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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
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di Davide Leccese

  • Sembra che la questione disciplinare nelle scuole stia diventando contemporaneamente o un luogo comune, da dare per scontato e ineluttabile o una condizione di ansia parossistica dei docenti e dei dirigenti, incapaci e impossibilitati a trovare la soluzione a gesti di scorrettezza relazionale, a comportamenti teppistici o ad abitudini consolidate di lassismo e maleducazione.
  • Famiglie e scuola, sovente, invece di collaborare, giocano a rinfacciarsi le responsabilità, trovando la soluzione di comodo nelle colpe della società, questo "diffuso reo" che si deve assumere tutti i carichi per i cattivi esempi, per la scadimento dei "costumi", per la perdita dei "valori" che dovrebbero costituire lo sfondo sostanziale di ogni azione istruttiva, formatrice e educativa sia della scuola che della famiglia.
  • Provate a dettare regole e subito avvertirete nei giovani un immediato senso se non di rifiuto o di rivolta, quantomeno di fastidio. I giovani di oggi diventano  prestissimo liberi ma restano sostanzialmente meno capaci di gestire gli anticipati spazi di autonomia, gli aumentati livelli di decisione personale. L'intervento degli adulti di riferimento cozza con un contesto decisamente contrapposto delle logiche "giovanili" che stabiliscono la deregulation come condizione non pattuita della relazione con genitori e docenti.
  • Ecco perché alcuni genitori - forse più fortunati o più attenti o più motivati - parlando dei propri figli, orgogliosamente li definiscono in positivo come "diversi dagli altri giovani" perché si dà per condiviso un giudizio negativo sulla gioventù di questi tempi.
  • In Italia la lamentela dei Dirigenti scolastici e dei Docenti è unanime; ma pensate a quanto sta avvenendo - ad esempio - nelle scuole inglesi, dove si è tornati alle "punizioni corporali" e in alcune scuole americane, assurte agli onori della cronaca nera, con omicidi di cui sono rei adolescenti in preda a raptus di violenza contro compagni e professori.
  • In alcune scuole italiane i Docenti hanno pubblicamente dichiarato di essere stati derisi o minacciati dagli alunni, anche della scuola dell'obbligo, hanno subito danni alle proprie cose per ritorsione, hanno patito umiliazioni pubbliche, senza poter opporre alcune difesa al proprio prestigio e alla propria autorità.
  • In ogni caso l'atteggiamento pessimistico e denigratorio non risolve la delicata questione, anche perché è profondamente vero ed accertato che i più sono i migliori e solo i meno sono i peggiori, anche se la consuetudine della notizia fa emergere più il negativo rispetto al positivo.
  • Vale la pena, però, denunciare il pericoloso "perdonismo" verso le piccole trasgressioni, le minute violazioni della norma, i cedimenti di stile; "ma sì - si dice - sono ragazzi.....". Questi ragazzi che sporcano, rompono, non rispettano gli orari, rubacchiano, fanno gli sguaiati, non hanno il senso del limite né per se stessi né per gli altri. Per carità, niente di "gravemente delittuoso" ma sicuramente i giovani si abituano così a gesti scivolosi ma subito perdonati che, col tempo, spingeranno all'abitudine sempre peggiorativa di tutto è permesso, tutto è compreso, tutto è ritenuto  consentito, proprio perché "trasgressivo".
  • Nella scuola la parola "disciplina" è considerata - da alcuni studenti - l'etichetta riepilogativa della repressione, del rigore soffocante delle regole imposte, dell'autoritarismo di chi ha il coltello dalla parte del manico.
  • Alcuni giovani di oggi, toccati sul vivo dei loro "diritti", usano una espressione "piena": "Non è giusto". Invocano la Giustizia ma non si sentono per niente chiamati in causa dall'obbligo della LEGALITA'. E se i compagni non stanno ai gioco del non-studio, delle non-assenze a trucco, dell'indisciplina, della bugia o della solidarietà negativa, vengono subito additati come sottomessi al potere, come crumiri, come secchioni da emarginare, se non proprio da ricattare e...minacciare.
  • Tornare alla disciplina non significa affatto invocare un ritorno all'antico, allo stile di fare scuola che ha caratterizzato la nostra giovinezza e che stava stretto anche a noi, che pure vivevamo in una società regolata dall'obbedienza e da adulti che non andavano mai contraddetti, da regole "valide di per sé" ed indiscutibili. 
  • La società ha modificato sostanzialmente i sistemi della relazione tra le generazioni, così come ha modificato il concetto di autorità e la scuola - che si dice essere "palestra di vita" - non può chiudersi nel guscio di un modo di essere delle regole avulso dai tempi, anche perché dell'autorità di un tempo (e dell'autoritarismo) dobbiamo lamentare lo stile soffocante, per niente rispettoso - a volte - della dignità della persona; tant'è che certe punizioni di allora, anche nelle scuole, costituiscono esempio da additare come antipedagogiche e come repressive.
  • Ma fare della disciplina la pattuizione tra adulto che insegna ed educa e giovane che impara ed è educato è l'unica condizione per non ridurre il rapporto alla pura trasmissione delle conoscenze, senza la relazione umana che costituisce la vera e ricca condizione della pedagogia.
  • Auspichiamo regole, valide - come principi ispiratori dello stile di vita - nella distinzione del ruoli, sia per il docente che per lo studente; per il docente che non deve predicare bene e razzolare male; per lo studente che rispetta il docente, i compagni, l'ambiente, le cose della scuola e - stando a quelle regole - rispetta sostanzialmente se stesso.
  • A nulla vale se lo studente impara la lezione e non impara a vivere; se sa ripetere gli argomenti delle materie e non sa trarre da quelli i principi regolatori per la sua personalità in fieri.
  • Parlando dei docenti e della disciplina tocchiamo un nervo scoperto della professionalità. I docenti, in genere, non hanno avuto alcuna formazione sulla psicologia giovanile; hanno dovuto imparare sul campo come regolare i comportamenti educativi. Non parliamo, poi, delle carenze sulle tecniche della comunicazione. Come si può pretendere d'inventare un "mestiere" così difficile e delicato, puntando solo sulle competenze disciplinari e affatto su quelle - non periferiche - psicologiche e comunicative?
  • L'ultimo degli imbonitori di piazza oggi viene preparato a saper comunicare con suoi clienti; nella scuola si viene scaraventati sulla cattedra e l'unica conoscenza che si ha dei giovani è quella dei luoghi comuni se non proprio quella della nostra "memoria giovanile"!
  • La scuola è prevalentemente relazione e la relazione richiede studio scientifico della personalità dell'interlocutore e capacità di stabilire un canale di trasmissione che non sia né provvisorio né approssimativo.
  • Non è azzardato sostenere che molte delle crisi d'identità dei docenti, nel quotidiano esercizio della professione, trovano principio nel non sentirsi compresi e nel provare difficoltà a "comprendere" questi ragazzi di oggi.
  • Comprendersi significa essere reciprocamente credibili: il docente che propone un messaggio e i giovani che si propongono come interlocutori attenti.
  • Dettare regole di comportamento non significa leggere un "codice" astratto ed impersonale, ma chiamarsi in causa - ciascuno nel suo ruolo - e rispondere reciprocamente del risultato formativo della scuola.
  • Si accennava prima alle regole della disciplina; occorre, allora, fare riferimento anche alle sanzioni. Punire rimane pur sempre l'istanza ultima, nelle decisioni da assumere, ma certo non l'istanza solo minacciata e mai applicata, quando la circostanza lo richieda; altrimenti il giovane si convince - ancora una volta - che l'educatore è solo cane che abbaia e non morde.
  • La prima vera sanzione dovrebbe essere l'avvertire come grave la riprovazione morale del proprio comportamento; sentire, cioè, che la comunità non approva quel che si è fatto e lo stigmatizza come difforme dall'agire condiviso e dichiarato come giusto, dignitoso e conveniente.
  • Un'altra vera punizione dovrebbe essere ufficializzata nella valutazione scolastica: se valutare - e mettere un voto - non significa solo pesare il compito scritto o l'interrogazione, ma anche - o soprattutto - esprimere un giudizio sul comportamento complessivo dell'alunno (interesse - partecipazione - costanza - solidarietà - attenzione - spirito creativo e critico -  rispetto delle regole della relazione formativa), ad un comportamento scolastico negativo o riprovevole dovrebbe corrispondere un giudizio negativo e sanzionatorio, con effetti "reali" sul giudizio di ammissione o non ammissione alla classe successiva (per i casi davvero gravi). Come può, infatti, una scuola promuovere uno studente che, pur sapendo a memoria una materia, pur non commettendo errori nei compiti, sbaglia nei suoi comportamenti, deraglia nel suo stile di vita, infrange le regole fondamentali della comunità e dimostra di non aver imparato, quindi,  il fondamentale insegnamento della scuola, che è legato alla sua crescita complessiva di personalità, in una società libera, democratica e rispettosa delle leggi?
  • La disciplina chiama, inoltre, in causa la "mobilità corporea". Sotto questo aspetto la scuola - come struttura spaziale - ha molto da farsi perdonare, tante sono le carenze dei suoi spazi, delle sue strutture e dei suoi "tempi di lavoro".
  • Troppe scuole sono inadatte alla permanenza di giovani per tante ore: aule strette, scomode, fatiscenti, superaffollate, scarsamente dotate dal punto di vista della vivibilità. Questo comporta che gli alunni (e i docenti) soffrano una forte riduzione dei tempi di "sopportabilità" fisica a stare in classe fermi. Molti comportamenti, cosiddetti di indisciplina, hanno un'origine nel disagio spazio-temporale delle ore di lezione.
  • E' necessario, quindi, eliminare le cause scatenanti o gli alibi del comportamento indisciplinato, che nasce da quelle condizioni. La stessa successione delle materie d'insegnamento - nell'orario di lezione - sovente è causa di nervosismo, di protesta: i docenti sanno - e non lo possono negare - che l'orario delle lezioni, prima di essere stilato nell'interesse della didattica, è organizzato, a volte, sulle esigenze della scuola o degli stessi docenti. Capita, così, che ci siano dei giorni troppo carichi d'impegno scolastico, che generano nervosismi, fughe, distrazioni, ansia, scontri. L'esatto contrario di una comunità autoregolata, impegnativa nei compiti, ma strutturata in modo da poter chiedere ai giovani il sacrificio dello studio, che è fatica, che è rinuncia, ma che è anche piacere e gratificazione.

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