|
|
Un bilancio di metà legislatura
E’ stata approvata la manovra economica 2004 (legge Finanziaria e Maxi-decreto), si è concluso l’Anno europeo delle persone con disabilità e si deve constatare la sostanziale mancanza di provvedimenti per i problemi degli handicappati. Vi è stato invece un ritorno della caccia ai falsi invalidi, mediante una limitazione delle garanzie dei diritti, e un’inquietante iniziativa di esclusione dei disabili dal lavoro ordinario.
Si possono a fatica evitare le valutazioni politiche, ma non ci si può più sottrarre all’esigenza di fare un bilancio sulla prima metà di questa legislatura. Sono stati a stento mantenuti i diritti acquisiti di carattere fondamentale (ma non tutti), si è invece approfondita la discontinuità culturale con le politiche dell’integrazione sociale degli handicappati a vantaggio di politiche e atteggiamenti di carattere assistenziale.
L’esempio più grave è costituito dalla mancata attuazione della legge 382/2000 con riferimento all’integrazione delle prestazioni socio sanitarie, ai nuovi criteri di definizione della invalidità e al riordino degli assegni e indennità per i disabili. Recentemente anche le ACLI hanno denunciato i ritardi del governo nell’applicazione della legge sul riordino dell’assistenza sociale. “A tre anni dal varo della 328 possiamo solo fare il conto della sua sostanziale disapplicazione da parte dello Stato”. A questa affermazione si è contrapposta il Sottosegretario al Welfare Grazia Sestini con una stupefacente argomentazione: “La 328/2000, se pur giovane di età, è una legge ampiamente superata, poiché è antecedente alla riforma costituzionale che ha reso le politiche sociali di competenza esclusiva delle Regioni e degli enti locali”.
E’ vero che l’assistenza sociale è stata trasferita alle Regioni, ma è anche vero che il finanziamento del Fondo nazionale per le politiche sociali (che viene talvolta manipolato, ridotto e distorto) dipende sostanzialmente, per l’entità e l’adeguamento delle risorse, dal governo, che lo Stato ha competenze esclusive circa la definizione dei Livelli essenziali di assistenza (la cui approvazione era già stata prevista dalla Finanziaria 2003) per la garanzia, l’omogeneità e l’integrazione delle prestazioni socio-sanitarie in un quadro di universalismo. Competono tuttora allo Stato decreti attuativi della riforma dell’assistenza che non sono affatto superati: ci riferiamo in particolare al riordino delle prestazioni economiche per i disabili, alla definizione di nuovi criteri per l’attribuzione dell’invalidità, alla formulazione della Carta dei servizi sociali e ad altre funzioni di indirizzo e di coordinamento. Senza questi atti dovuti le politiche sociali si svilupperanno in modo frammentario e sfilacciato con gravi disuguaglianze quantitative e qualitative nelle varie aree del paese.
La verità è che questo governo non è ancora riuscito a definire un progetto di sicurezza sociale che sia complementare o alternativo a quello precedente e procede per successive e contingenti approssimazioni, in un quadro di riferimenti di carattere neoliberista. In un contesto di cambiamenti economici, culturali e politici ancora in evoluzione, l’unico atto programmatico che è stato prodotto è il “Libro bianco sul Welfare” che, al di là delle valutazioni di strategia generale, afferma la centralità della famiglia (in concorrenza o in alternativa ai servizi socio-assistenziali) e in modo più chiaramente consapevole una progressiva privatizzazione dei bisogni, soddisfatti da risarcimenti monetari. Si afferma che inserire la famiglia al centro del sistema di protezione significa superare il vecchio modello di sicurezza. Se si trasferiscono le risorse alle famiglie si risparmia sui servizi. In sostanza anche per il sistema assistenziale il “Libro bianco” propone la scelta, che ormai riguarda tutte le politiche sociali, di ridurre la protezione sociale liberando così risorse da destinare ai singoli. Per questo obiettivo e per affidare definitivamente alle famiglie l’assistenza ai bambini, ai disabili e agli anziani, non tenendo conto dei processi dell’integrazione sociale, si proponeva una “Agenda sociale” che è stata tuttavia disattesa e che si è risolta in poche iniziative: (assegno per il secondo figlio, incentivi per gli asili privati). Contestualmente e progressivamente le Associazioni e le Federazioni di rappresentanza dei disabili sono state escluse dalla partecipazione istituzionale e dalla definizione dei provvedimenti legislativi (sembra definitiva la soppressione della Consulta nazionale delle associazioni di disabili).
Ricordiamo le promesse e gli impegni non mantenuti: - totale indifferenza circa le conclusioni della Conferenza Nazionale sulle politiche della disabilità di Bari (progetti di vita individualizzati, scuola, lavoro, mobilità, prevenzione…); - mancata istituzione del Fondo per il sostegno delle persone non autosufficienti; - mancata predisposizione del Testo Unificato delle leggi sui disabili; - mancata definizione dei Livelli essenziali di assistenza; - esclusione delle associazioni dei disabili dai tavoli di concertazione; - diffusione e affermazione di una rappresentazione culturale e sociale dei disabili come destinatari di benevolenza, di volontariato, di assistenzialismo, di raccolte televisive; - mistificazione dell’Anno Europeo delle persone con disabilità e rimozione dell’impegno di formulare una Direttiva europea sulla non discriminazione in coincidenza col semestre di Presidenza italiano. Si è verificato poi un progressivo accentramento delle competenze in materia di disabilità e di assistenza nell’ambito del Ministero dell’Economia: ciò significa che le politiche di welfare sono interpretate essenzialmente nella dimensione finanziaria, anziché come diritto e come vincolo di solidarietà.
Cosa vuol dire questa analisi in termini concreti? Vuol dire che le pensioni e l’indennità non sono aumentate, che un disabile grave dovrebbe sopravvivere con 230 euro al mese, che le possibilità di vita indipendente e di inserimento al lavoro sono diminuite, che la realtà delle persone viene appiattita sui loro bisogni e affidata sempre di più alle famiglie, che gli handicappati, in quanto oggetto di benevolenza e di compassione, devono essere buoni, pazienti e riconoscenti perché “richiedono l’aiuto di tutti e perché non hanno apparenza ed efficienza”. Fra le molte crisi che attraversa il paese vi è anche quella dei cittadini disabili che sembrano avere smarrito la capacità di trasformare in conflitto e in rabbia il disagio, personale e sociale, che deriva dal subire attribuzioni di inferiorità e di esclusione.
Gianni Selleri Presidente ANIEP
Aniep - Associazione Nazionale per la promozione e la difesa dei diritti civili e sociali degli handicappati. Sede nazionale ANIEP: via Dé Coltelli 7/d, 40124 Bologna, telefono 051/23.77.52, fax 051/23.23.99 |
La pagina
- Educazione&Scuola©