ALUNNI PORTATORI DI HANDICAP, ALUNNI IPERDOTATI ED ALTRI ALUNNI, ANCH’ESSI DIVERSI:
UNA SCUOLA SU MISURA DI TUTTI
Umberto Tenuta
Finora la scuola è stata organizzata in modo uniforme per tutti gli alunni, considerati tutti uguali, nei livelli di sviluppo e nei livelli di apprendimento, nei ritmi e negli stili apprenditivi. Chi non era uguale aveva l’obbligo di diventarlo e chi non lo diventava veniva respinto, prima dalla classe e poi dalla scuola.
Solo per gli alunni portatori di handicap erano previste delle differenziazioni didattiche nella forma delle scuole speciali oppure, dopo gli anni ’70, attraverso le attività di sostegno, nell’ambito della scuola comune.
Attività differenziate vennero successivamente previste anche per gli alunni svantaggiati, nella forma delle attività compensative. Al riguardo, è da tenere presente che la Legge 517/1977 stabiliva che <<la programmazione educativa può comprendere attività scolastiche integrative organizzate per gruppi di alunni della stessa classe oppure di classi diverse anche allo scopo di realizzare interventi individualizzati in relazione alle esigenze dei singoli alunni. Nell’ambito di tali attività la scuola attua forme di integrazione a favore degli alunni portatori di handicap>>.
La Legge 517/1977 poteva costituire un primo passo in avanti nella prospettiva della realizzazione di una scuola su misura di tutti gli alunni, ove la disposizione di cui agli artt. 2 e 7 fosse stata correttamente intesa come attivazione di interventi individualizzati per tutti gli alunni, nell’ambito dei quali si attuava ANCHE l’integrazione degli alunni portatori di handicap.
Invece, l’individualizzazione dell’insegnamento continuava ad essere concepita come attività rivolta solo a determinate categorie di alunni con difficoltà nei processi di sviluppo e di apprendimento: non era prevista per gli altri alunni, nemmeno per quelli iperdotati.
Una siffatta concezione della scuola si ritrova ancora nel CCNL del 1995-1998, nel quale vengono previste specifiche attività individualizzate rivolte alunni a particolari categorie di alunni (<<recupero individualizzato o per gruppi ristretti di alunni con ritardo nei processi di apprendimento, anche con riferimento ad alunni stranieri, in particolare provenienti da paesi extracomunitari>> (Art. 41).
In effetti, la concezione comunemente condivisa della scuola era quella dell’organizzazione uniforme, della quale si potevano semmai prevedere eccezioni, ma solo per determinate categorie di alunni, quali gli alunni portatori di handicap e gli alunni svantaggiati, in particolare extracomunitari.
Eppure, di tutt’altro avviso era il Documento Falcucci del 1975 (<<Una vita scolastica perfettamente articolata, nella quale le attività integrative e di recupero non abbiano un posto separato dalla normale azione didattica>>).
Dovrebbe apparire scontato, estremamente evidente, indiscutibile che l’integrazione degli alunni portatori di handicap nella scuola comune non può rappresentare un’ennesima forma di discriminazione di tali alunni, forse ancora più grave di quella che si aveva nelle scuole speciali, nelle quali si consumava una sola volta, nel momento dell’assegnazione degli alunni a tali scuole, mentre nelle scuole comuni si consuma ogni giorno, nel momento in cui gli alunni portatori di handicap vengono essi soli, seguiti dall’insegnante di sostegno o vengono, essi soli, allontanati dall’aula, per svolgere specifiche attività individualizzate.
Le testimonianze più dolorose dell’integrazione sono quelle degli alunni portatori di handicap che hanno avuto il coraggio di ribellarsi a tali forme di discriminazione: alunni che si sono ribellati all’uscita, seppure temporanea, dall’aula scolastica.
Ma tant’è: i diritti degli alunni portatori di handicap all’integrazione non hanno ancora trovato pieno diritto di cittadinanza nella scuola comune, come peraltro testimonia, sia l’utilizzazione dei docenti di sostegno soprattutto per loro e non invece pere tutti gli alunni della classe, sia la scarsa utilizzazione dei docenti curricolari per gli alunni portatori di handicap. Come testimonia anche l’elevato rapporto tra insegnanti di sostegno ed alunni portatori di handicap, che molto spesso vengono di fatto affidati alla sola responsabilità dei docenti di sostegno. Particolarmente significativa al riguardo potrebbe risultare un’indagine sulla percezione della firma dei docenti di sostegno sui documenti di valutazione degli alunni non portatori di handicap.
Tuttavia, non è solo l’inadeguata integrazione degli alunni portatori di handicap che preoccupa.
Il problema si pone in termini di estrema gravità perché scarsa o addirittura inesistente è la personalizzazione dell’organizzazione e dell’azione educativa e didattica per tutti gli alunni, per gli alunni che non sono né portatori di handicap, né portatori di svantaggio socioculturale, né iperdotati.
Preoccupa che la scuola non sia su misura di tutti gli alunni, dei singoli alunni, quali che siano le loro caratteristiche personali.. Al riguardo, è appena il caso di evidenziare che l’organizzazione educativa e didattica della scuola non può essere considerata a misura di tutti gli alunni , come pure pretendeva la scuola di ieri, nemmeno se si attua l’omologazione degli alunni.
In fondo, la pretesa della scuola di ieri era appunto quella di considerare uguali tutti o quasi tutti gli alunni o di renderli tali attraverso le bocciature od anche attraverso specifiche iniziative di recupero o compensative.
Ora, non v'è chi non veda che questa prospettiva è inaccettabile, anche laddove fosse realizzabile l’omologazione, perché il compito della scuola, come sancisce anche il RAS, non è quello di omologare ma è quello di riconoscere e di valorizzare le diversità (<<le istituzioni scolastiche… riconoscono e valorizzano le diversità>>).
Il compito della scuola non è quello di rendere uguali tutti gli alunni. Non è questo il significato dell’uguaglianza educativa, dell’uguaglianza delle opportunità educative, come pure in un certo senso, subdolo ed equivoco, poteva lasciare intendere la <<equivalenza dei risultati>> dei Programmi didattici del 1985.
Le pari opportunità non possono non significare che ogni alunno deve avere l’opportunità di sviluppare al massimo tutte le sue potenzialità formative e di esprimere al massimo la sua identità personale, sociale, culturale, professionale, anche nella prospettiva dell’orientamento professionale prima che scolastico. Occorre offrire ad ogni alunno le opportunità educative che gli consentano di esprimere al massimo la sua identità (<<diversità>>). Il RAS fa esplicito riferimento alle <<potenzialità>>: la scuola dell’autonomia deve consentire ad ogni alunno di esprimere le proprie potenzialità, intese come possibilità formative, non predeterminate ma aperte ad ogni possibile sviluppo.
Al riguardo, si rende quanto mai opportuna la precisazione che le <<potenzialità>> non vanno intese come dotazioni precostituite, dotazioni geneticamente preformate, predeterminate.
Come afferma il DOLL, <<Per capacità potenziali dei singoli noi intendiamo quelle potenzialità di grandezza imprevedibile, che possono scaturire dall’interno della personalità: potenzialità che possono venire sviluppate o ridotte col processo educativo… le capacità potenziali non sono considerate come delle qualità congenite nell’individuo, che divengono attuali attraverso un processo di maturazione su cui non influisce in alcun modo l’ambiente. Anzi, queste capacità si sviluppano e si "manifestano nello scambio dinamico di influssi fra l’individuo e il suo ambiente". Vengono definite capacità "potenziali" perché sono un modo di essere dell’individuo, sono una capacità individuale di reagire positivamente e in modo praticamente imprevedibile: "senza alcun preconcetto quanto ai …limiti" delle capacità potenziali….L’essenza della concezione ebraica e greca dell’uomo era invece di porre l’accento sulla personalità umana dotata di capacità potenziali illimitate, di considerare positivo il fatto che gli sviluppi della personalità umana sono imprevedibili>> (1).
Peraltro oggi le neuroscienze confermano che la mente non è preformata ma si organizza nei suoi collegamenti neuronici soprattutto attraverso le stimolazioni socioculturali. La personalità non è l’espressione del solo patrimonio genetico: la personalità si costruisce attraverso le interazioni delle possibilità genetiche con gli stimoli socioculturali.
In tal senso, le "potenzialità" vanno correttamente intese come "possibilità", disponibilità, potenzialità aperte, che l’azione educativa può incrementare, esaltare, promuovere o reprimere.
Il compito dell’educazione non è quello di prendere atto delle "potenzialità", e non è quello di lasciarle inattuate, ma è quello di sostenerle, di promuoverle, di esaltarle, perché ogni individuo si sviluppi al massimo nelle singole dimensioni costitutive della sua personalità.
Occorre operare in modo che ogni individuo vada incontro al successo formativo, che consiste nel <<pieno sviluppo della persona umana>>, inteso come piena formazione della persona umana nel rispetto delle identità personali, sociali, culturali e professionali.
Ora, è evidente che la piena, integrale ed originale formazione della personalità si può realizzare a due condizioni.
La prima di tali condizioni è che i percorsi formativi siano personalizzati attraverso il rispetto dei livelli di sviluppo e di apprendimento, oltre che dei ritmi e degli stili apprenditivi dei singoli alunni. Come sostiene la teoria del Mastery learning (2), tutti gli alunni possono apprendere a livello di maestria se vengono rispettati i loro livelli, i loro ritmi ed i loro stili di apprendimento.
Ma non basta assicurare la "maestria", la padronanza, il massimo livello di sviluppo e di apprendimento. Occorre anche rispettare le identità personali, sociali, culturali e professionali: occorre consentire a ciascun alunno di esprimersi nella sua inconfondibile personalità: Ogni individuo esprime la comune ed universale umanità in una sua forma originale, singolare, irripetibile che costituisce la sua personalità ed il suo valore. Il valore della persona umana discende anche dalla sua originalità, singolarità, unicità.
Forse mai come nel nostro tempo si era imposta la problematica della diversità. Le minacce che vengono dall’omologazione "globalistica" pongono in primo piano il problema del riconoscimento e della valorizzazione della diversità anche nella scuola, come testimonia il RAS (<<Le istituzioni scolastiche.. riconosconoe valorizzano le diversità>>).
Nel passato si era affrontato il problema dell’individualizzazione dell’insegnamento in riferimento all’adeguamento dei percorsi didattici ai ritmi ed agli stili di apprendimento dei singoli alunni più che all’adeguamento degli obiettivi formativi alle esigenze formative espresse dai singoli alunni.
In fondo, l’individualizzazione dell’insegnamento veniva utilizzata soprattutto per consentire a tutti gli alunni di apprendere, di conseguire la padronanza, di avere successo nei processi apprenditivi, per raggiungere gli stessi livelli degli altri alunni e quindi per diventare uguali.
Il problema della diversificazione delle mete formative restava marginale.
Ora, invece, i due problemi si pongono sullo stesso piano di importanza.
Da una parte, occorre individualizzare i percorsi didattici perché tutti gli alunni possano avere successo nei processi apprenditivi: è questo l’impegno ineludibile della scuola dell’autonomia, chiamata ad assicurare il successo formativo a tutti gli alunni. Dall’altra, però, occorre riconoscere e valorizzare le identità: la scuola dell’autonomia è la scuola delle identità, le quali non sono solo identità sociali, culturali, professionali, ma sono innanzitutto e soprattutto identità personali.
Occorre più che mai prendere atto dell’inconfondibile singolarità, originalità, unicità della persona umana di ogni alunno ed impegnarsi, non solo a riconoscerla, ma anche a promuoverla.
Alla scuola che si impegna ad omologare gli alunni occorre sostituire la scuola che esplicitamente, intenzionalmente e sistematicamente si impegna a riconoscere, a valorizzare, a promuovere la diversità dei singoli alunni in termini di identità personale, sociale, culturale e professionale.
La flessibilità è lo strumento per realizzare la personalizzazione sia dei percorsi formativi che degli obiettivi formativi. La flessibilità consente di adeguare i tempi, i raggruppamenti degli alunni, le aggregazioni delle discipline, l’utilizzazione delle metodologie e delle tecnologie educative e didattiche alle specifiche caratteristiche dei singoli alunni.
Ma la flessibilità consente anche di adeguare la Quota riservata degli obiettivi formativi alle esigenze formative dei singoli alunni, prima che alle esigenze formative espresse dal contesto socioculturale (<<La determinazione del curricolo tiene conto delle diverse esigenze formative degli alunni concretamente rilevate, della necessità di garantire efficaci azioni di continuità e di orientamento, delle esigenze e delle attese espresse dalle famiglie, dagli enti locali, dai contesti sociali, culturali ed economici del territorio. Agli studenti e alle famiglie possono essere offerte possibilità di opzione>>(RAS, art. 8.4).
Il modello di scuola delineato dal RAS è quello di una scuola personalizzata per tutti gli alunni negli obiettivi formativi e nei percorsi formativi: di una scuola su misura di tutti gli alunni, degli alunni portatori di handicap e degli alunni svantaggiati, degli alunni iperdotati e degli alunni "normali".
Non si tratta di integrare gli alunni portatori di handicap, ma tutti gli alunni, perché tutti gli alunni hanno diritto ad una scuola che sia rispettosa, non solo dei loro livelli e dei loro ritmi di apprendimento, ma anche della loro identità.
È appena il caso di evidenziare che gli alunni portatori di handicap possono essere integrati solo in una scuola che sia a misura di tutti gli alunni. Nella scuola dell’uniformità ogni differenziazione si pone come una discriminazione: gli alunni portatori di handicap non vengono integrati ma ancora una volta discriminati.
Ma nella scuola dell’uniformità discriminati sono anche gli alunni iperdotati, che possono pure costituiscono una percentuale (5%) non trascurabile della popolazione scolastica, anche se quasi sempre non riconosciuta, ignorata e sacrificata.
Se il problema degli alunni portatori di handicap si è imposto con forza perché le loro deficienze apprenditive e formative apparivano estremamente evidenti, il problema degli alunni iperdotati non si è imposto perché lo scarto tra le loro possibilità apprenditive ed i loro livelli di effettivo apprendimento non si impongono con la stessa evidenza.
Ma dovrebbe essere riconosciuto che lo scarto di tre punti in meno rispetto alla sufficienza non è più grave dei tre punti in meno rispetto alle possibilità apprenditive. L’alunno che anziché 10 ottiene 7 non va incontro a insuccesso inferiore rispetto all’alunno che anziché 6 ottiene 3.
Tuttavia, è appena il caso di evidenziare che alunni portatori di handicap ed alunni iperdotati costituiscono le punte estreme della diversità, le quali peraltro non sono costituite solo dai livelli di apprendimento ma nche dagli orientamenti formativi che sono propri dei singoli alunni.
Se assume rilevante significato il problema del successo formativo degli alunni portatori di handicap, non minore significato assume la dispersione di risorse umane che si consuma nel momento in cui le "potenzialità" degli alunni iperdotati non vengono riconosciute, promosse e valorizzate. Si tratta sempre di risorse umane che vengono sacrificate, perdute, non valorizzate.
Tuttavia, assieme al problema degli alunni portatori di handicap e degli alunni iperdotati si pone anche il problema degli altri alunni, che pure potrebbero realizzare dei guadagni da una organizzazione educativa e didattica personalizzata. Tutti gli alunni potrebbero apprendere meglio e di più in una organizzazione educativa e didattica che fosse a misura dei loro livelli di sviluppo e di apprendimento e de loro ritmi e stili apprenditivi.
Se gli insuccessi degli alunni portatori di handicap e degli alunni svantaggiati sono più evidenti degli stessi insuccessi degli alunni iperdotati, tuttavia esistono anche gli insuccessi, non eclatanti ma non perciò meno significativi, degli alunni che non sono né portatori di handicap e di svantaggio socioculturale ne iperdotati.
Tutti gli alunni hanno qualcosa da perdere in una scuola che non sia rispettosa dei loro livelli e dei loro ritmi di apprendimento.
E, ancora, tutti gli alunni hanno molto da perdere in una scuola che non sia rispettosa delle loro diversità e che non si impegni a promuovere le loro identità.
Il problema dell’orientamento è un problema che si pone non tanto in termini di riconoscimento quanto in termini di promozione delle identità: orientare significa promuovere le predilezioni, le propensioni, le identità dei singoli alunni. Orientare significa consentire ad ogni alunno di esprimere al massimo ciascuna delle sue possibilità formative.
La scuola dell’uniformità non può essere una scuola orientante. La scuola dell’uniformità è una scuola nella quale si disperdono le risorse umane degli alunni portatori di handicap, degli alunni svantaggiati, degli alunni iperdotati e di tutti gli altri alunni: tutti sono sacrificati sull’altare della mediocrità ("alunno medio"), sull’altare di una astrazione.
Nella realtà vi sono alunni diversi, che non bisogna rendere uguali, ma sempre più diversi nella espressione al più alto livello delle loro possibilità formative, che nessuno sa quali esse siano, che nessuno può prevedere, che nessuno può predeterminare, mai.
Ma la scuola può assicurare il successo formativo a tutti gli alunni solo se si configura come una scuola personalizzata negli obiettivi formativi e nei percorsi formativi.
Questo problema, già affrontato dallo scrivente in una pubblicazione dal titolo Individualizzazione (3), viene oggi riesaminato nella prospettiva della scuola dell’autonomia, in due pubblicazioni: il Piano dell’offerta formativa (4) e La flessibilità nella scuola dell’autonomia (5).
Mentre nel volume sul POF si prospetta un’attività programmatoria all’insegna della personalizzazione educativa, nel volume sulla Flessibilità si analizzano tutti gli aspetti della flessibilità nella scuola dell’autonomia.
Ma la prospettiva comune è quella che il RAS sancisce nel momento in cui assegna alla scuola dell’autonomia l’ineludibile impegno di garantire a tutti gli alunni il successo formativo, inteso come piena formazione della personalità nel rispetto delle identità personali, sociali, culturali e professionali.
Un compito ineludibile, anche se estremamente impegnativo., che richiede, non solo risorse materiali, ma anche e soprattutto risorse professionali, da assicurare attraverso una organizzazione più efficace dell’attività di aggiornamento degli operatori scolastici.
Se è vero che una democrazia si qualifica nella misura in cui sa dare concreta attuazione ai diritti delle persone umane, oggi la scuola italiana non può venir meno all’impegno di garantire ad ogni alunno il <<pieno sviluppo della persona umana>> che la Costituzione repubblicana sancisce e che il RAS consente di realizzare attraverso l’istituto della flessibilità.
Note
DOLL R. C., L’istruzione individualizzata, La Nuova Italia, Firenze, 1969, pp. XI, 19, 21.1
2 In merito cfr. BLOCK J.H.(a cura di), Mastery learning - Procedimenti scientifici di educazione individualizzata, Loescher, Torino, 1972).
3 UMBERTO TENUTA, Individualizzazione – Autonomia e flessibilità dell’azione educativa e didattica, La Scuola, Brescia, 1998.
4 UMBERTO TENUTA, Il Piano dell’offerta formativa ¾ Moduli e unità didattiche – La programmazione nella scuola dell’autonomia, ANICIA, ROMA, 2001, con CD-ROM;
5 UMBERTO TENUTA, La flessibilità nella scuola dell’autonomia, ANICIA, ROMA, (in corso di pubblicazione)