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Intervento di Maria Fruci, a nome del Gruppo Asperger al Convegno Nazionale:"ANNO DELLA DISABILITA': organizzato dal C.I.I.S. (Coordinamento Italiano Insegnanti di Sostegno) presso l'Aula Magna dell’Università TOR VERGATA di ROMA MARTEDI' 14 GENNAIO 2003 :Ringrazio innanzi tutto l'Ins. Evelina Chiocca per la grande opportunità offertami quest'oggi, ho ricevuto l'invito in qualità di genitore dell'Associazione Onlus Camici & Pigiami - Gruppo Asperger, ma vorrei portare anche la preziosa testimonianza di Chiara. E' un'altra mamma speciale con un bimbo che nulla ha a che vedere con la Sindrome di Asperger, ma proprio oggi vorrei non fare differenze, poiché io e Chiara non siamo madri di due diverse patologie, bensì di due meravigliosi bambini e in questo io e Chiara siamo perfettamente uguali.Madri speciali, dicevo prima: questa opportunità ci è stata offerta dai nostri figli a cui, per rubare lo slogan di "Autismo Italia", L'AMORE NON BASTA, e a dire il vero per me e Chiara niente è ancora abbastanza, siamo madri che non si accontentano, che per i nostri figli non solo vorrebbero ciò che viene offerto agli altri, ma addirittura di più. Invece la Scuola, ancora oggi e ancora in moltissimi casi, ci offre molto meno, e spesso ci toglie anche la cosa più importante: la pari dignità, in qualità di cittadino italiano, di nostro figlio. Gran parte della responsabilità di questa situazione, ancora così poco chiara, così poco onesta anche per voi insegnanti, è proprio nostra, dei genitori. Siamo noi che abbiamo approvato e coltivato ciò che afferma Chiara, ovvero: (...) Anche io, Maria, mi sento spesso sola nella mia battaglia per
offrire a mio figlio la dignità ed il rispetto dei suoi diritti. (...) il sospetto è che non siano i tagli dei vari governi a
minacciare la scuola ma gli stessi protagonisti, cioè gli insegnanti, i
direttori e noi stessi genitori che abbiamo spesso scambiato
l'insegnamento come una sorta di gara a chi risplende più degli altri, a
chi prende i voti migliori e sa rispondere perfettamente a tutte le
domande come ad un ordinario gioco a quiz. Riflettendo sulle parole di Chiara, ora io mi chiedo: ma dove stanno correndo i bambini con tutte queste "informazioni"? E quando avranno completato "per tempo" il programma scolastico - che nessun handicappato avrà messo a repentaglio - che cosa avranno imparato i bambini dai loro insegnanti? Che la vita è una gara a chi arriva per "primo" non consentendo ad altri di partecipare? di camminare sulla stessa strada? Credo stiate correndo un grosso rischio, come insegnanti: senza aver mai pronunciato parole o lezioni a favore dell'intolleranza e del razzismo, ne avrete dato - vostro malgrado - l'esempio. E la pratica, si sa, rompe la grammatica. I nostri bambini, dalla Scuola, hanno il diritto ad essere educati ed istruiti forse non come gli altri - da un punto di vista prettamente tecnico - ma sicuramente INSIEME AGLI ALTRI. E poiché vi è differenza fra un percorso "individualizzato" e un percorso "a parte"; poiché vi è differenza fra un "insegnante alla classe" e un insegnante "a parte" i bambini impareranno ciò che vedranno e vivranno, ovvero che il compagno "diverso" è un compagno "a parte", anzi non è affatto un loro vero compagno; che l'insegnante che lo "sostiene" e lo "appoggia" è un insegnante "a parte " e per quato li riguarda personalmente, non è affatto un' insegnante. Qualche tempo fa, rivolgendomi ad un grande scrittore e Ispettore Scolastico, Vito Piazza, (di cui mi permetto consigliarvi di cuore il bellissimo libro intitolato appunto "L'INSEGNANTE DI SOSTEGNO" edito da Erickson), dopo aver accennato con lui sui motivi del perché, ancora oggi, l'handicappato si sente spesso "in vetrina", mi sono permessa di scrivergli queste parole, e dico permessa poiché Vito Piazza non ha certo bisogno dei miei consigli per svolgere a Milano il suo lavoro così come lo sta svolgendo da anni, ma la "vetrina" di cui lui parlava mi fece formulare questo pensiero: Facciamo in modo di tirare fuori questa "merce" dai "depositi e dai magazzini di sostegno" e mettiamola sugli scaffali insieme agli altri prodotti di "largo consumo", vedrà che dopo un po' non li noterà più nessuno. Finisco in concretezza, accennandovi ai risultati delle nostre lotte (perché di lotte, di guerre con tanto di feriti sul campo, dobbiamo parlare: di discussioni infinite e stressanti con Dirigenti Scolastici impreparati e insensibili, di richieste rimaste inascoltate, di diffide, di denunce, di richieste di ispezione scolastica, di avvocati, di disperazione, di altri figli lasciati a se stessi, di sofferenza, mia e di Chiara, di cui non intendo parlarvi: teniamo per noi tutto il dolore e la stanchezza e con voi vogliamo condividere solo i risultati): lo scorso anno, dopo aver cambiato scuola a causa degli innumerevoli problemi che non ero riuscita a risolvere nel precedente istituto, Aurora fece un bellissimo percorso d'integrazione in una V elementare (quello tanto raccomandato dalla Normativa, per intenderci). Le insegnanti ne hanno tutt'ora nostalgia e l'insegnante di sostegno assegnata alla classe concluse il suo anno con queste parole: Aurora mi ha dato l'opportunità, per la prima volta nella mia vita, di lavorare con pari dignità professionale. Ma di meglio vi fu questo: durante questo anno mia figlia fece l'annuale controllo presso l'Ospedale di Bologna e per la prima volta, alla fine della relazione medica, alla voce "SUGGERIMENTI TERAPEUTICI", gli specialisti non mi rimandavano più presso quel centro o quel professionista di turno, bensì concludevano in questo modo: "Considerata l'evoluzione positiva mostrata dalla bambina si consiglia di proseguire il lavoro svolto a SCUOLA e a casa." Concludo con il racconto della lotta di Chiara: "So cosa si prova, so che vuol dire capire che per quanti sforzi fai…..le «teste» non cambiano, e che la «falsa integrazione», fatta di scenette costruite a beneficio di un pubblico dileggiato, fa a volte più male che una ruvida esclusione…..fa più male perché fa a pezzi la dignità. Che dire…..io la mia strada l’ho presa, la decisione
su cosa cercare di offrire come genitore a mio figlio l’ho assunta e non
ambisco a renderla prevalente…..ma ho voglia di condividere le
riflessioni che mi hanno condotto fino a quel bivio, perché penso che
possano offrire anche ad altri spunti di riflessione. Come madre io sapevo che il mio Simo invece c’era, dietro a quell’apparente indifferenza, lui era lì, attento al minimo segnale che gli proveniva dal mondo, lacerato nella sua impossibilità di comunicargli la sua presenza. Che fare? Dove cercare aiuto? Forse in una riabilitazione massiccia e bombardante di stimoli, oppure così coinvolgente da adescarlo….forse in un addestramento mirato e precoce, forse attraverso gli ultimi ritrovati della tecnica medico-chirurgica o tecnologica…..forse….forse…. Leggevo, ascoltavo, studiavo, partecipavo a convegni, ricercavo ogni cosa potesse fornirmi quella chiave, quell’unica chiave che si adattasse perfettamente alla toppa e mi permettesse finalmente di spalancare la porta del mondo al mio bambino. Intanto Simo aveva iniziato ad andare a scuola, mio malgrado, perché ogni volta che lo lasciavo davanti al portone affollato da vocianti marmocchi, mi chiedevo quanto tempo avrebbe sprecato inutilmente, dimenticato in un angolo della stanza oppure girovago in corridoio. Poi una mattina, ricordo ancora che c’era un bel sole primaverile, arrivai come al solito in ritardo all’entrata da scuola e sul lungo vialetto incontrai la mamma di una sua compagnetta, anche lei in ritardo. Scambiai qualche chiacchiera con lei, chiedendole un’ informazione su un capo di vestiario e per poco non mi perdevo un piccolo miracolo: Simo, con l’eterno pollice dell’unica manina che sapeva usare sempre in bocca, spontaneamente si allungava per cercare la manina della bimba. L’afferrava e la tirava a se, cercandola anche con il visino. E lei che si chinava alla sua altezza e gli descriveva, sussurrando, gli alberi spogli, il cielo azzurro ed il sole splendente. Allora lui, in risposta, vocalizzava, cercando d’imitare le sue parole come nemmeno sedute e sedute di logopedia erano riusciti a fare, esplorando i suoi vestiti come non era mai riuscito durante la riabilitazione tattile , muovendo il suo corpo verso di lei con una fluidità che invano si era cercata di ottenere con la riabilitazione. Era questa la chiave di Simone! Era quella bambina,
erano quei bambini al quale lo conducevo a malincuore! E loro, che hanno loro da Simo? Cosa può offrire a loro? Semplice: quell’apertura mentale che è artefice dell’ingegno, lo sprono a fare meglio, perché se può far meglio un loro coetaneo con tutti quei limiti allora anche loro possono dare di più, l’accettazione dei propri fallimenti che dà la serenità necessaria ad una vita scevra da frustrazioni e poi….forse un mondo migliore!" |
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