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«AU REVOIR LES ENFANTS» RAI: I BAMBINI E LA RAPPRESENTAZIONE DEL DOLORE
IN TV
Indice 1. I bambini e la rappresentazione del dolore nella televisione pubblica L·analisi di due
mesi di programmazione RAI 2. Il caso di Cogne: dalla cronaca al giallo I Tg:
l·onnipresenza di Cogne 3. Una controprova dello sconfinamento dei generi: la vocazione sociologica della fiction
1. I bambini e la rappresentazione del dolore nella televisione pubblica La ricerca che qui viene presentata, commissionata dal Segretariato Sociale della Rai, e realizzata dal Censis in collaborazione con il Centro d’Ascolto Radiotelevisivo, affronta un tema di grande “delicatezza” e attualità: come il sistema dei media, e in particolare il Servizio Pubblico, affronta argomenti particolarmente difficili, quali vicende realmente accadute o anche di fantasia il cui protagonista è un minore in condizioni di disagio e di dolore o coinvolto in fatti di cronaca nera. La grande attenzione collettiva che anche in questi ultimi giorni si è coagulata intorno al caso dell’infelice madre di Aosta ha dimostrato ancora una volta, quanto complesso e difficile sia fare informazione su questo tipo di vicende: innanzitutto perché, per i caratteri di eccezionalità e di raccapriccio che presentano, si prestano a diventare occasione di analisi, ricostruzione e approfondimento che li trasformano in veri e propri casi giornalistici, riempiendo le pagine dei quotidiani e dei servizi dei telegiornali. La dimensione dell’“estremo” che fanno esplodere sotto gli occhi di tutti, se da una parte costituisce motivo di shock collettivo, dal punto di vista dell’informazione rappresenta occasione di esercizio di una professionalità non sempre equilibrata, veicolando per altro informazioni distorte che possono produrre ansia e allarme sociale (in questi giorni un quotidiano, peraltro autorevole, argomentava “epidemia di madri assassine”). Del resto non è un caso se nelle vecchie scuole di giornalismo si trasmetteva alle nuove leve il principio che “uomo morde cane “ è una notizia e non il contrario: perché nel mondo dell’informazione è radicatissimo il convincimento che una notizia debba catturare l’attenzione, colpire “sotto la cintola” e dunque più è inusuale, estrema, sconvolgente più raggiungerà il suo scopo. Su questo principio su cui si ironizza nei convegni ma che molti grandi giornalisti si sentirebbero ancora di sottoscrivere in privato, si arena ogni possibilità di fare un’informazione pacata su temi che interessano la collettività: e qualche volta una Conferenza mondiale sull’ambiente che ci tocca profondamente e direttamente occupa un quinto dello spazio dedicato all’ultimo delitto con una piccola vittima. Così il Micro (cioè il delitto che riguarda una singola persona o comunque una ristretta cerchia di persone) diventa nella coscienza e nell’attenzione collettiva Macro e temi sociali e politici che riguardano milioni di persone vengono marginalizzati in tempi ristrettissimi. Dunque, come sostengono in ambito internazionale i sociologi delle comunicazioni di massa più critici, il punto vero è l’agenda setting: secondo quali criteri e perché si decide che un certo fatto è più “notiziabile” di un altro. Concorre inesorabilmente nel produrre tali fenomeni di informazione sbilanciata la guerra perenne degli indici d’ascolto: i bambini-vittima sono in realtà un’icona formidabile nel catturare l’attenzione collettiva. Un ulteriore fattore che investe di energia questo tipo di rappresentazione è un fenomeno di natura antropologica più ampia. Una società con tassi di natalità tra i più bassi del mondo è una società che non riesce a fare progetto, che non spera. Ci si ritrova intorno al “bambino - che non - c’è”, al bambino-speranza di futuro che non c’è più. Una sorta di totem mediatico, un bambino fantasmatico su cui l’intera collettività proietta le proprie angosce. L’analisi di due mesi di programmazione RAI L’analisi che viene presentata in questa sede ha riguardato le trasmissioni, i telegiornali e la fiction che il servizio pubblico ha trasmesso durante i mesi di marzo e aprile del 2002 con un particolare approfondimento sul caso di Cogne durante il mese di febbraio. Complessivamente sono stati analizzati 452 telegiornali e trasmissioni relative a marzo e aprile che hanno trattato vicende dolorose in cui erano coinvolti bambini; 78 telegiornali relativi al mese di febbraio sul caso Cogne; 38 trasmissioni dedicate al caso di Cogne; 9 fiction andate in onda a marzo e aprile in cui il protagonista è un minore in condizioni di disagio o di dolore. Se si guarda ai titoli utilizzati nel riportare le notizie che riguardano i minori si nota che il linguaggio utilizzato nella rappresentazione risulta nel complesso piuttosto asciutto; non mancano però eccezioni “notevoli” come “Giuliano, ridotto a un vegetale” o “Massacrato nella culla” che catturano l’attenzione del telespettatore sulla dimensione più emozionale già dalla titolazione. Il maggior numero delle notizie, prevedibilmente, ricorrono nei telegiornali (77,6%), così distribuite tra le testate: TG1: 26,9%; TG2: 26,6% e TG3: 21,6%. Tuttavia un buon 25% è costituito da trasmissioni di approfondimento e di servizio, al cui interno ha un peso notevole “La vita in diretta”. Occorre tener presente che sull’analisi di marzo e aprile pesa in modo non indifferente la vicenda di Cogne, che benché risalga alla fine di gennaio ha avuto una lunga scia mediatica. Un tema al centro dell’attenzione In generale, lo spazio e l’evidenza data dai telegiornali a questo tipo di notizie sono risultati importanti: i servizi dei telegiornali, nel 68% dei casi, durano da 2 a 10 minuti e molte trasmissioni di approfondimento hanno dedicato ben più che 10 minuti. Anche le fasce orarie in cui tali notizie vengono trattate sono quelle di massimo ascolto. Tale centralità è ampiamente confermata dal fatto che si tratta nel 34,4% della notizia o l’argomento principale del TG o della trasmissione e nel 63,4% di una delle notizie o argomenti principali (tab. 1). La predominanza della cronaca nera E’ l’omicidio l’argomento più trattato (47,5 %), seguito a grande distanza - bisogna scendere intorno al 10% - da incidenti, malattie, guerre. In quasi il 98% dei casi i bambini hanno il ruolo di vittime. I servizi di telegiornale e le trasmissioni sono centrati sulla vicenda (78,8%) e solo nel 15,3% fanno riferimento alla problematica più ampia (tab. 2). Inizia qui a configurarsi un altro dei dati che caratterizzano l’informazione su queste tematiche: la notizia non riesce a produrre un innalzamento del livello d’analisi, un’occasione di approfondimento autorevole e utile, giacché le modalità di trattazione restano schiacciate sulla ricostruzione minuziosa dell’accaduto (come non ricordare i plastici e i disegni che ossessivamente ci sono stati riproposti a proposito della vicenda di Novi Ligure?) Gli approfondimenti sulle diverse tipologie e livelli di gravità dei disturbi mentali più comuni tra adolescenti, sulla difficoltà di intercettarne le sfumature e la necessità dell’ascolto, sull’idea di responsabilità, sulle difficoltà di rapporti intergenerazionali solo apparentemente pacificati risultano in realtà solo sfiorati marginalmente. E così, se gli elementi forniti dai servizi svolgono una funzione informativa di reale avanzamento delle conoscenze in quasi il 60% dei casi, bisogna notare che nel 22,7% dei casi risultano di pura enfatizzazione emotiva e nel 17,5% risultano totalmente superflui (tab. 3). Lo sconfinamento dei generi Questo dato introduce un’altra delle dimensioni emergenti dall’analisi effettuata: l’utilizzo, all’interno del genere “informazione” di stili e modalità espressive tipici della fiction. Questo “sconfinamento dei generi” (la fiction come si vedrà più avanti, tende a contestualizzare casi dolorosi all’interno di più ampie problematiche sociali) sarà ancora più evidente nell’analisi della copertura televisiva del caso di Samuele Lorenzi. In generale sono molte e appartenenti a mondi diversi le persone chiamate in causa: genitori, familiari, vicini di casa, ma anche legali, medici, magistrati: il loro intervento nel 58,2% dei casi aggiunge informazioni, per il resto ha una funzione interpretativa o serve a creare il clima, ad alimentare l’atmosfera intorno alla vicenda (tab. 4). Un linguaggio attento Nel complesso prevale una descrizione quanto più possibile obiettiva, che solo molto raramente devia dal puro intento descrittivo. Nel 77,8 % la descrizione dell’accaduto a livello verbale è equilibrata e fornisce informazioni utili ai fini della notizia (tab. 5).
Mai più culle insanguinate Un discorso a parte merita l’uso delle immagini: e se assolvono ad una funzione documentale-informativa nel 77% dei casi, esse indulgono con compiacimento nella descrizione dei dettagli in quasi il 30% dei casi, rappresentano una spettacolarizzazione della notizia in oltre il 10%, risultano decisamente superflue o addirittura morbose nel 5,3% (tab. 6). Va notato che solo in un numero assai ridotto di volte bisogna evidenziare alcune “infrazioni” vere e proprie del senso del limite e della misura (es: la culla imbrattata di sangue). Questo per dire che nella trattazione di questi temi non vale solo il criterio del rispetto del pubblico dei minori davanti al teleschermo ma anche quello del rispetto della sensibilità del pubblico adulto, da una parte, e della stessa vittima e dei protagonisti coinvolti dall’altra. Diversa funzione hanno le cosiddette “immagini campanello”, quelle che la televisione, ma anche la carta stampata ripetono per richiamare velocemente alla memoria del telespettatore la vicenda trattata, presenti in quasi il 40% dei casi. Ad ogni modo, sebbene nel complesso non si possa certo parlare di informazione scorretta o strumentale, ma anzi si debba sottolineare lo sforzo di creare attenzione e rispetto intorno a queste vicende, è pur vero che in alcuni casi l’attenzione spasmodica del grosso pubblico che segue la vicenda quotidianamente, le caratteristiche narrative e delle persone coinvolte creano una sorta di confusione dei piani e delle funzioni narrative che manda in corto circuito le migliori intenzioni. E’ quello che probabilmente è accaduto nella restituzione del caso di Cogne.
2. Il caso di Cogne: dalla cronaca al giallo Quelle che nella trattazione di fatti di cronaca coinvolgenti bambini in situazioni dolorose - dallo sbarco di clandestini alle condizioni dell’infanzia nei paesi in via di sviluppo - erano sembrate solo derive rischiose ma marginali, nel caso di Cogne hanno raggiunto una maggior evidenza, esaltando i disturbi di comunicazione già evidenziati. I Tg: l’onnipresenza di Cogne Il primo segnale è la copertura “a tappeto” dell’episodio: i telegiornali vi hanno dedicato servizi tutti i giorni e in tutte le loro edizioni per un intero mese e ancora nel mese di marzo e in parte in quello di aprile Cogne era presente nella cronaca come nelle trasmissioni di approfondimento. Il 37,3% dei servizi dura da 3 a 5 minuti, una lunghezza davvero insolita per un servizio del telegiornale. Vale la pena di sottolineare che una rapida analisi dei servizi preparati dal telegiornale regionale della Valle d’Aosta rivela che questi ultimi si distinguono dalle edizioni nazionali per la durata molto più contenuta e aderente ai fatti. L’enfasi dunque è stata grande, tanto grande che nel 71,8% dei casi è stata la notizia principale (tab. 7). Le ultime novità su Cogne: la storia non progredisce I telegiornali hanno seguito passo passo le indagini proponendo quotidianamente “le ultime novità” su Cogne anche quando queste novità non c’erano. Gli argomenti intorno ai quali è costruito il servizio risultano però “superflui”, ripetitivi, nel 61% dei casi e solo nel 14,3% rappresentano un reale avanzamento delle conoscenze (tab. 8).
“Non ho nulla da dichiarare” Del resto i magistrati, le persone maggiormente interpellate nel corso delle indagini (55%) non hanno fatto che ripetere che “non avevano nulla da dichiarare”. E per il telespettatore è stata una condizione assai particolare assistere ripetutamente alla non-notizia di una non-dichiarazione. Nel 53,1% del totale delle persone interpellate esse non aggiungono nulla o danno informazioni superflue nel 26,5%. Solo nel 10,2% il loro intervento pur non fornendo elementi nuovi, fornisce comunque elementi interpretativi (tab. 9). Quella villetta Le immagini che hanno accompagnato le notizie sull’omicidio di Cogne (tab. 10) sono state poche e molto ripetute, riproposte in tutti i servizi, come quelle della villetta (87,2% dei servizi) e della stradina (73,1%). Ben l’83,1% delle immagini risultano superflue; nel 19,5% assolvono unicamente alla funzione di richiamo emotivo (tab. 11). Il linguaggio dei TG Maggior equilibrio si riscontra invece sul piano del linguaggio utilizzato per descrivere le vicende, che risulta in prevalenza pacato, sebbene si debba registrare un 25% di casi in cui si ricorre ad un’aggettivazione esasperata. Altro dato da sottolineare è il frequente ricorso ad allocuzione tipiche del racconto, come “allora”, “ed ecco che”, “ci aggiorniamo alla prossima puntata”, che rimandano dunque più allo svolgersi di una storia, di una narrazione, che alla dimensione dell’informazione (tab. 12). Malgrado tali annotazioni, nel complesso la descrizione dell’accaduto risulta essere sostanzialmente informativa (67,9%), sebbene il 24,4% delle notizie finisca con “l’evocare sospetti”, pur se probabilmente ben al di là delle intenzioni. Il fatto è descritto con obiettività (tab. 13), con compassione, praticamente mai con compiacimento; eppure il servizio risulta ripetitivo e per tanto inutile nel 61,5% dei casi (tab. 14). Dall’analisi dei dati, sembra potersi trarre una conclusione: se nel complesso si ha l’impressione di una copertura televisiva squilibrata ed eccessiva del caso di Cogne, ciò non è da ascriversi alla incapacità professionale nella restituzione dell’evento o a singole cadute di stile di questo o quel servizio, ma sembra collocarsi “a monte”, nella stessa scelta di inanellare quotidianamente la narrazione, come se fosse una fiction, con nuove puntate evanescenti, fatte di nulla, giacché nulla di nuovo era accaduto. Il “difetto” nel riportare il delitto di Cogne va allora ricondotto al fatto di averne fatto una storia continua e, in diversi casi, invadente. Le trasmissioni: l’invadenza del caso di Cogne L’impressione di una trattazione squilibrata viene confermata, se non rafforzata, dall’analisi delle 38 trasmissioni che hanno dedicato al delitto di Cogne, un servizio, una parte all’interno di una puntata, tutta una puntata o addirittura più puntate nel periodo di analisi (tab. 15). E’ interessante notare che, a fronte della copertura quotidiana de “La vita in diretta”, il caso di Cogne è stato accolto anche da trasmissioni come “Chi l’ha visto” o “Tg3 Leonardo” che sono tematicamente lontane. Accanto a tale dato numerico, quello che balza agli occhi sono le modalità con cui le trasmissioni hanno condotto le loro puntate: si riscontra da questo punto di vista una singolare sovrapposizione di generi non solo tra la televisione che riporta fatti realmente accaduti o riflette su di essi e fiction ma anche tra telegiornale e approfondimento. E’ stata soprattutto Rai 1, con le 21 puntate de “La vita in diretta” e quelle di “Porta a porta” a occuparsi del caso. Il 68,4% delle volte che si è parlato di Cogne lo si è fatto in quelle che la Rai classifica come “trasmissioni di servizio”, un dato che può risultare incomprensibile se non lo si accompagna con una riflessione che esula dai puri e semplici risultati di questa indagine sui criteri di classificazione utilizzati. Si tratta di un argomento su cui attualmente è aperto il dibattito. La sindrome di Sherlock Holmes Come già nei telegiornali, tra gli elementi intorno a cui ruota la notizia prevalgono quelli riconducibili all’andamento delle indagini, alla ricostruzione passo passo di tutte le fasi, trascinando lo spettatore (o intercettandone l’aspettativa?) in una sorta di “sindrome di Sherlock Holmes”, che pare aver contagiato buona parte dei mass media. I temi di approfondimento intorno al caso non appaiono analizzati in maniera soddisfacente; perfino una trasmissione, che aveva avuto l’intuizione di trattare il conflitto tra diritto di cronaca e diritto alla privacy finisce con giustapporre le opinioni di diversi esperti senza che tale contesto produca un’interazione, un confronto e dunque una maturazione effettiva del tema. Forse in conseguenza della sovrapposizione con i telegiornali, più del 63% delle trasmissioni forniscono elementi ridondanti, e solo nel 15,8% rappresentano un avanzamento delle conoscenze (tab. 16). Gli esperti chiamati in causa forniscono elementi interpretativi realmente nuovi o aggiungono informazioni (tab. 17) in meno del 30% dei casi. Altra conseguenza della sopraccitata sovrapposizione dei generi è l’abbondanza di immagini documentali continuamente ripetute che in molti casi sono proprio le stesse che pochi minuti prima si erano potuti vedere al Tg. Alla ricerca dell’approfondimento Va evidenziato, dopo aver sottolineato i punti di criticità, che le trasmissioni che hanno affrontato il delitto di Cogne, hanno cercato in qualche modo di affrontare “i fondamentali”, i temi fondanti della nostra cultura che questa storia in qualche modo ha di nuovo aperto: l’archetipo della madre “per natura” benefica, la famiglia “secretata” e il conformismo culturale, la netta distinzione tra normalità e follia. Tuttavia a questa intuizione spesso non si è riusciti a dare seguito efficacemente, restando alla fine appiattiti sul fatto di cronaca, senza riuscire ad alzare il punto di osservazione e passare dal particolare (micro) all’universale (macro), cioè a temi che possono interessare tutti, concedendo al micro uno spazio smisurato (v. ancora tab. 16). Il linguaggio delle trasmissioni A conferma di quanto detto, si riscontra un’aggettivazione esasperata (60,5%). Inoltre, anche nel caso delle trasmissioni, si riscontra un largo ricorso ad espedienti narrativi tipici del racconto e dunque della fiction. Alla fine del servizio o della puntata viene dato appuntamento all’aggiornamento successivo, nel 63% dei casi ritroviamo allocuzioni tipiche del racconto (“e allora”, “ed ecco”, “e alla fine”), si registra l’abuso di definizioni “mamma Annamaria” e “papà Stefano” anziché il ricorso ai loro nomi e cognomi (come Erika e Omar sono stati definiti grottescamente, per mesi, “i fidanzatini”) (tab. 18). L’accaduto viene raccontato con obiettività solo nel 31% dei casi, ne viene data una descrizione nella migliore delle ipotesi ripetitiva (52,6%), enfatica o allarmistica (31,6%) e questi spazi sono utilizzati per evocare sospetti, formulare ipotesi o sollevare illazioni (76,3%). Solo nel 23% il linguaggio risulta puramente informativo (tab. 19 e 20).
3. Una controprova dello sconfinamento dei generi: la vocazione sociologica della fiction Le fiction di produzione italiana andate in onda durante il periodo in esame sono state circa 200 e, di queste, nove presentano al loro interno un episodio doloroso in cui uno o più bambini sono protagonisti. Le fiction prese in esame sono state: 1) Dieci storie di bambini – Rai 1; 2) L’uomo che piaceva alle donne – Rai 2; 3) Cuore – Rai 1; 4) Io ti salverò – Rai 1; 5) La casa dell’angelo – Rai 1; 6) Un posto al sole – Rai 3; 7) Vento di Ponente – Rai 2; 8) Incantesimo – Rai 2; 9) La squadra – Rai 3. Ad eccezione della prima, espressamente rivolta a un pubblico di bambini e adolescenti, si tratta di fiction rivolte ad un pubblico di adulti o comunque di età mista andate in onda in prima serata. Tutte le storie introducono una riflessione a sfondo etico o sociale. I temi che fanno da sfondo alla vicenda dolorosa di cui un bambino è protagonista sono: le problematiche della terza età (con la condanna dell’abbandono degli anziani), la carenza di spazi per i bambini nelle grandi città; l’emigrazione e lo sradicamento dal luogo d’origine con la conseguente difficoltà a inserirsi nel nuovo contesto; la difficoltà del rapporto padre-figlio dove il secondo soffre per l’incapacità del primo di dimostrargli attenzione e amore ed essere presente; il ruolo della malattia nella capacità di riavvicinare persone che si erano allontanate; l’immigrazione clandestina e la denuncia di quanti approfittano di questa drammatica situazione; il ruolo positivo della scuola nel supportare un bambino al centro di una situazione difficile; la disoccupazione i suoi drammi; il confronto tra culture rapportato alla tragica fine di una bambina a seguito di un’infibulazione. Nel complesso si rileva nelle fiction una grande attenzione e un buon livello di articolazione nell’affrontare tematiche tanto complesse. Si ha l’impressione di una notevole consapevolezza di quanto sia delicato affrontare il tema in maniera completa ed esplicita, attraverso l’attento studio dei personaggi e delle possibili implicazioni, mostrando una netta vocazione al “politically correct”. Tab. 1 - Bambini e dolore in Tv - Tg e trasmissioni in onda sulla Rai (marzo-aprile): enfasi data alla notizia
Fonte: indagine Censis su dati Centro d’Ascolto dell’Inf. R-Telev., 2002
Tab. 2 - Bambini e dolore in
Tv - Tg e trasmissioni in onda sulla Rai (marzo-aprile):
Fonte: indagine Censis su dati Centro d’Ascolto dell’Inf. R-Telev., 2002
Tab. 3 - Bambini e dolore in
Tv - Tg e trasmissioni in onda sulla Rai (marzo-aprile):
Fonte: indagine Censis su dati Centro d’Ascolto dell’Inf. R-Telev., 2002
Fonte: Indagine Censis su dati Centro d'Ascolto dell'Inf. Radio-tel., marzo-aprile 2002
Fonte: Indagine Censis su dati Centro d'Ascolto dell'Inf. Radio-tel., marzo-aprile 2002
Tab. 4 - Bambini e dolore in Tv - Tg e trasmissioni in onda sulla Rai (marzo-aprile): l’intervento delle persone interpellate:
Il totale non è uguale a 100 perché erano possibili più risposte Fonte: indagine Censis su dati Centro d’Ascolto dell’Inf. R-Telev., 2002 Tab. 5 - Bambini e dolore in Tv - Tg e trasmissioni in onda sulla Rai (marzo-aprile): la descrizione dell'accaduto, al livello verbale:
Fonte: indagine Censis su dati Centro d’Ascolto dell’Inf. R-Telev., 2002 Tab. 6 - Bambini e dolore in Tv - Tg e trasmissioni in onda sulla Rai (marzo-aprile): la funzione assolta dalle immagini:
Il totale non è uguale a 100 perché erano possibili più risposte Fonte: indagine Censis su dati Centro d’Ascolto dell’Inf. R-Telev., 2002
Tab. 7 - Il “caso di Cogne” - Tg - Enfasi data alla notizia all’interno del telegiornale:
Fonte: indagine Censis su dati Centro d’Ascolto dell’Inf. R-Telev., 2002
Fonte: Indagine Censis su dati Centro d'Ascolto dell'Inf. Radio-tel., marzo-aprile 2002
Tab. 8 - Il “caso di Cogne” - Tg - Gli elementi forniti dal servizio svolgono una funzione:
Fonte: indagine Censis su dati Centro d’Ascolto dell’Inf. R-Telev., 2002 Tab. 9 - Il “caso di Cogne” - Tg – L’intervento delle persone interpellate:
Il totale non è uguale a 100 perché erano possibili più risposte Fonte: indagine Censis su dati Centro d’Ascolto dell’Inf. R-Telev., 2002
Tab. 10 - Il “caso di Cogne” - Tg - Le immagini che corredano la notizia:
Il totale non è uguale a 100 perché erano possibili più risposte Fonte: indagine Censis su dati Centro d’Ascolto dell’Inf. R-Telev., 2002
Tab. 11 - Il “caso di Cogne” - Tg - Funzione prevalente assolta dalle immagini:
Il totale non è uguale a 100 perché erano possibili più risposte Fonte: indagine Censis su dati Centro d’Ascolto dell’Inf. R-Telev., 2002
Fonte: Indagine Censis su dati Centro d'Ascolto dell'Inf. Radio-tel., marzo-aprile 2002
Tab. 12 - Il “caso di Cogne” - Tg - Il ricorso ad espedienti narrativi che sottolineano la dimensione del racconto:
Il totale non è uguale a 100 perché erano possibili più risposte Fonte: indagine Censis su dati Centro d’Ascolto dell’Inf. R-Telev., 2002
Tab. 13 - Il “caso di Cogne” - Tg - Nel complesso: (v.a. e val. %)
Fonte: indagine Censis su dati Centro d’Ascolto dell’Inf. R-Telev., 2002
Fonte: Indagine Censis su dati Centro d'Ascolto dell'Inf. Radio-tel., marzo-aprile 2002
Tab. 14 - Il “caso di Cogne” - Tg - Nel complesso il servizio risulta:
Fonte: indagine Censis su dati Centro d’Ascolto dell’Inf. R-Telev., 2002
Tab. 15 - Le trasmissioni che si sono occupate del “caso Cogne” nel mese di febbraio:
Fonte: indagine Censis su dati Centro d’Ascolto dell’Inf. R-Telev., 2002
Fonte: Indagine Censis su dati Centro d'Ascolto dell'Inf. Radio-tel., marzo-aprile 2002
Fonte: Indagine Censis su dati Centro d'Ascolto dell'Inf. Radio-tel., marzo-aprile 2002 Tab. 16 - Il “caso di Cogne” - Trasmissioni - Gli elementi forniti dal servizio svolgono una funzione:
Fonte: indagine Censis su dati Centro d’Ascolto dell’Inf. R-Telev., 2002 Tab. 17 - Il “caso di Cogne” - Trasmissioni - Il loro intervento:
Il totale non è uguale a 100 perché erano possibili più risposte Fonte: indagine Censis su dati Centro d’Ascolto dell’Inf. R-Telev., 2002
Tab. 18 - Il “caso di Cogne” - Trasmissioni - Il ricorso ad espedienti narrativi che sottolineano la dimensione del racconto:
Fonte: indagine Censis su dati Centro d’Ascolto dell’Inf. R-Telev., 2002 Il totale non è uguale a 100 perché erano possibili più risposte
Tab. 19 - Il “caso di Cogne” - Trasmissioni - Nel complesso la descrizione dell'accaduto è:
Fonte: indagine Censis su dati Centro d’Ascolto dell’Inf. R-Telev., 2002 Fonte: Indagine Censis su dati Centro d'Ascolto dell'Inf. Radio-tel., marzo-aprile 2002
Tab. 20 - Il “caso di Cogne” - Trasmissioni - Nel complesso, il modo di raccontare la vicenda:
Fonte: indagine Censis su dati Centro d’Ascolto dell’Inf. R-Telev., 2002
Tav. 1 - I temi affrontati dalle fiction analizzate
Fonte: indagine Censis su dati Centro d’Ascolto dell’Inf. R-Telev., 2002 |
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