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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
Direttore responsabile: Dario Cillo


 

ONERE DEL PATROCINIO E PROCEDIMENTO DI NOMINA DELL'AMMINISTRATORE DI SOSTEGNO

 

 

 

1. L’esperienza applicativa e i primi commenti dottrinali alla disciplina processuale dell’amministrazione di sostegno hanno sollevato il problema, se sia necessario che in tale procedimento le parti stiano in giudizio col ministero di un difensore ([1]): alcuni studiosi e parte della giurisprudenza hanno risposto affermativamente, mentre altri si sono espressi per la tesi opposta, negando che la difesa tecnica sia indispensabile ([2]).

In effetti, bisogna riconoscere che la soluzione a tale quesito non è di immediata evidenza ([3]); tuttavia si ritiene di potere dimostrare che il diritto positivo e il sistema, ma anche i valori in gioco e le esigenze di tutela sottese alla nuova legge, depongono a favore della seconda fra le opinioni ricordate.

Ancora, è da sottolineare che la questione in oggetto, oltre ad assumere interesse sotto il profilo teorico, comporta notevoli ricadute sul piano pratico, soprattutto quando si rammenti che da parecchi anni la Cassazione, con rigore degno di miglior causa, ritiene viziata da nullità insanabile la domanda giudiziale priva della sottoscrizione del difensore, salvo che non ricorra uno dei casi in cui è ammessa, eccezionalmente, la difesa personale delle parti ([4]).

Per concludere questi cenni introduttivi, conviene delimitare meglio il problema, ricordando sin d’ora che - pur nel silenzio della legge – la rappresentanza tecnica è da reputare certamente necessaria nell'eventuale fase del giudizio di nomina dell'amministratore di sostegno che ha luogo davanti alla Corte di Cassazione, ai sensi dell'art. 720 bis c.p.c., mentre - al contrario - l'onere del patrocinio "non si pone per i meri procedimenti autorizzativi, interni all'amministrazione, che sono regolati dalle norme generali sui procedimenti camerali" ([5]).

 

2. Volendo iniziare dalla cornice normativa nella quale va inquadrata la questione, occorre considerare l’art. 82 c.p.c., il quale stabilisce il principio per cui davanti al tribunale le parti possono stare in giudizio solo “col ministero di un procuratore legalmente esercente”. Questa regola – comunemente definita “onere del patrocino” ([6]) - conosce delle eccezioni, ossia dei casi in cui l’ordinamento consente la difesa personale delle parti; alcune di queste ipotesi sono enunciate in vari luoghi dello stesso codice di rito ([7]), altre, invece, sono previste in leggi speciali ([8]).

Se non vi è dubbio che la deroga all’onere del patrocinio trovi solitamente fonte in un’esplicita previsione di legge, come dispone l'incipit dell'ultimo comma dell'art. 82 c.p.c., sarebbe affrettato ricavarne la conclusione che solo in queste fattispecie è ammessa la difesa personale ([9]). Vero è, al contrario, che, scorrendo i repertori giurisprudenziali, si può constatare come in qualche raro caso la Suprema Corte non abbia esitato ad escludere l'applicazione di questa regola rispetto a un determinato procedimento, anche in base ai normali criteri di ermeneutica ([10]).

Inoltre - e tale rilievo assume particolare importanza, proprio con riguardo alla nomina dell’amministratore di sostegno – la giurisprudenza di legittimità è costante nell’affermare che la necessità della difesa tecnica è correlata alla contenziosità del singolo procedimento, negandosi la sussistenza di tale onere, allorché venga in considerazione un processo di giurisdizione volontaria ([11]). In proposito, è da notare, prima di tutto, che tale indirizzo conferma quanto detto poc’anzi, allorché si è escluso che in questo campo esista un principio di rigida tassatività. Infatti, quando la Cassazione disegna la summa divisio tra procedimenti contenziosi e camerali, statuendo che solo per i primi ricorre l’onere della rappresentanza tecnica, compie un’operazione schiettamente interpretativa, visto che nessuna delle disposizioni comuni ai procedimenti in camera di consiglio (artt. 737 - 742 bis c.p.c.) prevede per tabulas la deroga al principio generale contenuto all’art. 82 del codice di rito. Ciò premesso, aggiungerei che tale orientamento giurisprudenziale, avallato da importanti voci dottrinali ([12]), è senz'altro da condividere, in quanto si rivela coerente con la natura sostanzialmente amministrativa che - come si vedrà meglio in seguito - caratterizza la giurisdizione volontaria ([13]).

Dunque, muovendo da quest'ultimo assunto - e preso atto che la legge non richiede esplicitamente, ma nemmeno esclude, la difesa personale delle parti nel procedimento per la nomina dell’amministratore di sostegno - qualora si riuscisse a dimostrare la natura volontaria e non contenziosa di tale giudizio, sarebbe pressoché inevitabile affermare la non operatività della regola dell'onere del patrocinio ([14]).

 

3. Una volta impostato il discorso in questi termini, è necessario chiarire, prima di tutto, cosa si intenda per giurisdizione volontaria, al fine di verificare se il procedimento per la nomina dell'amministratore di sostegno possa essere compreso in tale nozione.

Ebbene, premesso che il tema è da sempre uno dei più complessi e tormentati del diritto processuale civile, si può rammentare, in estrema sintesi, che secondo l'opinione tradizionale (e a mio avviso, ancora preferibile), la giurisdizione volontaria è quel tipo di attività giudiziaria, che si distingue dalla giurisdizione contenziosa - sotto il profilo funzionale - perché non è volta all'accertamento e all'attuazione di diritti o di status, ma alla realizzazione di situazioni soggettive riconducibili alla figura degli interessi legittimi e degli interessi semplici, mediante l'integrazione o la rimozione di un ostacolo alla fattispecie costitutiva, modificativa o estintiva di soggetti giuridici, di stati personali o familiari e di poteri ([15]). Da un punto di vista strutturale, invece, si dice che la giurisdizione volontaria differisce da quella contenziosa, fondamentalmente per il motivo che sfocia in un provvedimento sempre suscettibile di modifica e di revoca, e dunque non idoneo ad acquisire l'immutabilità e l'incontrovertibilità tipiche della cosa giudicata ([16]).

Alla luce di tali caratteristiche - secondo un’opinione diffusa, anche se non da tutti condivisa - la volontaria giurisdizione si risolve in un'attività giudiziaria di tipo sostanzialmente amministrativo ([17]), che il legislatore ha ritenuto opportuno affidare ai giudici ([18]), ma che "altrettanto bene avrebbe potuto attribuire alla pubblica amministrazione" ([19]), senza con questo violare il diritto costituzionale di azione ([20]). In altre parole, la giurisdizione volontaria è un'attività dello Stato che può essere definita - evocando una vecchia formula, che sembra peraltro ancora utile per cogliere l'essenza di tale nozione - come "amministrazione pubblica del diritto privato" o come "amministrazione del diritto privato affidata a organi giurisdizionali" ([21]) ([22]).

Di regola, la giurisdizione volontaria non ha luogo nelle forme del processo a cognizione piena ([23]), forme che l'ordinamento riserva alla giurisdizione contenziosa ([24]), ma in quelle più agili e snelle del procedimento in camera di consiglio regolato dagli artt. 737-742 bis del codice rito ([25]), nonché secondo il regime previsto da norme diverse "dedicate direttamente alla disciplina specifica di alcuni singoli procedimenti e che sono contenute non soltanto nel libro quarto, ma anche in altri libri del codice di procedura civile e anche in altri codici ed in numerose leggi speciali" ([26]).

Se è vero che il procedimento camerale è la forma con la quale, di regola, si svolge quell'attività che abbiamo definito "volontaria giurisdizione", esistono ipotesi – divenute sempre più frequenti negli ultimi anni, e tra le quali un’importante dottrina vorrebbe incasellare anche il procedimento per la designazione dell’amministratore di sostegno ([27]) - in cui il legislatore, per soddisfare esigenze di celerità dei giudizi, si è servito delle forme camerali per disciplinare processi su diritti o su status, ovvero processi che non sono certamente riconducibili, sotto il profilo contenutistico, alla giurisdizione volontaria ([28]): si pensi, a titolo puramente esemplificativo, attingendo ad una casistica assai vasta, al processo di revisione dei provvedimenti in tema di affidamento della prole e di assegno di divorzio ([29]), o al giudizio preventivo di ammissibilità dell'azione di dichiarazione di paternità o maternità naturale, disciplinato dall'art. 274 c.c. ([30]).

 

4. Le nozioni appena tratteggiate, per quanto essenziali, sembrano già fornire elementi sufficienti per affermare che il procedimento di nomina dell'amministratore di sostegno è una manifestazione della giurisdizione volontaria e non di quella contenziosa ([31]).

Infatti, se si valuta il nuovo istituto ponendosi nell’ottica che ritengo più corretta, ossia quella “sensibile alla sostanza del processo” e non alle sue forme ([32]), mi pare che tale giudizio non sia funzionale alla pronuncia di un provvedimento idoneo al giudicato, e ablativo di un diritto o di uno status. In realtà, il giudice adito per la nomina dell’amministratore di sostegno non interviene con l’obiettivo di accertare la mancanza di capacità d'agire del beneficiario, bensì per gestirne e proteggerne gli interessi ([33]), tramite la designazione di un soggetto – una sorta di “angelo custode” o di “puntello gestorio”, come lo definisce Paolo Cendon, padre della riforma del 2004 ([34]) - la cui nomina è strettamente funzionale al compimento di determinati atti, che possono riguardare sia la cura personae sia la cura patrimonii del beneficiario stesso (e ciò, in concreto, vuoi mediante un’attività di vera e propria amministrazione sostituiva, vuoi nelle forme, meno incisive, della semplice assistenza). In altre parole, la legge n. 6/2004 ha introdotto nel nostro ordinamento una nuova ipotesi - direi quasi paradigmatica – riconducibile fra quelle in cui l'attività giudiziale non mira affatto all'accertamento di uno status, bensì "alla sola efficace gestione degli interessi" ([35]), ovvero all'integrazione o alla rimozione di un ostacolo all'esercizio di determinati poteri e diritti, coerentemente alla più classica definizione della giurisdizione inter volentes ([36]).

In questa prospettiva – volta, per ora, a considerare il contenuto della tutela richiesta e non le forme processuali che essa assume - il confronto con gli istituti dell'interdizione e della inabilitazione, giudizi nei quali è generalmente richiesta la difesa tecnica, sembra confermare e non contraddire quanto si sta dicendo ([37]). Infatti - a prescindere dalla circostanza che la natura di tali procedimenti è tutt'altro che pacifica, essendo ancora controversa la loro appartenenza alla giurisdizione volontaria o a quella contenziosa ("un tradizionale rompicapo", secondo l'icastica definizione di Romano Vaccarella, che, peraltro, gran parte della dottrina risolveva, soprattutto in passato, a favore del primo corno dell'alternativa) ([38]) – occorre notare che esistono alcuni elementi del nuovo istituto disciplinato dalla legge n. 6/2004, i quali, a mio avviso, rendono poco fruttuoso il tentativo, operato da alcuni studiosi e da una parte della giurisprudenza, di assimilarlo ai giudizi di interdizione e inabilitazione ([39]). Intendo riferirmi, in primo luogo, al fatto che la competenza sul procedimento di designazione dell’amministratore di sostegno spetta al giudice tutelare, un organo al quale la legge attribuisce funzioni molto importanti e delicate, ma che sono normalmente riconducibili alla nozione di “vigilanza” e controllo, e quindi da ascrivere, sotto il profilo contenutistico, più alla giurisdizione volontaria che a quella contenziosa ([40]); secondariamente, la circostanza che la nuova normativa indichi espressamente, tra i legittimati a domandare la nomina dell’amministratore, il beneficiario stesso del provvedimento (cfr. art. 406 c.c.), sembra accentuare, ancora una volta, la dimensione gestoria e non ablativa dell’intervento giudiziale.

Ora, se a queste caratteristiche si aggiungono le notevoli “deviazioni camerali” che distinguono il procedimento in esame da quello di interdizione (vedi infra sub par. 5), la scelta dell’interprete non può che orientarsi a favore della tesi che nega l’affinità strutturale - e ancor prima “ideologica” e culturale - tra i due istituti ([41]); in proposito, sembra difficile contestare che, con l’amministrazione di sostegno, il legislatore abbia voluto creare una figura molto differente, da un punto di vista sostanziale e processuale, rispetto alle altre misure di protezione e tutela degli incapaci già previste nel codice civile. Una conclusione, che appare ancora più evidente, quando si guardi ai lavori preparatori e alla storia del nuovo istituto ([42]), che nasce proprio dall’esigenza di trovare un’alternativa più duttile ed empirica all’interdizione, considerata da molti una misura troppo rigida e "totalizzante" ([43]), di sapore “manicomiale e istituzionalistico”, inutilmente mortificante e priva di valore terapeutico ([44]). In definitiva, un relitto storico che il legislatore avrebbe dovuto eliminare, sull’esempio di quanto avvenuto da tempo in altri paesi ([45]), e la cui sopravvivenza sembra forse legata a motivi di "realismo politico", ossia al timore - emerso durante la gestazione della legge n. 6/2004 – che, insistendo per cancellare l’interdizione, si sarebbe corso il rischio di rallentare, o addirittura di compromettere, la genesi della nuova figura dell’amministratore di sostegno ([46]). Più in generale, è opinione ampiamente condivisa che la mancata abolizione dell’interdizione, o almeno una sua radicale riforma, rappresenti un'occasione perduta, che i conditores del nuovo istituto non hanno saputo cogliere per poco coraggio ([47]). Tuttavia, ad attenuare la delusione per la scarsa lungimiranza mostrata in sede normativa, soccorre il diffuso pronostico, per il quale l’amministrazione di sostegno determinerà, nella prassi, la scomparsa dell’interdizione giudiziale e dell’inabilitazione, destinate a conservare, tutt'al più, un ruolo assolutamente marginale nel sistema delle misure di protezione e tutela degli incapaci ([48]).

 

            5. Giunti a questo punto, si crede opportuno dar conto di un'autorevole dottrina, che ha sostenuto la natura contenziosa del giudizio in esame, non solo sulla base di rilievi contenutistici, ma anche formali. In particolare, si è asserito che il procedimento di nomina dell'amministratore di sostegno non avrebbe natura volontaria, perché presenta, sotto vari e decisivi profili, identità di disciplina processuale con l'interdizione; dunque con un giudizio dalla trama senz'altro contenziosa, esattamente riconducibile alla c.d. giurisdizione oggettiva, il quale presenta la caratteristica fondamentale di potersi concludere con una sentenza idonea al giudicato ([49]). Comunque, aggiunge questo studioso, anche qualora si attribuisse maggiore importanza alle deviazioni "camerali" che si possono constatare nella disciplina processuale del nuovo istituto ([50]), si tratterebbe pur sempre di un procedimento cameral-contenzioso – che, quindi, rientrerebbe tra quelle ipotesi in cui il legislatore si è servito delle forme camerali per disciplinare processi su diritti o su status ([51]) - come sarebbe provato "dall'espressa previsione, di cui all'art. 720 bis c.p.c., dell'esperibilità del ricorso per Cassazione nei confronti dei decreti pronunciati in sede di reclamo" ([52]).

            A questi argomenti, mi pare si possano opporre tre ordini di considerazioni.

In primo luogo, il fatto che la disciplina del procedimento presenti alcune caratteristiche contenziose (insieme, però, ad elementi camerali, come risulta senza equivoci dal dato positivo e come riconosce del resto lo stesso Tommaseo), non può essere considerato motivo sufficiente ad escludere la natura volontaria del giudizio, per definire la quale bisogna guardare alla sostanza della tutela richiesta e non alle forme che essa assume. A tale proposito, giova ricordare le parole di un altro illustre studioso, il quale rilevava giustamente che il legislatore può senz'altro estendere le forme del processo ad accertamento pieno ed esauriente (o a cognizione piena), "dovute per materie che si soggettivano in diritti o status, anche alla giurisdizione volontaria", e ciò in quanto "il legislatore è tenuto a rispettare un minimo di garanzie, ma è libero di dispensarle in maggior copia e misura di quanto è comunque necessario", il che avverrà "in relazione a più puntuali esigenze che, a grandi linee, si rifondono in un comune denominatore: la gravità di essenza, estensione, persistenza dell'effetto giudizialmente statuito" ([53]). In altre parole, se è vero che la tutela dei diritti e degli status esige necessariamente un processo ad accertamento pieno ed esauriente ([54]), di contro la giurisdizione volontaria può assumere integralmente le forme del procedimento camerale, ma può anche mutuare una parte delle garanzie e della caratteristiche strutturali, che sono proprie della cognizione piena ([55]).

Secondariamente, alcune delle "deviazioni" del procedimento di nomina dell'amministratore di sostegno rispetto a quello di interdizione, sono in realtà di importanza tale, da attrarre il processo in esame nell'ambito della tutela camerale. Al riguardo, sembra particolarmente convincente l’interpretazione dell’art. 413 c.c. (precisamente del combinato disposto del primo e del quarto comma) proposta da un autore, il quale attribuisce a tale norma uno spazio di operatività "del tutto analogo a quello della revoca dei provvedimenti camerali di cui all'art. 742 c.p.c.", in quanto la legge conferirebbe al giudice tutelare il potere di considerare, in ogni momento e senza che operino le preclusioni circa il dedotto e il deducibile tipiche del giudicato, se l'amministrazione di sostegno si sia effettivamente dimostrata idonea a realizzare la piena tutela del beneficiario ([56]). Ed ancora, l'inidoneità al giudicato del provvedimento di nomina dell'amministratore di sostegno, sarebbe definitivamente confermata da un altro riscontro positivo, ovvero dall'art. 407, comma 4, c.c., il quale dispone che "il giudice tutelare può, in ogni tempo, modificare o integrare, anche d’ufficio, le decisioni assunte con il decreto di nomina dell’amministratore di sostegno". Tale norma attribuisce al giudice il potere - non condizionato all’istanza di parte - di incidere sul contenuto del decreto di nomina, mediante una rivalutazione del materiale già considerato in sede di pronuncia del provvedimento, non solo qualora sopravvengano nuove circostanze, ma anche alla luce di nuove deduzioni: ebbene, non vi è dubbio che tale precetto disegni una disciplina della stabilità del decreto di nomina, che risulta essere radicalmente incompatibile con l’immutabilità derivante dal vincolo del giudicato ([57]).

Da ultimo, resta da affrontare quello che - sempre per la dottrina ricordata all’inizio del paragrafo - rappresenterebbe l'elemento risolutivo a favore della natura contenziosa del giudizio, ovvero l’impugnabilità con ricorso in Cassazione dei decreti pronunciati in sede di reclamo, come stabilito dall’art. 720 bis c.p.c. Il rimedio di legalità rappresenterebbe, quindi, la chiusura del cerchio, suggellando con il giudicato un procedimento che sfocia in provvedimenti ablativi, sia pure parzialmente, della capacità giuridica: così, il ricorso davanti alla Suprema Corte, imposto dalla Carta fondamentale, sarebbe l’inevitabile corollario, ma anche la migliore prova, del carattere contenzioso del procedimento de quo ([58]).

A queste osservazioni - che riguardano un aspetto del nuovo procedimento, sicuramente problematico ([59]) - è possibile replicare con le parole di un altro studioso, il quale propone una convincente sequenza logica, articolata in tre passaggi: il ricorso straordinario in Cassazione non è sufficiente ad adeguare un procedimento camerale alla pienezza di tutela necessaria per l’accertamento di un diritto soggettivo o di uno status; viceversa, se per legge un determinato procedimento prevede il rimedio di legalità, questo non è di per sé bastevole ad affermare la natura contenziosa e non volontaria di tale giudizio; infine, il ricorso in Cassazione assolve anche la funzione, forse prevalente, di assicurare l’esatta ed uniforme interpretazione della legge, rispondendo così ad un’esigenza di nomofilachia, che è bene essenziale, non solo in ambito contenzioso, ma “ancor più laddove, come nella volontaria giurisdizione, il giudice interviene nella gestione degli interessi e il suo operare è un sostanziale limite alla autonomia delle parti e alle loro libertà financo costituzionalmente garantite” ([60]).

 

            6. Volendo tirare le fila del discorso, direi che le riflessioni fin qui svolte confermano, una volta ancora, come la distinzione fra procedimenti contenziosi e volontari - soprattutto quando ci si avvale del criterio “contenutistico” e non di quello formale - sia un terreno spesso scivoloso, dove ogni affermazione assume un certo grado di opinabilità, giacché il confine tra l’attività giudiziale meramente “gestoria” e il vero e proprio accertamento di un diritto o di uno status non è sempre netto, come dimostra l’annoso dibattito sulla natura del procedimento di interdizione, nonché l’affermarsi di nuove figure concettuali e distinzioni, che si intrecciano e si confondono con quelle tradizionali, come quella dei processi camerali su diritti ([61]), o dei cosiddetti giudizi a contenuto oggettivo ([62]), oppure, ancora, dei procedimenti camerali a struttura unilaterale e bi- o plurilaterale ([63]).

            Detto questo, tuttavia, credo si possa affermare che la sostanza ed alcune caratteristiche formali del procedimento di nomina dell’amministratore di sostegno, rendano assai più convincente la tesi favorevole alla natura volontaria del nuovo istituto, con la conseguente esclusione dell’onere del patrocino e l’ammissibilità della difesa personale delle parti ([64]). Una conclusione che mi pare suggerisca anche una riflessione di portata più generale: nonostante i fenomeni di “erosione” che il concetto di volontaria giurisdizione ha subito negli ultimi anni, a causa dell’emergere e del rafforzarsi delle nuove categorie concettuali ricordate poc’anzi, la contrapposizione tra giurisdizione tout court e giurisdizione inter volentes conserva tuttora un’indubbia utilità, non solo da un punto di vista sistematico, ma anche per la soluzione di problemi di notevole importanza applicativa ([65]).

 

 

Enzo Vullo


 

([1]) In generale, sui profili processuali della legge 9 gennaio 2004, n. 6, istitutiva della nuova figura dell’amministrazione di sostegno, si vedano, per tutti, CHIARLONI, Prime riflessioni su alcuni aspetti della disciplina processuale dell'amministrazione di sostegno, in Giur. it., 2004, p. 2433 ss.; CHIZZINI, I procedimenti di istituzione e revoca dell'amministrazione di sostegno, in BONILINI, CHIZZINI, L’amministrazione di sostegno, Padova, 2004, p. 307 ss.; TOMMASEO, Introduzione al commento agli artt. 404 - 413 c.c., in Commentario breve al codice civile, a cura di G. Cian e A. Trabucchi, 7ª ed., Padova, 2004, pp. 456-461; ID., L'amministrazione di sostegno: i profili processuali, in Studium iuris, 2004, p. 1061 ss.; ID., Amministrazione di sostegno e difesa tecnica, in Fam. dir., 2004, p. 609 ss.; PASQUILI, Commento agli artt. 404-413 c.c., ivi, p. 461 ss.; CALICE, Commento agli artt. 404-413 cod. civ., in Codice civile ipertestuale. Agg., a cura di G. Bonilini, M. Conforti, C. Granelli, Torino, 2004; C. MORETTI, in DOSSETTI, M. MORETTI, C. MORETTI, L'amministrazione di sostegno e la nuova disciplina dell'interdizione e dell'inabilitazione, Milano, 2004; DANOVI, Il procedimento per la nomina dell’amministratore di sostegno (l. 9 gennaio 2004, n. 6), in Riv. dir. proc., 2004, p. 797 ss.; CAMPESE, L’istituzione dell’amministratore di sostegno e le modifiche in materia di interdizione e di inabilitazione, in Fam. dir., 2004, p. 122 ss.; CALÒ, Amministrazione di sostegno, Milano, 2004, spec. p. 91 ss. Per esaustive indicazioni bibliografiche sulla disciplina sostanziale del nuovo istituto si rinvia all'ampio saggio di BONILINI, Tutela delle persone prive d'autonomia e amministrazione di sostegno, in BONILINI, CHIZZINI, op. cit., p. 1 s. a nota 3.

([2]) Ricordo da ora, che a favore della tesi secondo cui nel giudizio in esame le parti hanno la facoltà di stare in giudizio senza il ministero di un difensore, si sono pronunciati CHIZZINI, I procedimenti, cit., p. 348 ss., DANOVI, Il procedimento per la nomina dell’amministratore di sostegno, cit., p. 805; CALICE, Commento, cit., sub art. 407 c.c., n. 2; CALÒ, Amministrazione di sostegno, cit., p. 92 s. In questo senso, vedi anche l’autorevole (ma lapidaria) opinione di CENDON, Un nuovo diritto per i malati di mente e (non solo), in http://www.altalex.com/, secondo cui “ogni passaggio del rito [di nomina dell’amministratore di sostegno] si svolge in modo informale, gli avvocati non servono”. Contra, e dunque per la sussistenza “dell’onere del patrocinio”, TOMMASEO, Amministrazione di sostegno e difesa tecnica, cit.; ID., Introduzione al commento agli artt. 404-413 c.c., cit., p. 459, ID., L'amministrazione di sostegno: i profili processuali, cit., p. 1065 s.; CAMPESE, L’istituzione dell’amministratore di sostegno, cit., p. 133; a quanto consta, anche C. MORETTI, in DOSSETTI, M. MORETTI, C. MORETTI, L'amministrazione di sostegno, cit., p. 58, nonché, in giurisprudenza, Trib. Padova, 21 maggio 2004, (decr.), in Fam. dir., 2004, p. 607 ss., con nota di TOMMASEO, Amministrazione di sostegno e difesa tecnica, cit.

([3]) Tale rilievo è condiviso da CHIZZINI, I procedimenti, cit., p. 348 s., ma già TOMMASEO, Il procedimento di ammissione all’amministrazione di sostegno, in AA.VV., La riforma dell’interdizione e dell’inabilitazione, Atti del convegno di studi su “Capacità ed autonomia delle persone”, Roma, 20 giugno 2002, a cura di S. Patti, Milano, 2002, p. 143 ss. e spec. p. 147, esaminando il disegno di legge n. 2189, all’origine della legge n. 6/2004, si augurava che il legislatore chiarisse, con un’apposita norma, la questione della sussistenza o meno dell’onere del patrocinio (problema, che già allora Tommaseo risolveva, per altro, escludendo la possibilità della difesa personale delle parti).

([4]) Vedi, per esempio, Cass. 9 settembre 2002, n. 13069, oppure, meno recentemente, Cass. 30 dicembre 1989, n. 5831, in Foro it., 1990, I, c. 1238 ss., con nota di PROTO PISANI, In tema di disciplina delle nullità causate da difetto (o da vizi) della difesa tecnica. Sull'argomento, vedi COMOGLIO, voce Procura (dir. proc. civ.), in Enc. dir., Aggiornamento, IV, Milano, 2000, p. 1043 ss. e spec. p. 1057 ss.

([5]) Così, CHIZZINI, I procedimenti, cit., p. 348. Sull’esclusione della necessità di difesa tecnica per le attività processuali di mera gestione dell’amministrazione di sostegno, concorda, talvolta, anche chi è convinto della sussistenza dell’onere del patrocinio ai fini della proposizione dell’atto introduttivo del procedimento di nomina: TOMMASEO, Amministrazione di sostegno ,cit., p. 611 e, in giurisprudenza, obiter, Trib. Padova, 21 maggio 2004, (decr.), cit., p. 608.

([6]) In generale, sull'argomento, si rinvia per tutti ai contributi di MANDRIOLI, Dei difensori, in AA.VV., Commentario del codice di procedura civile, a cura di E. Allorio, I, 2, Torino, 1973, p. 928 ss.; PEZZANO, voce Patrocinio (nozioni generali), in Enc. dir., XXXII, Milano, 1982, p. 430 ss.; MAZZARELLA, voce Avvocato e procuratore (II - Diritto processuale civile), in Enc. giur., IV, Roma, 1988; MURRA, voce Parti e difensori, in Dig. it. disc. priv. – Sez. civ., XIII, Torino, 1995, p. 262 ss.; da ultimo, COMOGLIO, voce Procura (dir. proc. civ.), cit.

([7]) Si pensi, per esempio, allo stesso art. 82 c.p.c., per i processi davanti al giudice di pace, o all'art. 86 c.p.c., con riferimento a coloro che hanno la qualità (professionale) necessaria per esercitare l'ufficio di difensore, oppure, ancora, all'art. 417, comma 1, c.p.c., per le controversie in materia di lavoro.

([8]) Così, tra le ipotesi di maggior rilievo, si possono ricordare: l'art. 22 della l. n. 689/1981, sul processo di opposizione alle ordinanze ingiuntive; l'art. 82, comma 6, della parte II, del d.p.r. n. 570/1960, in materia di contenzioso elettorale; l'art. 35, comma 10, della legge n. 833/1978, per il giudizio contro il provvedimento convalidato dal giudice tutelare, con il quale si dispone il trattamento sanitario obbligatorio, o per il giudizio proposto dal sindaco avverso la mancata convalida dello stesso provvedimento; l’art. 736 bis c.p.c. (introdotto dall’art. 5 della legge 5 aprile 2001, n. 154), per la richiesta di misure contro la violenza nelle relazioni familiari.

([9]) Come si legge, invece, nella motivazione di una recente pronuncia di merito (Trib. Padova, 21 maggio 2004, (decr.), cit., p. 607). Ma, contra, una risalente sentenza della Cassazione, ove si affermava testualmente che, allorquando l'art. 82, ult. comma, c.p.c. "subordina la possibilità di deroga alla regola generale dell'obbligatorietà del patrocinio ad una diversa disposizione di legge, non esige pure che tale disposizione sia espressa, sicché l'onere non sussiste non solo in presenza di un'apposita norma (es. art. 86, 462, 707 cod. proc. civ.), ma anche se l'esclusione possa ricavarsi in base ai normali criteri di ermeneutica" (Cass. 2 maggio 1967, n. 808, in Foro It., 1967, I, c. 908, che, tuttavia, conclude per la necessità del ministero del difensore nel caso di specie, ovvero nel procedimento di liquidazione degli onorari e delle spese degli arbitri ex art. 814 c.p.c.).

([10]) Un’ipotesi di questo tipo è rappresentata dal giudizio di verificazione dello stato passivo ex art. 92 ss. l. fall., riguardo al quale si ritiene che la domanda di ammissione al passivo possa essere sottoscritta e proposta personalmente dal creditore, senza ministero di un procuratore (così, Cass. 30 gennaio 1979, n. 661, in Il fallimento, 1979, p. 432; Cass. 26 ottobre 1976, n. 3875, in Foro it., 1977, I, c. 1248, con nota senza titolo di D. TEDESCHI; Cass. 28 luglio 1972, n. 2587, ivi, 1973, I, c. 2583, con nota di L. SECCHI TARUGI, cui adde, per altri riferimenti di dottrina e giurisprudenza, MANENTE, Commento all'art. 93 l. fall., in AA.VV., Commentario breve alla legge fallimentare, a cura di A. Maffei Alberti, 4ª ed., Padova, 2000, p. 362).

([11]) Ex multis, Cass. 3 luglio 1987, n. 5814, in Giur. it., 1988, I, 1, c. 978 ss., con nota adesiva di MANDRIOLI, In tema di onere del patrocinio nei procedimenti camerali; in Giust. civ., 1988, I, p. 743; più di recente, Cass. 30 dicembre 1989, n. 5831; obiter, Cass. 30 luglio 1996, n. 6900, cui adde, per riferimenti, l’ampia rassegna critica curata dalla CIVININI, I procedimenti in camera di consiglio, in Giurisprudenza sistematica di dir. proc. civ., diretta da A. Proto Pisani, I, Torino, 1994, p. 88 ss., a cui si rinvia, altresì, per l'esame della giurisprudenza costituzionale.

([12]) La tesi per cui nei procedimenti di volontaria giurisdizione il ministero del difensore sarebbe meramente facoltativo, è stata sostenuta da REDENTI, Diritto processuale civile, 3ª ed., III, Milano, rist. 1957, 354; FAZZALARI, voce Giurisdizione volontaria (diritto processuale civile), in Enc. Dir., XIX, Milano, 1970, p. 330 ss., spec. p. 362, nota 158; COSTA, Manuale di diritto processuale civile, 5ª ed., Torino, 1980, p. 658, e, in tempi più recenti, talvolta senza distinguere tra procedimenti volontari e processi camerali su diritti (ma su questa nozione vedi infra sub par. 3), da VECCHIONE, Determinazione delle spese e dell'onorario degli arbitri e "ius postulandi", in Giur. It., 1968, I, 1, c. 353, spec. 35c. 8; DEL CONTE, Sulla pretesa necessità del patrocinio del procuratore legalmente esercente per proporre l'opposizione al decreto dichiarativo dello stato di adottabilità, in Giust. Civ., 1979, III, p. 108 ss.; MONTELEONE, voce Camera di consiglio (dir. proc. civ.), in Nss. Dig. it., Appendice, I, Torino, 1980, p. 986 ss., e spec. p. 987; CHIARLONI, Contrasti tra diritto alla difesa e obbligo della difesa: un paradosso del formalismo concettualista, in Riv. Dir. Proc., 1982, p. 641 ss. e spec. p. 645 s. Non mancano, tuttavia, altre autorevoli voci dottrinali, che considerano necessaria la difesa tecnica nei giudizi volontari (per tutti, CARNELUTTI, Istituzioni del processo civile italiano, 5ª ed., III, Roma, 1956, p. 178; ANDRIOLI, Commento al codice di procedura civile, 3ª ed., IV, Napoli, 1964, p. 435 s.; SATTA, Commentario al codice di procedura civile, IV, Milano, 1971, p. 25), e ancora, studiosi che propongono soluzioni più articolate (p. es., MANDRIOLI, In tema di onere del patrocinio nei procedimenti camerali, cit., c. 979 s.), che tengono conto di quel peculiare fenomeno rappresentato dai c.d. processi camerali su diritti (vedi infra sub par. 3, nel testo e a nota 28)

([13]) Vedi infra sub par. 3.

([14]) Se, invece, si concludesse per la natura contenziosa del procedimento in esame, non credo sarebbe possibile trovare argomenti per escludere l'applicazione del principio enunciato dall'art. 82 del codice di rito (ma vedi infra sub nota 64).

([15]) Così, MANDRIOLI, Diritto processuale civile, 16ª ed., Torino, 2004, I, p. 27 s. e IV, p. 289 ss. Si tratta di una nozione sistematica della volontaria giurisdizione che, seppure con varietà di sfumature, è condivisa da una parte consistente della dottrina: LIEBMAN, Manuale di diritto processuale civile, 4ª ed., I, Milano, 1980, p. 27 s.; REDENTI, VELLANI, Diritto processuale civile, 5ª ed., I, Milano, 2000, p. 36; ZANZUCCHI, VOCINO, Diritto processuale civile, 6ª ed., Milano, 1964, p. 44 ss.; COSTA, Manuale di diritto processuale civile, 5ª ed., Torino, 1980, p. 79; più di recente, TOMMASEO, Lezioni di diritto processuale civile, I, Padova, 2002, p. 23 s.; PROTO PISANI, Usi e abusi della procedura camerale ex art. 737 e segg. c.p.c., in Riv. dir. civ., 1990, I, p. 393 ss., spec. pp. 407-409 (successivamente ripubblicato in CIVININI, I procedimenti in camera di consiglio, I, cit., p. 3 ss.); FERRI, in COMOGLIO, FERRI TARUFFO, Lezioni di diritto processuale civile, 2ª ed., Bologna, 1998, p. 492 ss. Questa concezione di volontaria giurisdizione, che si può definire "classica" (così, CERINO CANOVA, Per la chiarezza delle idee in tema di procedimento camerale e giurisdizione volontaria, in Riv. dir. civ., 1987, p. 431 ss. e spec. p. 438, nota 30 (saggio pubblicato altresì in Studi di diritto processuale civile, cit., p. 46 ss., nonché in AA.VV., Studi in onore di Enrico Allorio, I, Milano, 1989, p. 7 ss.), ha ricevuto, in epoca più risalente, l'autorevole avallo di CHIOVENDA, Principii di diritto processuale civile, 4ª ed., Napoli, 1928, p. 313 ss.; ID., Istituzioni di diritto processuale civile, 2ª ed., Napoli, 1936, II, p. 14 ss.; ID., Sulla natura contenziosa e sui conseguenti effetti dei provvedimenti emessi dal Tribunale in base all’art. 153 del Codice di Commercio, in Saggi di diritto processuale civile, I, Roma, 1930, p. 311 ss.; CARNELUTTI, Sistema di diritto processuale civile, Padova, 1936, p. 235 ss., e poi, seppure con nuovi e originali svolgimenti, di ALLORIO, Saggio polemico sulla “giurisdizione” volontaria, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1948, p. 487 ss.; ID., Nuove riflessioni critiche in tema di giurisdizione e giudicato, in Riv. dir. civ., 1957, I, p. 1 ss. (entrambi questi saggi sono stati successivamente ripubblicati in Problemi di diritto, II, Milano, 1957, p. 3 ss. e p. 57 ss.). Da ultimo, la ricostruzione teorica qui ricordata, è stata ripresa e riplasmata in senso accentuatamente “formale” da ATTARDI, Diritto processuale civile, I, 3ªed., Padova, 1999, p. 30 ss. (ma vedi infra alla nota 22).

([16]) Per la verifica positiva e sistematica dell'assioma tradizionale, secondo cui il rito camerale differisce da quello contenzioso per l'assenza di giudicato, vedi diffusamente, anche per riferimenti, CERINO CANOVA, Per la chiarezza di idee in tema di procedimento camerale, cit., p. 448 ss.

([17]) Occorre notare che alcuni degli studiosi che aderiscono alla concezione classica di volontaria giurisdizione, ravvisando in essa un'attività di tipo sostanzialmente amministrativo, non ritengono che ciò sia di ostacolo ad ascrivere tale attività a una nozione più ampia di "giurisdizione civile" (vedi, per esempio, REDENTI, VELLANI, Diritto processuale civile, I, 5ª ed., cit., p. 39; TOMMASEO, Lezioni di diritto processuale civile, I, cit., p. 23; a ben vedere, anche MANDRIOLI, Diritto processuale civile, 16ª ed., IV, cit., p. 289, definendo la giurisdizione volontaria come la "meno giurisdizionale", non nega la possibilità di individuare un concetto di giurisdizione capace di comprendere ogni attività svolta da giudici imparziali nell’adempimento del proprio ufficio; contra, in termini molto netti, LIEBMAN, Manuale di diritto processuale civile, 4ª ed., I, cit., p. 28, secondo il quale “il semplice fatto che tale attività [la giurisdizione volontaria] sia stata attribuita ad un giudice non è motivo sufficiente per farla rientrare nella giurisdizione”).

Di contro, per un inquadramento sistematico della giurisdizione volontaria in chiave schiettamente giurisdizionale, vedi, MICHELI, Per una revisione della nozione di giurisdizione volontaria, in Riv. dir. proc., 1947, I, p. 18 ss. e spec. p. 31; DE MARINI, Considerazioni sulla natura della giurisdizione volontaria, ivi, p. 255 ss. e p. 296 ss.; MONTESANO, Sull’efficacia sulla revoca e sui sindacati contenziosi dei giudizi civili, in Riv. dir. civ., 1986, I, p. 591 ss. e spec. pp. 596, 614; ID., voce Giurisdizione volontaria, in Enc. giur., XV, Roma, 1989; DENTI, La giurisdizione volontaria rivisitata, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1987, p. 337 ss., pubblicato anche in AA.VV., Studi in onore di Enrico Allorio, I, cit., p. 181 ss.; ARIETA, voce Procedimenti in camera di consiglio, in Dig. disc. priv. – Sez. civ., XIV, Torino, 1996, p. 438; TURRONI, Introduzione ai procedimenti camerali in materia societaria, AA.VV., Il nuovo processo societario, commentario diretto da S. Chiarloni, Bologna, 2004, p. 785. Non mancano, poi, autorevoli studiosi che dissentono sia da questa opinione che da quella "classica", qualificando la giurisdizione volontaria come tertium genus tra giurisdizione e amministrazione (FAZZALARI, La giurisdizione volontaria, Padova, 1953, p. 14; ID., Il giusto processo e i "procedimenti speciali" civili, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2003, p. 4 s.; PICARDI, Appunti di diritto processuale civile. I processi speciali, esecutivi e cautelari, Milano, 2002, p. 46), o, ancora, chi assume "una posizione criticamente agnostica" negando in radice l'esistenza della figura della giurisdizione volontaria e confutando qualunque tentativo di qualificarla (ANDRIOLI, Diritto processuale civile, I, Napoli, 1979, p. 54 ss.; le parole tra virgolette sono di CERINO CANOVA, Per la chiarezza di idee in tema procedimento camerale, cit., p. 438), oppure facendo ricorso a criteri di individuazione esclusivamente formali (ATTARDI, Diritto processuale civile, I, 3ª ed., cit., p. 42 s.; ma sul pensiero di questo autore vedi infra alla nota 22). Infine, una collocazione a sé è quella di SATTA (La giurisdizione volontaria nell'unità dell'ordinamento, in Quaderni del dir. e proc. civ., I, Padova, 1969, p. 3 ss.; Commentario del codice di procedura civile, IV, 2, Milano, 1971, p. 3 ss.), il quale elabora una personale concezione di volontaria giurisdizione, prescindendo dalla teoria tradizionale della divisione dei poteri.

([18]) In dottrina, si è voluto sottolineare che i giudici svolgono tale attività “in una posizione che, a parte alcune sfumature, è quella dell’imparzialità propria dell’attività di quegli organi” (così, MANDRIOLI, Diritto processuale civile, 16ªed., I, cit., p. 28, il quale individua, in questo dato soggettivo, la caratteristica strutturale che accomuna la giurisdizione volontaria alla giurisdizione contenziosa).

([19]) Vedi TOMMASEO, Lezioni di diritto processuale civile, I, cit., p. 23.

([20]) Nel senso, cioè, che per questa attività giudiziale finalizzata alla cura di interessi, non opera la garanzia costituzionale del diritto di azione (PROTO PISANI, Usi e abusi della procedura camerale, cit., p. 407; MONTESANO, voce Giurisdizione volontaria, cit., p. 3 s.; CERINO CANOVA, Per la chiarezza di idee in tema di procedimento camerale, cit., p. 476; sul punto vedi anche, TURRONI, Introduzione ai procedimenti camerali, cit., p. 784).

([21]) Come ricordano FAZZALARI, voce Giurisdizione volontaria (diritto processuale civile), cit., p. 362 e MANDRIOLI, Diritto processuale civile, IV, cit., p. 290, il più autorevole sostenitore della formula “amministrazione pubblica del diritto privato”, ovvero CALAMANDREI (Istituzioni di diritto processuale civile, I, Padova, 1941, p. 41), l’aveva ripresa da ZANOBINI (Sull’amministrazione pubblica del diritto privato, Milano, 1918), che, peraltro, l’aveva impiegata con un significato più ristretto e il quale, a sua volta, l’aveva mutuata da HÄNEL (Die Verwaltung des Privatrechts in deutschen Staatsrecht, I, Liepzig, 1892, p. 161 ss.), il quale, pure, l’aveva utilizzata in un’altra accezione.

([22]) Per completare queste essenziali note sul concetto di giurisdizione volontaria, bisogna ricordare che la quasi totalità degli studiosi, pur nella diversità delle conclusioni, affronta il delicato problema definitorio, privilegiando un approccio o un'impostazione comune, che si caratterizza per essere "sensibile alla sostanza del processo" (CERINO CANOVA, Per la chiarezza di idee in tema di procedimento camerale, cit., p. 439), ossia muovendo dalla premessa che la giurisdizione volontaria si caratterizza e si distingue dalla giurisdizione contenziosa per l'oggetto "quale è dato riconoscere dalla disciplina sostanziale e dalla insussumibilità negli schemi del diritto soggettivo e degli status" (CERINO CANOVA, op. ult. cit., p. 470). Se dunque la grande maggioranza degli autori fa proprio l'illustre insegnamento secondo cui "per distinguere gli atti di giurisdizione contenziosa dagli atti di giurisdizione volontaria, bisogna guardare alla sostanza piuttosto che alla forma" (CHIOVENDA, Sulla natura contenziosa, cit., p. 311), non mancano tuttavia importantissime voci dottrinali che muovono da un'impostazione opposta, elevando ad unico criterio di indagine quello formale rappresentato dalla regolamentazione normativa del procedimento camerale, e negando, di contro, ogni rilievo all'elemento sostanziale ovvero alla situazione soggettiva o al rapporto giuridico oggetto del processo: ALLORIO, Saggio polemico sulla “giurisdizione” volontaria, cit.; ANDRIOLI, Diritto processuale civile, I, cit., p. 54 ss. (per un esame critico di queste elaborazioni teoriche, vedi ancora CERINO CANOVA, op. ult. cit., p. 439 ss.); da ultimo, per un’impostazione schiettamente formale, si è espresso ATTARDI, Diritto processuale civile, I, 3ª ed., cit., p. 42 s., ove si legge che occorre “rinunciare a una nozione positiva della materia che è trattata nella giurisdizione volontaria e ritenere che l’unico criterio che possa caratterizzarla – nel vigente sistema – sia solo indiretto: rientra, cioè, nella giurisdizione volontaria ogni materia rispetto alla quale l’intervento degli organi giurisdizionali avvenga nelle forme del procedimento in camera di consiglio secondo la disciplina generale contenuta negli artt. 737-742” (corsivo dell’autore).

([23]) La dottrina insegna che l’essenza della cognizione piena, va colta “da un lato nella predeterminazione legislativa delle modalità di realizzazione del contraddittorio, delle forme e dei termini in cui il processo si articola, dall’altro lato, nella realizzazione del contraddittorio medesimo in forma piena e anticipata”; da tali caratteristiche deriverebbe la possibilità che “l’accertamento finale possa essere dotato dal regime di immutabilità” tipico della cosa giudicata (così, PROTO PISANI, Lezioni di diritto processuale civile, 4ª ed., Napoli, 2002, p. 546 s.).

([24]) Ovvero - giova ripeterlo – quell’attività svolta da giudici terzi e imparziali, finalizzata all'accertamento e all'attuazione di diritti o di status, e destinata a concludersi con la pronuncia di un provvedimento idoneo ad acquisire l’immutabilità propria della cosa giudicata.

([25]) Questo procedimento, che un illustre studioso ha definito, incisivamente, "a basso titolo formale" (ALLORIO, Saggio polemico sulla “giurisdizione” volontaria, cit., p. 35), si distingue di regola da quello contenzioso, oltre che per l'assenza di giudicato (dunque per l'inapplicabilità degli art. 324 c.p.c. e 2909 c.c.: vedi supra nel testo e a nota 14), fondamentalmente per le seguenti caratteristiche: l'atto introduttivo del giudizio ha forma di ricorso e non di citazione; la fase istruttoria si può ridurre alla mera assunzione di informazioni; manca un'udienza pubblica di discussione della causa; il provvedimento conclusivo del giudizio assume la forma di decreto e non di sentenza; il mezzo di impugnazione a disposizione delle parti contro tale provvedimento è costituito dal reclamo e non dall'appello; il provvedimento pronunciato in sede di reclamo non è impugnabile in cassazione.

([26]) Così, MANDRIOLI, Diritto processuale civile, 16ª ed., I, cit., p. 27.

([27]) Si vuole fare riferimento a TOMMASEO, Amministrazione di sostegno, cit., p. 610, della cui opinione di darà conto, più diffusamente, al par. 5. In realtà, occorre precisare che in prima battuta, questo studioso attribuisce natura contenziosa tout court al procedimento di nomina dell’amministratore di sostegno, affermando che, solo quando si volesse attribuire rilievo alle “deviazioni camerali” che si possono constatare nella disciplina processuale del nuovo istituto, tale giudizio avrebbe “sicuramente” natura cameral-contenziosa.

([28]) Questo fenomeno, conosciuto con il nome di "cameralizzazione" del processo su diritti, rappresenta un tentativo di rimediare alla ben nota perdita di efficienza della giustizia civile, ma ha suscitato critiche severe da parte della migliore dottrina, la quale ha più volte ribadito con fermezza il principio secondo cui la tutela giurisdizionale dei diritti e degli status esige sempre e comunque un processo ad accertamento pieno ed esauriente, mentre la giurisdizione volontaria offre la materia esclusiva per il processo retto dal modello della camera di consiglio (così, spec., CERINO CANOVA, Per la chiarezza delle idee in tema di procedimento camerale, cit., p. 485 (vedi anche dello stesso Autore, Commento all'art. 17 della legge 4 maggio 1983, n. 184, in AA.VV., Commentario al diritto della famiglia, a cura di G. Cian, G. Oppo, A. Trabucchi, VI, 2, Padova, 1993, spec. p. 190 s.; in senso sostanzialmente conforme, FAZZALARI, Procedimento camerale e tutela dei diritti, in Riv. dir. proc., 1988, p. 909 ss.; ID., Uno sguardo storico e sistematico (ancora sul procedimento camerale e la tutela dei diritti), ivi, 1990, p. 19 ss. e spec. p. 33 ss.; MONTESANO, Sull'efficacia, sulla revoca e sui sindacati contenziosi dei giudizi civili, cit., p. 601; ID., "Dovuto processo" su diritti incisi da giudizi camerali e sommari, in Riv. dir. proc., 1989, p. 915 ss.; MANDRIOLI, C. d. "procedimenti camerali" e ricorso straordinario per cassazione, ivi, 1988, p. 924; LANFRANCHI, Profili sistematici dei procedimenti decisori sommari, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1987, p. 88 ss.; ID., Il ricorso straordinario inesistente e il processo dovuto ai diritti, in Giur. it., 1993, IV, c. 521 ss.; ID., La cameralizzazione del giudizio sui diritti, ivi, 1989, IV, c. 33 ss.; contra, nel senso di ritenere ammissibile la tutela dei diritti soggettivi anche con procedimenti camerali, vedi, da ultimo e con diverse sfumature, DENTI, I procedimenti camerali come giudizi sommari di cognizione: problemi di costituzionalità ed effettività della tutela, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1990, p. 1097 ss.; GRASSO, I procedimenti camerali e l'oggetto della tutela, in Riv. dir. proc., 1990, p. 35 ss.; MALTESE, Giurisdizione volontaria, procedimento camerale tipico e impiego legislativo di tale modello come strumento di tutela dei diritti soggettivi, in Giur. it., 1986, IV, c. 127; per ulteriori riferimenti, si rinvia all'ampio contributo di MENCHINI, Il giudicato civile, 2ª ed., Torino, 2002, p. 380 ss.). Sulla base di questa premessa critica, sono state avanzate diverse soluzioni interpretative, tutte volte a conciliare le garanzie connaturate al “dovuto processo su diritti”, con il ricorso alle forme camerali in materia contenziosa. Così, per esempio, è stata proposta un'interpretazione estremamente restrittiva del riferimento alla camera di consiglio utilizzato dal legislatore in materia contenziosa, nel senso che tale richiamo andrebbe limitato "alle sole regole d'ordine ovvero di dinamica procedimentale consistenti nella forma del ricorso introduttivo e nell'integrale investitura del collegio, senza scomposizioni dell'organo nelle due fasi istruttoria e decisoria congiunte dall'udienza di discussione" (CERINO CANOVA, Per la chiarezza delle idee, cit., p. 480). Diversa l'opinione di chi ha voluto far salva la sommarietà dei procedimenti camerali in materia contenziosa, affermando che esisterebbero alcuni diritti che potrebbero essere fatti valere in processi sommari semplificati-esecutivi, privi di attitudine al giudicato formale e sostanziale e non preclusivi in alcun modo della possibilità di dedurre gli stessi diritti in successivi giudizi a cognizione piena o, eventualmente, in sede di opposizione all'esecuzione ex art. 615 c.p.c. (M. PAGANO, Contributo allo studio dei procedimenti in camera di consiglio, in Dir. giur., 1988, p. 11 ss.; PROTO PISANI, Usi e abusi della procedura camerale ex art. 737 e segg. c.p.c., in Riv. dir. civ., 1990, I, p. 393 ss.; ID., Lezioni di diritto processuale civile, 4ª ed., Napoli, 2002, p. 678 ss.; per una valutazione critica di questo orientamento, vedi TOMMASEO, Modificabilità dei provvedimenti relativi alla separazione, in AA.VV., Commentario al diritto della famiglia, cit., IV, I, Padova, 1993, p. 584; CARRATTA, I procedimenti cameral-sommari in recenti sentenze della Corte Costituzionale, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1992, spec. p. 1065 ss.). Altri autori, invece, sembrano privilegiare il sindacato in sede contenziosa del provvedimento camerale di merito (MONTESANO, "Dovuto processo" su diritti incisi, cit., p. 925), o propongono un intervento "costituzionalizzatore" sull'iter della cognizione volto ad assicurare le garanzie del contraddittorio e degli strumenti istruttori propri della cognizione ordinaria (LANFRANCHI, Il ricorso straordinario, cit., p. 522 ss.; MONTESANO, op. loc. ultt. citt.; CARRATTA, I procedimenti cameral sommari, cit., p. 1063 ss.), o, ancora, ipotizzano che il provvedimento reso in un giudizio camerale su diritti sia soggetto all'appello disciplinato dalle norme ordinarie e, quindi, secondo i principi e le regole della cognizione piena (ancora MONTESANO, op. loc. ultt. cit.; MONTESANO, ARIETA, Diritto processuale civile, IV, Torino, 2000, pp. 219 ss., 337 ss. e spec. p. 342; PROTO PISANI, Usi e abusi, cit., seppure con notevoli perplessità e con riferimento specifico alla fattispecie prevista dall'art. 250 c.c.; CARRATTA, op. ult. cit., p. 1077, riguardo all'art. 4, comma 13, l. div., sul processo di divorzio su domanda congiunta). Da ultimo, il tema è stato ampiamente rimeditato da COMOGLIO, Difesa e contraddittorio nei procedimenti in camera di consiglio, in Riv. dir. proc., 1997, p. 719 ss., in un saggio nel quale i diversi problemi di inquadramento sistematico della c.d. "cameralizzazione" delle forme di tutela dei diritti sono affrontati alla luce del copiosissimo dato giurisprudenziale (costituzionale, di legittimità e di merito). Questo autore conclude il proprio studio, auspicando una revisione legislativa del modello camerale che - pur rendendolo idoneo, sotto il profilo delle garanzie costituzionali e del "giusto processo", alla tutela dei diritti soggettivi - non lo snaturi "ripristinandone o conservandone (o addirittura valorizzandone) l'identità strutturale, senza mai rinunziare ad alcune delle sue peculiarità funzionali" (op. ult. cit., p. 766).

Le critiche della dottrina hanno trovato una conferma, almeno parziale, da parte della Consulta, secondo la quale la scelta del legislatore a favore dei giudizi camerali su diritti è legittima e rientra nell'ambito della sua discrezionalità tecnica, purché non sussistano irrazionali limitazioni del diritto d'azione e di difesa, e purché la disciplina camerale venga integrata, così da permettere che il processo si svolga in armonia con gli stilemi della cognizione piena ed esauriente (Corte Cost., 14 dicembre 1989, n. 543 e Corte Cost., 23 dicembre 1989, n. 573, entrambe in Foro it., 1990, I, c. 365 ss., con osservazione di PROTO PISANI e in Riv. dir. proc., 1990, p. 1188 ss., con ampia nota della SALVANESCHI, La Corte Costituzionale sul rito camerale in appello nei procedimenti di separazione e divorzio; Corte Cost., 16 aprile 1985, n. 103, in Foro it., 1986, I, cc. 888-895, cui adde le altre decisioni ricordate da COMOGLIO, Difesa e contraddittorio, cit., passim, e spec. p. 763, nt. 142). La giurisprudenza di legittimità, dal canto suo, ha ritenuto di rispondere ai moniti della dottrina e alle indicazioni della Consulta, attuando anch'essa un'opera di integrazione dei procedimenti camerali su diritti con principi e regole propri della cognizione ordinaria: ciò è avvenuto, ad esempio, riguardo al diritto di difesa (seppure in un’accezione “attenuata”) e del contraddittorio (Cass. 17 marzo 1998, n. 2866), alla competenza, alle impugnazioni (Cass. 4 settembre 1996, n. 8063, in Dir. fam., 1997, p. 573), e soprattutto con l’assoggettare i decreti camerali su status e diritti al ricorso straordinario in cassazione ex art. 111 Cost. (per riferimenti, MENCHINI, op. ult. cit., spec. p. 384 s, nonché, se si vuole, VULLO, Sul ricorso straordinario in cassazione contro i provvedimenti di modifica delle condizioni di separazione, in Fam. dir., 1997, I, p. 517 ss., spec. alle note 17-20). In tale contesto giurisprudenziale, va soprattutto ricordata l'importante mise au point, operata da una nota e controversa pronuncia delle sezioni unite, nella quale il procedimento camerale è definito un "contenitore neutro" adattabile a qualsiasi tipo di rapporto o controversia, e ove si ribadisce la necessità che, qualora tale rito venga utilizzato per la tutela di diritti o di status, sia compito del legislatore o dell'interprete compiere la "costituzionalizzazione" del modello processuale (Cass., Sez. un., 19 giugno 1996, n. 5629, in Foro it., 1996, I, c. 3070 ss., con nota di CIVININI, Dichiarazione giudiziale, cit.; questa decisione è stata criticata da COMOGLIO, Difesa e contraddittorio, cit., p. 763 ss.; CARRATTA, La procedura camerale come "contenitore neutro", cit., passim; CIVININI, Dichiarazione giudiziale di genitura naturale, cit., passim).

([29]) Cfr. art. 9, comma 1, legge 1 dicembre 1970, n. 898, Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio, come sostituito dall'art. 13, legge 6 marzo 1987, n. 74, Nuove norme sulla disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio).

([30]) Come accennato nel testo, le ipotesi di giudizi camerali su diritti sono assai numerose. Per un'esaustiva rassegna critica, si rinvia ai contributi di CIVININI, I procedimenti in camera di consiglio, I, cit., pp. 399-484 e II, pp. 485-902 e di COMOGLIO, Difesa e contraddittorio, cit., p. 729, nt. 22, cui adde, più di recente, DI FLORIO, Volontaria giurisdizione e rito camerale, Milano, 2004.

([31]) Lo studioso che, fino a oggi, ha meglio e diffusamente argomentato questa opinione, è CHIZZINI, I procedimenti, cit., spec. p. 316 ss. Nello stesso senso si è espresso, altresì, DANOVI, Il procedimento, cit., p. 805 s., con argomenti più sintetici, ma certamente condivisibili.

([32]) Le parole fra virgolette sono di CERINO CANOVA, Per la chiarezza di idee in tema di procedimento camerale, cit., p. 439. Si è gia ricordato alla nota 19, che questa prospettiva di indagine attenta al contenuto del processo non è condivisa da tutti, essendovi alcuni autorevoli studiosi che preferiscono fondare la distinzione fra giurisdizione volontaria e contenziosa su un criterio esclusivamente formale (vedi supra, per riferimenti alla nota 19). A mio avviso, è preferibile la prima delle due impostazioni, in quanto meglio tiene conto del rapporto strumentale che collega, in modo imprescindibile, la tutela giurisdizionale e le situazioni soggettive che ne costituiscono l’oggetto. In proposito è opportuno ricordare che anche la giurisprudenza di legittimità, si muove sovente in quest’ottica, come dimostrano alcune pronunce relative proprio alla questione della sussistenza dell’onere del patrocinio: così, per esempio, - come ricorda l’estensore di Trib. Padova, 21 maggio, (decr.), cit., p. 607 - si è statuito che sull’applicabilità della regola generale della necessità della difesa tecnica non influisce la forma camerale o speciale del rito previsto ma il contenuto sostanziale di controversie su diritti soggettivi o status delle persone (Cass. 18 febbraio 1999, n. 1375; Cass. 27 giugno 1997, n. 5770; Cass. 10 gennaio 1996, n. 156, in Foro it., 1996, I, 2445).

([33]) Vedi DANOVI, Il procedimento, cit., p. 805 s.

([34]) Cfr. CENDON, Un altro diritto per i soggetti deboli. L’amministrazione di sostegno e la vita di tutti i giorni, (saggio di imminente pubblicazione, che ho potuto leggere, nel dattiloscritto, per cortesia dell’autore), spec. parr. 12 e 19.4.

([35]) Così, CHIZZINI, I procedimenti, cit., p. 317.

([36]) Vedi supra nel testo e alla nota 11.

([37]) Per l'enunciazione del principio secondo cui l'obbligo di patrocinio trova applicazione nei giudizi di interdizione e inabilitazione, vedi, per esempio, Cass. 22 giugno 1994, n. 5967; Cass. 14 aprile 1994, n. 3491, in Giur. it., 1994, I, 1, c. 1697.

([38]) Vedi VACCARELLA, Il processo di interdizione e l'insufficienza mentale, in Rass. dir. civ., 1985, p. 716. Per la natura volontaria del procedimento per la dichiarazione di interdizione e di inabilitazione, si sono espressi, fra gli altri, REDENTI, Diritto processuale civile, III, Milano 1957, p. 371; CARNELUTTI, Istituzioni del processo civile italiano, 5ª ed., III, cit., p. 186 ss.; FAZZALARI, voce Giurisdizione volontaria, cit., p. 365 ss.; SATTA, Commentario al codice di procedura civile, IV, 1, Milano, rist. 1968, p. 329. Conf., in giurisprudenza, Cass. 16 dicembre 1971, n. 3664, in Giust. civ., 1972, I, p. 256. Contra, e quindi a favore del carattere contenzioso, vedi per tutti CALAMANDREI, Linee fondamentali del processo civile inquisitorio, in Studi in onore di G. Chiovenda, Padova, 1927, p. 131; ALLORIO, Saggio polemico sulla "giurisdizione" volontaria, cit., p. 487; VELLANI, voce Interdizione e inabilitazione (procedimento di), in Enc. giur., XVII, Roma, 1988, p. 1. Vi è chi, poi, ha inquadrato tale procedimento nell’ambito della c.d. giurisdizione a contenuto oggettivo, ossia in quella categoria di processi organizzati dal legislatore per “dar corpo all’attuazione di interessi generali, di situazioni non soggettivabili per realizzare gli scopi fissati da scelte politiche” (così, soprattutto, TOMMASEO, I processi a contenuto oggettivo, in Riv. dir. civ., 1988, p. 495 ss. e p. 685 ss., spec. p. 502, pubblicato anche in AA.VV., Studi in onore di Enrico Allorio, I, cit., p. 81 ss.; RAMPAZZI GONNET, voce Procedimento di interdizione e inabilitazione, in Dig. it. disc. priv. - Sez. civ., XIV, Torino, rist. 1997, p. 594 s.). Sull’argomento, vedi anche il contributo di IANNIRUBERTO, Natura giuridica e parti del processo di interdizione e di inabilitazione, in Riv. dir. proc., 1988, p. 1022 ss.

([39]) In questo senso, TOMMASEO, Amministrazione di sostegno, cit., p. 610, nonché, soprattutto, in giurisprudenza Trib. Padova, 21 maggio 2004, (decr.), cit., p. 608.

([40]) In generale, sulla figura del giudice tutelare, anche in una prospettiva storica e di diritto comparato, si rinvia al contributo di DOGLIOTTI, voce Giudice tutelare, in Dig. disc. priv. - Sez. civ., IX, Torino, rist. 1999, p. 94 ss., cui adde, per un'ampia rassegna critica di dottrina e giurisprudenza, il volume di DE FILIPPIS, CASABURI, Il giudice tutelare, Padova, 1999. In senso decisamente critico nei confronti della scelta del legislatore di attribuire il procedimento per l'amministrazione di sostegno ad un giudice monocratico, vedi CHIARLONI, Prime riflessioni, cit., p. 2434.

([41]) In questo senso, si rinvia soprattutto alle ampie e convincenti riflessioni di CENDON, Un altro diritto per i soggetti deboli, cit., passim, ma specialmente par. 19 ss.

([42]) Sulle origini della legge istitutiva dell'amministrazione di sostegno, vedi CALÒ, Amministrazione di sostegno, cit., p. 51 ss.

([43]) Cfr. CHIARLONI, Prime riflessioni, cit., p. 2433.

([44]) Così, ancora, CENDON, Un altro diritto per i soggetti deboli, cit. par. 19; ma il giudizio negativo sull’interdizione giudiziale e sull’inabilitazione, che, seppure con differenti sfumature, sono ritenute forme inadeguate ed obsolete di protezione giuridica dei soggetti, è ampiamente condiviso in dottrina: vedi, per tutti, CHIARLONI, Prime riflessioni, cit., p. 2433; FERRANDO, Protezione dei soggetti deboli e misure di sostegno, in AA.VV., La riforma dell’interdizione e dell’inabilitazione, cit., p. 127; BONILINI, Tutela delle persone, cit., p. 7 s.; CALÒ, Amministrazione di sostegno, cit., p. 1.

([45]) E precisamente, in Germania e in Austria, come ricordano CENDON, Un altro diritto per i soggetti deboli, cit., par. 19.2, nonché, ANTONICA, L’amministrazione di sostegno: un’alternativa all’interdizione e all’inabilitazione, in Fam. dir., 2004, p. 528 ss., spec. p. 534 ss., alla quale si rinvia per alcuni sintetici riferimenti comparatistici. Sulla legge austriaca, vedi, in particolare i contributi di VECCHI, La riforma austriaca della tutela degli incapaci, in Riv. dir. civ., 1987, I, p. 37 ss.; VENCHIARUTTI, La protezione giuridica del disabile in Francia, Spagna e Austria, in Dir. fam., 1988, p. 1455 ss.; KLEMENT, Sintesi del sistema austriaco dell'amministrazione di sostegno, ("Sachwalterschaft"), in AA.VV., La riforma dell’interdizione e dell’inabilitazione, cit., p. 79 ss.; per la normativa tedesca, si veda invece, VON SACHSEN GESSAPHE, La legge tedesca sull'assistenza giuridica e la programmata riforma italiana in materia di interdizione e di inabilitazione, in AA.VV., La riforma dell’interdizione e dell’inabilitazione, cit., p. 65 ss.

([46]) Questa spiegazione è proposta da CENDON, Un altro diritto per i soggetti deboli, cit., par. 19.2. D’altra parte, lo stesso Cendon rammenta come, ancora un ventina di anni or sono, pochi giuristi italiani considerassero opportuno abolire l’interdizione. Dunque, sembra potersi dire che il giudizio negativo nei confronti di questo istituto, è frutto di una consapevolezza maturata in tempi relativamente recenti: ora, se ciò potrebbe giustificare il fatto che il legislatore non abbia voluto spingersi fino a cancellarlo definitivamente dal nostro ordinamento, non è un buon motivo per non averne previsto una riforma più incisiva.

([47]) Secondo la definizione di BONILINI, Tutela delle persone, cit., p. 32. Conf. RUSCELLO, “Amministrazione di sostegno e tutela dei “disabili”. Impressioni estemporanee su una nuova legge, in Studium iuris, 2004, p. 149 ss. e spec. p. 155; CALÒ, Amministrazione di sostegno, cit., cit., p. 1 ss.

([48]) Così, soprattutto, CENDON, La tutela civilistica dell’infermo di mente, in AA.VV., La riforma dell’interdizione e dell’inabilitazione, cit., p. 31; CALÒ, Amministrazione di sostegno, cit., p. 51; anche BONILINI, Tutela delle persone, cit., p. 17, condivide “l’auspicio che i giudici facciano ricorso, quanto più possibile, all’amministrazione di sostegno”; possibilista, sul punto ROMA, L’amministrazione di sostegno: i presupposti applicativi e i difficili rapporti con l’interdizione, in Nuove leggi civ. comm., 2004, p. 993 ss. e spec. p. 1038.

([49]) Questa è l’opinione di TOMMASEO, Amministrazione di sostegno, cit., p. 610; ID., L'amministrazione di sostegno, cit., p. 1063. In particolare, secondo Tommaseo, gli indici sicuri dell'appartenenza alla giurisdizione oggettiva del procedimento in esame sarebbero molteplici: l'accentuazione del principio inquisitorio; l’ampiezza dei poteri del giudice, che comprendono anche la possibilità di pronunciare provvedimenti cautelari; la partecipazione necessaria del pubblico ministero; la compressione del principio della domanda e di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato; il fondamento della legittimazione ad agire; il potere di disporre l’archiviazione della domanda; l’asserita idoneità al giudicato del provvedimento conclusivo.

([50]) Queste “deviazioni” del procedimento di nomina dell’amministratore di sostegno, rispetto al modello del giudizio di interdizione consistono – sempre secondo Tommaseo - nella forma di decreto data al provvedimento conclusivo e nella disciplina dei gravami, modellata sul reclamo (cfr. Amministrazione di sostegno, cit., p. 610).

([51]) Vedi supra sub par. 3, nel testo e alla nota 28. Conf., per la natura cameral-contenziosa del procedimento de quo, vedi CAMPESE, L'istituzione dell'amministrazione di sostegno, cit., p. 133.

([52]) Sono queste le parole di TOMMASEO, Amministrazione di sostegno, cit., p. 610.

([53]) Così, CERINO CANOVA, Per la chiarezza delle idee in tema di procedimento camerale, cit., p. 483 ss., il quale aggiunge che, quando ciò avviene, si delinea il fenomeno dei processi "a contenuto oggettivo", i quali riproducono, sia pure con sensibili variazioni, lo schema di massima del giudizio ordinario, fenomeno del quale sarebbero esempio il procedimento di interdizione ed inabilitazione, nonché quello per la dichiarazione di fallimento; in generale su tale particolare figura, elaborata per primo da ALLORIO, L'ordinamento giuridico nel prisma dell'accertamento giudiziale, in Problemi di diritto, cit., I, Milano, 1957, p. 3 ss. e spec. p. 116 ss., vedi per tutti l'ampio saggio di TOMMASEO, I processi a contenuto oggettivo, cit., passim, anche per esaustivi richiami bibliografici). Personalmente, non condivido del tutto le conclusioni a cui giunge l’illustre Maestro. A mio avviso, infatti, quando il legislatore estende alla giurisdizione volontaria (alcune) delle forme proprie del giudizio contenzioso, non per questo si delinea automaticamente un processo a contenuto oggettivo. Voglio dire che la forma di un processo non muta la natura di quest'ultimo, che continuerà a essere volontaria o contenziosa, secondo la sostanza o il contenuto del processo medesimo (conf., se bene intendo, BALENA, I nuovi limiti della giurisdizione italiana (secondo la legge 31 maggio 1995, n. 218), in Foro It., 1996, V, 209 e segg. e spec. 225, il quale occupandosi della portata dell’art. 9 della legge n. 218/1995, ossia della norma che regola la giurisdizione italiana in materia volontaria, afferma molto significativamente, "la natura, volontaria o contenziosa del provvedimento richiesto deve prevalere su qualunque profilo di ordine procedimentale, incluso quello attinente alla forma del provvedimento medesimo"). Tuttavia, credo anche che questa possibile divaricazione fra forma e sostanza del giudizio, incontri comunque un limite nel giudicato, nel senso che se il processo culmina con un provvedimento a cui la legge attribuisce, senza ombra di dubbio, l’idoneità ad acquisire l’immutabilità della cosa giudicata, allora si debba ritenere che la forma di tutela predisposta dall’ordinamento sia quella contenziosa (contra, invece, su questo punto, BALENA, op. ult. cit., secondo il quale, se il provvedimento finale, "pur potendo incidere su diritti o status, è di per sé preordinato alla gestione degli interessi di determinati soggetti, deve ritenersi che l'applicazione dell'art. 9 l. 218/1995 non sia esclusa dalla circostanza che il legislatore abbia eventualmente previsto la definizione del giudizio con sentenza, ossia con un provvedimento tipicamente idoneo al giudicato formale [mio l’ultimo corsivo]".

([54]) Ancora, CERINO CANOVA, Per la chiarezza delle idee in tema di procedimento camerale, cit., p. 485.

([55]) Così, direi, anche MONTELEONE, Diritto processuale civile, 3ª ed., Padova, rist. 2004, p. 1233 s., pur affermando che allorché “la legge imponga in tutto o in parte le forme processuali contenziose per la trattazione di affari, che teoricamente potrebbero rientrare nell’ambito della giurisdizione volontaria, tale qualificazione teorica perde ogni rilievo pratico e giuridico [mio il corsivo]”. In realtà a me pare che quest’ultimo assunto non sia esatto; infatti, se il legislatore prevede alcune garanzie del processo contenzioso per un procedimento che, dal punto di vista sostanziale, ha natura volontaria, tale qualificazione risulta essere ancora determinante per potere stabilire quale disciplina si applica laddove la legge nulla dice.

([56]) In questo senso, CHIZZINI, I procedimenti, cit., p. 322, il quale osserva, giustamente, che solo così si evita di ridurre il quarto comma dell'art. 413 c.c. ("il giudice tutelare provvee altresì, anche d'ufficio, alla dichiarazione di cessazione dell'amministrazione di sostegno quando questa si sia rilevata inidonea a realizzare la piena tutela del beneficiario") a un doppione del primo comma della stessa norma ("quando il beneficiario, l'amministratore di sostegno o taluno dei soggetti di cui all'art. 406, ritengono che si siano determinati i presupposti per la cessazione dell'amministrazione di sostegno, o per la sostituzione dell'amministratore, rivolgono istanza motivata al giudice tutelare"), salvo il dato "collaterale" del riconoscimento di un potere ufficioso.

([57]) Vedi CHIZZINI, I procedimenti, cit., p. 322.

([58]) Così, TOMMASEO, Amministrazione di sostegno, cit., p. 610.

([59]) Come rileva CHIARLONI, Prime riflessioni, cit., p. 2434.

([60]) Per questa puntuale osservazione, vedi ancora CHIZZINI, I procedimenti, cit., p. 323 s. e spec. p. 372. Sulla funzione di nomofilomachia della Corte di Cassazione, vedi da ultimo i puntuali rilievi di SCARSELLI, Ordinamento giudiziario e forense, Milano, 2004, p. 177 ss., e ivi utili riferimenti bibliografici sull’argomento.

([61]) Vedi supra sub par. 3, nel testo e alla nota 28.

([62]) Vedi supra alla nota 53.

([63]) I procedimenti di volontaria giurisdizione a struttura unilaterale sono quelli nei quali non è dato ravvisare un vero e proprio contraddittore, in quanto il provvedimento, che l'unica parte sollecita, è destinato a produrre effetti sull'unica parte che lo ha provocato (si pensi, per esempio, alla procedura ex art. 322 c.c. con la quale il genitore decaduto può chiedere di essere reintegrato nella potestà, o a quella ex art. 320 c.c., per ottenere l'autorizzazione del giudice ad alienare un bene del minore); i procedimenti bi- o plurilaterali, invece, sono quelli in cui la tutela del soggetto garantito avviene nei confronti di un altro o di altri soggetti (vedi, p. es., i procedimenti diretti alla rimozione o alla revoca di rappresentanti o amministratori: artt. 1129, 2275, 2409 e 2487 c.c.), e dunque con una contrapposizione tra le parti interessate simile a quella dei processi contenziosi. Su tale distinzione vedi già FRANCHI, L'incompetenza nella giurisdizione volontaria, in Riv. dir. civ., 1955, I, p. 117 ss., ma, soprattutto, assai diffusamente, ANDRIOLI, Diritto processuale civile, I, cit., p. 56 ss. (nonché, ID., Il processo civile non contenzioso, in Ann. dir. comp., 1966, p. 226 ss. e spec. p. 234 ss.). Tale classificazione è da considerare ormai patrimonio comune della nostra dottrina (vedi, p. es., CHIZZINI, Commento all'art. 738 c.p.c., in AA.VV., Codice di procedura civile commentato, a cura di C. Consolo e F.P. Luiso, 2ª ed., II, Milano, 2000, p. 3152; LAUDISA, voce Camera di consiglio. I. Procedimenti in camera di consiglio - diritto processuale civile, in Enc. giur., V, Roma, 1988, p. 2 s.), anche se alcuni studiosi ne hanno parzialmente criticato le implicazioni che se ne vogliono trarre sul piano sistematico: CERINO CANOVA, Per la chiarezza di idee in tema di procedimenti camerali, cit., p. 431 ss. e spec. p. 439 ss.; ARIETA, voce Procedimenti in camera di consiglio, cit., p. 455).

([64]) Diversamente, credo che se si provasse il carattere contenzioso del procedimento in esame, sarebbe molto difficile giungere alle medesime conclusioni. E ciò non tanto per la pretesa tassatività delle ipotesi di esclusione dell’onere del patrocinio (un principio che, come si è visto, la giurisprudenza ha talvolta ignorato: vedi supra sub par. 2), ma perché, qualora si ritenesse che il provvedimento conclusivo del procedimento di nomina dell’amministratore di sostegno incide con autorità di giudicato su uno status, l’immutabilità degli effetti e la delicatezza delle situazioni soggettive coinvolte, imporrebbero l’intermediazione della difesa tecnica, come strumento volto a garantire la pienezza del diritto di difesa.

([65]) Il termine "erosione", con riferimento ai fenomeni illustrati nel testo, è utilizzato, a mio avviso propriamente, da TURRONI, Introduzione ai procedimenti camerali, cit., p. 792, il quale giunge a conclusioni a analoghe a quelle di chi scrive, ribadendo la necessità di salvaguardare la distinzione fra giurisdizione contenziosa e non contenziosa.


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