ESAMI DI STATO 2000: I PRO E I CONTRO

 di Davide Leccese

 

Non basterebbero queste note - se volessero avere la pretesa di essere esaurienti - a ritmare l’articolato e complesso dibattito, sviluppatosi soprattutto in Internet, sugli Esami di Stato 2000.

La curiosità, prima, la benevolenza e la voglia di cambiamento, poi, avevano accompagnato, lo scorso anno, la prima attuazione della riforma di questi esami con un clima di accettazione, se non proprio di entusiasmo; stanchi della farsa di un Esame di maturità, sperimentale da oltre un ventennio, tutti avevamo invocato il giro di boa, nonostante il dubbio atroce se fosse opportuno e produttivo cambiare gli esami prima di aver radicalmente modificato i curricoli e soprattutto il modo di far scuola (fare insegnamento e fare apprendimento nuovi e diversi).

Gli errori, gli intoppi e le difficoltà dello scorso anno sono venuti macroscopicamente a galla quest’anno e ce ne siamo accorti non per una presa di posizione preconcetta dei soliti restii al cambiamento (ce ne sono ancora troppi!), ma per il grido accorato di dolore di tanti docenti di buona e documentata volontà, oltre che di genitori ed alunni, affannati a chiedere spiegazioni, a implorare precisazioni, a rivendicare certezze. Non si può decidere di far svolgere un ruolo - delicato, com’è quello di esaminatore - ad un corpo docente che continua ad essere diseducato alla cultura normativa e s’approssima alle procedure complicatissime di questo Esame di Stato solo ascoltando o leggicchiando la normativa!

Ottimisti, come siamo, e schierati per il cambiamento, come abbiamo dimostrato di voler essere, a leggere le email pervenute su questo sito, in un primo momento abbiamo pensato ad un rigurgito di disfattismo, ad una difesa pigra delle cose che si sanno fare da sempre; invece, a mano a mano, proprio dalle comunicazioni attente, sagge e preoccupate dei "lavoratori sul campo", abbiamo appurato che qualcosa va subito modificato perché il rimedio non risulti peggiore del male.

E lo stesso Ministero della Pubblica Istruzione, chiamato a verificare il caldo e il freddo della situazione, nonostante i giustificati ottimismi (dipende dalle notizie che si fanno pervenire in alto!), ha sicuramente colto che sostenere il vecchio è delittuoso, ma suffragare un traballante nuovo induce al crimine; il nuovo si uccide da sé quando non si distanzia esplicitamente dal vecchio.

Innanzitutto i docenti lamentano ancora i parametri di pagamento delle indennità: troppe sperequazioni continuano a registrarsi, sul filo un qualche... burocratico minuto tabellare dei mezzi pubblici; lavori ed impegni pesanti vengono diversamente retribuiti a seconda delle distanza di percorrenza, come se cinquantanove minuti o cento e un minuto fossero baratri incolmabili di responsabilità e di peso professionale e culturale.

Resiste la divergenza tra il ruolo del commissario interno ed esterno e sempre più viene rivendicata la possibilità di una commissione tutta interna, con un "forte" (e competente) presidente esterno, con funzioni di controllore delle procedure e di garante - quale tertium - del delicato sistema valutativo.

Si acuisce il disappunto su alcuni criteri di nomina: la maglia nera spetta ai pensionati e ai docenti universitari: la scuola richiede competenze ed abilità professionali vissute e non teoricamente apprese in situazione un tempo o mai (come capita ai docenti universitari). Subito dopo vengono i presidenti di commissione: moltissime email hanno denunciato la mancanza di polso, l’atteggiamento o paternalistico o autoritario dei presidenti; altri hanno sottolineato la non preparazione al ruolo.

Alcuni - e sembra una opportuna sottolineatura - hanno chiesto che un assistente amministrativo della scuola, con competenze informatiche, svolga le funzioni di verbalizzante o quantomeno assicuri supporto burocratico e di gestione delle pratiche. Non è concepibile, infatti, che i docenti siano chiamati contemporaneamente a combattere una battaglia - sostiene simpaticamente un docente - e lavorino in fureria a predisporre armi e bagagli!

Ma dove maggiormente si sono esercitate le osservazioni (e qualche volta le ire) dei commissari, da una parte, e dei candidati, dall’altra, è proprio sul momento didattico: l’argomento richiede, proprio per dar voce a tutte le proteste, una articolata elencazione.

Troppe scuole, in nome di una malintesa autonomia progettuale, non assicurano lo svolgimento minimo di un programma che possa consentire al Ministero di formulare tracce erga omnes e, nello stesso tempo, ai commissari di muoversi su argomenti che si ritiene debbano essere fondanti le conoscenze comuni e condivise di un Piano nazionale di istruzione.

La sollecitazione del Ministero a iniziare il colloquio da un argomento a piacere del candidato (chiaramente in una logica di percorso e di progetto multidisciplinare) è stata intesa come una elencazione (oltre la quale era vietato addentrarsi) di argomenti (di norma quattro/cinque) che il candidato aveva studiato, dichiarando - a tentativi di espansione - di non aver approfondito altro......

L’invito a non condurre il colloquio con una successione di materie, ma di impegnarsi a creare un filo conduttore di argomentazioni, onde verificare conoscenze, competenze ed abilità, è caduto - a stare alle email - nel vuoto; esami a "dimmi questo......". All’opposto è capitato che docenti coraggiosi avviavano sistemi innovati di colloquio e si trovavano candidati smarriti, abituati allo stile "a domanda, rispondo".

Più rincuorante è parso l’esperimento della molteplicità di procedure della prima prova scritta, anche se la tentazione narrativa - stile "tema d’italiano, vecchia maniera" risulta ancora dura a morire e a cedere il passo ad una flessibilità di sistemi comunicativi scritti, come richiede la nostra società dell’uomo globale.

Alcune commissioni hanno denunciato la difficoltà di impostare la terza prova, soprattutto per la preoccupazione dei commissari interni di "toccare" argomenti, questioni e tecniche a cui i candidati non risultavano ancora abituati. In più la mania-paura dei quiz ha sicuramente condizionato alcune scelte ("Niente quiz da concorsone...quindi niente quiz da esami di Stato").

Ma il campo che ha fatto registrare il primato di domande, di distinguo, di rigetto è quello dei crediti. Siamo certi che il Ministero metterà al lavoro una Commissione di "esperti", di "saggi", di gente che vive realmente nella scuola che valuta e rivedrà tutta la materia, sia per i candidati interni che per i privatisti. E’ vero, infatti, che passare da un giudizio descrittivo ad un verdetto numerico - del tipo legiferato - non è impresa da poco, soprattutto quando la retorica delle parole buone e cattive e la meticolosità dei mezzi voti e dei meno-meno l’hanno fatta da padrone per tanti anni. Ma "quantificare" il volontariato, l’originalità, l’impegno extrascolastico è davvero alchimia e sovente scade nell’arbitrio.

Qualche docente ha proposto - per la valutazione - una sorta di approccio graduale al sistema in 100/100 già nell’ultimo anno di scuola secondaria, proponendo brevi giudizi di andamento nelle singole materie e valutazione complessiva sia al primo che al secondo quadrimestre, pari, al termine, al valore assegnato ai fini del conteggio per gli esami di Stato. L’idea appare ardita, da studiare, ma sicuramente smuove le acque e libera dal salto valutativo di un calcolo in rapporto decimale da riferire, poi, a quello in centesimi, con un credito - come si diceva sopra - tutto da rivedere.

Manca una conclusione a questa sofferta elencazione; siamo tentati di dire - in un impegno rappacificatore - che alla fin fine non tutto va male; o di sostenere che molto ancora non va. Diciamo solo che non daremo legna da ardere ai piromani che vogliono bruciare - per etichette - vecchie e nuove esperienze. Daremo supporto, invece, a quanti vorranno sostenere la vitalità di questa scuola che, nonostante le dicerie di giornata, continua a far parlare di sé, a confrontarsi, a tenere aperte tutte le dialettiche oneste per dirsi scuola democraticamente di tutti e, perché no, per tutti.