NUOVI ORGANI COLLEGIALI DELLA SCUOLA:
I CONSIGLI SCOLASTICI LOCALI
Bologna, 29 Maggio 2001
Aula Magna della Regione
Via Aldo Moro,30
- Relazione -
GIOVANNI BISSON
Presidente del Distretto Scolastico n. 49 di Noventa Vicentina (VI)
IN UN AMBITO TERRITORIALE FUNZIONALE
L'ISTITUZIONE SCOLASTICA E I SUOI DINTORNI
A CAPELLO DALLA "CULTA BONONIA"
E’ ormai da qualche anno che, sul tema che ci propone questo convegno, i presidenti dei distretti scolastici - a loro rischio - mi affibbiano il ruolo di "grillo parlante".
Tenterei, allora, in questa occasione di riscontrare quale spazio - allo stato - ci sia ancora per il "buon senso" con il quale, unitariamente con i colleghi, abbiamo ritenuto di argomentare le nostre proposte; e quanto, invece, a nostro modesto avviso, di opportuno e utile - nel rapporto scuola/società - possa rischiare di venir spiaccicato dal maglio scagliato da Pinocchio. - A capello mi sia consentito di ricordare che i responsabili dei distretti scolastici, per primi, hanno aperto la partita sull’esperienza degli organi collegiali, senza nascondere alcuna carta. Cioè con la consapevolezza che tali organi - nati nel maggio del 1974 e che, dunque, tra due giorni compiranno ventisette anni - per riguadagnare efficacia ed efficienza dovevano essere riformati; o, specie con riferimento ai distretti scolastici così come andavano riducendosi, soppressi. Chiedendo, peraltro, che il giudizio sull’esperienza fosse storicamente e culturalmente corretto. - Discorrendone oggi in questa città, già da Marziale nomata "culta bononia", sono sicuro che ciò sarà possibile.
Si vuol dire che forse non è irreprensibile la conclusione "chiudiamoli perché non hanno funzionato".
Si vuol dire che forse è un po’ epidermico l’assioma "la sempre più scarsa frequenza delle componenti ne dimostra l’inutilità".
Così non si vedono le vere cause che hanno portato al progressivo disarticolamento dei Distretti Scolastici:
-i compiti genericamente enciclopedici che, nell’attivazione, potevano creare due tensioni: con la struttura didattico-amministrativa da un lato e con gli organismi di sintesi politica generale (gli enti locali) dall’altro;
- compiti per i quali, in ogni caso, non si davano riconoscimenti cogenti; o che sono stati ignorati come - in molte realtà - nel recente caso del nuovo dimensionamento delle istituzioni scolastiche, sorvolando sulla referenza, che l’Art. 12 del D.P.R. 416 dà ai consigli scolastici distrettuali, nei confronti del provveditore, della regione, degli enti locali, per quanto di rispettiva competenza, "per tutto ciò che attiene alla istituzione, alla localizzazione e al potenziamento delle istituzioni scolastiche, nonché all’organizzazione e allo sviluppo dei servizi e delle strutture relative, anche al fine di costituire unità scolastiche territorialmente e socialmente integrate";
- compiti sui quali si è via via consentita e finanziata ogni incursione da parte di altri soggetti: non solo per le sperimentazioni, ma anche per i corsi di scuola popolare e di istruzione permanente; non solo per i servizi all’assistenza scolastica ma anche per quelli di orientamento. Per questi ultimi, anzi, si è ignorato, quasi dappertutto, perfino il recupero di coinvolgimento tentato dal Ministero con una specifica Direttiva: quella che impegnava i Provveditori a promuovere anche con i Distretti gli "osservatori d’area" per i servizi territoriali di orientamento e negli interventi di sostegno. Tant’è che uno dei quesiti posti nell’ultimo convegno, di FARE SCUOLA (Milano 7-8 novembre 2000) si intitolava appunto "che fine ha fatto la Direttiva 487/97 ?".
- compiti per i quali non potevano nemmeno più reggere la concorrenza perché, infine, venivano via via strangolati nelle disponibilità finanziarie.
Ecco, allora, dei distretti scolastici gradatamente ricacciati in spazi residui e, nella lunga penisola, in alcune attività fatalmente diversificate; senza - cioè -una visibilità omogenea e caratterizzante.
Perché meravigliarsi, allora, del disamoramento delle componenti chiamate ad amministrarli se oggi dovrebbero riunirsi più di 50 persone in ognuno dei 700 distretti per gestire, ciascuno, quattro milioni di contributo ordinario?
Erano stati dotati, è vero, di un consiglio elefantiaco, varato in un tempo in cui si confondeva una qualificata partecipazione con l’assemblearismo. Ma è altrettanto vero che dopo aver costruito l’organismo non gli si è più data la dovuta struttura operativa.
Per i collaboratori o assistenti amministrativi c’è sempre stata la provvisorietà; non è mai stato istituito un organico; hanno dovuto - spesso e senza riconoscimento - svolgere mansioni superiori al loro livello: dei paria senza tutela che, tuttavia maturano esperienza e professionalità. E che ora, in molti casi, a seguito del ridimen- sionamento delle istituzioni scolastiche, si vedono rispediti nelle segreterie delle scuole per far posto nei distretti agli eventuali direttori amministrativi sopra numerari o si vedono preferiti dai docenti utilizzati ex art. 113. Non voglio esprimere giudizi sul patrocinio dato loro dai sindacati; so, però, che questo personale non chiede l’elemosina di un privilegio: chiede che gli venga riconosciuto il lavoro svolto; e chiede, per il futuro di essere messo alla prova, di non essere escluso dai corsi di formazione, di essere - a domanda - riutilizzato nei futuri consigli scolastici locali ai quali possono garantire la continuità dell’esperienza acquisita.
Se, però, tali organi collegiali ci saranno e avranno un ruolo.
LA PREGHIERA DI TOMMASO MORO
Perché, in ogni caso, siamo al dunque.
Ammessa, infatti, per buona la rivisitazione della causa di una crisi, questa resta.
Resta anche al di là delle tante cose che, nonostante tutto, nelle diverse realtà territoriali i distretti sono riusciti a fare con la collaborazione delle scuole e degli enti locali. E’, almeno questo un riconoscimento dovuto alle decine di migliaia di volontari che li hanno amministrati tenendo accesa "senza olio, controvento" la lucerna della partecipazione dell’hinterland sociale di un determinato territorio intorno alla scuola.
Ed ora, se non si crede ai risultati di un rapporto del Censis, i cui dati rilevano fiducia (bassissima) e indifferenza (altissima) degli italiani per la scuola - "perché tenuta fuori dalla scuola, la società civile nel suo complesso manifesta una bassa sensibilità verso le problematiche educative" - gli epigoni che hanno creduto nei principi dell’art. 9 del DPR fondante i vecchi organi collegiali possono essere mandati a casa: siccome, per l’erario, hanno operato a costo zero, non c’è nemmeno l’onere della liquidazione.
Anche se si pensa ad una scuola meramente autoreferenziale è meglio non rianimare soggetti territoriali di collegamento con i suoi dintorni socioculturali.
Ne sortirebbe una scuola forse non più centralizzata, ma con una nuova escludente verticalizzazione (Ministero - Manager regionale - Dirigenti delle istituzioni scolasti- che), con la sola interfaccia delle istituzioni (Regioni - Province - Comuni): cioè strut- turalmente democratica, ma non compiutamente partecipata.
Questa può essere la posizione di chi bada all’apparato e crede, cioè, che l’efficienza della scuola si esaurisca nel rapporto - sicuramente fondamentale, ma non esclusivo - tra potere tecnico e potere politico.
C’è, invece, chi - come noi - preferisce la curiosa preghiera composta da Tommaso Moro, prima che lo statista e umanista inglese del cinquecento venisse decapitato per non aver approvato lo scisma anglicano: "Signore - diceva - dammi una buona digestione, ma naturalmente, anche qualcosa da mangiare!"
Dunque, oltre l’apparato, non va mortificata l’applicazione del "combinato disposto" dell’art. 3 (partecipazione) e dell’art. 5 (decentramento e autonomia) della Costituzione che vuole - cito Luciano Corradini - accanto agli enti istituzionali "enti di servizio" o "aggregazioni di scopo" con la finalità di rendere sempre più proficuo il sistema formativo: cioè sempre più efficace (non solo efficiente) perché più vicino, secondo una distanza ottimale, ai destinatari e alla società civile.
Dunque si deve risolvere e superare uno stato di crisi funzionale degli organi collegiali della scuola ancora motivati da validi principi:.
Il Governo ne ha delega nel marzo del ‘97, con la legge n° 59, per emanare entro un anno "un decreto legislativo di riforma degli organi collegiali della pubblica istruzione di livello nazionale e periferico". - Alla scadenza dell’anno dato esce, marzo ‘98 il D.L. 112 che conferisce, tra l’altro, alle province - in relazione all’istruzione secondaria superiore - e ai Comuni - in relazione agli altri gradi inferiori della scuola il compito della costituzione, il controllo, la vigilanza, ivi compreso lo scioglimento, sugli organi collegiali scolastici a livello territoriale".
E’ una anticipazione di compiti venturi da regolamentare.- Ed, infatti, il 30 giugno del ‘99 ecco il decreto legislativo 233 di "riforma degli organi collegiali territoriali della scuola", rinviando, quindi, la riforma di quelli di istituto.
La coerenza con i principi è, nelle premesse, salvaguardata:
- la delega al Governo (L. 59/97) era per un decreto legislativo "che tenga conto della specificità del settore scolastico, valorizzando l’autonomo apporto delle diverse componenti";
- e il primo comma dell’art. 1 del decreto legislativo 233/99 appare conseguente: "nel sistema scolastico nazionale - si legge - gli organi collegiali disciplinati dal presente decreto legislativo assicurano a livello centrale regionale e locale, rappresentanza e partecipazione alle componenti della scuola e ai diversi soggetti interessati alla sua vita, alla sua attività e ai suoi risultati".
Ma qui, come vedremo, le successive articolazioni non ci sembrano del tutto coerenti
L’impianto dei livelli invece - se davvero si intendono superati i Provveditorati per cui appare consecutivo lo scioglimento dei consigli scolastici provinciali - sembra condivisibile, con:
- il consiglio superiore della pubblica istruzione al posto del consiglio nazionale;
- i nuovi consigli regionali dell’istruzione;
- i consigli scolastici locali in sostituzione dei distretti.
Riformati organi che dovrebbero essere costituiti entro il prossimo I° settembre.
IN ATTESA DELLE GLOSSE DI IRNERIO
Il Vice presidente Dr. Mario Guglietti ci dirà, credo, perché il consiglio nazionale della pubblica istruzione ha ritenuto tale decreto, nella sua stesura complessiva, non coerente con le linee di riforma degli organi collegiali territoriali dallo stesso auspicate.
In occasione dell’ultimo congresso dell’ANCI svoltosi a Verona abbiamo raccolto la preoccupata incertezza applicativa della norma da parte dei Comuni per i consigli scolastici locali.
In diverse sedi è stata espressa la "valutazione critica e negativa" delle associazioni dei genitori.
Ed anche qui devo motivare in nome della nostra esperienza, le richieste di modifica del decreto e/o, in attesa di queste, tentarne una proposta di attivazione che, a nostro avviso, sia comunque razionale ed utile.
Circa il nuovo consiglio superiore della pubblica istruzione sentiremo poi l’autorevole opinione del Dr. Mario Guglietti. Mi limito ad esprimere la sensazione che compiti e composizione lo prefigurino più come un mero organo tecnico a latere del Ministro piuttosto che di garanzia dell’unitarietà del sistema nazionale dell’istruzione; con una rappresentanza assai ridotta di regioni ed enti locali visti i compiti e le funzioni ad essi trasferiti in materia scolastica; con la totale esclusione delle rappresentanze dei genitori; con metà dei 36 componenti nominati "arbitrio suo" dal Ministro.
Per i consigli regionali dell’istruzione il decreto di riforma
- ne prevede l’istituzione presso gli uffici periferici regionali dell’amministrazione della P.I.;
- indica compiti di pareri obbligatori in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche, di attivazione delle innovazioni ordinamentali, di distribuzione dell’offerta formativa e di integrazione tra istruzione e formazione professionale, di educazione permanente, di politiche comprensive, di reclutamento e mobilità del personale, di attuazione degli organici di istituto sui provvedimenti relativi al personale docente;
- prevede un consiglio costituito dai presidenti dei consigli scolastici locali e da componenti del personale della scuola eletti fra quello che già compone i consigli scolastici locali.
Qui ci pare giusto osservare come ci sia un ruolo invasivo sull’autonomia delle istituzioni scolastiche e sui compiti delegati a Regione ed Enti Locali specie per l’offerta formativa e l’integrazione tra istruzione e formazione professionale, tanto più che, in esso, non è prevista alcuna rappresentanza della Regione e degli Enti Locali.
E’ evidente poi - data la composizione - la caratterizzazione autoreferenziale di un consiglio senza partecipazione del sociale e dei genitori. Autoreferenzialità che non sarà corretta dalla presenza dei presidenti dei consigli scolastici locali che - data la composizione dei consigli di tali organi - a larghissima maggioranza di operatori scolastici - saranno anch’essi in maggioranza di estrazione scolastica.
Per i consigli scolastici locali, infine, la riforma:
- prevede che siano istituiti in corrispondenza delle articolazioni territoriali dell’ammi-nistrazione periferica previa intesa con le Regioni e gli Enti Locali;
- ne indica il ruolo in competenze consultive e propositive per l’amministrazione scolastica periferica, le istituzioni scolastiche autonome e gli Enti Locali in merito all’attuazione dell’autonomia, all’organizzazione scolastica sul territorio di riferimento, all’edilizia scolastica, alla circolazione delle informazioni, alle reti di scuole, all’informatizzazione, alla distribuzione dell’offerta formativa, all’educazione permanente, all’orientamento, alla continuità tra i vari cicli dell’istruzione, all’integrazione degli alunni con handicap, all’attuazione del diritto allo studio, all’adempimento dell’obbligo di istruzione e formazione, al monitoraggio degli obblighi formativi, al censimento delle opportunità culturali e sportive offerte ai giovani;
- prevede un consiglio di una trentina di componenti in maggioranza eletti dal personale scolastico con 3 rappresentanti dei genitori, 3 degli studenti, 2 della Provincia, 3 dei Comuni interessati;
- obbligatoria la presenza del funzionario dell’ufficio scolastico periferico competente o di un suo delegato;
- prevede che il consiglio elegga un suo presidente, ma la giunta esecutiva è obbliga- toriamente presieduta dal predetto funzionario;
- prevede che siano gli Enti Locali ad attivarli: il singolo comune se l’ambito territoriale dell’organo coincide con quello comunale, e la Provincia nel caso che l’organo comprenda più comuni;
- con oneri a proprio carico ciascun Comune può istituire un ulteriore organo riferito al suo territorio o anche per settori scolastici.
Per questa parte del decreto, specie per quanto riguarda il tipo di consiglio scolastico locale da attivare, occorrerebbe Irnerio, quel giureconsulto che alla fine dell’undice- simo secolo è il fondatore della scuola di diritto di Bologna, famoso per le glosse con cui spiegava l’esatto significato dei termini usati dal legislatore. Ma anche a noi pare consentito di poter osservare:
- che i compiti sono di mera consulenza e proposta senza prevedere almeno l’obbligo, per i referenti, di giustificare le eventuali scelte difformi;
- che la composizione del consiglio è autoreferenziale: il decreto ignora "che uno degli snodi principali per la riuscita del processo di attuazione dell’autonomia è quello della partecipazione dei vari soggetti, interni od esterni all’istituzione scolastica. Si deve avere la convinzione che la partecipazione ed il raccordo tra le diverse competenze costituisca un valore e non un intralcio operativo"
- che, invece, sono di intralcio, in un organo come questo, le due presidenze distinte del consiglio e della giunta, con quest’ultima antidemocraticamente predeterminate nella presidenza burocratica;
- che non è previsto nessun ruolo di supporto operativo rispetto alle competenze date agli Enti Locali per la scuola che, specie per i Comuni medio-piccoli, potrebbero avere nell’organo un riferimento per gestirle in forma associata;
- che confusa è, poi, l’ipotesi del dimensionamento territoriale di tali organi, con il rischio di divaricazione tra articolazioni dell’amministrazione periferica della P.I. (quale?) e ambiti territoriali funzionali al miglioramento dell’offerta formativa che devono essere determinati dalla Regione;
- che, come a suo tempo scriveva il prof. Massenti, "è pericolosissima la possibilità di istituire da parte del singolo Ente Locale organi collegiali di proprio interesse" in quanto:
VIDEANT CONSULES NE QUID RES PUBLICA DEPRIMENTI CAPIAT
Ciò constatato sembrerebbe utile e produttivo utilizzare, prima dell’entrata in vigore della riforma, la facoltà data dal decreto al Ministro della P.I. di predisporre proposte di modifica dell’organizzazione della composizione e dei compiti degli organi collegiali territoriali, senza attendere però, come dice la norma, una sperimentazione che allo stato di proposta appare già così discutibile.
Sembrerebbe, inoltre, razionale strutturare i nuovi organi collegiali territoriali insieme a quelli interni alle istituzioni scolastiche - interfacciandone i ruoli - la cui riforma, invece, allo stato, è rinviata:
Ma, soprattutto, come ricalibrarli nell’organizzazione, nella composizione e nei compiti come se nel frattempo gli enti locali li avessero attivati, in modo disomogeneo a macchia di leopardo sul territorio, secondo l’attuale stesura del decreto?
Se così non si volesse rimediare c’è la scadenza del prossimo primo settembre.
Che fare?
Potremo cavarcela . noi presidenti "scadenti" - con un "videant consules": e cioè le regioni, gli enti locali, le direzioni degli uffici scolastici regionali.
Scadenti, ma non indifferenti, auspichiamo, invece, per i consoli, con la sola presun- zione dell’esperienza, una scelta "ne quid res publica detrimenti capiat".
I dati di partenza sono:
- i consigli scolastici locali sono istituiti in corrispondenza delle articolazioni territoriali dell’amministrazione periferica previa intesa con le Regioni e gli Enti Locali (art. 5 D.L.vo 233/99);
- ma anche le Regioni hanno il compito di suddividere il territorio regionale in funzionali al miglioramento dell’offerta formativa ambiti (art. 138 D.L. 112/98) in concertazione con gli Enti Locali (art. 3 D.L. 112/98).
Come è possibile coordinare, in razionale sussidiarietà, le due competenze?
- l’art. 6 del Decreto del Presidente della Repubblica del 6 novembre 2000, n° 347 ("Regolamento recante norme di organizzazione del Ministero della P,I,), istituisce gli uffici scolastici regionali;
- e (comma 2° di tale art. 6) "l’ufficio scolastico regionale, sentita la Regione, si articola per funzioni e sul territorio"
Sembra, allora, questo il momento di far coincidere ambiti funzionali (Regione) e articolazioni territoriali dell’amministrazione periferica della P.I., al fine di attivare, nel medesimo ambito territoriale, una coordinata, efficiente cooperazione tra diversi soggetti e servizi.
- E,’ poi, decisivo che l’articolazione territoriale sia non solo unitariamente ma anche originalmente definita . non meramente sovrapposta ad altra eventualmente pre esistente - quale bacino di utenza per un compiuto servizio di istruzione e formazione in un comprensorio con particolari caratteristiche geo - fisiche, sociali, economiche e di interrelazione.. Dunque con articolazioni particolari per le città e con articolazioni sub-provinciali corrispondenti alle caratteristiche che assimilano un determinato comprensorio.
- Per la prefigurazione di questo quadro, è importante la preparazione da parte delle Provincie (sentiti i Comuni) della loro proposta di dimensionamento territoriale da portare alla concertazione con la Regione.
La coincidenza territoriale fra gli ambiti funzionali al miglioramento dell’offerta formativa di competenza della Regione (art. 138 del D.L. 112/98) e le articolazioni territoriali dell’amministrazione periferica della P,I, (art. 6 - comma 7 - D.P.R. 347/2000) consentirebbe in tali aree di:
- razionalizzare l’offerta formativa integrata tra istruzione e formazione professionale;
- razionalizzare il dimensionamento ottimale delle istituzioni scolastiche autonome in conseguenza del riordino dei cicli scolastici;
- attivare i centri di formazione e servizi;
- far operare gli osservatori d’area;
- costituire i consigli scolastici locali;
- programmare, in sussidiarietà, con conferenze di servizio, programmi e progetti di ausilio e servizio al potenziamento dell’autonomia;
- prevedere la possibilità dell’esercizio associato dei compiti e delle funzioni degli Enti Locali per la scuola con progetti finalizzati utilizzando, quale supporto operativo, i consigli scolastici locali.
ASCOLTANDO JOHN STUAR MILL
Così, in un determinato territorio, si coordinerebbe la sussidiarietà intorno al servizio del sistema scuola.
Così, superando le separatezze, anche i futuri consigli scolastici locali saranno dei partner degli enti e delle istituzioni efficaci ed efficienti, convogliando i dintorni della scuola al servizio del sistema formativo.
Laddove l’ambito territoriale non coincida con la dimensione di un solo Comune (può essere in caso di una città, dove la competenza è dell’amministrazione comunale), ma comprenda più Comuni, le Province provvedono alla costituzione, al controllo e alla vigilanza dei Consigli Scolastici Locali.
Va chiarita l’interpretazione del ruolo dei promotori di tali organi locali a proposito della facoltà di scioglimento.
Si è già ricordato che, come prevede la norma, i consigli scolastici locali devono essere costituiti quali premessa per la composizione dei consigli regionali .dell’istruzione. Dunque la facoltà di scioglimento può riferirsi esclusivamente ai consigli scolastici locali che, dal controllo, risultino inadempienti e che, perciò, vanno sostituiti.
Mi sia consentita un’ultima insistenza.
L’art. 138 del D.L. 112/98 prevede, al 2° comma, che al fine di favorire l’esercizio associato delle funzioni dei Comuni, le Regioni ne individuino livelli ottimali di gestione stimolandolo con appositi strumenti.
Per la scuola, con l’art. 139 di tale decreto, si trasferiscono agli Enti Locali competenze che, per le dimensioni medio-piccole della maggior parte dei Comuni, non possono essere efficacemente esercitate singolarmente per costi e carenze struttu- rali. Tanto più che, con i nuovi dimensionamenti delle istituzioni scolastiche autonome, queste - nelle realtà medio-piccole - non sono ora, quasi mai, al servizio dell’utenza di un solo Comune
Ecco allora che, per il tramite di conferenze di servizio, coordinate dalle Province, i consigli scolastici locali possono essere di supporto operativo per progetti finalizzati attuativi delle competenze degli Enti Locali, esercitate così in forma associata.
Tali consigli scolastici locali possono, inoltre, essere utilizzati come tramite di particolari iniziative della Regione e delle Province per il miglioramento dell’offerta formativa integrata e per il monitoraggio permanente dello stato e delle prospettive del servizio scolastico-professionale in un dato comprensorio.
In tale modo si supera di fatto l’insufficienza del ruolo dato a questo organo collegiale territoriale, dal decreto di riforma, riconducendolo al parere (inascoltato) del Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione del 22 giugno 1999: "Gli organi collegiali territoriali devono, per un verso, favorire il raccordo della scuola con la società e, per un altro, assicurare visibilità e specificità alla sua azione sociale e cultu- rale, promuovendo forme stabili di raccordo tra l’offerta e la domanda formativa".
Ci siamo permessi di dire ai consoli, in libertà e ragionando, le nostre opinioni.
Ora i consoli decidano: noi speriamo per una struttura orizzontale, interistituzionale, intermedia davvero operativa; quindi anche strutturalmente dotata.
Noi speriamo che nel farlo abbiano presente un passo della "Libertà" scritto (1854) da John Stuar Mill quando vede nelle articolazioni di partecipazione "un ingrandimento della persona umana" e che "senza istituzioni locali e senza partecipazione alla loro vita delle persone, una nazione può darsi un governo libero, ma non lo spirito della libertà".