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Il Presidente dell'Aniep commenta le nuove norme sul lavoro dei disabili contenuto nel decreto attuativo della legge delega al Governo sulla riforma del lavoro (il famoso articolo 14). Con un giudizio nettamente negativo
In quasi tutti i Paesi della Comunità Europea gli handicappati con riferimento alla scuola, al lavoro e all'assistenza sono considerati “persone con bisogni speciali” e si prevedono e organizzano per loro “scuole speciali”, “istituti speciali”, “laboratori protetti”, “residenze e villaggi speciali”, “vacanze speciali”… Non si tratta, probabilmente, di soluzioni intenzionalmente discriminanti, ma di un approccio pragmatistico secondo il quale a bisogni specifici devono corrispondere interventi specifici: vi è insomma l'adozione prevalente del “modello assistenziale”.
In
Italia, a partire dagli anni '70, a seguito delle lotte contro le
istituzioni totali e all'azione dei movimenti di liberazione, si è
affermato, dal punto di vista culturale e legislativo, che nei confronti
dei disabili occorre intervenire contestualmente sia sui bisogni
specifici che derivano dalle menomazioni, sia sui rischi e le dinamiche
di emarginazione ed esclusione sociale.
Per
molti anni il collocamento al lavoro per gli handicappati è stato per le
imprese una obbligazione legale; i datori di lavoro dovevano assumere
un'alta percentuale di invalidi spesso senza qualifica e senza nessun
meccanismo di raccordo tra domanda e offerta di lavoro, cioè tra le
capacità dei disabili e le mansioni disponibili (trovavano lavoro
soprattutto i “falsi invalidi”). Il dibattito culturale e politico fu molto intenso e alla fine si raggiunse un compromesso secondo il quale, fermo restando l'obbligo di assunzione da parte delle imprese, era previsto un inserimento temporaneo (massimo tre anni) dei disabili con maggiori difficoltà nelle cooperative sociali al fine di effettuare un percorso formativo personalizzato. Le cooperative sociali alle quali si fa riferimento, sono quelle del gruppo B della legge 381/91, cioè costituite da almeno il 30% da “persone svantaggiate” (invalidi fisici, psichici e sensoriali, tossicodipendenti, ex detenuti, malati psichiatrici ecc.); si tratta comunque di contesti in cui, al di là di ogni altra valutazione, si concentrano una molteplicità di menomazioni funzionali e comportamentali e nei quali i fattori di integrazione e di socializzazione sono fortemente limitati, ambiti lavorativi o formativi adatti soprattutto agli handicappati in situazione di gravità permanente. Il Consiglio dei Ministri il 6 giugno 2003 ha approvato lo schema di decreto legislativo in attuazione della delega della legge sul mercato del lavoro (“riforma Biagi”). L'articolo 14 del DL. contiene una disposizione che compromette gravemente l'inserimento lavorativo ordinario dei disabili e istituisce formalmente il sistema del lavoro protetto permanente. La nuova norma prevede che al fine di favorire l'inserimento occupazionale dei “lavoratori svantaggiati” e dei “lavoratori disabili che presentino particolari caratteristiche e difficoltà di inserimento nel ciclo lavorativo ordinario”, i servizi del collocamento stipulano con gli imprenditori, convenzioni quadro su base territoriale per il conferimento di commesse di lavoro alle cooperative sociali. La convenzione quadro disciplina i seguenti aspetti: a) i criteri di individuazione dei lavoratori svantaggiati (l'individuazione dei lavoratori disabili resta competenza del comitato tecnico di cui alla legge 68/99); b) la definizione del valore complessivo delle commesse che le imprese conferiscono per i lavoratori svantaggiati inseriti al lavoro nelle cooperative; c) il valore unitario delle commesse ai fini del computo delle assunzioni dei lavoratori disabili; d) i limiti percentuali massimi della quota d'obbligo consentita per la convenzione quadro. Infine e più chiaramente si precisa che quando l'inserimento lavorativo nelle cooperative riguarda persone disabili, le imprese che conferiscono commesse di lavoro sono esentate “dalla copertura della quota di riserva” (cioè non devono assumere persone handicappate), l'esenzione è proporzionale al valore delle commesse; per le imprese che occupano da 15 a 35 dipendenti non si applicano limiti di esenzione dall'obbligo di assumere disabili. Viene così vanificata una delle principali conquiste della legge vigente: l'estensione dell'obbligo di assunzione alle piccole imprese. Le principali modifiche all'attuale legge sul diritto al lavoro dei disabili riguardano: a) l'istituzione di un mercato del lavoro “protetto” che non è transitoria e che non comunica più con il mercato del lavoro “ordinario” (fine del collocamento temporaneo per scopi di formazioni e di orientamento); b) per una quota definita le aziende con più di 35 dipendenti che aderiscono alla convenzione avranno un obbligo di assunzione fortemente ridotto (le piccole imprese sono completamente esonerate); c) si realizza un abbassamento complessivo dell'obbligo di assunzione che potrà essere a somma zero, compromettendo così l'inserimento lavorativo ordinario non solo dei disabili gravi ma di tutti. Si afferma insomma una prospettiva di smantellamento progressivo del collocamento delle persone con disabilità, che potranno trovare lavoro soltanto negli enti e nelle amministrazioni pubbliche.
L'articolo 14 del decreto di attuazione della “legge Biagi” corrisponde
a una concezione esclusivamente neoliberista del mercato del lavoro,
inteso come ambito di competitività e di dinamiche selettive dal quale
sono esclusi tutti gli attori (lavoratori svantaggiati o disabili) che
possono rallentare o rendere problematici i ritmi produttivi e la loro
razionalità formale.
Gianni
Selleri |
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