La prova di Italiano

di Davide Leccese

 

E’ la prima prova dell’Esame di Stato e, come suol dirsi, introduce il rito; da quel momento esaminatori ed esaminandi si confronteranno in un gioco affascinante ed insieme drammatico, sempre che alla parola vogliamo rassegnare il significato d’origine: una sorta di scena movimentata dove ciascuno gestisce un ruolo e lo esercita al massimo delle sue potenzialità

Di questa prima prova si potrebbe non parlare, secondo il luogo comune, dal momento che tutti credono che sia la meno “modificata” nel corso delle traversie normative degli Esami; invece, paradossalmente, è proprio quella che più risponde alle esigenze dell’innovazione dal momento che alla prima prova viene assegnato un ruolo sicuramente più pieno rispetto alla considerazione tradizionale. Proviamo a scandagliarne le caratteristiche.

I. Innanzitutto è una prova di lingua italiana: il candidato deve dimostrare di saperla usare nel rispetto delle regole della grammatica e della sintassi, non come arida applicazione di principi ma come convenzionato sistema della comprensione delle idee, attraverso le parole, raccordate secondo un senso logico ed un significato compiuto, secondo tecniche e artifici che noi chiamiamo, appunto, grammatica e sintassi. Al riguardo non sarebbe fuori luogo che le scuole riprendessero una sana e severa consuetudine educando alle “regole”; la deregulation (ci si perdoni l’uso dell’inglese) della lingua di strada è tale che i giovani fanno fatica a distinguere quanto sia gergale da quanto è invece obbligato da una più esigente connotazione e comprensione “istruita”. Il parlare approssimativo, la scelta trasandata delle parole – rispetto al contesto enunciativo – la mancanza del benché minimo rispetto dei linguaggi settoriali trasforma il compito d’italiano in una narrazione sovente appesantita dalla genericità espressiva, con conseguente penalizzazione delle idee, pur buone, proposte nello svolgimento.

II. Ma è anche prova di cultura italiana: il candidato deve dimostrare di saper esporre contestualizzandosi al modo di pensare una situazione, un problema, un aspetto della vita (nel senso più ampio del termine) dal versante della civiltà da cui ha assunto nutrimento, attraverso la scuola. Molti sottacciono questo aspetto della prova che invece rappresenta un versante significativo della verifica: sapere come un giovane abbia assorbito – sia pure in chiave critica e personale – una visione complessiva della società in cui vive, dal versante culturale, vuol dire parametrare anche la sua capacità di sentirsi incardinato nella storia del suo popolo. Nello stesso tempo la caratterizzazione culturale italiana, espressa dallo studente, deve anche significare il confronto con le altre posizioni, fino alla mondializzazione delle idee e dei progetti. Partire dalla propria identità per approdare, dal di dentro di quella, all’identità di cittadino del mondo.

III. E’ prova specifica: la traccia chiederà di affrontare un problema, una questione e il candidato dovrà dimostrare di saper organizzare un ragionamento compiuto sull’argomento, centrando l’obiettivo e esplicitando le sue conoscenze. Al riguardo la Commissione avrà tutto il diritto di accertare la rigorosa rispondenza al tema, la stretta correlazione tra ciò che si chiede e quel che si risponde. Insomma, l’oggetto della traccia deve avere un oggetto dello svolgimento perfettamente e rigorosamente rispondente, senza sbavature retoriche o trucchetti di circumnavigazione attorno alla traccia.

IV. E’ prova di capacità critica: il candidato dovrà dimostrare di saper ragionare sul tema, affrontare le questioni, esaminarne i vari aspetti, esplicitare i suoi punti di vista, confrontarli con altri diversi, decidere per una sua soluzione, raggiungere delle conclusioni.

V. E’ prova di capacità sintetica: la prova d’esame non può assumere la forma e la quantità di un trattato. Non lo consentono i tempi, non lo richiede la tipologia dell’esame. Molti studenti rischiano di squilibrare la prova, partendo da ampollose premesse, striminziti corpi e affrettare conclusioni. Altri infarciscono d’orpelli parolai poche e inconsistenti idee. All’opposto alcuni studenti hanno la strana abitudine di scrivere in stile telegrafico, pretendendo che il “lasciar intendere” debba significare essere compresi per sottintesi.

VI. E’, infine, prova di emozioni, sentimenti, partecipazione personale. Nessuno ha mai scritto ed affermato che un’esposizione dotta, intelligente, scientifica debba avere il connotato dell’arida e non coinvolta adesione – anche emotiva – a quel che si dice. Una sorta di pathos, come tecnica dell’argomentazione, come giusta retorica, significa dare alle parole e alle idee la connotazione di personalità che nessuna grammatica, sintassi o conoscenza arida saprebbe esprimere. E un tema rappresenta una pagina non solo della mente ma anche dell’anima dei giovani. Se non vogliamo che la prova d’esame passi alla storia del candidato come un’esercitazione se non proprio di assenza, purtroppo anonima, della sua appassionata ed intrigante storia di studente.



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