LA TRACCIA DI STORIA AGLI ESAMI

di Davide Leccese

 

L’idea che i giovani hanno della storia è legata ai manuali scolastici; il che mortifica, di solito, la stessa visione storica, a meno che il docente non riesca a recuperare, con le sue capacità professionali, tale visione con la riflessione critica, l’analisi testuale e il commento dialogico con le nuove generazioni, tutte schiacciate sul presente e vagamente spinte verso un impreciso e nebuloso, a volte ansiogeno futuro.

La più puntuale conferma di questa riduzione scolastica viene registrata proprio agli esami di stato: gli studenti ripetono lo schema prodotto dall’apprendimento curricolare e narrano i fatti, i commenti, barcollando tra la critica, qualche volta azzardando citazioni, poche volte spingendosi in confronti critici.

Se poi aggiungiamo che la traccia di storia facilmente sconfina nella lettura ideologica, camuffata di scelte valoriali (anche dopo la fine ufficiosa delle contrapposizioni ideologiche), raramente la scientificità storiografica approda alla stesura di un tema ad argomento storico.

Apriamo uno dei tanti volumi riepilogativi degli avvenimenti del recente passato: i fatti del 1999 sono già nelle librerie e nelle edicole, ben impacchettati su di uno schema cronologico o distinti per tipologia di questioni. Dire che questo sia storia è deleterio; ma così gli studenti continuano ad avvicinarsi all’accaduto: date, nomi, successione di circostanze (prevalentemente gestuali); rari riferimenti a contesti socio-economici, a premesse politiche, istituzionali, antropologiche, culturali nel senso ampio.

Allora il tema di storia appare come una pagina del sentito dire, del narrare scolastico, infarcito di luoghi comuni di coesistenza imperdonabile tra tesi arditissime e rivoluzionare e contesti di conservazione e di restaurazione.

Come si può, ad esempio, trattare un argomento spinoso – qual è la questione jugoslava – senza contestualizzare i fatti in avvenimenti legati alla “questione balcanica” o alla visione dello spartiacque occidente-oriente o ai problemi mai risolti delle guerre di religione (cattolici-ortodossi-musulmani), alle grandi migrazioni dei popoli o alle dinamiche delle sfere d’influenza?

Quando la storia viene insegnata per guerre, per dinastie, per medaglioni sicuramente i giovani non coltivano la riflessione critica e sono dis-educati al fatalismo, all’accettazione del fatto-perché-accaduto (se accaduto – come accaduto – perché). Le domande sui protagonisti sono condizionate dalla scelta acritica dei ruoli egemoni, istituzionali, dallo soverchianti abitudini del verticismo celebrativo; lo stesso che, nella cronaca della stampa contemporanea, ci fa interessare ai vip, ai miti dello sport, della moda, del cinema e ci fa dimenticare l’umanità quotidiana, costretta a fare da sfondo irreale a queste emergenze atipiche della Storia.

La difficoltà maggiore, nei temi a carattere storico, sta proprio nella traccia (brutto termine per indicare la “questione da trattare”): in genere si parte da una constatazione (il fatto), si accenna un’ interpretazione (una o più letture del fatto), si chiede un parere (presa di posizione critica dello studente). Poche altre volte s’avanza l’ipotesi di corredare il commento con riferimenti a fonti, a saggi critici.

A nostro parere, almeno agli esami, si dovrebbe tentare una verifica di competenza e di conoscenza – a sfondo storico – partendo da una traccia non necessariamente fattuale: un problema, ad esempio (la integrazione tra i popoli, l’interculturalità, la convivenza pacifica, l’origine dei confini, la funzione delle leggi, la democrazia partecipata, la corresponsabilità dei cittadini, il ruolo degli eletti, la distribuzione delle risorse, il rispetto delle minoranze, ecc.); analisi delle varie posizioni, espresse in sede culturale (scientifica, sociale, politica, economica, religiosa, ecc.); esposizione della propria posizione; dichiarazione delle fonti di riferimento; contestualizzazione al proprio vissuto; ampia citazione di fatti, avvenimenti, eventi significativi, rispetto al tema trattato.

Rimane particolarmente delicato, secondo alcuni studenti, esporre le proprie idee. Sovente i giovani lamentano una chiusura dei docenti rispetto al “secondo me” degli studenti. Insomma temono che il pregiudizio ideologico non sia del tutto caduto.

La frase: “Ognuno può esporre quello che pensa” è giusta, a condizione che quel che uno pensa sia non solo la libera espressione delle proprie idee ma anche la rigorosa esposizione di un ragionamento, segno di un maturo porsi di fronte alle questioni, con agire mentale onesto e con successione logica stringente. Invece il “secondo me” di alcuni giovani è un’inorganica successione di luoghi comuni, di idee prese in prestito dalla folla delle frasi fatte. L’analisi storica appare, quindi, come un dinoccolato meccano, debole nelle giunture critiche e rigido nei tasselli costitutivi. Tutto il contrario di quella visione della storia e della vita che ci si augura abbiano i giovani del Terzo Millennio, costretti a navigare nel vorticoso succedersi dei fatti, nel complicato avvicendarsi delle epoche, nel delicato interrogarsi delle idee e dei sentimenti.



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