PLURIDISCIPLINARITA E AREA DI PROGETTO
di Davide Leccese
Docenti e studenti, impegnati nella preparazione degli Esami di Stato, si affanno a concretizzare la didattica multidisciplinare e/o pluridisciplinare o interdisciplinare.
Passata la prima euforia o i primi turbamenti sospettosi verso le parole, ci si interroga come sia possibile salvare la specificità delle conoscenze e delle competenze richieste dallesame con la organicità dei saperi, in modo che il colloquio, soprattutto, riveli la capacità di spaziare flessibilmente tra gli apprendimenti; senza rinunciare, lo ripetiamo, alla specificità e senza cadere nello scivoloso terreno delle genericità e delle provvisorietà culturali.
Riteniamo che un buon aiuto possa essere fornito dallArea di progetto, immaginata dalla sperimentazione dei Programmi Brocca.
Ne proponiamo una lettura ragionata, da adattare alle esigenze delle singole scuole e degli specifici percorsi formativi.
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Attorno all' Area di progetto si organizza una sorta di verifica di tutto il sistema perché vengono implicate alcune innovazioni radicali e di fondo che escludono le ripetizioni - sia pur mascherate - di metodi tradizionali che da soli riescono a vanificare l'intimo processo di cambiamento che la sperimentazione esige.
Solo a scorrere, infatti, le pagine che la proposta di area di progetto occupa, ci si accorge che termini come "progettazione", come "integralità" contro "parzialità", come "unitarietà nella differenziazione" siano proposti in un articolato di ragionamento e non come vuota terminologia di riferimento e che esigono dalla scuola un cambiamento di logica formativa e di metodologia didattica, se non si vuole - ripetiamo - soddisfare solo le apparenze senza mutare la sostanza della scuola stessa, tradizionalmente intesa come luogo della "trasmissione del sapere".
Per intanto va ribadito che l' area di progetto risponde all'esigenza dell'unitarietà del sapere e del processo di educazione e di formazione culturale; e che tale unitarietà implica la concreta collaborazione interdisciplinare. Opportunamente è stato detto che " ..Uno dei tratti che meglio definiscono il carattere della scuola moderna è l'esigenza che le è propria di abbattere la tradizionale, rigida distinzione tra saperi interni e saperi esterni al piano di istruzione. Fare entrare nuovi temi, nuove problematiche, nuovi orizzonti disciplinari" (Cfr, Roberto Maragliano in " La tecnologia fa scuola ", pag. 81, Anicia, Roma,1992).
Ciò comporta necessariamente che la classe docente assuma la profonda convinzione culturale e metodologica da un lato della specializzazione e della definizione delle singole aree del sapere, ma dall'altro si disponga ad "accogliere fonti di conoscenze sempre più eterogenee, le quali mettono automaticamente in discussione l'idea di una ripartizione stabile dei saperi e l'idea, a questa collegata, di un loro ordinamento unitario" (ibidem).
Area di progetto che metodologicamente viene proposta per il triennio, con particolare riferimento al biennio conclusivo degli studi ed esige che si faccia riferimento - come progetto di "ricerca" interdisciplinare - ad un tipico tema di conoscenza, ad un problema pratico rappresentativo di una classe di problemi di rilevante interesse. Il dato significativo della proposta si muove sull'incrocio di due ineludibili presupposti: che il contesto culturale - o teorico che vogliamo - abbia, come riscontro, un nucleo operativo; ciò comporta, inoltre, che la didattica - da sistema delle soluzioni parziali - si atteggi e diventi "didattica per problemi".
Chiariamo subito che la "didattica per problemi" deve sostituire "il compito", come esercizio da risolvere, e che proprio la didattica per problemi, nell' insieme dell' area di progetto, ci fa conseguire tre significativi risultati, se correttamente applicata:
1. da un lato abitua studente e docente a "programmare il successo, facendone sperimentare la reale possibilità, attraverso un' ottimale graduazione dei compiti e delle loro difficoltà" (G. Boncori);
2. dall'altro incentiva la previsione delle risposte non puramente verbali, ma con espliciti riferimenti applicativi;
3. infine sollecita la cultura della flessibilità, anche in didattica, per cui, mettendo in atto - finalmente - delle sinergie propositive - impone la funzionalità delle scelte e non la rigidità degli schemi operativi o la occasionalità dei comportamenti scolastici.
Analizziamo brevemente la portata di questi risultati, che si intende conseguire, proprio attraverso l'attuazione dell' area di progetto:
1. Abituare l'alunno a programmare il successo significa renderlo protagonista del suo apprendimento, a constatarne la reale applicabilità ai problemi della vita, a mettere in atto raffronti rigorosi tra il suo pensiero e l'insieme delle conoscenze che la scuola gli offre, attraverso lo studio;
2. I riferimenti applicativi, da noi sollecitati, inoltre, portano a selezionare - tra le conoscenze da far acquisire e le abilità da far conseguire, in una scuola dai saperi non unici e non isolati, - quelle significative, sistematiche, stabili, di base e soprattutto capitalizzabili. Intendiamo, con queste caratteristiche, individuare le conoscenze e le competenze forti che siano:
- coinvolgenti ( sia sul piano cognitivo che affettivo-motivazionale)
- che sappiano generare reticoli di conoscenze, assumibili in ogni contesto e circostanza
- che siano capaci di perdurare come coordinate culturali
- che siano poste a fondamento e in progressione
- che costituiscano, infine, una ricchezza spendibile e non solo accumulata.
3. Infine la flessibilità, che porta a stabilire uno stretto nesso tra la scuola del pensare e la scuola del saper fare, in chiave di professionalità di base, del tutto lontana dalla contrapposizione di un altro tipo di scuola con l'illusione di realizzare - all'interno della secondarietà - una "specializzazione" di conoscenze e di competenze che, nella società del terzo millennio, oramai prossima, cozza contro la grande capacità di adattare costantemente i propri saperi al continuo mutare delle identità professionali e lavorative.
Ciò comporta ( e l' area di progetto dispone in questo senso ) l'utilizzo anche delle competenze complementari e/o suppletive, recuperate da quella ricchissima area dei dati informativi della prassi quotidiana e del "venire a sapere", che - altrimenti - sfuggirebbe al patrimonio dell'alunno come provvisorietà e come vanità informativa.
Dicevamo "interdisciplinarità": sulla questione il dibattito è ancora vivace ed aperto. Alcuni studiosi, infatti, sostengono che il passaggio dalla disciplinarità alla interdisciplinarità debba necessariamente far intravvedere persino il superamento di questo stadio, verso la iperdisciplinarità. In ogni caso il cambiamento profondo della mentalità monodisciplinare - che impedisce ogni area di progetto credibile e che, al massimo, si muove nell'ottica della compenetrazione dei saperi e l'accumulo delle conoscenze e non attraverso la originale "convivenza" dei saperi stessi - passa attraverso un'analisi strutturata ed epistemologica comparata delle discipline coinvolte; dove l'analisi dovrà significare, inoltre, l'eliminazione della confusione mediante la determinazione e il controllo del significato ( o modo d'uso dei segni); e dove l'epistemologia non tace sul ruolo che la coscienza ha delle sue esperienze vissute.
L'interazione disciplinare - molto di più della "giustapposizione", mira a fare dello studente una persona in grado di " ripercorrere l'itinerario tipico della ricerca, senza accontentarsi di utilizzare passivamente le indicazioni dei manuali e dei trattati". Lo studente, insomma, pensa e lavora su problemi, si muove su procedure, utilizza modelli, si espone su linguaggi duttili, affronta tecnologie che, invece di allontanarlo dallo specifico disciplinare, lo aprono - invece - proprio alla consapevolezza epistemologica e al riconoscimento delle identità disciplinari, senza ritenere questo come il risultato conclusivo del suo processo di apprendimento, ma abituandolo a confrontarsi con la soluzione dei problemi.
Sarà, quindi, l'area di progetto a modificare positivamente sia il ruolo del docente che quello dello studente: grazie alle strategie euristiche o del "domandarsi" le cose, anche quelle "sapute", il docente si affaccia alla dimensione - sovente sottaciuta - del "ricercatore", mentre l'alunno è invitato ad agire nell'ambito della "scoperta" e, aggiungeremmo, della "invenzione".
Ma ciò presuppone - nel sottolineare la "conversione" professionale dei docenti - nell' ottica dell' area di progetto - che gli stessi sono chiamati a modificare non solo i comportamenti, in una sorta di pattuizione burocratica, ma a ridisporre dal di dentro le intenzioni culturali della funzione docente: agire assieme, pensare comunitariamente, avvertire che la logica di équipe non significa affatto perdere o svilire lo "specifico professionale" in una sorta di confuso e generico "monosistema didattico", ma esaltare proprio il ruolo che ciascuno può svolgere per gli altri, nell'idea di "prestito di docenza", per cui ognuno insegna la sua materia in nome e per conto di un gruppo che insieme insegna a ciascuno degli alunni, tornati persone e non successione di nomi sul registro di classe.
Non sottovaluteremmo il ruolo democratico della didattica per area di progetto: sicuramente scatta quella "educazione compensativa" ( di cui parlano attenti studiosi di problemi scolastici ) che vogliono, come ambito privilegiato della scuola, quello che lavora sulle disuguaglianze, non tanto per compensare le conoscenze, quanto per compensare comportamenti di apprendimento.
Opportunamente, allora, gli ideatori della proposta avvertono che l'area di progetto va difesa sia dall' area di approfondimento, dal sistema della ricerca contenutistica e, per certi aspetti - ritengo - persino dall' Unità Didattica, pur con i pregi riconosciuti a questi modelli operativi, in quanto è chiaramente esplicitata non tanto la sequenzialità quanto la conseguenzialità dei comportamenti culturali e didattici. E' più consono all' area di progetto la visione del "percorso", proprio perché può garantire agli studenti un "aiuto più concreto e ravvicinato per riconoscere valori, metodi, procedure, linguaggi, confini disciplinari e, soprattutto, per far avvertire il sempre più importante ed essenziale ruolo delle tecnologie nella cultura e nella realtà contemporanea".
Ci preme sottolineare - a scanso di ogni equivoco strumentalistico - che il "tecnologico" va inteso nella funzione assicurata dall'etimologia: all'interno, cioè della garanzia della techné, dell' arte, della capacità di produrre; in una parola, della "creatività" dell'uso degli strumenti specifici delle procedure e del progetto. Così come conviene rispondere a tutti i critici - anche in buona fede - sostenitori della tradizionale prassi di insegnamento-apprendimento, che saranno proprio le "tecnologie", pur non idolatrate, ad assicurare quelle che chiamiamo "conoscenze attivabili", cioè le conoscenze basate sulla "scoperta", passando dai tentativi e dalle esperienze alla personale elaborazione (Cfr. Laura Donà).
Il dubbio che tormenta alcuni docenti interessa l'esigenza di salvare lo specifico della propria disciplinarità contro una sorta di "assemblearismo" della trasmissione conoscitiva e della fruizione degli insegnamenti. Ebbene, non si salva la identità disciplinare se non - quasi paradossalmente - attraverso quanto è richiesto e quanto rimane dalle e nelle interazioni, nei raccordi, attraverso la riscoperta di "analogie strutturali" e la genesi delle discipline stesse, come aspetti problematici della scienza.
Il docente è chiamato innanzitutto - in una scuola che sposi l'innovazione e la sperimentazione - alla condivisione dell'intero progetto scolastico; ed il progetto esige un confronto non solo nelle sedi solenni delle grandi programmazioni, per poi tornare ognuno nel solitario esercizio del suo compito.
Va soprattutto tenuto in grande considerazione - dal punto di vista della più ordinaria tecnica della comunicazione - che la molteplicità degli adulti comunicatori rischia di dimenticare l'alunno come "soggetto unico" del messaggio, nello spazio-classe dai connotati di comunità complessa, le cui reazioni non possono mai essere date per prevedute se non sono finalizzate e organizzate, come, per certi aspetti, persino "negoziate". E l' area di progetto consente, appunto, la finalizzazione, l'organizzazione e la negoziazione del comportamenti docenti e di quelli discenti, con esplicita definizione del canale comunicativo, del senso del messaggio e dell'attesa degli esiti.
I Programmi della Commissione Brocca, inoltre, invitano a prestare la massima attenzione alle discipline "composite" o di "confine" - esemplarmente indicate in fisico-chimica, in psico-linguistica, in bio-etica - perché in esse i docenti e gli studenti sono chiamati, fin dall'inizio, ad avventurarsi nel campo dell' interdisciplinare, con l'impegno di tutti a non disperdere ma a confrontare dialetticamente le specificità di campo e di indagine.
Quale il vantaggio didattico e culturale che ci si aspetta - ancora - dall' area di progetto ? Il superamento dell'antica discriminante di qualità e merito tra formazione umanistica e formazione scientifico-tencologica; oltre che l'approdo definitivo, prima accennato, alla varietà e molteplicità dei linguaggi, che connotano la nuova scientificità e di cui la scuola non può più ignorare la portata.
Il linguaggio - nell'ottica dell' area di progetto - è correlato all'uso dei segni intersoggettivi - che consentono la comunicazione - ed è, contemporaneamente, correlato ai suoi oggetti e alle sue azioni, nella prospettiva:
Quali i TEMI interessati all' area di progetto ?
La proposta indica due frontiere, più che due confini: i problemi della conoscenza e le classi di problemi pratico-tecnologici, in modo da consentire agli studenti di muoversi agilmente tra il "quando", il "dove" e il "come"; in modo, cioè, che lo studente non sia abituato a ragionare in termini di passiva acquisizione del sovente travagliato cammino del pensiero umano e delle sue istanze applicative.
La proposta offre, a questo punto, anche alcune riflessioni sugli aspetti cosiddetti operativi per la realizzazione dell' area di progetto ed insiste soprattutto sulle procedure della ricerca, mettendo bene in evidenza che ciò che conta, sia sul versante della docenza che della discenza, è la comunitarietà di intenti e di agire: è chiamato ad operare il Consiglio di classe ( per le procedure preliminari ); si imposta una "analisi di fattibilità", si individuano le "risorse" e i criteri attivi. Ognuna di queste fasi esige il massimo del rigore procedurale - contro il pericolo di avventurismi didattici e metodologici - per cui si richiede che siano espressamente definiti gli ambiti di progettazione, di discussione, di formulazione e il controllo dell'andamento in itinere, oltre che la valutazione finale del risultati.
Gli studenti, invece di rispondere individualmente - pur se chiamati come singole persone a far parte del progetto - vivono comunitariamente l'esperienza di apprendere, di cercare, di pensare, di comunicare, interagendo con i docenti - a turno o assieme chiamati a guidare lo studio e l'area di progetto - interagendo anche con esperti esterni, muovendo non solo nello spazio "classe", ma in quello "scuola", in quello "territorio".
Quale, in conclusione, le attese verso l'area di progetto: dare senso all'innovazione, trasformando la tradizionale "lezione frontale" da comunicazione orale del sapere scolastico in insegnamento-apprendimento comunitario, polivalente (non esclusa la multimedialità), interrelato dei saperi, senza che questi perdano di specificità, senza che i docenti si annullino nel "coro", ma realizzando un concerto esplicito delle domande e delle risposte, dove ognuno salva il suo ruolo ed insieme non vede annullate le sue istanze di scoperta e di invenzione.