle origini del razzismo mussoliniano fu proposta lungo tutto l’agosto del 1938. I concetti espressi sono rafforzati dalla tesi per cui si ipotizza che a Tel Aviv si organizzino persecuzioni contro i non ebrei (12-08-1938). Poi il 25 agosto si annunciò nella prima pagina del giornale vicentino che gli ebrei in Polonia venivano portati in campi di isolamento. Dunque si sapeva! Si giunse così al 2 settembre quando si varò il provvedimento di espulsione degli ebrei stranieri. Il giornale rivela un altro indirizzo: i provvedimenti ‘per la difesa della razza’ secondo la "Vedetta fascista" investivano anche tutti i cittadini italiani; in particolare gli uomini non coniugati avrebbero perso il diritto alla carriera negli impieghi e le donne lavoratrici sarebbero state penalizzate in quanto con la loro attività dimostravano l’ espressione del loro odio per la famiglia. Il 3 settembre (due giorni prima del decreto legge!) il giornale annuncerà il divieto di insegnare ai docenti ebrei e l’esclusione dalle scuole di tutti gli studenti giudei; ancora una volta l’enfasi sarà sulla profonda infiltrazione giudaica nel mondo accademico (4-09-1938). Pertanto si diede vita a una capillare azione di ‘istruzione’ dei vicentini sul problema razziale; così il 27 novembre 1938 la cronaca di Vicenza riporta l’attività del locale Istituto di cultura fascista che è tutta orientata a istruire sulla ‘specificità del problema ebraico in Italia’. La stampa intanto faceva la sua parte in quest’opera di educazione nazionale e -il 23 novembre 1938- la Vedetta aveva già annunciato: "Le grandi democrazie hanno avvertito i pericoli dell’infiltrazione ebraica" Il legame tra persecuzione degli ebrei e distruzione delle norme più elementari della democrazia trasparirà nettamente il 15 dicembre 1938 quando a tutta pagina si titolerà: "Le leggi sulla razza e sull’istituzione della nuova Camera approvate per acclamazione" Il 17 dicembre del 1938 la Vedetta Fascista dà notizia di un’ulteriore iniziativa del Ministero delle Finanze: i beni immobiliari e non di quanti sono sottoposti alle leggi sulla razza dovranno essere tutti catalogati; inoltre verrrà fissata una quota massima di ricchezza per gli ebrei oltre la quale un apposito Ente incamererà tutti i proventi. Non diversa fu l’impostazione del "Giornale di Bassano" che riprendendo lo stile del "Corriere della Sera" (cfr. http://nautilus.ashmm.com/9903it/cultura/cultura/memoria.htm) prepara la campagna antisemita con una serie di articoli sugli ebrei nel bassanese durante il Medioevo. Il "Giornale di Bassano" introduce la questione il 4 settembre del 1938 con un lungo saggio in cui si constata che gli ebrei nel Veneto si comportavano come tutti gli altri cittadini eccezion fatta per quel loro spirito religioso che li separava dagli altri "come una muraglia, un abisso profondo". Il 16 settembre l’astio è reso esplicito: gli ebrei sono per natura avidi e astuti e tutti intenti ad eludere le leggi. Del resto si afferma che sin dal 1500 il "Consiglio bassanese... non smise mai di promulgare leggi per renderne impossibile il soggiorno e di spedir ambasciate a Venezia perché il Doge ratificasse le sue deliberazioni di espulsione dal territorio". La serie dei servizi giornalistici viene conclusa il 18 dicembre del ‘38 che, rammentando il parere della Commissione per la difesa della razza, dichiara che "la nostra gente è romana ed ariana... meravigliosa razza di guerrieri e di Santi " che si è unita con la tempra ferrigna dei Germani. Per questo non si possono tollerare contaminazioni: "ebreo e ariano, ebreo e italiano sono dunque un’antitesi e, dalla loro vita in comune, non potrebbero nascere che disordini". La campagna antiebraica, come emerge dalle pagine vicentine del 1938, fu davvero martellante: a Parigi si diffondono le menzogne giudaiche, in Cecoslovacchia gli ebrei compromettono la nazione, i giudei tunisini aggrediscono gli italiani, aBucarest gli ebrei mettono in pericolo l’ordine pubblico; la finanza internazionale ebraica cerca di colpire l’Italia; l’Inghilterra manderà i profughi ebrei in Guiana o in Tanganica, ma le colonie britanniche non vogliono un’invasione ebraica; grande manifestazione antisemita a Monaco; severo controllo sull’immigrazione ebraica in Olanda; gli ebrei hanno fondato una lega per combattere fascismo e nazismo; le truppe inglesi assediano Gerusalemme e i rivoltosi ebrei; in Ungheria condannati speculatori ebrei; nobili ebrei si dedicano al contrabbando in Italia; gli Stati Uniti offrono l’Alaska ai profughi ebrei; epurazione razziale in corso a Trieste; la stampa straniera ingigantisce i numeri degli ebrei arrestati in Germania. Tanta era la preoccupazione della Vedetta fascista di Vicenza anche se il giornale calcolava che nel vicentino vi fossero 57 ebrei (12-09-1938). Le fonti archivistiche Il ‘pericolo’ dunque era evidentemente ridotto eppure l’accanimento fu terribile. Dai documenti emerge una vera e propria ‘burocrazia dell’orrore’ che arrivò a pubblicare con zelo i sequestri operati nei confronti dei beni ebraici: sulla "Gazzetta Ufficiale" del 5 aprile 1944 si riporta persino che a un ebreo vicentino fu confiscata "una cuffia di gomma per doccia". I provvedimenti persecutori investirono ogni settore della vita civile: dal 1938 i cittadini stranieri -per ordine della prefettura di Vicenza- non possono più pubblicare avvisi pubblicitari. Nel frattempo il mondo economico inviò numerose lettere al Podestà di Bassano del Grappa per chiedere informazioni sul come adeguarsi alle disposizioni ed ottenere ‘certificati di appartenenza alla razza ariana’ che potevano però essere rilasciati solamente dalla Prefettura. Questi certificati erano divenuti indispensabili per la vita di tutti i giorni: iscriversi a scuola, esercitare qualsiasi attività commerciale, comprare materie prime, etc. L’organizzazione della ‘difesa della razza’ era estremamente capillare e nel gennaio del 1939 il Podestà di Bassano informò che nel comune non c’erano istituzioni di beneficenza e di assistenza a favore degli israeliti. Nell’agosto del 1940 si garantì che non c’erano ebrei presso istituzioni culturali e scientifiche e tantomeno premi letterari e cultarali gestiti da ebrei. La minuziosa politica di ‘difesa della razza’ vide il Podestà svolgere indagini sulla discendenza ebraica di due iscritti alla locale sezione del Club Alpino Italiano. Le condizioni di vita erano così divenute davvero difficili per gli ebrei vicentini tanto che un cittadino d’origine ebraica decise -nel 1939- di trasferirsi da Bassano a Tivoli nelle vicinanze di Roma seguito in ciò dalla scrupolosa osservazione del Podestà e della Prefettura vicentina. L’eccesso di zelo contagiò tanti provocando dolorose tragedie: esemplare fu il caso di quella ragazza di Este che fu deportata in un campo di concentramento perchè una penna troppo diligente aveva annotato sulle su schede anagrafiche che era "di razza ebraica" decretandone così la morte. Perché lo studio della storia orienti all’impegno civile Gli eventi qui presentati non possono essere semplicemente studiati, ma debbono stimolare la determinazione a difendere le libertà di tutti, le nostre e quelle di chi è diverso da noi. Il razzismo è pericoloso soprattutto perché indebolisce la nostra capacità di ragionare e di tollerare gli altri. Con questo intento -raccogliendo anche il messaggio di don Lorenzo Milani che invitava i docenti ad aver passione degli autori che presentavano agli studenti- è bene soffermarsi su un appello che -nel 1897- Emile Zola inviò ai giovani: "Dove andate giovani, dove vi dirigete studenti che correte per le strade manifestando la vostra collera e il vostro entusiasmo.... Ah! quando ero ragazzo ho visto anch’io... il fremito delle fiere passioni della gioventù, l’amore per la libertà, l’odio della forza brutale che schiaccia i cervelli e comprime le anime. ... Oggi... gli uomini politici, guastati da anni di intrighi; i giornalisti sbalestrati da tutti i compromessi del mestiere, possono accettare le menzogne più impudenti...Ma i giovani...? Esistono ancora giovani antisemiti? Esistono ancora cervelli e animi che sono stati devastati da questo veleno imbecille? Che tristezza e che inquietudine per il secolo che si sta schiudendo!... Più di cento anni sono trascorsi dalla Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo, dall’atto supremo di tolleranza e di emancipazione e noi stiamo tornando al più odioso e stupido fanatismo! ... Gioventù, gioventù, ricordati delle sofferenze dei padri, delle terribili battaglie per conquistare la libertà... tu ignori la tirannia, tu ignori cosa sia risvegliarsi ogni mattina colpiti dalla frusta... Gioventù, gioventù! siate ogni giorno dalla parte della giustizia. Se l’idea di giustizia si oscurerà in voi, correrete immensi pericoli. Dove andate giovani, dove andate studenti che percorrete le vie manifestando e ostentando, dinanzi alle nostre discordie, il coraggio e la speranza dei vostri vent’anni? -‘Noi marciamo per l’umanità, per la verità, per la giustizia!’ . (*) Tratto dal libro, Le Scuole e gli Ebrei di Piero Morpurgo, di prossima pubblicazione |
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