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COORDINAMENTO DISTRETTI SCOLASTICI DELLA REGIONE EMILIA ROMAGNA A T T I CONVEGNO REGIONALE NUOVI ORGANI COLLEGIALI DELLA SCUOLA: I CONSIGLI SCOLASTICI LOCALI Con il Patrocinio della Regione Emilia Romagna Bologna, 29 maggio 2001 – Aula Magna Regione Emilia Romagna - I testi sono stati traslati da registrazione e riveduti dai singoli Relatori - Il materiale degli atti è stato collazionato e impostato da: GAZZOTTI Maria Grazia - Assistente Amministrativo Distretto Scolastico n. 18 - Modena ACIERNO Maria Donata - Assistente Amministrativo Distretto Scolastico n. 24 - Bologna - Coordinamento: Dott. Ennio TOZZI – Presidente Distretto Scolastico n. 24 - Bologna
SOMMARIO APERTURA DEI LAVORI
Ø
Dott.
Ennio TOZZI – Coordinatore Regionale Distretti Scolastici
pag. 4
Ø
Dott.ssa
Mariangela BASTICO – Assessore Regionale Scuola, Formazione
pag. 5 Professionale,
Università, Lavoro, Pari Opportunità
Ø
Dott.
Paolo MARCHESELLI – Provveditore agli Studi di Bologna
pag.
10 INTRODUZIONE
Ø
Angelo
CERVATI – Coordinatore Nazionale Distretti Scolastici
pag.
12 RELAZIONI
Ø
Dott.
Giovanni BISSON – Coordinatore Nord Italia Distretti Scolastici
pag. 14
Ø
Dott.
Mario GUGLIETTI – Vicepresidente Consiglio Nazionale della
pag. 21
Pubblica
Istruzione
INTERVENTI
Ø
Dott.
Emanuele BARBIERI – Direttore Generale Ufficio Scol.co Regionale
pag. 27
Dott. Franco BOARELLI – Presidente Regionale Associazione Genitori
pag. 32 Scuole
Cattoliche (A.Ge.S.C.) DOCUMENTO DEL COORDINAMENTO
DEI DISTRETTI
pag.
35 SCOLASTICI DELL’EMILIA ROMAGNA
APERTURA DEI LAVORI
Dott. Ennio TOZZI Coordinatore
Regionale Distretti Scolastici Emilia Romagna – Presidente
Distretto Scol.co n. 24
Questo Convegno nasce dalla disponibilità, anzi dalla
intenzione ferma dei Distretti Scolastici di dare un sostegno e di
garantire al meglio il passaggio dalle vecchie strutture collegiali
territoriali alle strutture che si stanno profilando. In particolare i Distretti Scolastici si sentono, per così dire, “gli eredi”, dei Distretti Scolastici attualmente ancora in funzione ed hanno esaminato, con una successione di iniziative in autunno ed in inverno, e poi all’inizio della primavera, attraverso varie riunioni dei Presidenti dei Distretti dell’Emilia Romagna, soprattutto il Decreto Legge del 1999 che dà un assetto ai Consigli Scolastici Locali, trovando in questa Legge degli aspetti positivi e degli aspetti da discutere. Troviamo positiva, innanzitutto, la conferma degli Organi Collegiali anche come Istituzione Territoriale; troviamo positiva la revisione della composizione della compagine dei Distretti, che prima erano chiamati piccoli Parlamentini e adesso si riducono come numero di Consiglieri; troviamo positiva la riconsiderazione del loro funzionamento, più elastico, là dove prima era prevista la maggioranza assoluta dei componenti per arrivare alle deliberazioni, adesso è prevista soltanto la maggioranza dei 2/3: è un miglioramento rispetto a prima perché noi Presidenti sappiamo quanto sia stato difficile gestire i Distretti stessi con la non possibilità, tante volte, di giungere alla approvazione delle delibere che andavamo facendo. Aspetto discutibile, tra gli altri, ci sembra il fatto che il nuovo Organo, il Consiglio Scolastico Locale, non è del tutto autonomo e indipendente, in quanto il Presidente della Giunta è un elemento esterno. Altro aspetto negativo che fa molto discutere, e francamente ci rammarica, è la minore rappresentanza prevista per i Genitori, solo tre, rispetto ad esempio ai rappresentanti degli Enti Locali e delle componenti varie del Distretto.
Ne consegue un condizionamento della partecipazione,
soprattutto delle famiglie, che sono nel processo educativo un
elemento essenziale.
Poi vi è una totale assenza di una funzione realmente
operativa, tanto è vero che questo ci fa chiedere che cosa possono
fare delle Istituzioni che hanno solo un parere propositivo mentre
altri Organismi hanno anche un potere deliberativo. Noi abbiamo avuto poteri operativi nel passato, in particolare quello dell’Orientamento Scolastico e Professionale, che adesso sono messi sul piano di una consulenza e di appoggio alle iniziative che possono essere fatte.
Infine, tanto per cambiare, vi è una insufficiente chiarezza
riguardo al Personale di Segreteria dei Consigli Scolastici Locali e
sui finanziamenti.
Dott.ssa Mariangela BASTICO Assessore Regionale alla Scuola,
Formazione Professionale, Università, Lavoro, Pari Opportunità
Vi ringrazio molto per l’invito che avete voluto rivolgermi che mi permette di partecipare ad un dibattito su un tema che io ritengo importante, quello sulla partecipazione, quindi sugli Organi Collegiali nel sistema scolastico.
Purtroppo, ve lo dico subito, non potrò seguire i lavori di
questa mattinata perché è contemporaneamente convocata la Giunta,
cui proprio oggi sono stati iscritti due temi importanti sulla
Scuola, che dovrò illustrare e dalla cui approvazione dipendono
importanti decisioni che dovrà poi assumere il Dirigente Scolastico
Regionale.
Mi riferisco in particolare al parere sul decreto che
ridisegna tutto l’Ufficio Scolastico Regionale, quindi inerente
all’intera Amministrazione scolastica della nostra Regione ed alla
proposta sul calendario scolastico.
Capite bene che sono due temi di grande rilevanza per la vita
della scuola e soprattutto per l’organizzazione del prossimo anno
scolastico, perciò penso che potrete scusarmi se non riuscirò ad
assistere ai vostri lavori.
Entrando nel merito del tema oggi proposto, vorrei portarvi
un contributo, ovviamente problematico, come peraltro lo è stata
anche la presentazione di questa mattina.
Sono convinta che il fatto di non avere approvato, dopo la
Riforma della Scuola, anche la Riforma degli Organi Collegiali, si
configuri come carenza del disegno riformatore.
Avere pensato, giustamente a mio avviso, ad un sistema
scolastico fondato sull’Autonomia delle Scuole, sul Dirigente
Scolastico, sulle competenze professionali e tecniche dei Docenti,
ma non ancora delineato per quanto attiene al tema della
partecipazione, rappresenta un limite.
E per
partecipazione intendo il coinvolgimento delle famiglie, lo scambio
tra le famiglie ed il corpo docente e quindi la costruzione dei
contenuti della scuola, obiettivo molto più rilevante oggi dato il
sistema dell’autonomia, dato il sistema dei curricula
(accantonando per un attimo la paventata sospensione della Riforma
dei Cicli), che andranno cadenzati nei loro contenuti, nelle loro
modalità, dentro ad una Autonomia Scolastica.
E’ alla luce di tutto ciò che emerge questo punto di grave
carenza!
Il disegno degli Organi Collegiali Territoriali delineato dal
Decreto Legislativo del 1999, quindi precedentemente alla
definizione del principio di nuova Autonomia Scolastica, risente a
mio avviso fortemente di questa anticipazione rispetto al disegno
riformatore e molte delle contraddizioni che sono state qui
segnalate, delle incertezze, delle non definizioni, sono causate da
questo non allineamento.
Allora noi questo tema, dico noi Regione Emilia Romagna, dico
noi sistema delle Autonomie Locali, l’abbiamo ben presente e ci
stiamo lavorando ed anticiperò, ora, alcune linee di intervento.
Innanzitutto occorre affermare che siamo consapevoli che oggi
il sistema scolastico, cioè il sistema dell’istruzione, il
sistema della formazione professionale ed il sistema che consente il
passaggio al lavoro (le esperienze di formazione lavoro, tirocini
per stage) è, diciamo così, governato da soggetti autonomi che
sono tutti radicati nel territorio regionale.
Su questo punto voglio essere molto
chiara: sono consapevole che la riforma, operata attraverso
più leggi, ha affidato il governo del sistema dell’education,
quindi istruzione/formazione e passaggio al lavoro, a soggetti
dotati d’autonomia e con radici nell’ambito territoriale
regionale. Ad esempio
il sistema scolastico ha nel Dirigente Scolastico Regionale e nelle
sue articolazioni, una referenza piena per quanto riguarda il
governo del personale e delle risorse, le 557 Autonomie Scolastiche
sono soggetti autonomi dotati di propria identità, di propria
responsabilità, di propria personalità giuridica. La formazione
professionale è tutta di competenza della Regione, delle Province e
di 227 Enti di Formazione autonomi accreditati.
Sul fronte delle diverse forme di rapporto formazione/lavoro:
l’apprendistato è di competenza regionale, i contratti di
formazione lavoro dove la formazione, i tirocini, gli stage, sono
competenza regionale; ancora, tutta la formazione alta, ed al
riguardo registriamo le Università come soggetti autonomi, in
questa Regione sono presenti quattro sedi, più alcune rispetto all’Università
di Piacenza, che hanno piena autonomia a livello territoriale.
Questo è il sistema, complesso, che ci è affidato dalla riforma.
Attenzione però: non è la regionalizzazione del sistema e
non è neppure l’affidamento alle autonomie locali di questo
sistema.
Per dirla con uno slogan, sono molto contenta che la
soluzione delineata dalla riforma ci abbia affidato non più la
Scuola del Ministero della Pubblica Istruzione, ma non abbia neppure
costruito la Scuola degli Assessori o dei Presidenti Regionali, né
la Scuola degli Assessori o dei Sindaci, ma che da un disegno chiaro
d’Autonomia della Scuola, si affidi la stessa alla Dirigenza
Scolastica, alla competenza professionale dei Docenti, alla
partecipazione dei soggetti che di questa scuola saranno fruitori.
Quindi la Scuola dell’Autonomia come centro fondamentale di
riferimento, questo è quanto ci affida la Riforma.
Ho citato prima i soggetti autonomi di questo sistema, facendo la somma arrivano circa ad un migliaio. Le Scuole, gli Enti di Formazione, la Regione, le Province, i Comuni, le Università, sono più di 1000 i soggetti dotati d’autonomia e che governano il sistema dell’education nella nostra Regione.
Voi capite che se l’autonomia fosse interpretata come
separatezza, come chiusura, come tante monadi che da sole ritengono
di potere realizzare un’offerta formativa adeguata, magari
entrando in competizione fra di loro, strappandosi i ragazzi, io
credo che potremmo registrare effetti quali l’abbassamento della
qualità dell’offerta, un aumento dei costi a scapito della
qualità, insomma la possibilità da parte del sistema di esplodere.
Come Istituzioni, consapevoli di questa possibilità
infausta, abbiamo da subito delineato un percorso basato sugli
accordi, sulla concertazione; i soggetti autonomi possono operare
realmente insieme attraverso un atto di autonomia e di libertà che
è quello di aderire ad un accordo in cui si definiscono le linee, i
contenuti, le risorse e i metodi, quindi autonomia significa
libertà d’adesione. Una volta però che l’accordo è siglato e che gli impegni sono assunti, questi diventano regole e norme per tutti, quindi il tema dell’autonomia che si coniuga con quello del fare insieme per raggiungere obiettivi concordati, mettendo insieme risorse, disponibilità, attraverso percorsi definiti.
Questa è la
natura fondante di un accordo: autonomia e libertà, ma, poi,
responsabilità, vincolo e rispetto delle regole sottoscritte e
questo, a mio parere, è il perno attorno al quale il sistema
scolastico può diventare davvero sistema.
Non più la
somma di mille monadi che competono tra loro, ma un sistema che
delinea i suoi obiettivi, i suoi percorsi e le modalità per
raggiungerli. Noi questa strada l’abbiamo già imboccata: insieme con le Province e i Comuni abbiamo siglato uno accordo con il Dirigente Scolastico Regionale, accordo interistituzionale, l’abbiamo chiamato così con un titolo molto impegnativo, per il governo del sistema della istruzione, della formazione e della transizione al lavoro.
Questo è l’accordo quadro che ha, tra l’altro, definito
un proprio Organo paritetico di Governo, in cui sono presenti il
Presidente della Regione o un suo delegato, il Dirigente dell’Ufficio
Scolastico Regionale e 24 componenti, 12 designati dal sistema delle
autonomie locali, 12 dal sistema scolastico e dell’autonomia
scolastica; previsto anche un esecutivo, anche questo paritetico,
composto da 3 + 3, che dovrebbe coincidere con l’organo
interistituzionale che la legge ha previsto all’interno della
direzione scolastica.
Dall’accordo regionale intendiamo passare, non per
clonazione, ma per valorizzare, stimolare, le realtà esistenti a
livello locale, ad accordi innanzitutto provinciali, con i dirigenti
di riferimento a livello provinciale, con le Autonomie Scolastiche
da un lato, con le Province ed i Comuni dall’altro,
caratterizzando l’azione con contenuti più specifici.
Questo diventa la modalità
reale del confronto e dell’integrazione e qui, secondo me,
attraverso questi Organi di Governo Territoriali misti, possiamo
affrontare il grande nodo degli Organi Collegiali di carattere
territoriale, delinearne l’identità, assegnando loro non solo
funzioni di consultazione e di proposta, ma funzioni più forti di
governo integrato del sistema, sapendo che caratteristica dell’azione
di governo è di dare linee di indirizzo dentro cui le autonomie
scolastiche rimangono tali.
Diventa pertanto indispensabile prevedere gli Organi
Collegiali all’interno delle autonomie scolastiche, organi che, a
mio parere, non debbono prevedere la presenza dell’istituzione
locale, ma quella delle componenti di governo della scuola;
sarà la Scuola dell’Autonomia che si confronterà con gli
Organi Collegiali Territoriali, pena la creazione di una inutile e
dannosa confusione, poiché la Scuola è Scuola dell’Autonomia e
quindi deve esprimere la propria azione di indirizzo, di
programmazione, di governo, con elementi che compongono l’identità
della Scuola.
L’Ente Locale è un soggetto importante, fondamentale, nell’azione
di programmazione, di indirizzo e quindi a livello territoriale,
sulla base di un accordo, si devono costituire Organi di Governo in
cui la Scuola abbia pari dignità e pariteticità rispetto al mondo
delle autonomie locali.
Credo che questo disegno istituzionale sia in grado di
valorizzare le competenze e le autonomie, di far sì che nessuno
svolga il compito dell’altro
perché l’integrazione, e voglio con grande chiarezza
ribadire un punto su cui stiamo lavorando molto, non significa mai
che uno fa anche quello che dovrebbe fare l’altro, e quindi la
Scuola che fa anche formazione professionale o la Formazione
Professionale che si sostituisce all’Università e viceversa; al
contrario, ognuno deve avere un proprio compito, che è molto
caratterizzato e sempre più qualificato e specializzato.
E’
costruendo progetti comuni che si può mettere la competenza propria
di un sistema insieme con la competenza dell’altro sistema,
realizzando un progetto integrato che unifica le specificità e le
caratteristiche dei due sistemi. Ad esempio l’integrazione con la
formazione sarà uno dei temi più rilevanti, poiché ci sono
competenze, risorse ed opportunità che vanno portate nel mondo
della Scuola, nel rispetto della specificità di ognuno, facendo
insieme, non sostituendosi. Se questa modalità vale l’integrazione
di due mondi formativi, credo debba valere anche tra il mondo dell’Autonomia
Scolastica ed il mondo degli Enti Locali.
Noi, e in questo senso esprimo l’opinione della Regione, ma
parlo anche delle risultanze del confronto avviato con il Dirigente
Scolastico Regionale, non abbiamo avuto timore dell’accordo
perché sapevamo che le nostre competenze, le nostre identità, sono
diverse e siamo stati disponibili a metterle insieme per fare un
percorso comune, senza confusione di ruoli: io non faccio il
Dirigente Scolastico Regionale, il Dirigente Scolastico Regionale
non fa e non vuole svolgere il ruolo dell’Assessore. E questa
considerazione ricordate che è molto, molto importante!
Se questo è il disegno, come facciamo ad uscire da questo
stallo di carattere normativo? Vedo due strade: la prima è capire
se il nuovo Parlamento riprenderà in mano il provvedimento sugli
Organi Collegiali non approvato nella precedente legislatura,
verifica che abbiamo già in corso con la collaborazione di alcuni
parlamentari.
In alternativa credo si possano fare alcune considerazioni:
innanzitutto dobbiamo valutare, e secondo me questo è abbastanza
vero, che non è poi necessario che gli Organi Collegiali siano
uguali in tutte le scuole del “regno”. Quello che ho detto fino ad ora ha un senso perché siamo in Emilia Romagna, in altre Regioni dove il rapporto Enti Locali-Scuola è meno consolidato, meno strutturato, magari ha un senso ragionare sugli Organi Collegiali in modo diverso.
Vi sono realtà, anche a noi geograficamente vicine, molto
diverse; realtà in cui l’istituzione scolastica ha avuto
raramente l’opportunità di confrontarsi con i Comuni e le
Province.
Si potrebbe quindi valutare l’ipotesi di Organi Collegiali
Territoriali su cui interviene il Parlamento solo per definire gli
indirizzi, affidando al livello regionale il compito di dettare
normative più rispondenti alle proprie caratteristiche.
Noi siamo ovviamente attenti e disponibili nei confronti di
questa ipotesi.
Vi segnalo che da un punto di vista normativo la
Costituzione, la riforma della Costituzione che è stata approvata
in doppia lettura dal Parlamento e che sarà soggetta a referendum
confermativo, prevede sul fronte dell’assetto costituzionale delle
norme molto chiare e precise che io condivido molto e che potemmo,
se sarà approvata, utilizzare subito.
La prima, e fondamentale, afferma che i principi generali
dell’ordinamento scolastico sono di esclusiva competenza dello
Stato, quindi taglia alle radici quella che è stata l’aspettativa
e la proposta politica di alcuni di costruire una scuola
regionalizzata.
Sono profondamente contraria alla Scuola dell’Emilia
Romagna, della Lombardia, delle Marche, del Veneto, profondamente e
radicalmente e, per quello che mi riguarda, mi batterò perché la
Scuola rimanga ordinamento dello Stato, perché sui diritti dei
cittadini, sui diritti di fondo come quello della formazione, dell’educazione,
non ci sia esitazione alcuna.
I cardini, gli standard, i fondamenti, debbono essere comuni
e regolati dallo Stato, poi si potrà articolare l’organizzazione
scolastica legandola meglio al territorio, rendere una parte dei
contenuti della formazione più rispondenti alle esigenze del
territorio! Ma questa è un’altra cosa.
Allora, come dice la Costituzione, ordinamento scolastico
nazionale, organizzazione scolastica, organizzazione come competenza
legislativa concorrente della Regione e dello Stato. Quindi se l’organizzazione,
il sistema può essere normato dalla Regione, a questo punto gli
Organi Collegiali potrebbero trovare una risposta in una
legislazione integrata di carattere regionale.
Integrata significa che ci vogliono norme a livello nazionale
ed all’interno di queste una applicazione di carattere regionale.
Ancora, per terminare, la Costituzione afferma che la
formazione professionale tutta, la formazione e l’istruzione
professionale, sono di competenza esclusiva delle Regioni e, voi
sapete, che ciò apre un tema di grande importanza anche per la
parte dell’istruzione professionale.
Ancora, il diritto allo studio è tutto di competenza
regionale, per tutti gli ordini di scuola, dalle elementari
all'università.
E’ nostra intenzione muoverci dentro questo quadro di
riferimento; i prossimi mesi serviranno a chiarire se questa riforma
costituzionale sarà confermata dal referendum popolare.
Per quello che riguarda tutto il tema degli Organi Collegiali
noi siamo, non solo disponibili, ma interessati ad un confronto
reale con chi ha svolto fino ad ora un ruolo importante e una
presenza importante negli stessi.
Voglio fare un’ultima considerazione: gli Organi Collegiali
Territoriali sono condizionati dalla dimensione del territorio,
cioè non saranno più di carattere distrettuale, ma dovranno essere
definiti a livello provinciale ed a livello subprovinciale, sulla
base degli ambiti ottimali che saranno ridisegnati nel territorio
stesso.
Questa competenza, questo
compito, lo abbiamo delineato e definito nell’accordo
regionale che prima citavo, fissando anche tempi abbastanza
ravvicinati di lavoro.
Primo impegno sarà l’organizzazione dell’Ufficio
Scolastico Regionale, su cui come Giunta siamo chiamati ad esprimere
un parere, scadenza peraltro prossima come vi dirà il Dirigente
Scolastico Regionale; l’altra priorità è di avviare il percorso
della programmazione della nuova offerta formativa.
C’eravamo dati un tempo, entro l’anno, per definire una
proposta; ovviamente l’incertezza sull’avvio della Riforma dei
Cicli, qualche problema lo pone poiché programmare su cicli nuovi
è diverso che lavorare sull’attuale assetto;
per cui cominceremo a lavorare da subito e delineeremo gli
ambiti ottimali di riferimento.
Dentro a questa tempistica dovrebbe avere una risposta anche
l’organizzazione dei CIIS – Centri Intermedi Integrati di
Servizio, e voi sapete che mentre i CSA – Centri di Servizio
Amministrativo – saranno di carattere provinciale, i CIIS potranno
anche essere di carattere subprovinciale, più correlati ad ambiti
ottimali di offerta formativa.
Da ciò consegue che gli Organi Collegiali Territoriali
potranno avere carattere provinciale o articolazioni subprovinciali
legati a bacini ottimali di offerta formativa, quindi un’architettura
molto significativa e importante sulla quale lavoreremo.
Questo è l’impegno vero: un percorso realmente partecipato
che non vorrà dire, ovviamente, accontentare tutti perché so che
tutti chiederanno molto, ma vorrà dire ascoltare ed acquisire dai
territori gli elementi per la realizzazione di una offerta formativa
utile per i ragazzi, utile per il sistema sociale ed economico
complessivo della nostra Regione.
Consapevoli davvero che sulla sfida dell’istruzione e della
formazione si gioca il futuro delle persone, i diritti delle nostre
ragazze e dei nostri ragazzi, la loro inclusione od esclusione
sociale, il futuro economico e sociale della nostra Regione.
Una Regione come la nostra deve avere un alto livello di
formazione, di formazione culturale, un buon livello di
professionalizzazione, perché queste sono le condizioni per restare
sul mercato internazionale, dei servizi, dei prodotti, rinnovando
sia il processo produttivo, sia la qualità del prodotto offerto,
prodotto in senso stretto e prodotto in senso complessivo dei
servizi.
Dobbiamo essere consapevoli che questa è la sfida vera del
nostro futuro. Grazie.
Dott. Paolo MARCHESELLI Provveditore
agli Studi di Bologna
Un cordiale saluto a tutti gli intervenuti, in particolare un
ringraziamento ai Presidenti dei Distretti Scolastici, ai
Consiglieri, per avere avuto tanta disponibilità ad operare pur in
un contesto sicuramente non favorevole, se è vero, come penso sia
vero, che ormai da 10 anni o forse più, si chiedeva la Riforma
degli Organi Collegiali, riforma che non è venuta fino al punto,
adesso, di doverli fare nuovi perché il contesto scolastico è
enormemente mutato: per dire che, in effetti, sono stati anni di
grande difficoltà nei quali, spesso, la partecipazione ha
conosciuto momenti anche di mortificazione.
Consentitemi però, prima di dire due brevissime cose, anche
perché so di avere di fronte persone addette ai lavori, quindi
tutto il contesto in cui si è sviluppata la partecipazione, negli
ultimi anni almeno, e anche le prospettive credo siano più o meno
abbastanza chiare per tutti.
Desideravo proprio richiamare l’attenzione nostra su una
persona che da tanti anni svolge con una intensità, con una
motivazione, con una passione veramente difficili, la funzione di
Presidente di un Distretto Scolastico di Bologna, è ormai una
istituzione e mai in questi anni si è attardato su questioni di
scarso rilievo, ma ha sempre puntato l’impegno guardando avanti,
richiamando, sempre e comunque, ciascuno di noi al dovere di
credere, di potenziare il ruolo degli Organi Collegiali, ed in
particolare i Distretti Scolastici,: vi chiedo un applauso per il
dott. Tozzi.
Bene, due brevissime cose nel merito.
Penso che dobbiamo cogliere questi ritardi evidenti nell’avere
affrontato da un lato la riforma e oggi la riproposizione dei nuovi
Organi Collegiali cercando, se è possibile, di fare un minimo di
chiarezza per quanto riguarda il nuovo assetto della partecipazione
nell'ambito del sistema scolastico.
Abbiamo, da un lato il Decreto Legislativo del ’99 che
delinea, o delineava, gli assetti organizzativi territoriali, non
abbiamo ancora la bozza o la proposta di Organi Collegiali di
istituto, dei singoli istituti, quindi è bene comunque, dato che
ormai siamo in così evidente ritardo, capire se è possibile
leggere le due proposte in una lettura parallela, perché gli uni
non sono indipendenti degli altri e viceversa.
Questi Organismi territoriali della partecipazione dovranno
tenere conto, o comunque gli organismi delle singole istituzioni
scolastiche, degli Organi Territoriali anche al fine di individuare
bene i confini: guai alle sovrapposizioni che sono sempre frutto di
grande confusione, e quindi anche grande chiarezza nelle competenze.
Certo, probabilmente non poteva che essere così.
Ho molto riflettuto in questi anni; Bologna in particolare,
ma oserei dire l’intera Regione Emilia Romagna e anche gran parte
del Nord, hanno vissuto delle stagioni di grande intensità della
partecipazione, in particolare delle famiglie.
In questi ultimi anni la partecipazione delle famiglie è un
poco diminuita di intensità, di motivazioni, credo si debba porre
all’attenzione di ciascuno il tentativo forte e motivato di
riportare le famiglie nell’ambito del grande interesse
partecipativo, in particolare nei confronti delle istituzioni
scolastiche, che poi sono anche dei loro figli.
Quindi questa è la grande scommessa e il grande tentativo.
Non vi è dubbio che negli Organi Collegiali Territoriali è
marginale la presenza delle famiglie, lo si coglie dalla lettura, si
tratta di capire se la marginalità del ruolo delle famiglie in
questi Organismi territoriali viene compensata da un ruolo molto
più forte all’interno dei futuri Organi Collegiali delle singole
istituzioni scolastiche.
Qui credo che il problema sia, da un lato urgente e da un
lato complesso. E’ bene che nessuno si nasconda le difficoltà.
Non vi è dubbio che l’Organo Collegiale di
Circolo/Istituto di oggi, fino all’avvio dell’Autonomia, aveva
comunque un rapporto all’interno delle istituzioni scolastiche ed
in particolare il rapporto con il Capo di Istituto diverso, perché
è diverso il Capo di Istituto da oggi in avanti.
Oggi il Capo di Istituto è un Dirigente Scolastico chiamato
dall’Amministrazione a
raggiungere degli obiettivi, se non raggiunge gli obiettivi ci sono
le conseguenze che voi tutti immaginate, conseguenti al Decreto.
Questo problema non è assolutamente marginale.
Il Dirigente deve studiare, capire bene, quale dovrà essere
il rapporto fra un Dirigente chiamato a raggiungere obiettivi, pena
anche il licenziamento, e un Organo Collegiale che dovrà pure avere
delle competenze solide che potrebbero anche confliggere con le
responsabilità del Dirigente Scolastico, quindi questo è un grande
tema che dovrà essere affrontato con grandissima attenzione perchè,
se dopo tanti anni, dovessimo sbagliare gli Organi Collegiali delle
istituzioni scolastiche, allora davvero avremo la strada enormemente
in salita.
Dico soltanto una brevissima altra cosa. Ci sono gli Organi
Collegiali Territoriali dei quali però nessuno sa ancora quando
entreranno in funzione, quindi i Presidenti degli attuali Distretti
Scolastici dovranno rassegnarsi a rimanere in carica fino all’insediamento
dei nuovi e credo che oggi nessuno possa dire quando, ma certamente
non dal 1 settembre 2001, probabilmente dal 1 settembre 2002,
perciò i Distretti Scolastici dovranno rimanere in funzione
cercando di dare, così come stanno dando e hanno
dato, il massimo appoggio al sistema scolastico.
Ho cercato di accentuare questa brevissima riflessione sull’esigenza
di riportare all’attenzione delle famiglie la necessità di una
loro convinta partecipazione all’interno del sistema scolastico.
Colgo qualche punta di preoccupazione oggi nel rapporto
famiglia - scuola.
E’ una famiglia, giustamente e per fortuna, con un livello
culturale più alto, sicuramente medio alto: la stragrande
maggioranza delle famiglie oggi sono diplomate e laureate, quindi è
una famiglia oggi diversa, ovviamente, rispetto a quella di venti
anni fa, una famiglia giustamente più esigente, che chiede alla
scuola qualcosa di più, qualcosa di diverso, chiede alla scuola che
motivi di più, rispetto al passato, le proprie scelte, le proprie
decisioni, quindi è una famiglia più esigente dalla quale però
non possiamo prescindere per quanto riguarda il modello
organizzativo di una scuola autonoma; se la scuola è autonoma
significa che deve sapersi muovere più agevolmente sul territorio,
essere maggiormente capace di interagire con tutti i livelli
istituzionali o associativi del territorio e, in questo contesto, il
ruolo della famiglia deve essere posto al 1^ piano: ciò è
indiscutibile.
Proprio questo tentativo, in una fase in cui la comunicazione
pare svilupparsi in gran parte attraverso le nuove tecnologie, la
telematica, dalla quale non vi è dubbio, non si può prescindere,
ma credo che la scuola, il rapporto tra
famiglie e istituzione scolastica, debba essere comunque
recuperato nell’ambito di un rapporto diretto, interpersonale, che
non può essere in qualche modo, in nessun modo, tagliato fuori da
questa nuova fase della comunicazione, dell’informazione, che è
quella tecnologica, quindi credo che se oggi cogliamo
in alcuni momenti difficoltà di rapporto tra le famiglie e la
scuola, è forse anche perché in questi anni si è molto allentata,
da parte della famiglia, l’attenzione partecipativa all’interno
della scuola, così come forse in alcuni casi la scuola non ha
aiutato fino in fondo la partecipazione della famiglia.
Quindi c’è un ripensamento generale che deve essere fatto
da parte delle istituzioni autonome, da parte delle famiglie, da
parte delle associazioni dei genitori, nella consapevolezza che solo
riscoprendo questa nuova stagione, questa nuova modalità di
partecipazione della famiglia all’interno di nuovi Organi
Collegiali chiari, ben definiti nelle competenze, nelle funzioni,
solo così si possa dare un ulteriore contributo, quel valore
aggiunto che può venire solo dalle famiglie, all’autonomia.
INTRODUZIONE
Angelo CERVATI Presidente del
Coordinamento Nazionale dei Distretti Scolastici
Registro con piacere una presenza a questo incontro
qualificata e numerosa. E’ per me conferma del fatto che vale la
pena di lavorare sui temi in oggetto perché sono sentiti,
supportati e trovano pertanto una forte determinazione nel volere
affrontarli, ricercandone la migliore soluzione.
Nel merito sarò breve.
Come al solito mi piace sottolineare tre, quattro punti che
mi interessano veramente. Oggi sono qui per sentire le persone che
sono sedute a questo tavolo, a cui va il mio saluto e
ringraziamento.
Nel momento in cui, come Coordinamento Nazionale, abbiamo
scelto di sviluppare una serie di iniziative a livello regionale e
locale, dopo avere fatto una serie di Convegni Nazionali, partendo
dal ’94, passando attraverso tutti i Ministri, tutti i
Sottosegretari, e tutti quanti hanno assicurato, proposto e detto
qualche cosa ma, come si suole dire, “stringi, stringi, stringi
poca polpa”. Mi auguro di riscontrare qui una inversione di
tendenza.
Oggi ci troviamo in un momento nel quale la cultura del
territorio può esprimersi veramente.
Se parliamo di territorio, parliamo di una serie di
tradizioni, di volontà, di ricerca, che devono dare un contenuto e
quindi, sempre di più, essere un supporto culturale, reale,
riscoprendo le radici di un determinato ambiente, di un determinato
territorio.
Siamo in una Regione talmente avanti sul piano sociale che,
sembra quasi inutile sottolinearlo, la realtà è che la
partecipazione qui non è un optional, qui è una cosa viva, ma
è un fatto che deve avere riscontro anche nelle Leggi, nei
Decreti Legge, ecc. a tutti i livelli, non solamente affermazioni di
principio, ma individuare proposte di sostanza.
E’ importante, ad esempio, valorizzare il tema della
famiglia, ma è altrettanto importante vedere quale è il reale
spazio che la famiglia ha.
Nella attuale situazione è difficile trovare un equilibrio;
non entro nel merito perché so che il collega Bisson su questo
piano svilupperà molto, molto bene come suo solito, tutta la
tematica.
Traccio però alcune sottolineature.
Come Distretti, come Coordinamento, abbiamo sempre sostenuto
che il territorio deve essere caratterizzato da quelle peculiarità
che prima sostenevo: ambiente, territorio, cultura non devono essere
sottoposti a forzature che sostanzialmente non rispettano e
snaturano la realtà nella quale ci si muove; diventerebbe assurdo
mettere, come invece viene proposto, per esempio a Napoli, Ischia
con Pozzuoli: c’è di mezzo un pezzettino di mare!
E’ chiaro, pertanto, che gli ambiti territoriali dovranno
essere designati in un certo modo, con certe caratteristiche
originali e rispettare l’ambiente culturale compatibile e
facilmente operativo.
Inoltre, come Coordinamento Nazionale fino dal ’94 abbiamo
sempre detto che il Consiglio del Distretto, del nuovo Consiglio
Scolastico Locale, deve avere una reale rappresentanza.
Non è tanto importante il numero, anche se la logica direbbe
il più contenuto possibile, ma che sia realmente rappresentativo di
un determinato territorio, creando realmente un collegamento tra gli
operatori della scuola e le altre agenzie, ma soprattutto questo
Consiglio, l’abbiamo sempre sottolineato e lo continueremo a dire,
non può essere messo sotto tutela di nessuno!
Deve essere un Consiglio che, avendo tutte le componenti al
suo interno, deve eleggere i propri Organi operativi al suo ambito
perché solo così possiamo avere la possibilità concreta di
discutere alla pari con i vari interlocutori.
Quello che è sempre mancato a questi Organi Collegiali è
stata l’assenza di una autonomia anche finanziaria.
E’ indubbio quindi che devono avere anche strumenti per
potere operare.
Respingo qui con forza, ad un eventuale mittente, l’assioma
che “gli Organi Collegiali sono stati un fallimento”. Viva Iddio
non gli avete dato soldi, non gli avete dato strutture, non gli
avete dato possibilità di muoversi, li avete strangolati da tutte
le parti, le competenze che aveva le avete date ad altri. Mi
domando: “ma che cosa volete?”. Mi hanno insegnato che se voglio
coinvolgere una persona gli devo dare da fare qualche cosa, la devo
mettere in condizioni di operare.
Quindi i nuovi Organi Collegiali dovranno essere una
struttura veramente credibile, veramente operativa, riscoprendo
anche tutte le capacità e le professionalità che all’interno di
questo organismo si sono manifestate.
Intendiamoci bene, il nostro Coordinamento è andato avanti
su due piani, il piano sì dei Presidenti, ma soprattutto è andato
avanti con il lavoro fattivo di chi all’interno del Distretto
lavorava ed in alcuni casi creando situazioni anche di supplenza.
E’ evidente che l’esperienza, la professionalità che si
manifesta, deve essere rivalutata, lo sottolineo, lo presento alle
OO.SS. da sempre, spero che lo recepiscano.
Concludo con questa annotazione e ritorno ancora al discorso
della partecipazione.
La partecipazione non ci può essere se non c’è volontà
da parte di tutti di creare veramente un rapporto di collaborazione
su cose concrete da fare, su spazi obiettivamente condivisi e
originalmente disegnati.
Questi Organi Collegiali devono avere delle funzioni ben
precise e gli strumenti per poterle realizzare, altrimenti,
diciamolo fuori dai denti, sono tutte chiacchiere.
Concludo ringraziando Tozzi ed i colleghi dell’Emilia
Romagna che hanno promosso questa iniziativa, tutti i colleghi
presenti e posso assicurare una cosa: le iniziative che abbiamo
messo in cantiere oggi possono trovare un momento di riferimento
veramente importante ma, comunque sia, finchè abbiamo fiato,
operiamo. Grazie.
RELAZIONI
Dott. Giovanni BISSON Coordinatore
Nord Italia dei Distretti Scolastici
“In
un ambito territoriale funzionale: l’Istituzione scolastica e i
suoi dintorni”
A CAPELLO DELLA “CULTA
BONONIA”
E’ ormai da qualche anno che, sul tema che ci propone
questo Convegno, i Presidenti dei Distretti Scolastici, a loro
rischio, mi affibbiano il ruolo di “grillo parlante”.
Tenterei allora, in questa occasione, di riscontrare quale
spazio – allo stato – ci sia ancora per il “buon senso” con
il quale, unitariamente con i colleghi abbiamo ritenuto di
argomentare le nostre proposte; e quanto invece, a nostro modesto
avviso, di opportuno e utile – nel rapporto scuola/società –
possa rischiare di venire spiaccicato dal maglio scagliato da
Pinocchio.
A capello mi sia consentito ricordare che i responsabili dei
Distretti Scolastici, per primi, hanno aperto la partita sull’esperienza
degli Organi Collegiali, senza nascondere alcuna carta. Cioè con la
consapevolezza che tali Organi, nati nel maggio del 1974 e che,
dunque tra due giorni compiranno 27 anni, per riguadagnare efficacia
ed efficienza dovevano essere riformati; o, specie con riferimento
ai Distretti Scolastici così come andavano riducendosi, soppressi.
Chiedendo, peraltro, che il giudizio sull’esperienza fosse
storicamente e culturalmente corretto. Discorrendone oggi in questa
città, già da Marziale nomata “culta bonomia”, sono sicuro che
ciò sarà possibile.
Si vuol dire che forse non è irreprensibile la conclusione
“chiudiamoli perché non hanno funzionato”.
Si vuol dire che forse è un po’ epidermico l’assioma “la
sempre più scarsa frequenza delle componenti ne dimostra l’inutilità”.
Così non si vedono le vere cause che hanno portato al
progressivo disarticolamento dei Distretti Scolastici:
-
i compiti
genericamente enciclopedici che, nell’attivazione, potevano creare
due tensioni: con la struttura didattico-amministativa da un lato e
con gli organismi di sintesi politica generale (gli Enti Locali)
dall’altro;
-
compiti per i
quali, in ogni caso, non si davano riconoscimenti cogenti: o che
sono stati ignorati come, in molte realtà, nel recente caso del
nuovo dimensionamento delle istituzioni scolastiche, sorvolando
sulla referenza che l’art.
12 del D.P.R. 416 dà ai Consigli Scolastici Distrettuali, nei
confronti del Provveditore, della Regione, degli Enti Locali, per
quanto di rispettiva competenza, “per tutto ciò che attiene alla
istituzione, alla localizzazione ed al potenziamento delle
istituzioni scolastiche, nonché all’organizzazione ed allo
sviluppo dei servizi e delle strutture relative, anche al fine di
consentire unità scolastiche territorialmente e socialmente
integrate”;
-
compiti sui quali
si è via via consentita e finanziata ogni incursione da parte di
altri soggetti: non solo per le sperimentazioni, ma anche per i
corsi di scuola popolare e di istruzione permanente; non solo per i
servizi all’assistenza scolastica ma anche per quelli di
orientamento. Per questi ultimi, anzi, si è ignorato quasi
dappertutto perfino il recupero di coinvolgimento tentato dal
Ministero con una specifica direttiva: quella che impegnava i
Provveditori a promuovere anche con i Distretti gli “osservatori d’area”
per i servizi territoriali di orientamento e negli interventi di
sostegno. Tant’è che uno dei quesiti posti nell’ultimo Convegno
di FARE SCUOLA (Milano 7-8 novembre 2000) si intitolava appunto ”che
fine ha fatto la direttiva 487?”.
-
compiti per i
quali non potevano nemmeno più reggere la concorrenza perché,
infine, venivano via via strangolati nelle disponibilità
finanziarie.
Ecco, allora, dei Distretti Scolastici gradatamente
ricacciati in spazi residui e, nella lunga penisola, in alcune
attività fatalmente diversificate; senza, cioè una visibilità
omogenea e caratterizzante.
Perché meravigliarsi allora del disamoramento delle
componenti chiamate ad amministrali se oggi dovrebbero riunirsi più
di 50 persone in ognuno dei 700 Distretti per gestire, ciascuno,
quattro milioni di contributo ordinario?
Erano stati dotati, è vero, di un consiglio elefantiaco,
varato in un tempo in cui si confondeva una qualificata
partecipazione con l’assemblearismo. Ma è altrettanto vero che
dopo avere costruito l’organismo non gli si è più data la dovuta
struttura operativa.
Per
i collaboratori o assistenti amministrativi c’è sempre stata la
provvisorietà; non è mai stato istituito un organico; hanno
dovuto, spesso e senza riconoscimento, svolgere mansioni superiori
al loro livello: dei paria senza tutela che, tuttavia, maturano
esperienza e professionalità. E che ora, in molti casi, a seguito
del ridimensionamento delle istituzioni scolastiche, si vedono
rispediti nelle segreterie delle scuole per fare posto nei Distretti
agli eventuali
Direttori Amministrativi sopra numerari o si vedono preferiti dai
docenti utilizzati ex art. 113. Non voglio esprimere giudizi sul
patrocinio dato loro dai sindacati; so, però, che questo personale
non chiede l’elemosina di un privilegio: chiede che gli venga
riconosciuto il lavoro svolto; e chiede, per il futuro, di essere
messo alla prova, di non essere escluso dai corsi di formazione, di
essere, a domanda, riutilizzato nei futuri Consigli Scolastici
Locali ai quali possono garantire la continuità dell’esperienza
acquisita.
Se, però, tali Organi Collegiali ci saranno e avranno un
ruolo.
LA PREGHIERA DI TOMMASO MORO
Perché in ogni caso, siamo al dunque.
Ammessa, infatti, per buona la rivisitazione della causa di
una crisi, questa resta.
Resta anche al di là delle tante cose che, nonostante tutto,
nelle diverse realtà territoriali i Distretti sono riusciti a fare
con la collaborazione delle Scuole e degli Enti Locali. E’, almeno
questo, un riconoscimento dovuto alle decine di migliaia di
volontari che li hanno amministrati tenendo accesa “senza olio,
controvento” la lucerna della partecipazione dell’hinterland
sociale di un determinato territorio intorno alla scuola.
Ed ora, se non si crede ai risultati di un rapporto del
Censis, i cui dati rilevano fiducia (bassissima) e indifferenza
(altissima) degli italiani per la scuola - “perché tenuta fuori
dalla scuola, la società civile nel suo complesso manifesta una
bassa sensibilità verso problematiche educative” - gli epigoni
che hanno creduto nei principi dell’art. 9 del D.P.R. fondante i
vecchi Organi Collegiali possono essere mandati a casa: siccome, per
l’erario, hanno operato a costo zero, non c’è nemmeno l’onere
della liquidazione.
Anche se si pensa ad una scuola meramente autoreferenziale è
meglio non rianimare soggetti territoriali di collegamento con i
suoi dintorni socio-culturali.
Ne sortirebbe una scuola forse non più centralizzata, ma con
una nuova escludente verticalizzazione (Ministero-Maneger-Dirigenti
delle istituzioni scolastiche), con la sola interfaccia delle
istituzioni (Regioni-Province-Comuni): cioè strutturalmente
democratica, ma non compiutamente partecipata.
Questa può essere la posizione di chi bada all’apparato e
crede, cioè, che l’efficienza della scuola si esaurisca nel
rapporto, sicuramente fondamentale, ma non esclusivo, tra potere
tecnico e potere politico.
C’è, invece, chi, come noi, preferisce la curiosa
preghiera composta da Tommaso Moro, prima che lo statista ed
umanista inglese del ‘500 venisse decapitato per non avere
approvato lo scisma anglicano “Signore, diceva, dammi una buona
digestione, ma naturalmente, anche qualcosa da mangiare!”
Dunque, oltre l’apparato, non va mortificata l’applicazione
del “combinato disposto” dall’art. 3 (partecipazione) e dall’art.
5 (decentramento e autonomia) della Costituzione che vuole, cito
Luciano Corradini, accanto agli enti istituzionali “enti di
servizio” o “aggregazioni di scopo” con la finalità di
rendere sempre più proficuo il sistema formativo: cioè sempre più
efficace (non solo efficiente) perché più vicino, secondo una
distanza ottimale, ai destinatari e alla società civile.
Dunque si deve risolvere e superare uno stato di crisi
funzionale degli Organi Collegiali della scuola ancora motivati da
validi principi.
Il Governo ne ha delega nel marzo del ’97, con la legge n.
59, per emanare entro un anno “un decreto legislativo di riforma
degli Organi Collegiali della Pubblica Istruzione di livello
nazionale e periferico”. -
Alla scadenza dell’anno dato esce, marzo ’98, il D.L. 112 che
conferisce, tra l’altro, alle Province, in relazione all’istruzione
secondaria superiore, e ai Comuni, in relazione agli altri gradi
inferiori della scuola, il compito della costituzione, il controllo,
la vigilanza, ivi compreso lo scioglimento, sugli Organi Collegiali
scolastici a livello territoriale.
E’ una anticipazione dei compiti venturi da regolamentare.
Ed, infatti, il 30 giugno del ’99 ecco il decreto legislativo 233
di “riforma degli organi collegiali territoriali della scuola”,
rinviando, quindi, la riforma di quelli di istituto.
La coerenza con i principi è, nelle premesse, salvaguardata:
-
la delega al
Governo (L. 59/97) era per un decreto legislativo “che tenga conto
della specificità del settore scolastico, valorizzando l’autonomo
apporto delle diverse componenti”
-
e il primo comma
dell’art. 1 del decreto legislativo 233/99 appare conseguente: “nel
sistema scolastico nazionale, si legge, gli organi collegiali
disciplinati dal presente decreto legislativo assicurano a livello
centrale, regionale e locale, rappresentanza e partecipazione alle
componenti della scuola ed ai diversi soggetti interessati alla sua
vita, alla sua attività e ai suoi risultati”.
Ma qui, come vedremo, le successive articolazioni non
sembrano del tutto coerenti.
L’impianto dei livelli invece, se davvero si intendono
superati i Provveditorati per cui appare consecutivo lo scioglimento
dei Consigli Scolastici Provinciali, sembra condivisibile, con:
-
il Consiglio
Superiore della Pubblica Istruzione al posto del Consiglio Nazionale
-
i nuovi Consigli
Regionali dell’Istruzione
-
i Consigli
Scolastici Locali in sostituzione dei Distretti.
Riformati Organi che dovrebbero essere costituiti entro il
prossimo 1° settembre.
IN ATTESA DELLE GLOSSE DI
IRNERIO
Il Vicepresidente Dr. Mario Guglietti ci dirà, credo,
perché il Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione ha ritenuto
tale decreto nella sua stesura complessiva, non coerente con le
linee di riforma degli Organi Collegiali Territoriali dallo stesso
auspicate.
In occasione dell’ultimo congresso dell’ANCI
svoltosi a Verona abbiamo raccolto la preoccupata incertezza
applicativa della norma da parte dei Comuni per i Consigli
Scolastici Locali.
In diverse sedi è stata espressa la “valutazione critica e
negativa” della associazioni dei genitori.
Ed anche qui devo motivare in nome della nostra esperienza,
le richieste di modifica del decreto e/o, in attesa di queste,
tentarne una proposta di attivazione che, a nostro avviso, sia
comunque razionale ed utile.
Circa il nuovo Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione
sentiremo poi l’autorevole opinione del Dr. Mario Guglietti. Mi
limito ad esprimere la sensazione che compiti e composizione lo
prefigurino più come un mero organo tecnico a latere del Ministro
piuttosto che la garanzia dell’unitarietà del sistema nazionale
dell’istruzione; con una rappresentanza assai ridotta di Regioni
ed Enti Locali visti i compiti e le funzioni ad essi trasferiti in
materia scolastica; con la totale esclusione delle rappresentanze
dei genitori; con metà dei 36 componenti nominati “arbitrio
suo” dal Ministro.
Per i Consigli Regionali dell’Istruzione il decreto di
riforma
-
ne prevede l’istituzione
presso gli uffici periferici regionali dell’amministrazione della
P.I.;
-
indica
compiti di pareri obbligatori in materia di autonomia delle
istituzioni scolastiche, di attivazione delle innovazioni
ordinamentali, di distribuzione dell’offerta formativa e di
integrazione tra istruzione e formazione professionale, di
educazione permanente, di politiche comprensive, di reclutamento e
mobilità del personale, di attuazione degli organici di istituto
sui provvedimenti relativi al personale docente;
-
prevede un
consiglio costituito dai Presidenti dei Consigli Scolastici Locali e
da componenti del personale della scuola eletti fra quello che già
compone i Consigli Scolastici Locali.
Qui ci pare giusto osservare come ci sia un ruolo invasivo
sull’autonomia delle istituzioni scolastiche e sui compiti
delegati a Regione ed Enti Locali specie per l’offerta formativa e
l’integrazione tra istruzione e formazione professionale, tanto
più che, in esso, non è prevista alcuna rappresentanza della
Regione e degli Enti Locali.
E’ evidente poi, data la composizione, la caratterizzazione
di un Consiglio senza la partecipazione del sociale e dei genitori.
Autoreferenzialità che non sarà corretta dalla presenza dei
Presidenti dei Consigli Scolastici Locali che, data la composizione
dei consigli di tali organi, a larghissima maggioranza di operatori
scolastici, saranno anch’essi in maggioranza di estrazione
scolastica.
Per i Consigli Scolastici Locali, infine, la riforma:
-
prevede che siano
istituiti in corrispondenza delle articolazioni territoriali dell’amministrazione
periferica previa intesa con le Regioni e gli Enti Locali;
-
ne indica il
ruolo in competenze consultive e propositive per l’amministrazione
scolastica e periferica, le istituzioni scolastiche autonome e gli
Enti Locali in merito all’attenzione dell’autonomia, all’organizzazione
scolastica sul territorio di riferimento, all’edilizia scolastica,
alla circolazione delle informazioni, alle reti di scuole, all’informazione,
alla distribuzione dell’offerta formativa, all’educazione
permanente, all’orientamento, alla continuità trai vari cicli
dell’istruzione, all’integrazione degli alunni con handicap, all’attuazione
del diritto allo studio, all’adempimento dell’obbligo di
istruzione e formazione, al monitoraggio degli obblighi formativi,
al censimento delle opportunità culturali e sportive offerte ai
giovani;
-
prevede un
consiglio di una trentina di componenti, in maggioranza eletti dal
personale scolastico con 3 rappresentanti dei genitori, 3 degli
studenti, 2 della Provincia, 3 dei Comuni interessati;
-
obbligatoria la
presenza del funzionario dell’ufficio scolastico periferico
competente o di suo delegato;
-
prevede che il
consiglio elegga un suo presidente, ma la giunta esecutiva è
obbligatoriamente presieduta dal predetto funzionario;
-
prevede che siano
gli Enti Locali ad attivarli: il singolo Comune se l’ambito
territoriale dell’organo coincide con quello comunale, e la
Provincia nel caso che l’organo comprenda più comuni;
-
con oneri a
proprio carico ciascun Comune può istituire un ulteriore organo
riferito al suo territorio o anche per settori scolastici
Per questa parte del decreto, specie per quanto riguarda il
tipo di Consiglio Scolastico Locale da attivare, occorrerebbe
Irnerio, quel giureconsulto che alla fine dell’undicesimo secolo
è il fondatore della scuola di diritto di Bologna, famoso per le
glosse con cui spiegava l’esatto significato dei termini usati dal
legislatore. Ma anche a noi pare consentito di potere osservare:
-
che i compiti
sono di mera consulenza e proposta senza prevedere almeno l’obbligo,
per i referenti, di giustificare le eventuali scelte difformi;
-
che la
composizione del Consiglio è autorefernziale: il decreto ignora “che
uno degli snodi principali per la riuscita del processo di
attuazione dell’autonomia è quello della partecipazione dei vari
soggetti, interni od esterni all’istituzione scolastica. Si deve
avere la convinzione che la partecipazione ed il raccordo tra le
diverse competenze costituisca un valore e non un intralcio
operativo”;
-
che, invece, sono
di intralcio, in un Organo come questo, le due presidenze distinte
del Consiglio e della Giunta, con quest’ultima
antidemocraticamente predeterminata nella presidenza burocratica;
-
che non è
previsto nessun ruolo di supporto operativo rispetto alle competenze
date agli Enti Locali per la scuola che, specie per i comuni
medio-piccoli, potrebbero avere nell’organo un riferimento per
gestirle in forma associata;
-
che confusa è,
poi, l’ipotesi del dimensionamento territoriale di tali organi,
con il rischio di divaricazione tra articolazioni dell’amministrazione
periferica della P.I. (quale?) e ambiti territoriali funzionali al
miglioramento dell’offerta formativa che devono essere determinati
dalla Regione;
-
che, come a suo
tempo scriveva il Prof. Massenti, “è pericolosissima la
possibilità di istituire da parte del singolo Ente Locale organi
collegiali di proprio interesse” in quanto:
·
contraddice le
indicazioni relative alla eliminazione delle duplicazioni
organizzative e funzionali;
·
non si precisa
che l’ambito territoriale di riferimento è diverso e compreso all’interno
di quello su cui è costituito il C.S.L., contraddicendo così il
principio della sussidiarietà;
·
non si precisa
che le materie affidate a tale organo sono distinte rispetto a
quelle attribuite agli organi collegiali scolastici, lasciando così
spazio a conflittualità, equivoci e polemiche;
·
non si prevedono
criteri di costituzione e modalità di funzionamento lasciando così
spazio ad un possibile
uso strumentale di un organismo che sarebbe più corretto chiamare
“commissione di studio” e non strumentalmente e in modo equivoco
“organo collegiale”.
VIDEANT CONSULES NE QUID RES PUBLICA DEPRIMENTI
CAPIAT
Ciò constatato sembrerebbe utile e produttivo utilizzare,
prima dell’entrata in vigore della riforma, la facoltà data dal
decreto al Ministro della P.I. di predisporre proposte di modifica
dell’organizzazione, della composizione e dei compiti degli Organi
Collegiali Territoriali, senza attendere però, come dice la norma,
una sperimentazione che allo stato di proposta appare già così
discutibile.
Sembrerebbe, inoltre, razionale strutturare i nuovi Organi
Collegiali territoriali insieme a quelli interni alle istituzioni
scolastiche – interfacciandone i ruoli – la cui riforma, invece,
allo stato, è rinviata.
Ma, soprattutto, come ricalibrarli nell’organizzazione,
nella composizione e nei compiti come se nel frattempo gli Enti
Locali li avessero attivati, in modo disomogeneo a macchia di
leopardo sul territorio, secondo l’attuale stesura del decreto?
Se così non si volesse rimediare c’è la scadenza del
prossimo primo settembre.
Che fare?
Potremo cavarcela, noi Presidenti “scadenti” – con un
“videant consules”: e cioè le Regioni, gli Enti Locali, le
Direzioni degli Uffici Scolastici Regionali.
Scadenti, ma non indifferenti, auspichiamo, invece, per i
consoli, con la sola presunzione dell’esperienza, una scelta “ne
quid res publica deprimenti capiat”.
I dati di partenza sono:
-
i Consigli
Scolastici Locali sono istituiti in corrispondenza delle
articolazioni territoriali dell’amministrazione periferica previa
intesa con le Regioni e gli Enti Locali
(art.5 D.L.vo 233/99);
-
ma anche le
Regioni hanno il compito di suddividere il territorio regionale
in ambiti funzionali al miglioramento dell’offerta formativa
(art. 138 D.L. 112/98) in concertazione con gli Enti Locali (art. 3
D.L. 112/98).
Come è possibile coordinare, in razionale sussidiarietà, le
due competenze?
-
l’art. 6 del
decreto del Presidente della Repubblica del 6 novembre 2000, n. 347
(“Regolamento” recante norme di organizzazione del Ministero
della P.I.), istituisce gli Uffici Scolastici Regionali;
-
e (comma 2° di
tale art. 6) “l’Ufficio Scolastico Regionale, sentita la
Regione, si articola per funzioni e sul territorio”.
Sembra, allora, questo il momento di far coincidere ambiti
funzionali (Regione) e articolazioni dell’amministrazione
periferica della P.I., al fine di attivare, nel medesimo ambito
territoriale, una coordinata, efficiente cooperazione tra diversi
soggetti e servizi.
-
E’, poi,
decisivo che l’articolazione territoriale sia non solo
unitariamente ma anche originalmente definita, non meramente
sovrapposta ad altra eventualmente preesistente – quale bacino di
utenze per un compito servizio di istruzione e formazione in un
comprensorio con particolari caratteristiche geofisiche, sociali,
economiche e di interelazione. Dunque con articolazioni particolari
per le città e con articolazioni subprovinciali corrispondenti alle
caratteristiche che assimilano un determinato comprensorio.
-
Per la
prefigurazione di questo quadro, è importante la preparazione da
parte delle Province (sentiti i Comuni) della loro proposta di
dimensionamento territoriale da portare alla concertazione con la
Regione.
La coincidenza territoriale fra gli ambiti funzionali al
miglioramento dell’offerta formativa di competenza della Regione
(art. 138 del D.L. 112/98) e le sue articolazioni territoriali dell’Amministrazione
Periferica della P.I. (art. 6 – comma 7 – D.P.R. 347/2000)
consentirebbe in tali aree di:
-
razionalizzare l’offerta
formativa integrata tra istruzione e formazione professionale;
-
razionalizzare il
dimensionamento ottimale delle istituzioni scolastiche autonome in
conseguenza del riordino dei cicli scolastici;
-
attivare Centri
di formazione e servizi;
-
far operare gli
Osservatori d’area;
-
costituire i
Consigli Scolastici Locali;
-
programmare, in
sussidiarietà, con conferenze di servizio, programmi e progetti di
ausilio e servizio al potenziamento dell’autonomia;
-
prevedere la
possibilità dell’esercizio associato dei compiti e delle funzioni
degli Enti Locali per la scuola con progetti finalizzati
utilizzando, quale supporto operativo, i Consigli Scolastici Locali.
ASCOLTANDO JOHN STUAR MILL
Così, in un determinato territorio, si coordinerebbe la
sussidiarietà intorno al servizio del sistema scuola.
Così, superando le separatezze, anche i futuri Consigli
Scolastici Locali saranno dei partner degli Enti e delle
Istituzioni, efficaci ed efficienti, convogliando i dintorni della
scuola al servizio del sistema formativo.
Laddove l’ambito territoriale non coincida con la
dimensione di un solo Comune (può essere il caso di una città dove
la competenza è dell’amministrazione comunale), ma comprenda più
Comuni, le Province provvedono alla costituzione, al controllo ed
alla vigilanza dei Consigli Scolastici Locali.
Va chiarita l’interpretazione del ruolo dei promotori di
tali Organi Locali a proposito della facoltà di scioglimento.
Si è già ricordato che, come prevede la norma, i Consigli
Scolastici Locali devono essere costituiti quali premessa per la
composizione dei Consigli Scolastici Regionali dell’Istruzione.
Dunque la facoltà di scioglimento può riferirsi
esclusivamente ai Consigli Scolastici Locali che, dal controllo,
risultino inadempienti e che, perciò, vanno sostituiti.
Mi sia consentita un’ultima insistenza.
L’art. 138 del D.L. 112/98 prevede, al 2° comma, che al
fine di favorire l’esercizio associato delle funzioni dei Comuni,
le Regioni ne individuino livelli ottimali di gestione stimolandolo
con appositi strumenti.
Per la Scuola, con l’art. 139 di tale decreto, si
trasferiscono agli Enti Locali competenze che, per le dimensioni
medio-piccole della maggior parte dei Comuni, non possono essere
efficacemente esercitate singolarmente per costi e carenze
strutturali. Tanto più che, con i nuovi dimensionamenti delle
istituzioni scolastiche autonome, queste – nelle realtà
medio-piccole – non sono ora, quasi mai, al servizio dell’utenza
di un solo Comune.
Ecco allora che, per il tramite di Conferenze di Servizio,
coordinate dalle Province, i Consigli Scolastici Locali possono
essere di supporto operativo per progetti finalizzati attuativi
delle competenze degli Enti Locali, esercitate così in forma
associata.
Tali Consigli Scolastici Locali possono, inoltre, essere
utilizzati come tramite di particolari iniziative della Regione e
delle Province per il miglioramento dell’offerta formativa
integrata e per il monitoraggio permanente dello stato e delle
prospettive del servizio scolastico-professionale in un dato
comprensorio.
In tale modo si supera di fatto l’insufficienza del ruolo
dato a questo Organo Collegiale territoriale, dal decreto di
riforma, riconducendolo al parere (inascoltato) del Consiglio
Nazionale della Pubblica Istruzione del 22 maggio 1999: “Gli
Organi Collegiali territoriali devono, per un verso, favorire il
raccordo della scuola con la società e, per un altro, assicurare
visibilità e specificità alla sua azione sociale e culturale,
promuovendo forme stabili di raccordo tra l’offerta e la domanda
formativa”.
Ci siamo permessi di dire ai consoli, in libertà e
ragionando, le nostre opinioni.
Ora i consoli decidano: noi speriamo per una struttura
orizzontale, interistituzionale, intermedia,
davvero operativa; quindi anche strumentalmente dotata.
Noi speriamo che nel farlo abbiano presente un passo della
“Libertà” scritto (1854) da John Stuar Mill quando vede nelle
articolazioni di partecipazione “un
ingrandimento della persona
umana” e che “senza istituzioni locali e senza partecipazione
alla loro vita delle persone, una nazione può darsi un governo
libero, ma non lo spirito della libertà”.
Dott. Mario GUGLIETTI Vice
Presidente del Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione
“Territorio
decentrato – Partecipazione”
Intervenendo nella mia recente veste di Vicepresidente del
Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione, preannuncio che le
mie riflessioni avranno come riferimento principale le posizioni
emerse dal dibattito all’interno del Consiglio Nazionale stesso in
occasione dei numerosi pronunciamenti espressi, sia sotto forma di
pareri richiesti espressamente dall’Amministrazione, ovvero di
pronunce di nostra autonoma iniziativa ed anche pareri sui
provvedimenti normativi di vario rango.
Mi riferisco a quelli di rango primario, alle disposizioni
legislative, ma soprattutto ai numerosissimi provvedimenti di
delega, contenuti appunto nella Bassasini, per l’attuazione dell’art.
21 concernente l’autonomia delle istituzioni scolastiche,
provvedimenti che hanno caratterizzato la straordinaria stagione
riformatrice della decorsa 13^ legislatura.
Gli argomenti di questa mia comunicazione riguardano
esplicitamente tre importanti questioni che investono il dibattito
socio culturale, quello istituzionale e ordinamentale: territorio,
decentramento, partecipazione.
Su di essi intendo fissare l’attenzione, avendo anche
ricevuto, contestualmente all’invito a partecipare a questa
iniziativa, il documento elaborato dal Coordinamento Regionale dei
Distretti, sul quale il relatore che mi ha preceduto ha basato il
suo prezioso intervento, ricco di sollecitanti riflessioni.
In tale documento emergono analisi puntuali e rigorose, come
quelle che sono state riproposte, osservazioni e rilievi motivati e
condivisibili: sono stati individuati carenze, punti deboli,
proposte emendative, ragionevoli convincenti. Quindi, quando il
professore mi ha invitato, a riferire, quale Vicepresidente del
Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione, le posizioni dell’Organo
che presiedo, in effetti ho notato con piacere che molte delle
osservazioni, molte delle riserve espresse a suo tempo dal Consiglio
stesso, hanno trovato riscontro nella analisi più tecnica,
naturalmente più incardinata nella realtà locale, che il
Coordinamento Regionale dei Distretti è stato in grado di fare.
Rispetto a certe contingenze immediate vorrei precisare
alcune cose, con particolare riferimento alla ventilata, ma ormai
certa prospettiva di un rinvio di fatto dell’avvio del nuovo
ordinamento, perché non esiste la possibilità che i nuovi
Organismi Collegiali previsti dal DPR. 233 possano avere inizio con
l’avvio del prossimo anno scolastico, cioè dal 1^ settembre 2001,
stanti le tante ragioni ostative, alcune delle quali proprio di
natura oggettiva.
Mi limito a fare due precisazioni sicuramente necessarie,
sollecitato a ciò da alcune richieste che arrivano da ogni dove all’Ufficio
del Vicepresidente del Consiglio Nazionale della Pubblica
Istruzione, perché tante sono le perplessità insieme alle
sopravvenute difficoltà operative. La risposta a tali richieste sta
nel ribadire la validità formale e sostanziale della funzione degli
organismi in carica. Infatti abbiamo precisato come Ufficio di
Presidenza, che non è necessario nessun provvedimento formale di
proroga in quanto, come affermato poco fa, la proroga è nel
contesto legislativo, come chiaramente si evince dal D.P.R. 233 che
prevede esplicitamente che, fino all’insediamento dei nuovi Organi
Collegiali, restano in carica quelli attualmente esistenti e ciò
vale per il Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione, per i
Consigli Scolastici Provinciali e per i Consigli Scolastici
Distrettuali.
Alla luce di tali considerazioni, abbiamo considerato
inopportuna, intempestiva, incongrua, una direttiva, contenuta in
una circolare in via di emanazione, che invita a chiudere le partite
finanziarie e i bilanci. Per quel che ci riguarda siamo decisamente
dell’avviso che non si deve chiudere niente, perché la chiusura
di tutte le partite sarà in funzione della previsione dell’entrata
in vigore dei nuovi organismi. Quindi bisogna andare avanti
tranquillamente e quanti operano in tali Organi Collegiali faranno
quel che potranno con le consuete difficoltà, con le note denunce,
con le note carenze.
A commento, è evidente l’intempestività con la quale
agisce l’Amministrazione che sta vivendo una oggettiva fase di
riorganizzazione che forse è ancora più difficoltosa di quello che
sta avvenendo a livello regionale, dove invece sembra che le cose
vadano molto più spedite e molto più razionali di quanto non stia
avvenendo a Viale Trastevere, cioè nella sede del Ministero della
Pubblica Istruzione.
L’altro elemento è che gli Uffici Amministrativi del
nostro Ministero, ed in particolare la Direzione Generale nella
quale era incardinato l’Ufficio del Consiglio Nazionale, ha già
provveduto a redigere un testo, una bozza di ordinanza sull’indizione,
l’espletamento delle elezioni per il rinnovo di questi Organi
Collegiali. Questa bozza, già elaborata all’inizio dell’anno,
è stata inviata all’Ufficio legislativo, che, ricordo, è una
struttura incardinata nell’Ufficio di Gabinetto, con un ruolo
sostanzialmente politico, nel senso che si deve pronunciare sulla
coerenza, sulla congruità, sui tempi, ecc., ma a tutt’oggi, dai
referenti politici di tali Uffici, non è venuto nessun assenso all’impianto
della bozza di ordinanza e quindi, tenuto presente il meccanismo
elettorale che dovrà presiedere all'istituzione di questi nuovi
organismi, è del tutto evidente che sono ormai fatalmente e
vanamente decorsi tutti i tempi tecnici per realizzare
quell'obiettivo che il legislatore aveva previsto.
Nel nostro caso, il legislatore secondario, che doveva
emanare il Regolamento sotto forma di D.P.R.
Come voi sapete il meccanismo elettorale, che si voleva
attivare, prevedeva le cosiddette elezioni di secondo livello, di
seconda istanza, un meccanismo sicuramente di snellimento delle
procedure, ma che dà un colpo mortale alla esigenza di un’ampia
partecipazione alla base della scuola e della sua comunità.
Su questo disegno, che intende introdurre i grandi elettori,
è partita un’altra censura del Consiglio Nazionale della Pubblica
Istruzione. Voi sapete che, in quel progetto, il suffragio
universale è previsto solo per la elezione dei rappresentanti della
categoria, del personale della scuola in particolare, nei Consigli
Scolastici Locali. Poi gli eletti in questi organismi diventano
grandi elettori, esercitando loro soli, in rappresentanza di tutto
il personale, l’elettorato attivo,
sia per l’elezione dei rappresentanti del personale scolastico nei
Consigli Scolastici Regionali, sia per l’elezione dei Consiglieri
Nazionali nel futuro Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione.
Quindi, quando parlavo di impedimenti obiettivi, era in
questo senso e, certamente, non per avanzare critiche all’operato
dell’Amministrazione.
E’
chiaro, perciò, che le elezioni non si possono indire se
preventivamente non si procede da parte dei Direttori Generali
Regionali alla individuazione delle articolazioni territoriali dell’Ufficio
Scolastico Regionale, come operazione previa, rispetto alla
individuazione del territorio sul quale insistere ed impiantare il
Consiglio Scolastico Locale.
Quindi, se non si procede a formalizzare il Regolamento
attuativo attraverso un decreto del Direttore Generale Regionale,
non si può costituire l’ambito territoriale. Una volta costituito
l’ambito territoriale, e una volta che tutti i Decreti delle 21
Regioni -19 più 2 (Trento e Bolzano) – passeranno il vaglio della registrazione degli organi di controllo,
sarà possibile indire le elezioni con l’emanazione della relativa
ordinanza.
So che c’è una corrente di pensiero che lega l’avvio dei
nuovi Organi Collegiali sul territorio al ruolo che avrà il
territorio per il piano di una offerta formativa, come è stato
detto da chi mi ha preceduto. Questo problema così posto investe l’area
ordinamentale e certamente chiede soluzioni politiche che non sta a
me indicare, perché non è nel mio ruolo invadere l’area della
politica.
Dal mio canto, invece, trasferisco l’attenzione sul fatto
che c’è un cammino istituzionale, già in uno stato molto
avanzato: mi sto riferendo a tutte le procedure attuative del
riordino dei cicli per il quale, praticamente, gli adempimenti
previsti dall’art. 6 della Legge 30, sono in questa fase
praticamente maturati. Infatti il piano quinquennale di progressiva
attivazione del riordino ha avuto il conforme parere dalla Camera e
dal Senato con due deliberazioni di indirizzo.
Su tale presupposto il Governo, tramite il Ministro della
Pubblica Istruzione di concerto con il Ministro delle Finanze e del
Tesoro, ha predisposto lo schema di Regolamento attuativo dell’art.
8.
Siamo ora nella fase in cui, dopo che lo schema è stato
vagliato dal Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione e dal
Consiglio di Stato, il Regolamento presenta una stesura definitiva
e, sottoscritto nuovamente dai due Ministri interessati, è stato
trasmesso alla Corte dei Conti per la prevista registrazione.
Voi sapete che il visto della Corte dei Conti è l’atto
immediatamente precedente la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.
Questa breve digressione, di cui mi scuso, mi è servita a
ricordare il tracciato del cammino istituzionale con la procedura
seguita per l’attuazione dei Cicli.
Circa la possibilità di un possibile intervento politico,
anche in questo caso ripeto che non devo intervenire perché la
materia è estranea al mio ruolo di Vicepresidente del Consiglio
Nazionale della Pubblica Istruzione, mentre mi addentro nelle
considerazioni sul cammino istituzionale del provvedimento sugli
Organi Collegiali, che registra un oggettivo impedimento per una sua
compiuta realizzazione.
Tale impedimento deriva da due fattori che non consentono all’Amministrazione
di onorare il termine previsto dall’ordinamento: la fase ancora
non perfezionata di riforma dell’Amministrazione Centrale e
Periferica della Pubblica Istruzione e la fase non ancora
oggettivamente delineata dell’ordinamento del nostro sistema
scolastico e formativo.
Chiusa questa parentesi, devo esprimere un particolare
apprezzamento per l’attenzione che si dà ai pareri del Consiglio
Nazionale della Pubblica Istruzione, che vengono opportunamente
presi in considerazione, la qual cosa mi fa piacere.
Mi confermo nella convinzione che il lavoro da noi svolto
può essere assunto come un contributo al dibattito che avviene nel
territorio e per il raggiungimento dell’obiettivo.
Pertanto, dopo questi necessari chiarimenti circa la
procedura, non ritengo, nonostante il cortese invito del relatore
che mi ha preceduto, di dovere riproporre tutti gli elementi
costitutivi del parere, per altro il testo è qui a disposizione ed
eventualmente ne posso anche lasciare copia per una eventuale
ulteriore divulgazione.
Entro invece nel merito delle questioni proposte, a partire
dal territorio.
La messa in risalto del territorio come elemento decisivo,
con riconoscimento delle sue specificità e tante attenzioni per le
potenzialità del suo ruolo, è uno dei propositi più espliciti
assunti tra i principi ispiratori della Bassanini, intorno alla
quale il grande processo riformatore di questa ormai decorsa 13^
legislatura ha ruotato.
Con la riforma dei servizi di tutta l’Amministrazione
pubblica – oggetto della legge 59, conosciuta come Bassanini –
si punta alla valorizzazione del territorio, che è uno dei
riferimenti costanti di questo processo riformatore, anzi un
elemento ispiratore.
L’obiettivo di tale valorizzazione permea un po’ tutta la
legge e non soltanto il capo primo, quello che in effetti si
riferisce al conferimento dei compiti e funzioni amministrative al
sistema degli Enti Locali e delle Regioni, principio da cui poi è
scaturito il Decreto Legislativo 112 del ’98, già richiamato da
chi mi ha preceduto.
La valorizzazione del territorio è uno degli elementi che
più significativamente traduce il principio della sussidiarietà,
che è entrato come norma di diritto positivo nel nostro contesto
istituzionale e ordinamentale. Un principio, che ridotto nella sua
essenza, consiste nel volere affidare la cura degli interessi dei
cittadini ai soggetti esponenziali, a quei soggetti che sono più
immediatamente vicini agli interessi da tutelare. Quindi, un grande
principio di saggezza politica e di civiltà giuridica che il
Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione ha accolto, condiviso
e ad esso ha cercato di ispirare la propria riflessione, con una
preoccupazione però, che questo principio che attribuisce un
protagonismo al territorio, come ripeto assunto, condiviso e da
valorizzare, deve potersi legare ad un altro principio, che per noi
appare inderogabile.
Mi fa piacere che questo principio sia stato richiamato dall’Assessore,
essendone convinto personalmente prima ancora che per scelta
politica, come un impegno da assumere: la valorizzazione del
territorio deve iscriversi in un contesto di garanzia del carattere
unitario e nazionale della cultura, che dà il senso dell’identità
nazionale del nostro Paese.
Potete ben comprendere con quanto piacere ho ascoltato chi ha
ribadito con forza questo principio di tutela e di affermazione dell’identità
nazionale, con parole molto più chiare e significative di quanto
non stia facendo io.
Un tale pensiero, che anima certamente il mio approccio al
tema, è la base comune su cui il Consiglio Nazionale della Pubblica
Istruzione ha fondato il suo convincimento, con una forte ed
omogenea impostazione culturale, professionale ed istituzionale che
ha connotato i suoi pareri intorno alle tematiche riferite alla
valorizzazione del territorio.
Perciò ha assunto le istanze del territorio nel rispetto
della loro specificità contemperandole con un quadro di indirizzo
di politica culturale, scolastica e formativa, che ha proceduto
parallelamente all’altro grande filone riformatore della Bassanini,
che investe le Pubbliche Amministrazioni, ispirato questa volta al
principio del decentramento.
L’Amministrazione Centrale perde la maggiore parte dei suoi
tradizionali attributi e competenze, anzi quasi tutte le sue
prerogative di Amministrazione attiva, e diventa soggetto di
elaborazione dei criteri generali dello sviluppo di politiche
scolastiche, di verifica, di monitoraggio, trasferendo invece ai
livelli regionali il governo amministrativo e l'attuazione degli
indirizzi politici definiti centralmente.
Tutto ciò, ovviamente, per la parte non immediatamente e
direttamente affidata alle istituzioni scolastiche, che diventano il
perno intorno al quale si è costruito il processo di ridefinizione
della riforma della Pubblica Amministrazione. Mi riferisco alla
parte non devoluta, non trasferita con il 112, al sistema delle
autonomie locali.
Ecco
allora che l’attenzione si posta sulla partecipazione.
Chiedo scusa se non posso articolare ulteriormente il
pensiero per ovvie ragioni di un utilizzo intelligente del tempo a
nostra disposizione, però qualsiasi ragionamento sulla
partecipazione oggi non può prescindere da quei capisaldi che ne
definiscono lo scenario complessivo. Sono quelli della
valorizzazione del territorio, quale effetto di una operazione
istituzionale ed ordinamentale, oltre che politica, di trasferimento
di compiti e funzioni dallo Stato all’Autonomia Locale e del
decentramento come trasferimento di compiti amministrativi residuati
allo Stato alle istituzioni scolastiche e alla Regione. Su questa
materia della riforma degli Organi Collegiali il Consiglio
Nazionale, pur essendosi già pronunciato altre volte, si è
espresso con due interventi, di cui uno che ha riguardato una
pronuncia di propria iniziativa che risale al febbraio del ’99,
quando i termini precisi di quello che poi sarebbe stato il D.P.R.
233 ancora non erano chiariti, nella consapevolezza, tuttavia, che
si stava lavorando sugli ipotetici contenuti del testo di quel D.P.R.,
pronuncia con la quale si è cercato di buttare le mani avanti
dicendo quali secondo il Consiglio dovessero essere i principi
ispiratori di questo decreto, e l’altro più recente, quello del
22 giugno, quando è pervenuta dall’Amministrazione la richiesta
del parere su uno schema, su una bozza, di Regolamento, come ho già
citato prima, rispetto alla quale abbiamo detto cose che poi qui
sono state ribadite.
In quell’occasione, la nostra preoccupazione era quella di
far comprendere che non si può pensare alla partecipazione negli
stessi termini socio culturali, essenzialmente, con i quali la
pensavamo negli anni ‘70’,
termini sanciti poi dal D.P.R. 416, quello che ha dato il via alla
grande avventura della partecipazione, alla gestione della scuola.
La lunga esperienza vissuta va ripensata, cercando di evitare
uno degli elementi maggiori della disaffenzione, quello che è stato chiaramente, egregiamente evidenziato: una
partecipazione indistinta che stenta ad uscire da questa accezione
di carattere prevalentemente socio culturale.
Il panorama istituzionale è cambiato, la scuola è cambiata.
E’ evidente che la riforma di tutto il sistema di governo ha reso
molto più chiare ed esplicite la responsabilità di tipo politico
rispetto a quelle amministrative.
L’Amministrazione sugli atti di organizzazione ha una
potestà autonoma di intervento e quindi se ne assume le
responsabilità.
Il problema allora è come si costituisce il consenso sulle
scelte che si vanno a definire. A questo interrogativo deve
rispondere la messa in atto di una partecipazione reale, influente a
cui si riconoscano spazi di interlocuzione definiti e di
significato.
Mi dispiace annoiarvi con una argomentazione che in maniera
molto più egregia di me è stata esposta stamattina dall'Assessore.
Proprio perchè sono tanti i soggetti che concorrono alla
organizzazione di un determinato servizio, si tratta, allora, di
mettere in atto con la partecipazione la valorizzazione di strumenti
di concertazione, al fine di trovare un accordo sulla base di una
condivisione degli obiettivi, delle strategie, degli strumenti, per
poi poter agire, nel rispetto dell’autonomia dei ruoli, perché
ciascuno fa la sua parte.
Riflettendo su questa linea, c’è sembrato allora
scarsamente significativo ancora continuare a dire
“organismi di partecipazione e rappresentanza”, quando questa
capacità di partecipazione e di rappresentanza non si trasforma in
un vincolo per l’Organo decidente.
Nel contesto di questa riflessione, va visto il convinto
tentativo di contribuire alla modifica del Decreto, pur nella
consapevolezza da parte del Consiglio Nazionale dei limiti entro i
quali si possono ritenere fungibili e accoglibili i propri pareri,
da parte di un’Amministrazione che deve decidere con atto autonomo
e unilaterale, del quale deve rispondere sia in termini politici di
fronte al paese in quanto Governo, sia poi in termini tecnici di
fronte agli Organi di Controllo ecc..
Però, se la stessa Amministrazione non ha inteso tradurre
nelle norme tutto ciò che motiva l’idea di partecipazione, così
come declinata dal Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione,
quanto meno avrebbe potuto accogliere qualche significativo
suggerimento, non fosse altro perché aveva chiesto un parere, dando
prova, così, di sensibilità e di disponibilità emendativa del
testo presentato al vaglio del Consiglio, dando spiegazioni, allo
stesso tempo, sulle ragioni del non accoglimento delle parti
costituenti l’intero parere.
No, tutto questo non è stato fatto, mentre noi ritenevamo
che vi fosse una certa disponibilità.
L’Amministrazione va avanti unilateralmente, con l’assunzione
più diretta delle responsabilità, vanificando però l’apporto
del Consiglio.
Da qui, praticamente, tutte le perplessità che manifestiamo
nel merito se facciamo riferimento agli elementi di riflessione
emersi nel nostro parere.
Noi pensavamo, ad esempio, di ipotizzare, come elemento di
valorizzazione della partecipazione, lo strumento delle conferenze
annuali per la programmazione dell’azione sia organizzativa che
gestionale del pubblico servizio scolastico.
Abbiamo un interlocutore diretto: il Direttore Generale
Regionale che è responsabile della programmazione e dell’attivazione
sul territorio regionale delle politiche scolastiche formative oltre
che di quelle per l’integrazione tra sistema scolastico e
formativo.
Da qui l’idea di una sede di ascolto di tutti i soggetti
cointeressati alla programmazione e alla gestione del servizio.
Pensavamo anche alla valorizzazione di nuovi soggetti e di istanze
rappresentative che pian piano si stanno costruendo, segnalando
responsabilità e compiti più particolareggiati delle consulte
degli studenti, delle consulte dei genitori e dei forum delle
associazioni, creando un sistema flessibile, articolato, di
partecipazione non formalizzata, al quale l’ordinamento dovrebbe
dare un supporto molto forte e molto più certo.
Un altro elemento di perplessità nasceva anche da questa
auspicata e non compiuta riforma degli Organi Collegiali a livello
di istituzioni scolastiche che, ribadendo quanto già ho avuto modo
di dire sull’attuazione graduale e progressiva del riordino dei
cicli, in effetti oggi è l’ultimo tassello che praticamente manca
al mosaico riformatore dell’innovazione annunciata dai Governi
della 13^ legislatura.
L’Amministrazione si è trovata in fortissimo imbarazzo, ma
nel Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione, più che dell’imbarazzo
dell’Amministrazione, abbiamo tentato di farci carico dell’imbarazzo
delle scuole di fronte a contesti normativi confliggenti.
Mi riferisco chiaramente all’entrata in vigore, a far data
dal 1^ settembre 2000, contestualmente all’avvio generalizzato
dell’autonomia organizzativa, didattica, di ricerca e sviluppo,
così come disegnata dal D.P.R. 275, del Decreto Legislativo n. 59
del’98 sulla dirigenza scolastica dove, prevedendo autonomi
compiti di valorizzazione delle risorse di gestione e delle risorse
finanziarie, ha creato nelle scuole un momento di imbarazzo.
Voglio ricordare, a tal proposito, le diatribe che hanno
caratterizzato l’inizio dell’anno scolastico per quanto riguarda
il rapporto tra l’autonoma facoltà di scelta dei collaboratori da
parte del Dirigente Scolastico e i compiti del Collegio dei Docenti,
così come previsti dall’art. 6.
Per tentare di venire a capo di questo possibile conflitto, l’Amministrazione
ha dovuto fare ricorso ancora una volta al Consiglio di Stato. Dico
ancora una volta, perché prima era nato il problema del rapporto
tra le autonome capacità di gestione delle risorse finanziarie del
Dirigente Scolastico e le competenze dei Consigli di Istituto e
delle Giunte Esecutive in ordine alla gestione delle stesse.
In quel caso, in previsione della predisposizione del Nuovo
Regolamento Amministrativo Contabile, che dopo svariate traversie è
giunto in Gazzetta, c’è stato bisogno di una proroga legislativa
per definire esattamente termini e tempi della sua entrata in
vigore.
Anche qui il Consiglio di Stato, imbarazzato, ha dovuto dire
all’Amministrazione: ma tu mi proponi delle cose per superare una
eventuale confliggenza di Ordinamenti, perciò invece di propormi
dei pareri e di chiedermi dei consigli sul cosa fare, non era meglio
farti promotore di iniziative legislative, con il pieno utilizzo
degli strumenti propri della politica atti ad accelerare questo
processo di riforma.
Il
problema non era e non è più soltanto politico o temporale, il
problema vero è come si vuole ridisegnare la partecipazione e
quindi torniamo ancora al punto di partenza.
Io mi auguro che dalle vostre proposte possa venire un
contributo, non dico capace di fare sbloccare sul piano politico la
vicenda perché le vicende politiche hanno un livello di intervento
che non prevede una sede come questa, ma sicuramente mirato a dare
ai decisori politici quegli strumenti facilitanti una adeguata via
di soluzione perché la scuola, lo ripeto, ha bisogno di certezze.
Di questo reale bisogno si fa sempre carico il Consiglio
Nazionale, facendo pressione sull’Amministrazione, perché la
scuola dell’autonomia, che è scuola della responsabilità, ha
bisogno di certezze istituzionali, ordinamentali, non di dettaglio,
ma di tipo generale, di cornice nel cui ambito esclusivo, può
essere esercitata con senso di responsabilità, senza angoscia e
senza preoccupazione, il grande cammino dell’autonomia.
Grazie per la vostra cortesissima attenzione.
INTERVENTI
Dott. Emanuele BARBIERI Direttore
Generale Ufficio Scolastico Regionale
Grazie per questa occasione di riflessione e di confronto
propostami dal Dott. Tozzi nei confronti del quale ho provato subito
simpatia e interesse per quello che stava facendo.
L’incontro di oggi va confermando questa prima impressione
per l’attenzione che meritano le tematiche già in qualche modo
delineate, anzi mi sembra che sia già stato detto quasi tutto in
maniera esaustiva.
L’intervento di Mario Guglietti, che ha fatto riferimento
al suo ruolo di Vicepresidente del Consiglio Nazionale della
Pubblica Istruzione mi ha rimandato, appunto, a quel periodo in cui
ero il Vicepresidente, e durante il quale sono stati approvati molti
pareri su importanti interventi normativi.
Non ritornerò quindi sugli aspetti di carattere normativo,
citati in maniera molto appropriata e chiosati con un dotto
riferimento ad Irnerio.
Stante questo quadro di riferimento, cosa sta facendo adesso
il Direttore Generale Regionale?
Come intende orientarsi, lasciando tutti gli spazi possibili
ad ulteriori interventi di modifica, di chiarimento, di
approfondimento?
Credo che, oltre a discutere e a ragionare, sia anche utile e
necessario per chi ha questo dovere, assumersi la responsabilità
delle decisioni.
Prima di passare ad illustrare questo quadro di riferimento
per le decisioni che si vanno definendo, una brevissima riflessione
suggeritami dall’invito al Convegno: un accenno ai Decreti
Delegati del 1974.
C’è una differenza fra quella fase e questa. Quella fu una
fase di riforma fortemente partecipata, oggi abbiamo una riforma
che, per certi versi, è una “fusione a freddo”.
La legislatura appena conclusa si è caratterizzata per un
grande impegno riformatore, ma in un quadro di partecipazione
limitato, anche perché la spinta per le riforme che si era
esercitata per un trentennio ad un certo punto, non trovando
risultati, si era andata affievolendo.
Secondo me, rispetto agli interventi sugli Organi
Collegiali, questa mancata partecipazione ha rappresentato un
limite, non soltanto in termini di pressione, ma anche in termini di
elaborazione.
Non ho difficoltà a dire che, nel quadro di una riforma
complessiva, questa forse è la parte su cui auspicherei volentieri
un ripensamento critico.
Ma l’oggetto, il motivo di
questo riferimento, era un altro.
So benissimo che ci sono ottime riforme, o riforme varate
magari con ottime intenzioni, che danno pessimi risultati e riforme
meno buone, dal punto di vista dell’assetto, che danno buoni
risultati: molto dipende da come si gestiscono, cioè se gli
obiettivi delle riforme riescono a vivere nei comportamenti
quotidiani.
Anche rispetto alla Riforma degli Organi Collegiali è
difficile prevedere l’esito concreto.
Per quanto riguarda l’Amministrazione Scolastica e la sua
articolazione territoriale, è necessario avere ben chiari gli
obiettivi da perseguire per eliminare alcuni fenomeni
strutturalmente connaturati con il nostro sistema di istruzione,
come gli elevati tassi di insuccesso formativo.
Forse sul versante dell’insuccesso scolastico abbiamo fatto
tanto, ma rimane comunque molto da fare sul versante dell’insuccesso
formativo.
Gran parte della popolazione scolastica, conseguito il
diploma si iscrive all’Università, ma non ottiene nessun titolo
di studio post-secondario.
Un quarto di coloro che si iscrivono alla scuola secondaria
superiore non consegue il diploma.
Larga parte della popolazione scolastica ha un insuccesso
formativo perché, non trovando percorsi adeguati nel sistema dell’istruzione,
non ha un’altra possibilità.
Si tratta di problemi seri che rimangono da affrontare,
rinvii o non rinvii del riordino dei cicli.
Il tema affrontato dal Convegno è centrale nella Riforma
dell’Amministrazione: non ripeto le cose dette, però ci sono tre
punti che vanno ricordati.
Le Regioni, che hanno competenza in merito alla
programmazione dell’offerta formativa, devono individuare gli
ambiti territoriali funzionali al miglioramento di questa offerta.
Il problema dell’insuccesso formativo si affronta anche
attraverso l’individuazione di questi ambiti territoriali, per
ricostruire un rapporto efficace tra l’istruzione,
formazione professionale e formazione sul lavoro.
Affronterò anche il problema
delle mappe posto dal Dott. Bisson: ma un rapporto tra le mappe del
sistema dell’istruzione e quello, per esempio, dei Centri
Territoriali per l’impiego, bisognerà pure trovarlo. Bisognerà costituire gli Organi Collegiali Locali, i Consigli Scolastici Locali.
I tre temi:
1.
articolazione dell’amministrazione,
2.
autonomie delle scuole
3.
territorio e partecipazione sono strettamente correlati e
bisognerà riconnettere le diverse competenze.
Uno dei limiti dei Distretti Scolastici è che, forse,
proprio la mancanza di interlocutori istituzionali, come gli Enti
Locali, si sono trovati ad operare dentro una sorta di vuoto
pneumatico.
E’ un problema che deve essere risolto; bisogna individuare
gli interlocutori: se gli Organi Collegiali esprimono un parere
buono trovano qualcuno in grado di accoglierlo o di respingerlo; ci
deve essere il soggetto a cui fare riferimento.
Credo che un altro problema sia quello del rapporto tra
istituzioni.
Il rapporto tra Ufficio Scolastico Regionale e Regione, il
rapporto tra autonomie scolastiche e autonomie locali, il rapporto
tra Consiglio Scolastico Locale e autonomie locali, istituzioni
scolastiche, territorio, mondo del lavoro e così via.
Per compiere delle scelte bisogna avere sempre chiaro il
senso dell’operazione, altrimenti non si capisce il perché delle
proposte e la discussione assume un carattere puramente astratto.
Rispetto alla riforma dell’amministrazione il riferimento
da tenere presente è l’autonomia scolastica.
Le scuole hanno autonomia funzionale, anzi, con l’ultima
riforma della Costituzione, questa autonomia ha proprio un carattere
costituzionale.
Questo è un punto di riferimento forte nel nostro assetto
costituzionale e nella nostra cultura: su come e su cosa si insegna
non c’è autorità esterna alla scuola che possa decidere.
“La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione”;
probabilmente ora questa parte va realizzata perché la norma
quadro, dalla Scuola dell’Infanzia alla Scuola Secondaria
e post-secondaria, è data dalla legge sul riordino dei
cicli, mentre altre norme riguardano questioni particolari, ma non
di carattere generale.
I Ministri che si sono succeduti al Ministero della Pubblica
Istruzione nel momento in cui hanno dovuto affrontare il tema dei
contenuti, si sono sempre avvalsi del contributo dei rappresentanti
del mondo dell’arte, della scienza e della scuola, per i programmi
dei vari ordini di Scuola.
Questo punto di riferimento va salvaguardato; l’autonomia
della scuola si connota e si garantisce attraverso la partecipazione
delle varie componenti del personale della scuola, dei genitori,
degli studenti, ma anche degli altri soggetti direttamente o
indirettamente interessati agli esiti del sistema di istruzione,
quindi il mondo del lavoro nelle sue diverse articolazioni.
Allora la scelta dell’autonomia ha una valenza
costituzionale e una valenza di carattere strategico.
Le scuole sono espressione di autonomia funzionale – e
questa autonomia si sostanzia nella progettazione e nella
realizzazione di interventi formativi adeguati ai diversi contesti e
alle caratteristiche dei soggetti, al fine di garantire il successo
formativo tenendo conto degli obiettivi e delle finalità generali
del sistema di istruzione.
Vi sono, pertanto, tre parametri regolatori dell’autonomia:
-
gli obiettivi e
le finalità del sistema dell’istruzione nazionale
-
le
caratteristiche del territorio
-
i bisogni dei
soggetti
Nel governo dell’autonomia occorre che questi tre diversi
parametri trovino una forza di rappresentanza.
Bisogna allora individuare
gli ambiti territoriali funzionali validi per il miglioramento dell’offerta
formativa; bisogna realizzare una articolazione dell’amministrazione
e del livello di partecipazione.
Non è facile perché i soggetti interessati sono molti.
Al di là di questa occasione, di cui vi ringrazio, ho avuto
incontri con i Dirigenti Scolastici delle diverse Province, con le
Autonomie Locali, per non parlare degli incontri quasi quotidiani
con l’Amministrazione Regionale, abbiamo anche ottenuto dei primi
risultati.
L’8 maggio è stato firmato un “Protocollo d’Intesa”,
una
convenzione, tra Regione, Ufficio Scolastico Regionale,
Amministrazioni Provinciali ed Enti Locali, al fine di regolare
queste diverse competenze che coinvolgono più soggetti.
Il senso del Protocollo, a mio avviso, è molto chiaro: al di
là del fatto che, come tutti i Protocolli, ci sono le premesse e le
azioni, se si va a vedere le scelte di fondo che sono state fatte,
ciascuno dei soggetti interessati ha rinunciato ad una quota di
sovranità riconosciutagli dalle norme a favore di un processo
decisionale più partecipato.
Faccio un esempio molto
semplice. Il Direttore regionale determina l’articolazione
funzionale e territoriale del suo Ufficio sentita la Regione.
L’Ufficio Scolastico Regionale nel definire le
articolazioni funzionali, e in particolare quelle territoriali, si
impegna a sentire tutte le istituzioni interessate: Scuole, Enti
Locali, Regione, rinunciando ad un pezzo di sovranità.
La Regione, nel momento in cui deve definire l’Offerta
Formativa, competenza demandatale dal 112, sentirà gli Enti Locali
e le Istituzioni Scolastiche.
Quindi due soggetti rinunciano ad una parte di potere
organizzativo, riconosciuto dalla normativa, a favore di un
coinvolgimento degli altri soggetti.
Le convenzioni derivanti da questa intesa devono essere
sottoscritte dalle Istituzioni Scolastiche interessate e nessuno
può imporre qualche cosa ad una Istituzione Scolastica autonoma.
Al fine di favorire forme di partecipazione delle Istituzioni
Scolastiche, si auspica la costituzione di forme di rappresentanza
istituzionale, di rete di scuole, e l’amministrazione scolastica
si impegna a riconoscere queste forme in maniera che, nel momento in
cui, ad esempio a Bologna si predispone un protocollo sull’handicap
che coinvolge le 118 scuole di Bologna, questo sarebbe più agevole
e si avrebbe un coinvolgimento più efficace se ci fosse una
rappresentanza delle scuole autonome.
E’ chiaro che mancano gli Organi Collegiali.
Come Ufficio Scolastico
Regionale ritengo che una volta costituiti gli Organi Collegiali, in
particolare il Consiglio Scolastico Regionale, dovremo dare a questo
Organo il compito di indicare una parte dei rappresentanti della
Conferenza Permanente.
Ancora, per quanto riguarda la riforma dell’Amministrazione,
la Regione dovrebbe esprimere il parere sullo schema di
articolazione dell’Ufficio Scolastico Regionale. Fatto ciò sarà
possibile emanare il decreto di organizzazione e quindi seguendo un’altra
tappa del processo di Riforma.
In questo decreto viene affermata, ad esempio, la
costituzione di un Centro di supporto alle istituzioni scolastiche
autonome – in sigla CIS -
in ogni provincia, con la possibilità di ulteriori articolazioni
subprovinciali, o di costituzione di CIS
in ambiti territoriali subprovinciali.
Personalmente ho
insistito per scrivere una norma di contenuto programmatico:
normalmente questi Centri verranno istituiti, tenendo conto delle
caratteristiche del territorio, ogni 30 – 50 Scuole. Guglietti sa
che questa è una mia idea da ormai un decennio
In realtà è una esigenza
dell’Amministrazione quella di avere dimensioni organizzative
riconducibili a standard più o meno omogenei su tutto il
territorio, quindi governabili, in modo che sia possibile fare una
pianificazione che tenga conto della necessaria conoscenza delle
caratteristiche del territorio.
I tempi con cui si acquisiscono e si aggiornano queste
conoscenze sono importanti perché conoscere i parametri del sistema
istruzione di una Regione comporta delle difficoltà, quando le
dimensioni dell’oggetto d’indagine cambiano notevolmente.
In Emilia Romagna gli scarti
sono pochi, tuttavia occorre tenerne conto.
Ritengo, pertanto, che occorra individuare queste
articolazioni subprovinciali, almeno per la funzione di monitoraggio
e di sostegno alle istituzioni scolastiche, in modo da realizzare l’obiettivo
della pianificazione, di attribuire le risorse non soltanto sulla
base di parametri quantitativi, ma anche in funzione perequativa,
compensativa, come è previsto, se non vado errato, dal comma 4 dell’art.
21 della Legge n. 59.
E’ necessario determinare i
presupposti perché ciò avvenga.
Mi rendo conto che questa esigenza dell’Amministrazione non
trova immediato riscontro, o incontra difficoltà, a tradursi
concretamente rispetto alle esigenze del territorio, in particolare
in una realtà ricca o partecipata come l’Emilia Romagna.
I 289 centri di risorsa che caratterizzano questa Regione,
censiti dal Centro di Documentazione di Modena, sono in pratica
strutture aperte al pubblico, con una loro sede, disponibili a dare
risposte alle domande della Scuola: una ricchezza enorme, per la
quale gli Enti Locali hanno investito.
Le articolazioni subprovinciali devono essere quindi una
occasione anche per una valorizzazione di quelle risorse, e anche
per questo è necessario che la decisione nelle articolazioni
territoriali non possa
essere una decisione
presa a tavolino ma, per essere efficace, debba essere anche scelta
partecipata.
Si potrebbe teoricamente
costituire una mappa territoriale specifica per la Scuola, ma senza
necessari collegamenti e senza partecipazione dei diversi soggetti,
sarebbe una scelta priva di prospettiva.
E’ una sfida non da poco, abbiamo bisogno di definire
questa articolazione per i motivi sopra indicati, ma anche per
costituire quei Consigli Scolastici Territoriali che, a mio avviso,
sono intermedi tra i Distretti e le Province.
Tra i 47 Distretti che oggi caratterizzano il sistema
scolastico dell’Emilia Romagna e le 9 Province che costituiscono l’assetto
politico istituzionale della stessa Regione, è necessaria una
articolazione intermedia, funzionale al governo, efficace e
partecipata, alle scuole.
La definizione di questa mappa è un compito che si
riflette immediatamente sulle elezioni degli Organi Collegiali, ed
è un problema comune a tutte le 18 Regioni che stanno seguendo
questo procedimento.
Sottolineo che questo
Convegno dei Distretti ci pone, in un certo senso, il problema della
loro sopravvivenza e della loro trasformazione.
Forse è necessario qualche elemento di sollecitazione
esterna per definire questa mappa affinchè non si rassegni alla
semplice proposta del livello provinciale.
In questo percorso di ricerca non mancheranno le difficoltà
per individuare una mappa che tenga conto delle articolazioni
territoriali esistenti senza per questo subirle passivamente.
Nel 1974 i Distretti
Scolastici furono riciclati sulla mappa delle Unità Sanitarie
Locali, che poi sono state riorganizzate.
Le mappe di riferimento possibili sono almeno una decina: da
quelle dei Comuni a quelle delle Province , passando per le
Comunità Montane, i Distretti produttivi, i Centri territoriali per
l’impiego, i Distretti Sanitari.
Ci troviamo di fronte ad una
moltiplicità di opzioni.
Qualsiasi scelta deve
essere coerente con il sistema istruzione ed evitare che si crei una
confusione istituzionale.
I Consigli Scolastici Locali
sono da concepire non come articolazione dell’Amministrazione, ma
come luoghi dove si costruisce la partecipazione.
Vanno perciò evitate le
presenze obbligate, come quelle degli Enti Locali.
Non è attraverso questo strumento che si costruisce un
rapporto tra autonomie scolastiche e autonomie locali.
A livello locale bisogna
attivare delle conferenze territoriali, non una struttura stabile,
che si ritrova una, due volte all’anno per confrontare la domanda
e l’offerta, con la consapevolezza delle pluralità dei soggetti
che rappresentano la domanda: studenti, genitori, imprese, Enti
Locali, Università, ecc.
Ma la scuola non può essere ricettore passivo della domanda:
un po’ come il medico che deve ascoltare il paziente, ma si deve
assumere la responsabilità della diagnosi e della cura.
La partecipazione non è
soltanto la domanda.
Anche l’offerta non è solo di competenza della Scuola,
perché quella del P.O.F. non è rappresentata soltanto dalla quota
obbligatoria nazionale.
Ci può essere l’ampliamento
dell’offerta formativa, ma l’offerta è rappresentata anche dai
servizi, dalle strutture, dall’extrascuola e così via: ci sono
una serie di soggetti, come gli Enti Locali che sono
contemporaneamente rappresentati dalla domanda e responsabili dell’offerta.
Occorre mettere insieme
questi soggetti e individuare un ambito territoriale in cui questo
confronto è più efficace.
Definire gli ambiti territoriali funzionali alla
organizzazione del servizio scolastico nel territorio, stabilire le
articolazioni territoriali dell’amministrazione scolastica,
realizzare le condizioni per una partecipazione attiva dei diversi
soggetti interessati alla scuola attraverso le Conferenze
Territoriali e la costituzione degli Organi Collegiali, questo è il
compito che ci attende.
Oggi, per quello che mi
riguarda, è possibile considerare conclusa la prima tappa: quella
di definire l’assetto istituzionale, gli organigrammi che vanno
poi perfezionati.
Credo che da qui a dicembre l’obiettivo deve essere quello
di far conoscere le finalità e il nuovo assetto dell’Amministrazione
e di chiamare i diversi soggetti a concorrere alla definizione di
eventuali articolazioni territoriali.
Poi faremo il punto della situazione.
Nel Decreto di articolazione dell’Ufficio Scolastico
Regionale dell’Emilia Romagna è previsto che dal 1^ gennaio vada
in vigore il nuovo assetto.
Fino al 31 dicembre funziona quello attuale con i
Provveditorati, i Consigli Scolastici Provinciali e quant’altro.
Dott. Franco BOARELLI Presidente
Regionale Associazione Genitori Scuole Cattoliche (A.Ge-S.C.)
I Consigli Scolastici Locali
Innanzitutto vorrei illustrare brevemente la posizione dell’A.Ge.S.C.
in merito ai Consigli Scolastici Locali.
Avremmo voluto il mantenimento dei Consigli Scolastici
Provinciali e di Distretto. Certamente andavano rivisti
criteri, poteri, e la stessa composizione del consiglio, ma
non riteniamo sia stato giusto eliminarli.
Ai Consigli Scolastici Locali assegniamo, infatti, una
funzione importante. Riteniamo che essi vadano valorizzati per
diversi motivi.
Con la soppressione dei Consigli Distrettuali e Provinciali,
il Consiglio Scolastico Locale viene ad essere il primo importante
ambito di collegamento e di integrazione educativa sul territorio.
E’ l’organismo rappresentativo della “territorialità”,
intesa non
solo nell’accezione amministrativa,
bensì
come ambito nel quale esistono e si sviluppano la cultura, le
tradizioni e le specificità socio-economiche di un’area. In
questo contesto il Consiglio Scolastico Locale può favorire la
partecipazione della comunità locale ed il confronto delle scuole
con l’area circostante mediante la valorizzazione dell’autonomo
apporto delle diverse componenti, nonché delle specifiche
professionalità e competenze.
Il Consiglio Scolastico Locale deve costituire l’ambito
fondamentale di confronto tra scuole in un contesto di rete
istituzionale collaborativa, aperta, tutelando i singoli istituti
dal rischio della autoreferenzialità e, dall’altro canto,
garantendo l’autonomia delle scuole dalle ingerenze dei
poteri economici e politici locali.
Preoccupazione quest’ultima più che giustificata in una
Regione come la nostra, nella quale l’unica sussidiarietà che si
conosce e si applica è quella verticale e dove, politicamente,
prevale una concezione pesantemente “ente-locale-centrica”, con
la società civile e le sue aggregazioni considerate supplenti
rispetto all’azione delle amministrazioni comunali e provinciali.
In sintesi, il Consiglio Scolastico Locale, opportunamente
dimensionati secondo bacini di utenza e rafforzato nelle competenze,
rispetto a quelle assegnate agli organismi che sostituisce (con l’attribuzione
di reali poteri decisionali), può essere l’organismo idoneo ad
esplicare compiti di programmazione e di realizzazione di progetti
scolastici ed extrascolastici, di formazione e di orientamento per i
giovani, di formazione e aggiornamento della funzione docente e
gestionale.
E’, infine, appena il caso di fare presente che la
disponibilità di adeguate risorse finanziarie, costituisce
condizione indispensabile affinchè questi Organi possano svolgere
le funzioni suddette.
In merito alla partecipazione
delle famiglie
Riguardo al commento al D.L. n. 233/1999 “Riforma degli
Organi Collegiali Territoriali della Scuola” predisposto dagli
organizzatori del Convegno, devo dire che la nostra Associazione
condivide le osservazioni critiche avanzate.
Per ragioni di sintesi mi limito ad affrontare la prima, che
evidenza “le contraddittorietà del decreto in merito alla
promozione di una presenza efficace delle famiglie”.
Giustamente è la prima questione ad essere affrontata,
perché è un fatto grave, in quanto, parlando di scuola, la
famiglia non è un soggetto tra gli altri.
Su questo, a parole, tutti siamo d’accordo. Lo abbiamo
verificato anche negli interventi svolti in questo Convegno dai
politici e dai responsabili dell’Amministrazione scolastica.
Da parte mia vorrei però proporre alcune osservazioni, anche
con accenti volutamente polemici.
Il Decreto legislativo n. 233/1999, all’art. 1 primo comma,
stabilisce quanto segue: “nel sistema scolastico nazionale gli
Organi Collegiali disciplinati dal presente decreto legislativo
assicurano, a livello centrale, regionale e locale, rappresentanza e
partecipazione alle componenti della scuola e ai diversi soggetti
interessati alla sua vita, alle sue attività e ai suoi risultati.”
Occorre allora domandarsi: perché, partendo da queste
premesse, nella composizione del Consiglio Superiore alla Pubblica
Istruzione e dei Consigli Regionali dell’Istruzione non è
prevista la presenza dei rappresentanti delle famiglie? Chi ha voluto
questa omissione?
Alla luce dell’esperienza ormai trentennale degli Organi
Collegiali, possiamo affermare senza tema di essere smentiti, che
ciò è dovuto ad una volontà precisa, intenzionalmente mirata ad
escludere le famiglie dagli ambiti di governo della scuola.
A questo punto sarebbe più corretto che i responsabili della
politica scolastica ammettessero con chiarezza che non considerano
come “componenti della scuola e (…) soggetti interessati alla
sua vita, alle sue attività e ai suoi risultati”.
Questa azione di esautorazione sistematica e deliberata della
famiglia dal mondo della scuola, ha come conseguenza (ma anche come
obiettivo): la mortificazione del ruolo delle associazioni
familiari.
Anche rispetto a questo dato oggettivo, poniamo due domande a
chi è sempre pronto a deplorare il “disinteresse dei genitori
rispetto alla vita della scuola” o ad auspicare una rinnovata
volontà di “partecipazione”.
Come si pensa di applicare il principio di sussidiarietà
senza la valorizzazione e la promozione di queste aggregazioni
sociali? Attraverso quali canali e “strumenti” si pensa di
sollecitare la partecipazione delle famiglie, se non si vuole la
presenza e la collaborazione di quei genitori (ancora tanti,
nonostante tutto), che a questa responsabilità credono e per essa
si spendono?
Anche in questo caso, purtroppo, è facile individuare il
motivo di questo vero e proprio boicottaggio. Le associazioni
(quelle che sono realmente tali), sono scomode perché non
sottostanno agli interessi particolari delle forze politiche o delle
corporazioni della scuola. Inoltre, senza le associazioni, le
singole famiglie, ma anche i piccoli gruppi di istituto o locali,
sono in balia delle decisioni prese dagli “addetti ai lavori”,
perché isolate, con minori possibilità di scambio di esperienze,
di crescita “culturale” e di consapevolezza del proprio ruolo.
In pratica impossibilitate ad incidere “politicamente”.
Chiunque abbia a cuore l’educazione dei giovani e, perciò,
chiede una scuola libera, efficiente, capace non solo di fornire
istruzione, ma contribuire alla formazione integrale della persona
umana, non può non lavorare per un coinvolgimento pieno di tutti i
soggetti che concorrono a questo scopo: genitori, docenti, gestori.
Richieste ai responsabili
regionali dell’Amministrazione e della politica scolastica
Con il passaggio di competenze alle Regioni, avevamo indicato
come indispensabile un organismo con funzioni di proposta, di
gestione e di controllo, nel quale fossero inseriti i rappresentanti
delle associazioni familiari.
Nel Consiglio Regionale dell’Istruzione non è prevista la presenza dei rappresentanti delle
associazioni familiari. Ciò è grave, tanto più che tra le
competenze di questo organismo vi sono anche i temi relativi al
diritto allo studio, che vede proprio nelle famiglie i soggetti
portatori del diritto medesimo.
Rispetto a questo, chiediamo ai responsabili regionali dell’Amministrazione
e della politica scolastica un sostegno che deve avere il coraggio e
la coerenza di gesti concreti e non solamente esortativi.
Al Direttore dell’Ufficio Scolastico Regionale Dott.
Emanuele Barbieri chiediamo che, con decisione rapida, venga
attuato anche a livello regionale un ambito di confronto paritetico
con le Associazioni familiari che supplisca alla loro assenza tra i
componenti il Consiglio Regionale dell’Istruzione.
All’Assessore Regionale Dott.ssa Mariangela Bastico
rinnoviamo l’invito a riattivare la prassi di consultazione, che
era diventata metodo corrente con gli Assessori precedenti e che
è stata totalmente abbandonata dall’attuale
Amministrazione.
L’Assessore nel suo intervento ha detto che “la riforma
affida la scuola al mondo della scuola”.
Domandiamo: e le famiglie? Per quanto riguarda l’accordo
Regione – Direzione Scolastica Regionale, le associazioni
familiari sono state interpellate? Sono presenti nell’ambito di
governo? La risposta, in entrambi i casi è “no”!
Sempre l’Assessore ha affermato che sulla scuola “si
gioca il futuro dei nostri ragazzi”.
Siamo perfettamente d’accordo, con un nota bene: “i
nostri ragazzi, non sono i figli della Regione e degli Enti Locali”.
DOCUMENTO
DEL COORDINAMENTO DEI DISTRETTI SCOLASTICI DELL’EMILIA ROMAGNA
DECRETO
LEGISLATIVO N. 233/99 – CONSIDERAZIONI E PROPOSTE
Gli Organi
Collegiali della Scuola sono stati istituiti in base alla normativa
prevista dai “Decreti Delegati”: con il tempo si è fatta sentire la necessità di
modificarli e più volte si è parlato di una loro necessaria
riforma, ma sinora non se ne era fatto niente.
Per quanto
riguarda i Distretti Scolastici la loro durata è stata spesso
prorogata proprio per giungere ad un cambiamento, senza peraltro che
nessuna modifica venisse realizzata.
Alla fine si
è pervenuti ad un Decreto
Legislativo
– D.L.vo n. 233 del 30 giugno 1999 – che ne contempla un
cambiamento strutturale.
Si considera
questo Decreto, nel suo insieme, un importante punto di riferimento,
sia perché conferma alcuni Organi Collegiali, segnatamente i Consigli
Scolastici Locali
che vengono a sostituire gli attuali Consigli Scolastici
Distrettuali e Provinciali, sia perché apporta notevoli modifiche
alla situazione attuale.
Nondimeno il
Decreto risulta in alcune parti contraddittorio, in altre non sembra
tenere conto in modo adeguato dei principi per i
quali gli Organi Collegiali sono stati costituiti.
Appare
pertanto opportuno formulare alcune considerazioni e suggerire delle
proposte atte a migliorare il decreto, a renderlo più chiaro e ciò
ancor prima che esso venga applicato.
Uno dei principi fondamentali sui quali si basano gli Organi Collegiali è quello della partecipazione delle istituzioni sociali alla vita della Scuola.
Da questo punto di vista non
sembra che i Consigli Scolastici Locali mantengano e migliorino l’efficacia
di questo principio, soprattutto per quanto riguarda la
famiglia: è universalmente
riconosciuto che essa debba collaborare con la Scuola, vivere con i
figli, assieme alle altre componenti istituzionali, la vita della
scuola, fare sentire la sua voce, come è suo diritto-dovere,
sul piano educativo.
Appare
positivo il ridimensionamento
del numero dei componenti dei
nuovi Consigli Scolastici Locali e la semplificazione del loro
funzionamento. Vi sono,
però, delle contraddizioni che indubbiamente vanno rilevate,
chiarite, corrette.
Innanzitutto,
in un momento in cui si privilegia il principio delle autonomie
delle istituzioni scolastiche, sembra proprio in contrasto che la
Giunta dei Consigli Scolastici Locali debba essere presieduta da un
rappresentante dell’amministrazione.
I Consigli
Scolastici Locali debbono avere una loro autonomia, senza soggiacere
a presidenze esterne, anche se bene interessate ai problemi della
scuola; non si capisce, tra l’altro, che altri Enti (Province e
Comuni) siano deputati ad istituire propri Organi Collegiali. I Consigli
Scolastici Locali appaiono condizionati anche, e soprattutto, da un
altro fondamentale aspetto: se
debbono avere puri e semplici pareri consultivi e non avere potere
decisionale, sono scarsamente incidenti sul piano funzionale. Le varie
componenti dei Consigli Scolastici Locali possono esprimere pareri e
formulare suggerimenti ciascuno per proprio conto, nell’ambito
delle loro pertinenze: se
non possiedono dei chiari e precisi poteri decisionali sono
esautorati del tutto dalla loro funzionalità nell’ambito della
struttura dei Consigli.
Senza dire che quanti ne possono
fare parte sono ampiamente demotivati a farsi eleggere o nominare in
un organismo che abbia solo la possibilità di esprimere pareri di
cui non si conosce l’esito.
I poteri
decisionali che i Consigli hanno da esercitare riguardano, tra gli
altri, l’Orientamento
e la razionalizzazione delle
istituzioni scolastiche
sul territorio di competenza, il
coordinamento delle istituzioni scolastiche in riferimento alla loro
autonomia, l’educazione permanente, la continuità tra i vari
cicli di istruzione, l’integrazione degli alunni portatori di
handicap, l’attuazione del diritto allo studio, nonché tutte le
altre iniziative concernenti i bisogni formativi sul territorio e il
censimento delle opportunità culturali e sportive offerte ai
giovani.
Per quanto si
riferisce, in particolare, all’Orientamento ed alla
razionalizzazione scolastica, sono da tenere presenti alcuni punti
fondamentali della situazione che si riferisce a questi problemi.
E’ da
rilevare che l’Italia è uno dei soli sei paesi delle Nazioni Unite (Brunei, Burundi, Italia, Oman,
Sri-Lanka, Yemen) che non ha una legislazione per i servizi di
Orientamento, non prevede la figura del Consigliere
di Orientamento,
né ha un assetto di appropriati servizi al riguardo. Questa
carenza, che ci pone al di fuori del quadro di riferimento non
soltanto europeo, ma mondiale, è di grave danno per la Scuola e per
i suoi utenti.
C’è da
chiedersi a chi passeranno le attuali competenze che, in materia di
Orientamento, hanno i Distretti Scolastici: l’Orientamento è
proprio pertinente ad un organismo trasversale che accomuna le varie componenti sociali.
Per quanto
riguarda la razionalizzazione scolastica sul territorio non appare
chiaro, né certamente sufficientemente definito, il principio delle
articolazioni territoriali, che viene ancorato ad intese tra varie
istituzioni, ma non a termini che indichino con precisione i criteri
di ripartizione del territorio.
Sarebbe
incomprensibile, ad esempio, accomunare territori di montagna con
quelli di pianura: i
Consigli Scolastici Locali dovrebbero avere il ruolo di
promotori e di cuscinetto nell’ambito
di iniziative riguardanti le varie Istituzioni Scolastiche e gli
stessi Enti Locali, pur nel rispetto delle rispettive competenze.
Non pare che
gli aspetti finanziari dei Consigli siano stati adeguatamente
considerati. E’ evidente che i Consigli Scolastici Locali per
potere validamente operare hanno bisogno di finanziamenti chiari ed
adeguati: le loro possibilità operative sono innanzitutto
condizionate da finanziamenti rispondenti effettivamente alle loro
attività.
Soprattutto l’assetto amministrativo deve essere adeguato alle esigenze funzionali: i Consigli Scolastici Locali debbono avere una sede adeguata, all’interno o all’esterno delle istituzioni scolastiche, ed un proprio organico di segreteria, privilegiando il personale attualmente in servizio preso i Distretti Scolastici, personale che nel corso degli anni ha acquisito professionalità e competenze specifiche e garantito la continuità e la funzionalità dell’ufficio.
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