di Mamma Nela
Diciotto anni, capelli rosso Tiziano, pelle
bianca come la neve con qualche lentiggine qua e là,
lineamenti armoniosi, con quelle ciglia pure rosso Tiziano che
non si possono non notare perché di capelli di quel colore,
tinti, se ne vedono, ma raramente si tingono anche le ciglia;
corpo talmente perfetto che sembra disegnato; non un chilo di
più nè uno di meno.
Questa è mia figlia, incantevole
soprattutto al mattino, quando non è ancora del tutto sveglia
e ha un viso assonnato come quello di chiunque sta ancora a
metà tra sonno e la veglia.Con la progressiva ripresa dello
stato di veglia si risvegliano anche le stereotipie, la
tensione muscolare, le ossessioni e le paure.Le mani sono
costantemente impegnati a darsi i colpi sui denti ritmicamente,
incessantemente, senza posa; se non s'impegnano in attività
alternative incompatibili, come darmi la mano, nel qual caso
la stretta è dolorosa, per la tensione muscolare non
dominabile dalla volontà, totalmente soprafatta dalle
convulsioni e dalle ossessioni. Con il completamento del
risveglio anche l'espressione del viso viene stravolta da
smorfie per la tensione dei muscoli del viso, incapaci come
quelli delle mani e delle braccia, di rimanere rilassati anche
per un solo istante.
E con le stereotipie e la tensione muscolare si risvegliano le
ossessioni, che occupano interamente la sua mente per tutto il
tempo della giornata.
Alcune sono nate da poco, altre sono
variazioni su vecchi temi, altre sono vecchie ossessioni
rimaste sopite per qualche tempo, poi riemerse. Alcune vertono
su temi realistici e sono espresse in modo patetico e
profondamente umano, come quando mi dice:"Mamma, io
voglio morire con te, nello stesso letto, abbracciata ate. Non
voglio avere neanche un minuto di vita senza di te."
Questo pensiero ha cominciato ad ossessionarla dieci anni fa,
all' età di otto anni. Lo ripeteva, secondo il suo stile,
dovunque si trovasse; e ben ingenua era l'insegnante che le
diceva:"Ma alla tua età non devi pensare alla morte.
Devi pensare a giocare e a divertirti". Il suo pensiero
non era libero di spaziare, ma completamente schiavo delle
ossessioni e al di fuori di qualsiasi schema inquadrabile nel
modo di essere dell'infanzia. Il solo modo di rapportarsi con
lei era ed è convivere con le ossessioni. A nulla serve
richiamarla alle caratteristiche che dovrebbero contrassegnare
la giovinezza, come la spensieratezza e la voglia di vivere:
tutto ciò non le appartiene. Meglio assecondarla:"Sì,
moriremo insieme, te lo prometto". Ma a questo punto
subentra la sua ineccepibile capacità logica: secondo le
leggi della natura è altamente probabile che le mamme muoiano
prima delle figlie. Questo lei lo sa bene e la rassicurazione
a nulla vale per cui tutto ricomincia tale quale: ossessione,
paura, ansia, in un crescendo senza fine e senza rimedio.
Questo suo modo di essere dà a chi le sta vicino una
sensazione di impotenza, per l'inutilità di ogni tentativo
teso ad aiutarla, e fa soffrire prima di tutto lei, che
talvolta riesce ad esplicitare la sua sofferenza, come quando,
al età di nove anni, strofinandosi violentemente una pigna
contro gli occhi, mi disse:"Ma non si può morire da
bambini?"
Ma se la maggior parte del suo tempo è
occupata da ossessioni, stereotipie, ripetizioni all'infinito
di frasi al di fuori del contesto, quando meno ce l'aspettiamo
il dialogo diventa logico, conseguente, profondo. Aveva
quattordici anni quando mia madre era all'ospedale, malata di
cancro all'ultimo stadio. Io passavo tutto il giorno al suo
capezzale. Facevo una breve visita a casa verso sera, poi
ripartivo per l'ospedale dove passavo regolarmente la notte.
Antonella aveva interiorizzato che i miei ritmi erano
diventati questi, per cui ha subito notato la differenza la
sera che sono rimasta a casa. "Non val dalla nonna
stasera?" e io: "No, perché è morta.". Ha
ingoiato la saliva, mi ha guardato accennando un sorriso, poi
mi ha detto: "Meno male che c'e il Paradiso!" In
quel momento era la persona più normale, umana e adorabile
del mondo.
E dunque c'è in lei una capacità di pensiero e di empatia
che affiora di tanto in tanto, per brevi attimi, per poi
essere sopraffatta e sommersa da ossessioni divoranti. E quali
ossessioni! Se la paura della morte della mamma ha una suo
logica, altre suonano come pura follia.
E' iniziata undici anni fa e persiste
ancora tuttora l'ossessione per la quale io dovrei andare al
wc soltanto alle tre di notte. Aveva sette anni, e alle cinque
pomeridiane, quando l'andavo a riprendere dopo otto ore da lei
impegnate nella frequenza del campo estivo, mi rivolgeva
sempre la stessa domanda retorica: "Tu i bisogni li fai
solo alle tre di notte, vero?" Ormai da anni siamo
rassegnati a dire che la mamma, quando va in bagno, va a
lavarsi un'unghia che le fa prurito. La cosa è accettata per
un po', ma subito subentra la logica: "Forse hai un
fungo; perché non vai dal dermatologo a fartelo
curare?". Sicuramente ora Antonella non crede nella
scusa, ma fa mostra di crederci e non entra più in crisi.
Egualmente pretendeva di bere lo stesso caffelatte della
madre, fatto con il caffè vero; invece per lei viene
preparato caffè d'orzo solubile: ogni volta pretende
l'assicurazione che si tratti di caffè vero, pur sapendo
benissimo che il caffè solubile del barattolo è d'orzo.
Alcuni amici, non comprendendo quanto
radicate siano in lei le ossessioni, provavano a farla
ragionare con la logica, ottenendo quale risultato crisi
incontenibili di rabbia con urli, agitazione e gesti di
violenza. Crisi incontenibili di rabbia sono state più volte
innescate dal pensiero del colore "indaco". La prima
volta fu undici anni fa, quando Antonella aveva sette anni.
Guardavamo libro illustrato con il disegno di un arcobaleno.
Commentando la figura le ho enumerato i colori
dell'arcobaleno. Quando sono arrivata all'indaco, ha avuto una
violenta crisi di rabbia. Forse non riusciva ad inquadrare il
significato esatto della parola, cioè la gradazione del
colore, in quanto non era nè proprio blu nè proprio viola.
E' difficile ricordare le frasi disperate di quell'episodio;
da allora, di tanto in tanto, il pensiero dell'indaco le
ritorna improvvisamente alla mente e col pensiero torna la
stessa angoscia e si ripetono le medesime manifestazioni
disperate della prima volta.
L'elenco delle ossessioni: nuove, vecchie, ricorrenti potrebbe
continuare all'infinito.
Il re Mida trasformava in oro tutto ciò che toccava;
Antonella trasforma in ossessione qualunque pensiero, anche
quello più insignificante agli occhi dei più; o per essere
più precisi: o una cosa le è del tutto indifferente, o , se
l'interessa, l'interesse si trasforma subito in ossessione.
Da anni vita famigliare è ritmata sulle
ossessioni di Antonella e non può essere altrimenti, perché
lei è incapace di adattarsi a noi e dobbiamo essere noi ad
adattarci a lei, alla sua follia, una follia d'altri tempi
perché oggi la follia classica, quella degli schizofrenici,
viene poco o tanto mitigata dai farmaci, mentre quella di
Antonella no. I farmaci o le fanno decisamente male, o
riescono soltanto a mitigare alcuni sintomi.
Naturalmente non si può sopravvivere senza speranza in futuro
miglioramento e la speranza deve essere alimentata da
qualcosa. Anche per noi è così. La nostra speranza nel
futuro è alimentata da un ricordo del passato, di un'epoca
che si allontana sempre di più è assimilabile all'età dei
pagani o al paradiso terrestre dei cristiani. A volte ci
chiediamo se non si sia trattato di un sogno, ma abbiamo prove
tangibili che è stata una meravigliosa realtà, durata
esattamente venti mesi, dall'età di cinque anni e nove mesi
all'età di sette anni e cinque mesi.
Era l'estate dell'87 quando un'amica mi
segnalò un libro curato da E. Schopler dal titolo "Biological
issues in autism". Me lo procurai e vi trovai un capitolo
di B. Rimland sulla terapia con megadosi di vitamina B6 e
Magnesio. Rimland aveva raccolto alcune migliaia di
impressioni di genitori su ciò cha aveva fatto bene o male ai
figli autistici, ed i risultati migliori erano quelli dovuti
all B6 ed al magnesio. Mi sembrava troppo bello per essere
vero che due sostanze così innocue potessero agire
efficacemente su una catastrofe come l'autismo. Volevo
provare, ma non da sola. Desideravo l'aiuto e la supervisione
di medici esperti. Dal momento che Rimland citava il Prof.
Gilbert Lelord e il suo gruppo di neuropsichiatria infantile
dell'Università di Tours, mi misi in contatto telefonico con
loro chiedendo un appuntamento per Antonella. Per tutta
risposta mi offrirono gentilmente un posto ad un seminario a
numero chiuso che stavano organizzando, ma non accettarono di
visitare mia figlia. Avrei deciso io autonomamente se fre o no
la prova con B6 e Magnesio, senza un loro coinvolgimento
diretto. Ci pensai giorno e notte per tre mesi poi, dopo aver
tradotto in nomi commerciali e relativi dosaggi i consigli di
Rimland, con trepidazione iniziai la cura, senza nulla dire
alle insegnanti di Antonella, che avrebbero potuto esprimere
un giudizio neutrale e non influenzato da aspettative o
pregiudizi.
In tre giorni si realizzò sotto i nostri occhi increduli una
autentica metamorfosi, che tutti i testimoni, esperti e non
esperti, parenti ed amici, adulti e bambini, non potevano non
rimarcare, pur ignorandone la causa. Il monologo, che prima
era continuo, costante e avulso dal contesto, divenne dialogo.
L'uso della parola, prima assimilabile ad una insalata di
parole priva di senso, divenne comunicativo. Finalmente faceva
silenzio e prestava attenzione quando gli altri parlavano.
Dava risposte appropriate alle domande.
Prima i coetanei erano stati da sempre attivamente evitati,
come quando, al pranzo del suo terzo compleanno, alla vista di
una coetanea che entrava in casa disse: "Voglio andare a
letto, al buio". Dopo i compagni venivano cercati
attivamente: provava piacere a stare insieme a loro, al punto
che, non contenta di frequentare la scuola materna al tempo
pieno, ne voleva invitare uno o due a casa nostra anche dopo
la fine della scuola, per continuare a stare in loro
compagnia. Fino a tre giorni prima era stata indifferente a
quanto la circondava, anche se vistoso e sfavillante. Ora era
presente alla realtà e gioiva al vedere simboli di festa. Per
le feste natalizie ci godemmo la città bardata dalle
luminarie, le guardammo una a una, elencando e spiegando il
significato dei simboli che rappresentavano: stelle comete,
babbi natae, stelle di neve, renne, alberi di Natele. Anch'io
ho provato una gioia nuova ad ammirare i segni di festa di
quei due Natali. Mi pareva di non aver mai notato e goduto di
queste cose. In effetti non ci avevo mai fatto tanto caso
prima di riuscire a condividere finalmente questa gioia con
una figlia che pareva risvegliarsi da un lungo e brutto sogno.
Anche il Carnevale fu una gioia nuova per lei e per me.
Passammo diversi pomeriggi a passeggiare in tre per le vie
della città: io, lei e una compagna d'asilo. Le due bimbe
avevano un naso finto che avevamo comprato insieme in un
negozio di giocattoli. Di tanto in tanto si guardavano e
ridevano divertite.
La scuola materna finì in gloria.
Le insegnanti erano al settimo cielo per
aver assistito a quel miracolo che continuò per tutta la
prima elementare, durante la quale comportamento e
apprendimento furono quelli dei compagni. A febbraio Antonella
già leggeva speditamente quando alcuni compagni non ne erano
capaci. Non contenta di stare in compagnia di coetanei a
scuola a tempo pieno, chiese e ottenne di frequentare due
volte la settimana una palestra per la ginnastica artistica.
Non era certo la più brillante delle atlete, ma faceva le sue
corse, le capriole in avanti e all'indietro, la forbice, il
ponte, la candela, la carriola, gli esercizi alle parallele,
ma soprattutto provava gusto di fare ciò; possedeva quella
spinta vitale che non aveva mai avuto prima e che non avrebbe
più avuto dopo la fine della "età dell'oro".
Ricordo il piacere che mi fece una benevola sgridata che le
fece un istruttore, motivata dal fatto che non aveva
rispettato il suo turno nel fare un esercizio individuale:
"E tu chi sei? La più bella?". Quella sgridata
disinvolta era per me una novità: era resa possibile dal
nuovo meraviglioso comportamento di Antonella che, non
facendosi notare come patologico, poteva ispirare negli altri
disinvoltura e scioltezza invece che compassione.
Quante volte, in passato, l'avevamo portata ai giardini, in
mezzo ai coetanei, per favorire interazione anche elementare,
come il gioco del girotondo, della palla, del nascondino!
Sembrava più facile spostare una montagna! Non tollerava
neanche la vicinanza fisica dei coetanei, che la irritava
moltissimo. Ed ora eccola lì, in palestra, a correre e
saltare con gli altri, con la sua maglietta uguale agli altri
con la scritta "Polisportiva Fausto Coppi", con
l'istruttore che la sgridava come avrebbe fatto con qualunque
altro bambino!
Il bel sogno durò fino fino alla fine della prima elementare.
Prima ancora dell'inizio delle vacanze improvvisamente
Antonella cambiò drasticamente: diventò irascibile, maniaca,
fissata. Non partecipava più a ciò che le stava intorno, non
comunicava più.
Preoccupazioni strane riempivano la sua mente: "I miei
denti sono delicati. Mamma, toglimi questi denti delicati;
voglio dei denti robusti"; "Non voglio questi
capelli; voglio dei capelli di lana".
Diventò distruttiva e aggressiva, verso se
stessa e verso gli altri. L'insegnante e io ci trovammo ad
avere entrambi le mani piene di graffi e di morsi, spesso
sanguinanti.
Non era più capace di scrivere; la tensione muscolare era
tale da impedire movimenti fini e finalizzati. E con la
tensione coesisteva una apatia totale verso qualsiasi
attività. Aveva da poco imparato ad andare in bicicletta, ma
, quando gliela porgevo, la scaraventava a terra. Non aveva
più il desiderio di fare nulla, neanche di passeggiare.
Mi sono trovata più di una volta per la strada con Antonella
distesa a terra, contratta al punto che non riuscivo né a
sollevarla né a convincerla a rimettersi in piedi. Una volta
mi soccorse un passante robusto, competente e generoso. La
prese in braccio da terra e la portò di peso fino a casa.
Durante il tragitto la moglie mi disse con orgoglio che il
marito lavorava con l'ambulanza e che era abituato a
situazioni del genere. Un'altra volta successe la medesima
scena: a cento metri da casa Antonella si butta a terra, si
rifiuta di alzarsi; io non riesco da sola a sollevarla, chiedo
aiuto ad un passante per portarla in un vicino bar da dove
chiamo un taxi per farci portare a casa: un taxi per fare
cento metri, quando eravamo abituate a fare chilometri a piedi
quotidianamente!
D'altra parte camminare per la città era l'unica attività
possibile, ritenuta oltretutto terapeutica da numerosi
esperti, tra cui Rimland: l'esercizio vigoroso muscolare,
nell'esperienza di molti genitori, aveva migliorato il
comportamento di molti autistici. E poi anche il senso comune
dice che l'esercizio fisico scarica la tensione e quantomeno
si spera che generi stanchezza e quindi bisogno di riposo e
sosta all'agitazione permanente. Così, pur col rischio di dar
luogo a scene simili a quelle descritte, che richiamavano
l'attenzione dei passanti, sempre numerosi dato l'ubicazione
della nostra casa nel centro della città, siamo diventate
assidue camminatrici del centro storico. Purtroppo anche le
passeggiate, come tutto il resto, dovevano essere imposte ad
Antonella, totalmente impegnata in stereotipie motorie e
verbali. E la scena madre si ripeteva ormai con le stesse
modalità: Antonella a terra urlante e irrigidita, io
impotente al suo fianco, i passanti preoccupati che fanno
capannello intorno a noi e chiedono cosa sia successo di tanto
grave.
Facendo quotidianamente gli stessi
percorsi, incontravamo ogni giorno gli stessi mendicanti, che
ormai ci salutavano con simpatia e compressione. Grata di
questa dimostrazione di solidarietà, io tentavo di
ricambiarla facendo loro l'elemosina, ma questa veniva
regolarmente rifiutata. Com'erano lontani i tempi in cui
l'istruttore della polisportiva Fausto Coppi con tanta
naturalezza le aveva detto: "Ma tu credi di essere la
più bella?"
Da sempre la follia induce nei famigliari
un senso di pudore, un desiderio che le manifestazioni più
eclatanti si consumino lontano da occhi estranei, anche a
costo di trovarsi soli con la propria sofferenza e di
rinunciare all'aiuto del buon samaritano, che non raramente ti
passa vicino. Io dovevo conciliare l'esigenza di farle fare
del movimento con quella di non presentare a degli sconosciuti
quelle scene di follia. Trovai una soluzione che mi parve
brillante: andare a passeggiare al cimitero, un bel giardino
grande, silenzioso e poco frequentato al di fuori dei primi di
novembre. Ma non avevo fatto i conti con la mia scarsa
conoscenza del luogo e col mio scarso senso dell'orientamento:
un pomeriggio, verso l'ora di chiusura, mi trovai con
Antonella in questo cimitero enorme, completamente deserto; da
diversi minuti non riuscivo a trovare l'uscita e non c'era
nessuno cui rivolgersi. Rischiavo di passare la notte in
questo ambiente che aveva sì tanti requisiti adatti alla
situazione, ma che non avevo mai ritenuto idoneo per passarvi
una intera notte con la mia Antonella. Finalmente trovai la
strada per l'uscita, ma dovetti imparare la lezione.
Mentre prima della terapia con la B6
Antonella era apatica, assente, probabilmente inconsapevole
del suo stato, dopo è divenuta ben consapevole della sua
differenza rispetto agli altri, e molto spesso lo fa notare
essa stessa. Si informa sull'attività di volontariato che i
genitori esercitano nelle associazioni ed è orgogliosa e
piena di speranza quando tale attività riguarda quelli che
definisci "bambini strani", come lei. Durante tutta
la scuola è stata ed è assistita da un insegnante di
sostegno e da due anni viene accompagnata da educatrici ombra,
che devono osservare come si comporta durante il tragitto fra
casa e scuola, al fine di renderla autonoma senza troppi
rischi. Antonella si è accorta molto in fretta di essere
accompagnata da qualcuno, poiché, avendo tenuto dei
comportamenti non accettabili, l'educatrice ombra era dovuta
intervenire. Antonella non vuole mai restare da sola, neppure
la notte, e per accettare di dormire in una stanza da sola
(con le porte ben aperte) ha voluto ribadire che resta con lei
l'Angelo custode Antonello: anzi non un angelo, ma due, in
quanto all'Angelo custode ordinario ha aggiunto la presenza
dell'Angelo di sostegno, Gabriele. Noi non osiamo sperare che
si tratti dell'Arcangelo, ma preghiamo che si tratti di un
Angelo specializzato, di ruolo, che garantisca la continuità
anche durante le vacanze. Antonella desidera moltissimo
diventare normale ed ha compreso bene , adattandola al suo
caso, la favola di Pinocchio: come il burattino, alla fine
delle sue peripezie, diventa un bambino in carne ed ossa,
anche lei spera di riuscire a diventare normale, e per questo
cerca di impegnarsi (per quel che può) contro le stereotipie
e gli impulsi anomali che li provengono dalla testa.
Assume volentieri le medicine che le sono
prescritte e si assoggetta di buon grado a tutti gli esami,
tuttavia la sua grande speranza nel progresso della scienza
consiste nell'invenzione di un caschetto, una protesi che le
consenta di ragionare e di dominare le sue ossessioni e i
movimenti automatici.
Sin dall'inizio del tragico peggioramento
sentii il bisogno di chiedere l'aiuto e in particolare di
sentire un parer autorevole su come mai la terapia che aveva
funzionato così bene per venti mesi avesse perso
improvvisamente la sua efficacia. La prima persona al mondo a
cui potevo chiedere consiglio era il Professor Lelord, col
quale iniziai una fitta corrispondenza.
Lui non si meravigliò più di tanto
dell'accaduto. Fece due ipotesi: la comparsa di una tolleranza
farmacologica, che poteva essere eliminata con un congruo
periodo di sospensione dei farmaci o il cambiamento del
substrato biologico, nel qual caso l'efficacia non si sarebbe
piu ripristinata. Purtroppo fu l'ultima ipotesi ad essere
confermata dai fatti. Lelord non me lo disse, ma lo imparai
qualche anno dopo dalla lettura del suo libro autobiografico
"L'exploration de l'autisme" che anche lui aveva
osservato i casi simili. Una bambina gravemente autistica
aveva risposto in modo eccezionalmente buono alla terapia con
vitamina B6 e Magnesio, il miglioramento si era mantenuto per
diciotto mesi, dopo di che la terapia era diventata del tutto
inefficace.
Ho cercato di capire, parlando prima con Lelord, poi con altri
scenziati, quale meccanismo possa essere stato responsabile
prima dell'azione benefica, poi della perdita di efficacia
della B6 e Magnesio. La risposta unanime e' stata che l'azione
della B6 come coenzima è ad ampio spettro, in quanto
interviene in sessantaquattro reazioni biochimiche e quindi
non è possibile inferire dall'azione terapeutica un ipotetico
meccanismo d'azione. Ci vorreberro sessantaquattro laboratori,
ognuno dei quali dedito allo studio di una della reazione
implicate. Stante la gravità della sindrome e la sua
diffusione in ogni parte del mondo, quest'impresa mi parrebbe
degna di essere aiutata.
Penso che il vero ostacolo che impedisce il decollo di una
ricerca biologica che potrebbe avere tra gli altri obiettivi
lo studio delle 64 reazioni sia costituito primariamente dallo
scetticismo che circonda la terapia dell'autismo, nella cui
storia non vi è stato mai un minimo colpo di fortuna ma solo
insuccessi e delusioni. Un successo clamoroso, anche se
temporaneo, genera ottimismo e invita a continuare sulla
strada della ricerca, quella ricerca che negli ultimi decenni
ha fatto fare progressi clamorosi in tanti campi di medicina.
Si comprende quindi come il libro di Lelord, che ha dedicato
tutta la sua lunga vita allo studio dell'autismo, e che è ben
consapevole della gravità della sindrome, possa essere
ugualmente intriso di ottimismo, di una speranza lucida e
razionale, dalla prima all'ultima riga. E questo in netto
contrasto con la letteratura sull'argomento che suona come una
campana a morto. La regressione dei sintomi autistici a cinque
anni di età equivale ad una regressione dopo cinque anni di
malattia perché, nel caso di Antonella come in quelli
osservati da Lelord, i sintomi, pur diversificati nelle
diverse età, erano stati presenti sin dal primo giorno di
vita. La regressione si è verificata pertanto dopo un lungo
periodo di malattia. Ciò dimostra che il meccanismo patogeno
potrebbe essere reversibile, se conosciuto ed opportunamente
curato.
Quando si fa una scoperta che fa luce su
qualcosa che prima era ignoto, viene talvolta da pensare:
"Ma guarda come tutto è ora chiaro e semplice! Chissà
perché prima non ci avevamo pensato!". Così è stato
per il Morbo di Parkinson, per il quale non era prevedibile,
prima della conoscenza della sua patogenesi, che persone rese
statue di pietra dalla malattia potessero riprendere vita.
Sempre Lelord ricorda il miracolo da lui
vissuto in prima persona quando era un giovane medico:
l'avvento del Largactil rese inutili camicie di forza e
trasformò dei giovani deliranti e allucinati in persone
tranquille e ragionevoli. Ma l'ottimismo di Lelord non è
generico, riguarda proprio l'utismo perché, avendo buona
memoria, vede le analogie tra la situazione attuale
dell'autismo e quella della schizofrenia prima dell'avvento
dei neurolettici; avendo lui toccato con mano miglioramenti
miracolosi, sebbene temporanei, anche nell'autismo, ha una
motivazione razionale per pensare che il meccanismo patogeno
sia reversibile, anche dopo un'azione durata molti anni.
Morale della favola..
Il caschetto che Antonella attende dagli
scienziati non è un sogno impossibile, ma soltanto difficile
e costoso da realizzare: ci sarebbe bisogno di 64 gruppetti di
ricerca dediti a studiare per un paio d'anni gli effetti della
vitamina B6 sul sistema nervoso. E' difficile spiegare a un
malato grave come lei che la nostra società non riesce a
trovare la cifra che sarebbe necessaria per studiare gli
effetti della vitamina B6 sul sistema nervoso centrale, la
stessa cifra che è disposta a pagare come ingaggio a un
giocatore oppure a un attore famoso. E' ancora più difficile
spiegare a chiunque la strana scelta della nostra razionale
società, che non investe nella ricerca ma non si sottrae al
dovere di pagare le conseguenze dell'autismo, che per il
nostro Paese possono calcolarsi in 5.000 miliardi l'anno.