IL LATINO AGLI ESAMI DI STATO

di DAVIDE LECCESE

Ogni scelta suscita consensi e dissensi, salti di gioia e malumori, soprattutto nello stile tipico delle classi che dovranno affrontare le prove degli esami di stato.

Il Latino si riappropria con dignità e forza di un ruolo in una scuola che – almeno nell’immaginario collettivo dei luoghi comuni, soprattutto in mano ai mass media – sembrava aver abbandonato o marginalizzato la cultura classica e le sue lingue (latino e greco). Pazienza, ha detto qualcuno, per il Latino al liceo classico, ma il Latino all’Istituto Magistrale: questo è davvero un segnale che il ministero Berlinguer lancia alla scuola italiana; vuol significare ben più di una semplice turnazione delle materie.

A rafforzare questa tesi del significato di una scelta, riporto, in sintesi, le conclusioni di un Seminario di produzione – organizzato a Sorrento dalla Direzione Generale dell’istruzione classica, a novembre, sotto la supervisione dell’Ispettore Antonio Portolano – su “Nuove tecnologie e nuove strategie didattiche per l’insegnamento del latino”.

I docenti, convenuti da tutta Italia, portatori di una rigorosa e verificata competenza sul campo, hanno unanimemente condiviso che la cultura classica rappresenta ancora un segno della nostra identità se insegniamo ai giovani a riconoscersi in una storia e in una memoria, documentata in un patrimonio significativo, espresso dai testi in latino.

La presenza del latino nel curricolo formativo della scuola – almeno ad indirizzo classico/umanistico – non deve significare che giacché c’è, nessuno lo toccherà mai e, soprattutto, deve rimanere com’è: ogni momento della cultura e della civiltà ha bisogno di farsi accettare dai propri tempi non perdendo la sua identità ma rispettando, in ogni caso, l’affermarsi delle strategie di pensiero e di sensibilità del vissuto.

Molto opportunamente si è affermato che dal dovere della classicità si deve passare al diritto alla classicità: tutti devono poter fruire di un patrimonio perché non è sufficiente, per l’uomo del terzo millennio, scrutare dove si vada ma anche scrutare da dove si venga.

La soluzione, per un latino fruito dai giovani di oggi, sta nel non prospettarlo come lingua da scrivere e da leggere (legarsi alla sintassi e alla morfologia, fini a se stessi) ma come lingua veicolo storico di cultura e di civiltà, ribadendo l’opportuna osservazione che la lingua è, appunto, veicolo storico di conoscenze, conformato a sincronie e diacronie comunicative.

Atteggiamento fortemente critico – suffragato da autorevoli citazioni – i docenti hanno assunto verso un irrigidimento della lingua latina sulle tecniche di traduzione. W. Benjamin aveva ragione quando affermava che la didattica deve orientare la ricerca e non viceversa; e anche le lingue classiche sono obbligate ad atteggiarsi a laboratorio, a ricerca, evitando lo studio bloccato su schemi rigidi, immutabili, ripetibili senza partecipazione.

La classicità, mobilitata per il recupero dell’identità culturale di un popolo in movimento, diventa eredità progettuale della nostra civiltà e matrice inesauribile della continuità creativa di una nazione, di cui i giovani sono l’espressione più accreditata per il futuro (piaccia o no ai docenti!).

I docenti del Seminario di Sorrento hanno quindi proposto il passaggio dalla decodificazione pura (della lingua) alla decodificazione significativa; la centralità dei testi assume un forte cablaggio delle strategie didattiche: tornare alle fonti, ricontattare i produttori, far compiere un salto – attraverso le opere – agli studenti che, ancora al presente, recuperano il tempo, mai perduto, del passato per riavvertire il sapore degli antenati e gustarne i significati dei messaggi alle generazioni future.

Come avvicinare i padri della classicità? No alla devozione vuota e bigotta; sì ai valori irrinunciabili e alle tradizioni insostituibili. No ai neologismi latineggianti, sì al recupero dei significati, insiti nella lingua viva.

Beniamino Placido ha sostenuto che il liceo classico fa dimenticare il latino e il greco perché non insegna ad amarlo, a custodirlo, ad interrogarlo. Manca, cioè, un possesso disciplinare a livello d’investimento. Ogni apprendimento è patrimonio. Ben venga, quindi, all’esame il Latino: verifichiamo quanto questo popolo sia destinato a progredire, guardando avanti e, perché no, dietro, scia dei suoi passi.

 



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