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“’Uagliòoo, l chiacchir so’ chiacchir, so’ l maccareun ca jenghn la vénd”. E’ un vero peccato dover esprimere in italiano un’espressione dialettale, perde quel sapore speciale, autentico che solo il dialetto sa dare! Questa frase a Bitetto, un piccolo paese pugliese in provincia di Bari, stoppa chiunque voglia “menare il can per l’aia”, oppure, per capirci prima, “vuol prendere per i fondelli”. Traduco la frase, ben conscia di perdere tutta l’aura in cui essa è avvolta: “Le chiacchiere sono chiacchiere, sono i maccheroni che riempiono la pancia”. Ho già trascorso mezzo secolo, mi sono sentita chiamare in tanti modi: “storpia”, “zoppa”, “paralizzata”, “poverina, in quelle condizioni”, “menomata”, “claudicante” (un bambino diceva “claudia”), “invalida”, “handicappata”, “diversamente abile”, “disabile”. Mamma mia, sto facendo una grandissima fatica a ricordare i tanti modi con cui sono stata etichettata, quasi sicuramente ne ho saltato qualcuno. Quale di questi nomi/aggettivi ha una valenza positiva? Sta di fatto che, comunque mi appellassero, mi sono sempre “vergognata” ed ho cercato di nascondere in tanti modi la mia “andatura”. Com’ero felice quando stavo seduta! Non si vedeva nulla, chi non mi conosceva mi rivolgeva la parola senza alcun pregiudizio, nelle discoteche mi invitavano persino a ballare….. Ma, nel corso della mia vita la sostanza è stata sempre una sola: “ho dovuto lottare sempre fin da quando mi sono ammalata, all’età di 6 mesi, con i denti più che stretti per aver il “mio” posto, il “mio” diritto, sancito anche dalla Costituzione, all’interno della società tutta; ho dovuto tenere sempre gli occhi ben aperti e stare attenta a non mollare la presa per non rimanere “con un pugno di mosche”. Via via che passavano gli anni mi hanno tolto tutte le “agevolazioni” (???) che avevo, mi riferisco in particolar modo alla Sanità. Sto parlando in prima persona, ma ho la presunzione di credere che molte persone sono nella mia stessa condizione e addirittura tacciono per timore di perdere quel poco che hanno, magari la misera pensione d’invalidità che non raggiunge il minimo vitale! Anche nel mio lavoro vedo che ogni governo, qualunque colore esso sia, non ha alcuna remora a calpestare la dignità dei più deboli, tagliando e togliendo quello che, a mio avviso, è il bisogno primario di una persona, di un bambino: il diritto all’istruzione, la possibilità di imparare a conoscere il potere della parola, imparare a leggere tra le righe soprattutto di chi pensa di detenere il potere e di poter “soggiogare” gli altri. Il ministro Gelmini ha propagandato il rapporto tra insegnante di sostegno e bambino “disabile”: “1-2”, ma si è guardata bene dal rendere noto che i poveri bambini devono fare una bella trafila prima di avere il diritto ad un insegnante di sostegno, persino nella scuola dell’obbligo, e che ogni anno le ore da attribuire ad un bambino “disabile” calano, oppure si mettono anche più di due alunni “disabili” per classe (vedi Campania e non solo)!!! Signori, non vi sembra sia giunta l’ora di smetterla di “pontificare” le “giornate internazionali”? Tanto s’è capito che sono solo un “business”. Anche quest’anno, come ogni anno, il “3 Dicembre: giornata internazionale delle persone con disabilità” servirà solo a sprecare denaro pubblico per convegni, congressi, tavole rotonde, seminari……. Insomma “buttare parole (soldi) al vènto”. Sarà come la canzone di Bob Dylan “The answer my friend is blowing in the wind”. Maddalena |
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