di Davide
Leccese
- Sembra
che la questione disciplinare nelle scuole stia diventando contemporaneamente
o un luogo comune, da dare per scontato e ineluttabile o una condizione
di ansia parossistica dei docenti e dei dirigenti, incapaci e impossibilitati
a trovare la soluzione a gesti di scorrettezza relazionale, a comportamenti
teppistici o ad abitudini consolidate di lassismo e maleducazione.
- Famiglie
e scuola, sovente, invece di collaborare, giocano a rinfacciarsi
le responsabilità, trovando la soluzione di comodo nelle colpe
della società, questo "diffuso reo" che si deve assumere tutti i
carichi per i cattivi esempi, per la scadimento
dei "costumi", per la perdita dei "valori"
che dovrebbero costituire lo sfondo sostanziale di ogni azione
istruttiva, formatrice e educativa sia della scuola che della famiglia.
- Provate
a dettare regole e subito avvertirete nei giovani un immediato
senso se non di rifiuto o di rivolta, quantomeno di fastidio. I
giovani di oggi diventano prestissimo liberi ma restano
sostanzialmente meno capaci di gestire gli anticipati spazi di
autonomia, gli aumentati livelli di decisione personale. L'intervento
degli adulti di riferimento cozza con un contesto decisamente contrapposto
delle logiche "giovanili" che stabiliscono la deregulation
come condizione non pattuita della relazione con genitori
e docenti.
- Ecco
perché alcuni genitori - forse più fortunati o più attenti o più
motivati - parlando dei propri figli, orgogliosamente li definiscono
in positivo come "diversi dagli altri giovani" perché
si dà per condiviso un giudizio negativo sulla gioventù di
questi tempi.
- In
Italia la lamentela dei Dirigenti scolastici e dei Docenti è unanime; ma
pensate a quanto sta avvenendo - ad esempio - nelle scuole inglesi, dove si è
tornati alle "punizioni corporali" e in alcune scuole americane,
assurte agli onori della cronaca nera, con omicidi di cui sono rei adolescenti
in preda a raptus di violenza contro compagni e professori.
- In
alcune scuole italiane i Docenti hanno pubblicamente dichiarato di essere
stati derisi o minacciati dagli alunni, anche della scuola dell'obbligo, hanno subito danni alle proprie cose
per ritorsione, hanno patito umiliazioni pubbliche, senza poter opporre alcune
difesa al proprio prestigio e alla propria autorità.
- In
ogni caso l'atteggiamento
pessimistico e denigratorio non risolve la delicata questione,
anche perché è profondamente vero ed accertato che i più sono
i migliori e solo i meno sono i peggiori, anche
se la consuetudine della notizia fa emergere più il negativo rispetto
al positivo.
- Vale
la pena, però, denunciare il pericoloso "perdonismo" verso
le piccole trasgressioni, le minute violazioni della norma, i cedimenti
di stile; "ma sì - si dice - sono ragazzi.....". Questi
ragazzi che sporcano, rompono, non rispettano gli orari, rubacchiano,
fanno gli sguaiati, non hanno il senso del limite né per se stessi
né per gli altri. Per carità, niente di "gravemente delittuoso"
ma sicuramente i giovani si abituano così a gesti scivolosi
ma subito perdonati che, col tempo, spingeranno all'abitudine
sempre peggiorativa di tutto è permesso, tutto è compreso,
tutto è ritenuto consentito, proprio perché "trasgressivo".
- Nella
scuola la parola "disciplina" è considerata - da alcuni
studenti - l'etichetta riepilogativa della repressione, del rigore
soffocante delle regole imposte, dell'autoritarismo di chi ha il coltello
dalla parte del manico.
- Alcuni giovani
di oggi, toccati sul vivo dei loro "diritti", usano una
espressione "piena": "Non
è giusto". Invocano la Giustizia ma non si sentono
per niente chiamati in causa dall'obbligo della LEGALITA'. E se
i compagni non stanno ai gioco del non-studio, delle non-assenze
a trucco, dell'indisciplina, della bugia o della solidarietà negativa,
vengono subito additati come sottomessi al potere, come crumiri,
come secchioni da emarginare, se non proprio da ricattare e...minacciare.
- Tornare
alla disciplina non significa
affatto invocare un ritorno all'antico, allo stile di fare scuola
che ha caratterizzato la nostra giovinezza e che stava stretto
anche a noi, che pure vivevamo in una società regolata dall'obbedienza
e da adulti che non andavano mai contraddetti, da regole "valide
di per sé" ed indiscutibili.
- La società ha modificato sostanzialmente
i sistemi della relazione tra le generazioni, così come ha modificato il
concetto di autorità e la scuola - che si dice essere "palestra
di vita" - non può chiudersi nel guscio di un modo di essere
delle regole avulso dai tempi, anche perché dell'autorità di un
tempo (e dell'autoritarismo) dobbiamo lamentare lo stile soffocante,
per niente rispettoso - a volte - della dignità della persona;
tant'è che certe punizioni di allora, anche nelle scuole, costituiscono
esempio da additare come antipedagogiche e come repressive.
- Ma
fare della disciplina la pattuizione tra adulto che insegna ed
educa e giovane che impara ed è educato è l'unica condizione per
non ridurre il rapporto alla pura trasmissione delle conoscenze,
senza la relazione umana che costituisce la vera e ricca condizione
della pedagogia.
- Auspichiamo
regole, valide - come principi ispiratori dello stile di vita - nella distinzione
del ruoli, sia per il docente che per lo studente; per il docente
che non deve predicare bene e
razzolare male; per lo studente che rispetta il docente,
i compagni, l'ambiente, le cose della scuola e - stando a quelle
regole - rispetta sostanzialmente se stesso.
- A
nulla vale se lo studente impara la lezione e non impara a vivere;
se sa ripetere gli argomenti delle materie e non sa trarre da quelli i principi regolatori per la sua personalità in fieri.
- Parlando
dei docenti e della disciplina
tocchiamo un nervo scoperto della professionalità. I docenti, in
genere, non hanno avuto alcuna formazione sulla psicologia giovanile;
hanno dovuto imparare sul campo come regolare i comportamenti educativi.
Non parliamo, poi, delle carenze sulle tecniche della comunicazione.
Come si può pretendere d'inventare un "mestiere" così
difficile e delicato, puntando solo sulle competenze disciplinari
e affatto su quelle - non periferiche - psicologiche e comunicative?
- L'ultimo
degli imbonitori di piazza oggi viene preparato a saper comunicare con suoi clienti; nella scuola si viene scaraventati sulla cattedra
e l'unica conoscenza che si ha dei giovani è quella dei luoghi comuni
se non proprio quella della nostra "memoria giovanile"!
- La
scuola è prevalentemente relazione e la relazione richiede studio
scientifico della personalità dell'interlocutore e capacità di stabilire
un canale di trasmissione che non sia né provvisorio né approssimativo.
- Non
è azzardato sostenere che molte delle crisi d'identità dei docenti,
nel quotidiano esercizio della professione, trovano principio nel non sentirsi compresi
e nel provare difficoltà a "comprendere" questi ragazzi
di oggi.
- Comprendersi
significa essere reciprocamente credibili: il docente che propone
un messaggio e i giovani che si propongono come interlocutori attenti.
- Dettare
regole di comportamento non significa leggere un "codice"
astratto ed impersonale, ma chiamarsi in causa - ciascuno nel suo ruolo - e
rispondere reciprocamente del risultato formativo della scuola.
- Si
accennava prima alle regole della disciplina; occorre, allora, fare
riferimento anche alle sanzioni. Punire rimane pur sempre l'istanza ultima,
nelle decisioni da assumere, ma certo non l'istanza solo minacciata e mai
applicata, quando la circostanza lo richieda; altrimenti il giovane si
convince - ancora una volta - che l'educatore è solo cane che abbaia e non
morde.
- La
prima vera sanzione dovrebbe essere l'avvertire come grave la riprovazione
morale del proprio comportamento; sentire, cioè, che la comunità non
approva quel che si è fatto e lo stigmatizza come difforme dall'agire
condiviso e dichiarato come giusto, dignitoso e conveniente.
- Un'altra
vera punizione dovrebbe essere ufficializzata nella valutazione scolastica: se
valutare - e mettere un voto - non significa solo pesare il compito
scritto o l'interrogazione, ma anche - o soprattutto - esprimere un giudizio
sul comportamento complessivo dell'alunno (interesse - partecipazione -
costanza - solidarietà - attenzione - spirito creativo e critico - rispetto delle regole della relazione formativa), ad un comportamento
scolastico negativo o riprovevole dovrebbe corrispondere un giudizio negativo
e sanzionatorio, con effetti "reali" sul giudizio di ammissione o
non ammissione alla classe successiva (per i casi davvero gravi). Come può,
infatti, una scuola promuovere uno studente che, pur sapendo a memoria una
materia, pur non commettendo errori nei compiti, sbaglia nei suoi
comportamenti, deraglia nel suo stile di vita, infrange le regole fondamentali
della comunità e dimostra di non aver imparato, quindi, il fondamentale
insegnamento della scuola, che è legato alla sua crescita complessiva di
personalità, in una società libera, democratica e rispettosa delle leggi?
- La
disciplina chiama, inoltre, in causa la "mobilità corporea". Sotto
questo aspetto la scuola - come struttura spaziale - ha molto da farsi
perdonare, tante sono le carenze dei suoi spazi, delle sue strutture e dei
suoi "tempi di lavoro".
- Troppe
scuole sono inadatte alla permanenza di giovani per tante ore: aule strette,
scomode, fatiscenti, superaffollate, scarsamente dotate dal punto di vista
della vivibilità. Questo comporta che gli alunni (e i docenti) soffrano una
forte riduzione dei tempi di "sopportabilità" fisica a stare in
classe fermi. Molti comportamenti, cosiddetti di indisciplina, hanno
un'origine nel disagio spazio-temporale delle ore di lezione.
- E'
necessario, quindi, eliminare le cause scatenanti o gli alibi del
comportamento indisciplinato, che nasce da quelle condizioni. La stessa
successione delle materie d'insegnamento - nell'orario di lezione - sovente è
causa di nervosismo, di protesta: i docenti sanno - e non lo possono negare -
che l'orario delle lezioni, prima di essere stilato nell'interesse della
didattica, è organizzato, a volte, sulle esigenze della scuola o degli stessi
docenti. Capita, così, che ci siano dei giorni troppo carichi d'impegno
scolastico, che generano nervosismi, fughe, distrazioni, ansia, scontri.
L'esatto contrario di una comunità autoregolata, impegnativa nei compiti, ma
strutturata in modo da poter chiedere ai giovani il sacrificio dello studio, che è fatica, che è
rinuncia, ma che è anche piacere e gratificazione.
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