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Amministratore di sostegno: quali gli ambiti di applicazione, i punti cardine e le criticità della nuova legge?
procedimento per la nomina dell’amministratore di sostegno e non necessità di assistenza da parte di un difensore
(Avv. Giorgio Grasselli)
Già dalla sue prime applicazioni, la recente l. n. 6 del 2004 ha sollevato qualche dubbio, in particolare per quanto riguarda la necessità del ricorrente di avvalersi di un difensore. Si sostiene, a tale proposito, che l’obbligo per il ricorrente di munirsi di un difensore risulterebbe da una serie di disposizioni normative che non lascerebbero dubbi al riguardo, in primo luogo l’art. 82 c.p.c., che stabilisce il principio generale per cui in ogni giudizio davanti ad un organo giurisdizionale la parte deve essere assistita da un difensore munito di procura speciale, salvo che la legge disponga altrimenti. Si tratterebbe quindi, nel nostro caso, di dare attuazione ad una disposizione di carattere generale che costituisce esplicazione del diritto irrinunciabile alla difesa previsto dall’art. 24 della nostra Costituzione. Si richiama sul punto il costante orientamento della Corte di Cassazione, secondo il quale, ove “il procedimento camerale tipico, disciplinato dagli artt. 737 e ss. c.p.c. sia previsto per la tutela di situazioni sostanziali di diritto o di status, esso deve essere espletato con le forme adeguate all’oggetto, tra le quali rientra il patrocinio di un procuratore legalmente esercente; con la conseguenza che il reclamo avverso provvedimento in camera di consiglio non sottoscritto da procuratore abilitato è affetto da nullità insanabile (Cass. 30.7.96, n. 6900). Sulla base di tali considerazioni, conclude pertanto una decisione del Tribunale di Padova (decr. 21.5.2004, Famiglia e Diritto, 2004, 6, 607), affermando che la l. 9.1.2004, n. 6 “non contiene alcuna disposizione che escluda la necessità della difesa tecnica per il procedimento di nomina dell’amministratore di sostegno; dunque a detto procedimento, che attiene allo status ed ai diritti delle persone, si applica la regola generale di cui al comma 3 dell’art. 82 c.p.c.”. In sostanza, la ragione di carattere sostanziale che depone a favore della tesi che ritiene necessaria l’assistenza di un difensore nel procedimento di cui trattasi, è rinvenuta nell’analogia che parrebbe intercorrere con la disciplina in tema di interdizione e inabilitazione, ritenendosi che l’istituto dell’amministrazione di sostegno presenti, al pari dei suddetti istituti, sia pure in termini quantitativamente più lievi, una limitazione della capacità di agire. Tale motivazione, secondo gli assertori della tesi, troverebbe una ulteriore conferma sotto il profilo processuale, nel novellato art. 720 bis c.p.c., per il quale, ai procedimenti in materia di amministrazione di sostegno, si applicano “in quanto compatibili” le disposizioni per i procedimenti di interdizione e inabilitazione di cui agli artt. 712, 713, 716, 719 e 720 c.p.c. Non si può porre in dubbio che il legislatore della l. n. 6 del 2004, richiamando le norme processuali in tema di interdizione e inabilitazione, sembri, ad un primo e sommario esame, aver inteso dettare un’unica disciplina anche al procedimento per la nomina dell’amministratore di sostegno. Tuttavia, vale la pena di rilevare come l’applicazione di dette norme sia subordinata al requisito della compatibilità, e ciò in quanto diverso è l’oggetto ed il fine cui è diretta l’amministrazione di sostegno rispetto all’inabilitazione e ancor più nei riguardi dell’interdizione. Una più approfondita disamina della legge ci porta invero a rilevare notevoli differenze tra i suddetti procedimenti e soprattutto tra i provvedimenti cui essi tendono, il che è, del resto, reso palese dal fatto che, all’amministrazione di sostegno, è dedicato un capo autonomo e distinto, il Capo I°, rispetto al Capo II° che mantiene le previgente disciplina in tema di infermità di mente, interdizione e inabilitazione, con ciò confermando il carattere profondamente diverso dell’istituto. Ed è proprio la fase introduttiva del procedimento che presenta una prima sostanziale differenza, in quanto, come recita il nuovo art. 405 c.c., competente ad emanare il provvedimento di nomina dell’amministratore di sostegno è il giudice tutelare, al quale pertanto va proposta la domanda e non invece al tribunale come prevede l’art. 712 c.p.c., e con ciò viene a cadere un primo argomento addotto dal Tribunale di Padova con la sopra richiamata decisione, in quanto il giudice tutelare non è un organo giurisdizionale bensì di volontaria giurisdizione. Un’ulteriore differenza, e non di poco conto, consiste in ciò che il procedimento di cui alla l. n. 6/2004, qualora sussistano i presupposti per l’accoglimento della domanda, si esaurisce con un provvedimento di nomina dell’amministratore di sostegno, che è dato con decreto e non con sentenza, come avviene per il procedimento di inabilitazione o interdizione. Questa differenza, la cui importanza non può sfuggire all’interprete, è conseguente alla finalità propria del nuovo istituto: in sostanza, il procedimento in questione non comporta alcuna declaratoria di incapacità del soggetto interessato, ma si limita ad accertare che le condizioni di vita dello stesso legittimano la richiesta di assistenza per alcuni e determinati atti. La funzione dell’amministratore di sostegno, come definita dalla sua stessa denominazione, è quindi non sostitutiva della volontà del soggetto, bensì complementare ad essa, anche per gli atti che l’amministratore di sostegno può compiere direttamente, in quanto ciò avviene in nome e per conto del beneficiario, trattandosi di atti, come la pratica della legge confermerà, che il beneficiario non può compiere, non perché non ne abbia la capacità, che altrimenti si dovrebbe avviare d’ufficio nei suoi confronti un giudizio di inabilitazione o interdizione, ma perché impedito, anche momentaneamente, per una qualche infermità fisica o psichica. Ritengo per ciò arbitrario rinvenire analogie con istituti che sono profondamente diversi, sia per il fine che intendono realizzare, sia per l’oggetto, sia, di conseguenza, per le modalità con cui il fine è conseguito. Il giudice tutelare, dunque, e non il tribunale, abbiamo evidenziato, è competente ad emanare il provvedimento, che è decreto e non sentenza, proprio a confermarne la non definitività e, vorremmo dire, la precarietà, perché è provvedimento non suscettibile di passare in giudicato e sempre modificabile, sia dallo stesso giudice che l’ha pronunciato, sia, eventualmente, dal giudice superiore, adito con reclamo. Riprendendo la questione affacciata all’inizio di questo scritto - necessità dell’assistenza di un difensore -, a me sembra che i suddetti elementi abbiano un rilievo decisivo ad escludere tale necessità. Certo è che la chiave di lettura del testo legislativo non va fatta con l’ottica di una normativa vetusta, quale è quelle in tema di interdizione o inabilitazione, poiché, nel nostro caso, l’interessato, se pure abbisognevole di assistenza, è perfettamente capace di agire, ed il decreto del giudice tutelare che nomina l’amministratore di sostegno non menoma in alcun modo tale sua capacità. Non è esatto, pertanto, invocare la giurisprudenza della S.C., secondo cui la necessità di un patrocinio di un procuratore legalmente esercente si presenta ogni qual volta anche un procedimento camerale tipico sia previsto “per la tutela di situazioni sostanziali di diritto o di status” (Trib. Padova decr. 21.5.2004), proprio perché l’amministrazione di sostegno non modifica affatto una situazione sostanziale di diritto e nemmeno di status, bensì, vorremmo dire, incide “di fatto”, assegnando ad un soggetto debole, ma capace di agire, un ausilio per alcune incombenze quotidiane. E’ quindi errato affermare “l’omogeneità funzionale e strutturale dell’amministrazione di sostegno con gli altri istituti di protezione degli incapaci”, proprio perché il soggetto interessato all’amministrazione non è, come ho detto, un incapace, né viene dichiarato tale dal decreto di nomina dell’amministratore: egli è semplicemente un soggetto in difficoltà ad operare in certe situazioni per motivi affatto contingenti. Si pensi alla persona anziana e sola, che deambula con difficoltà, alle prese con denunce fiscali, depositi bancari, riscossione di canoni ed altro: per un siffatto soggetto, poter disporre di un amministratore che in suo nome e per conto possa consultare professionisti, redigere o far redigere denunce di redditi, richieste di pensioni e simili, è solo e soltanto un vantaggio che non incide per nulla sulle sue capacità ma anzi le amplia. Cade così un ulteriore argomento a sostegno della tesi che qui si contesta, ovvero che esistono atti che sono annullabili (e quindi non radicalmente nulli) se compiuti dal soggetto assistito senza l’assistenza dell’amministratore. Gli ulteriori argomenti che a tale proposito vengono addotti, consistono nella considerazione che il procedimento di nomina abbia carattere contenzioso, ma ritengo di poter tranquillamente negare tale carattere in quanto non esiste una controparte, tale non essendo il beneficiato il cui interesse si realizza semplicemente con la concessione del servizio richiesto. Se tale affermazione appare ovvia nel caso in cui sia lo stesso soggetto interessato a presentare la domanda, si potrebbe pervenire ad una diversa conclusione se la domanda sia proposta da altri legittimati. Sul punto ci soccorre il nuovo art. 407, 2° co., c.c., che fa obbligo al giudice, prima di decidere (in ogni caso, e quindi anche in presenza di domanda proposta dallo stesso interessato), di sentire personalmente la persona cui il procedimento si riferisce e di tener conto dei bisogni e delle richieste di questa. Sono dell’avviso che un netto rifiuto della parte all’amministrazione di sostegno, se non accompagnata da un evidente stato di menomazione psichica – che in tal caso il giudice d’ufficio può avviare il procedimento di inabilitazione o interdizione – debba indurre il giudice a non accogliere la domanda per una evidente mancanza di interesse. In sostanza, ritengo che difetti in questo procedimento una contrapposizione di interessi tra il soggetto per il quale è chiesta l’amministrazione di sostegno ed il soggetto che tale assistenza ha richiesto. La conseguenza è che il procedimento ha natura esclusivamente camerale e di volontaria giurisdizione, risolvendosi nella nomina dell’amministratore e nella specificazione delle sue incombenze, senza alcuna ingerenza nella capacità del beneficiario che è “sorretta” e non certo menomata. Si noti infatti che, quanto alla scelta dell’amministratore, l’art. 408 c.c. prescrive che essa deve essere fatta “con esclusivo riguardo alla cura ed agli interessi della persona del beneficiario”. Il carattere di giurisdizione volontaria deriva pertanto da tali premesse, e l’obiezione più seria a tale configurazione del procedimento, che deriva dalla formulazione del nuovo art. 720 bis c.p.c. che rinvia alle norme del procedimento di interdizione anziché a quelle dei procedimenti in camera di consiglio, può essere agevolmente superata non soltanto perché l’applicabilità delle norme richiamate è subordinata al requisito della “compatibilità”, ma sopratutto perché il procedimento in questione si articola in maniera del tutto nuova ed autonoma, cosicché il presupposto della compatibilità assume una particolare rilevanza. La competenza a decidere è infatti di un giudice monocratico, il giudice tutelare, e non del tribunale in camera di consiglio. Al giudice tutelare, e non al presidente del collegio, è affidata l’intera istruttoria, che egli compie d’ufficio, interrogando la parte ed eventualmente i congiunti più prossimi, disponendo, se lo rileva necessario, le opportune indagini tecniche medico legali. E’ lui, dunque, il dominus assoluto del processo, che dirige a sua discrezione, valutando gli elementi acquisiti ed infine decidendo sulla richiesta di nomina con decreto come previsto dall’art. 43 disp. att. cod. civ. Una siffatta procedura non si ritrova né nei procedimenti di interdizione ma nemmeno nelle c.d. disposizioni comuni ai procedimenti in camera di consiglio o in quelle relative ai minori, agli interdetti ed agli inabilitati di cui all’art. 732 c.p.c., laddove i provvedimenti sono pronunciati in camera di consiglio sentito il parere del giudice tutelare il quale pertanto non ha alcun potere decisionale. Trattatasi quindi,come detto, di “attività di tipo amministrativo sia sotto il profilo strutturale (perché non idonea al giudicato, ma è, al contrario, caratterizzata dalla revocabilità e dalla modificabilità) e sia sotto il profilo funzionale (perché non tende ad attuare diritti, ma situazioni meno definite, riconducibili alla figura degli interessi legittimi o degli interessi semplici)” (Mandrioli 2000, III°, 399). Non vi è dubbio, quindi, che per siffatti procedimenti non vi alcuna necessità di assistenza da parte di un difensore. Rimane infine da considerare l’aspetto delle impugnazioni, ed anche qui le opinioni divergono. La tesi che propugna la necessità di una difesa tecnica, parte, ovviamente dal presupposto che il procedimento in questione rivestirebbe, comunque, il carattere “cameral-contenzioso” come sarebbe confermato dall’espressa previsione dell’art. 720 bis c.p.c. che prevede, nei confronti del decreto del giudice tutelare, oltre al reclamo alla corte d’appello, anche il ricorso per cassazione (cfr. Tommaseo F., amministrazione di sostegno e difesa tecnica, Famiglia e Diritto, 2004, 6, 609). Non vi è dubbio che l’argomento testuale giovi alla tesi della necessità di un difensore tecnico, anche se, fondatamente, potrebbe essere censurata l’iniziativa del legislatore di prevedere il reclamo alla corte d’appello, anziché al Tribunale in composizione collegiale (v. art. 739 c.p.c.) avverso un provvedimento emanato da un giudice monocratico, e addirittura il ricorso per cassazione nei confronti di un decreto, provvedimento per sua natura non definitivo. La norma dell’art. 720 bis c.p.c. diverge infatti da quanto dispone l’art. 739 c.p.c., che pure si occupa dei reclami avverso i provvedimenti del giudice tutelare, e nega l’ammissibilità dell’ulteriore reclamo avverso i provvedimenti della corte d’appello. Tale sovrabbondanza di rimedi nei confronti di un provvedimento ritenuto ingiusto, se da un lato sottolinea ancora una volta l’autonomia del procedimento relativo all’amministrazione di sostegno, si giustifica solo per un eccesso di zelo del legislatore a salvaguardia degli interessi del beneficiario del provvedimento, ma non scalfisce nella sostanza la facoltà della parte di promuovere personalmente il procedimento di cui alla l. n. 6 del 2004, avvalendosi, se del caso, di un difensore, qualora ritenga opportuno impugnare il provvedimento ritenuto lesivo ed ingiusto. Si deve tener presente che il giudizio d’appello si svolge, in questo caso, con le medesime formalità del giudizio di primo grado, in altre parole, il giudice superiore, oltre ad esercitare i poteri istruttori del giudice tutelare per l’acquisizione di nuovi elementi, se ritenuti necessari, può limitarsi ad una rivalutazione di quelli già acquisiti; in sostanza, il reclamo può ben limitarsi a lamentare l’ingiustizia del provvedimento impugnato senza necessità di argomentare in proposito, stanti i poteri esercitabili d’ufficio dal giudice d’appello, anche ad integrazione di carenze difensive della parte, essendo scopo primario della normativa in questione, la soddisfazione dell’interesse del beneficiario. Sulle modalità del ricorso in cassazione nulla dice la legge, tant’è che si debba richiamare le disposizioni specificatamente previste dal codice di procedura, ed in tal caso è evidente che, se da un lato le censure debbano avere a sostegno motivi di diritto – il che, all’evidenza, è ipotesi invero eccezionale – il ricorso dovrà essere sottoscritto da un avvocato abilitato al patrocinio avanti le magistrature superiori. Ma l’esigenza di una difesa tecnica in un procedimento che di per sé si rivela come assolutamente eccezionale e sovrabbondante, attesa la materia del contendere, non ritengo possa scalfire la tesi di base, ovvero la possibilità per la parte di promuovere il giudizio personalmente, come in definitiva si evince dal chiaro disposto dell’art. 406 c.p.c. che indica, come legittimato, in primo luogo lo “stesso soggetto beneficiario”, e fa inoltre obbligo ai responsabili dei servizi sanitari e sociali, impegnati nella cura della persona, di attivarsi per la nomina dell’amministratore di sostegno, qualora ne ravvisino la necessità.
Repliche e commenti
Condivido pienamente le argomentazioni tecniche sviluppate nel testo. Per quanto possa occorrere, mi permetto di aggiungere dei chiarimenti meno tecnici per i non addetti ai lavori a sostegno della non necessità di un avvocato per la richiesta della nomina di amministratore di sostegno: La procedura per la richiesta di amministratore di sostegno è formalmente e sostanzialmente diversa da quella per l'interdizione e l'inabilitazione. Infatti per esse occorre una citazione che è l'atto introduttivo di una controversia, per la quale è quindi necessaria l'assistenza obbligatoria di un avvocato. La richiesta di nomina di un amministratore di sostegno avviene con u semplice ricorso che tende ad ottenere un provvedimento di giurisdizione volontaria, cioè che non deve risolvere un conflitto di interessi e quindi non è necessaria l'assistenza di un avvocato. La causa per l'interdizione o l'inabilitazione tende a privare o a ridurre la libertà giuridica di una persona e quindi deve concludersi con una sentenza e quindi è necessaria l'assistenza di un avvocato. La richiesta di nomina di un Amministratore di sostegno tende , al contrario, come dice espressamente l'art 1 della L.n. 6/04, al ridurre al minimo il ricorso all'interdizione o all'inabilitazione e pertanto si conclude con un decreto e quindi non richiede l'assistenza di un avvocato. Invece, in caso di reclamo in appello e di ricorso in cassazione, ritengo personalmente che si instauri una vera e propria controversia fra chi ha presentato l'istanza di nomina di amministratore di sostegno e chi non condivide questa richiesta o, in caso di emanazione del decreto di nomina, fra chi ha ottenuto o non ottenuto la nomina di un di sostegno e chi ricorre per ottenere il risultato opposto. A mio avviso quindi solo in questi casi, la presenza di un avvocato sarebbe necessaria, evidenziando ulteriormente la non necessità di avvocato nel caso di richiesta. Anche se in questa fase vi fosse qualcuno contrario al provvedimento, non si instaura un contenzioso, perché la legge non prevede atti formali di contrapposizione all'istanza, ma solo l'audizione dell'interessato e di parenti , qualcuno dei quali potrebbe essere contrario. Ma il giudice tutelare decide sull'istanza,dopo aver sentite tutte le parti e non su una controversia, che eventualmente si instaurerà col reclamo.
Salvatore Nocera
Approfondimenti
Legge n.6 - Introduzione nel libro I, titolo XII, del codice civile del capo I, relativo all' istituzione dell' amministrazione di sostegno e modifica degli articoli 388, 414, 417, 418, 424, 426, 427 e 429 del codice civile
Istituzione dell'amministratore di sostegno Emanazione: Parlamento Italiano Da oltre vent'anni associazioni dei disabili, operatori, giuristi chiedevano una legge che sostituisse al meccanismo dell'interdizione, l'introduzione di una figura (indicata dal soggetto beneficiario o dai suoi familiari, ma designata dal giudice tutelare) che garantisse la protezione dell'individuo con capacità limitate in tutto o in parte. L'amministratore di sostegno svolgerà questo compito affiancando (e in molti casi sostituendo) l'istituto dell'interdizione, considerato dalle associazioni dei disabili ‘’estremamente mortificante’’.Oltre a questo aspetto significativo della legge, si aggiungono l'introduzione del principio per cui alle persone con disabilità grave (che ne limiti in tutto o in parte la capacità di agire) vanno garantite forme di tutela che comportino la minore limitazione possibile della capacità di agire; la flessibilità nella predisposizione delle forme di tutela per la persona disabile; la presa in considerazione dei ‘’bisogni e delle aspirazioni’’, ma anche della volontà della persona disabile.La legge è stata approvata il 22/12/2003 nel Titolo XII del primo codice civile – Capo I Art. 404 e prevede: la persona che, per effetto di un’infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica, si trova nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi, può essere assistita da un amministratore di sostegno, nominato dal giudice tutelare del luogo in cui questa ha la residenza o il domicilio. Inoltre, prosegue la legge all’Art. 405 il giudice tutelare provvede entro sessanta giorni dalla data di presentazione e relativa richiesta alla nomina dell'amministratore di sostegno con decreto motivato immediatamente esecutivo, su ricorso di uno dei soggetti indicati all’Art. 406.
Amministratore di sostegno Cendon (Univ. Trieste): ''Figura che risponde ai bisogni del soggetto debole''.
"Una legge che introduce una figura che affronta dal basso i problemi della persona con disabilità e cerca di risolverli tramite l'ascolto". Giudizio positivo sulla legge 6 del 2004 da parte di Paolo Cendon, professore di Diritto privato all'Università di Trieste "Ci battemmo per la chiusura dei manicomi - ricorda Cendon -, ma allora non avrebbe avuto senso chiedere l'abolizione del meccanismo di interdizione: oggi le cose sono diverse". La nuova legge non elimina l'interdizione, ma introduce un nuovo istituto: l'amministrazione di sostegno che in qualche modo promette di limitare il ricorso a una procedura ritenuta "mortificante", salvaguarda l'autonomia dell'individuo anche qualora si trovi in condizioni di disabilità fisica o psichica grave, concilia la tutela del patrimonio della persona disabile con la protezione della sua vita affettiva. "Una legge molto importante che in fase di applicazione deve però tener presenti alcuni aspetti fondamentali", dice Cendon.
Primo punto la possibilità di applicare la legge a persone con disabilità psichica, ma non solo: "Si potrebbe pensare a estendere la figura dell'amministratore di sostegno ad altre categorie deboli – suggerisce Cendon -: disabili, ma anche detenuti, persone con problemi di tossicodipendenza. In generale a tutti quei soggetti in condizioni di marginalità per i quali, ovviamente, varrebbe il principio espresso all'articolo 1 della legge: tutela, ma con la minore limitazione possibile di capacità".
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Un nuovo diritto per i malati di mente (e non solo) di Paolo Cendon Una riforma destinata a incidere profondamente sulla quotidianità dei malati psichici.
Un confronto dopo l’entrata in vigore della l. 9 gennaio 2004, n. 6: Amministrazione di sostegno, interdizione e inabilitazione. (Prof. Angelo Venchiarutti)
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L'Amministratore di sostegno Una nuova forma di tutela delle persone parzialmente o totalmente incapaci. Dopo anni di lunga attesa è finalmente “arrivato” l’amministratore di sostegno. Lo scorso 19 marzo è entrata in vigore la legge n. 6/2004 che ha aperte le porte ad una nuova forma di tutela delle persone parzialmente o totalmente incapaci, rispettosa della autonomia di ciascuno. L’amministratore di sostegno permette “di tutelare, con la minore limitazione possibile della capacità di agire, le persone prive in tutto o in parte di autonomia nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana, interventi di sostegno temporaneo o permanente”. Questo nuovo strumento di tutela per i soggetti deboli è stato introdotto dalla legge 6/2004 attraverso la modifica delle norme del codice civile.
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Amministratore di sostegno, una buona prassi di Salvatore Nocera La legge 6/04 viene sempre più spesso applicata in casi di disabilità grave. L’ultima dimostrazione è un’Ordinanza del giudice tutelare di Palmi
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Articolo di Piercarlo Pazè 08.12.2004
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