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PICCHIANO L’ALUNNO DISABILE? OCCORRONO PIU’ INSEGNANTI DI SOSTEGNO! In questi giorni i giornali e le TV sono pieni di cronache, interviste, discussioni sul caso eclatante dell’alunno con disabilità, picchiato a scuola da alcuni compagni che lo hanno pure ripreso con telecamera ed hanno caricato su internet le immagini fra i “ video più divertenti”. Tante sono le cose strane in questa incredibile vicenda: l’episodio vergognoso è avvenuto a Giugno scorso, ma se ne è avuta notizia solo ora, dopo che l’Associazione Vivi-Down di Milano , viste le ributtanti immagini su internet ha sporto denuncia per diffamazione; trattandosi di una denuncia di un’associazione Down tutti hanno subito pensato che la vittima fosse un ragazzo Down ed, invece, grande meraviglia quando si è saputo che trattatasi di un ragazzino con altra disabilità intellettiva, come se vi debba essere una rigida suddivisione per categorie, mentre al contrario ad es. l’ AIPD, Associazione Italiana Persone Down e l’ANFFAS hanno rispettivamente costituito un osservatorio nazionale sull’integrazione scolastica, con relativo sito web, coi quali affrontano i problemi didattici relativi a tutte le tipologie di minorazioni ; il maltrattamento è avvenuto in classe, nella quale pur se quattro “bulletti di buona famiglia” hanno compiuto le loro “gesta eroiche”, il resto dei compagni è rimasto totalmente indifferente,al punto che uno della “ banda dei quattro” poteva tranquillamente scrivere alla lavagna frasi di stampo nazzista ed un altro della stessa “banda” poteva comoda,mente filmare quanto stavano facendo i due “ picchiatori” che completavano il gruppo dei “ magnifici quattro. Sorgono spontanee alcune domande: Per fare tutto questo occorrono alcuni minuti; ma i docenti, dove si trovavano? Si deve ritenere per certo che non fossero in classe, perché, diversamente come si dovrebbero qualificare? Ma il primo docente che è entrato in classedopo l’accaduto, non si è reso conto del clima eccitato che doveva serpeggiare fra i ragazzi? E’ possibile che un episodio di questa portata possa avvenire in una classe di almeno 25 alunni, senza che nessuno se ne renda conto o si muova per fermarlo, denunciarlo o per indagare? Su “ La Repubblica” del 15 Novembre scorso si legge che alcuni docenti della scuola superiore, teatro dell’accaduto, pspiegano il fatto con l’insufficiente numero di insegnanti di sostegno assegnati alla scuola.E’ possibile che la perversa logica della “ delega dell’integrazione scolastica ai soli insegnanti di sostegno” deresponsabilizzi fino a tal punto i docenti curricolari? Sino ad oggi avevamo sentito dire, con nostro disappunto, che, se mancava l’insegnante di sostegno , l’alunno con disabilità dovesse uscire dalla classe o, addirittura, dovesse andarsene a casa; ma ancora nessuno si era spinto tanto avanti ( o in basso?!) da delegare agli insegnanti di sostegno anche la cultura dell’accoglienza degli alunni con disabilità, anzi la loro incolumità fisica, o di più, il rispetto della loro dignità e del livello di civiltà che la nostra società sostiene di possedere in misura superiore ad altre! Ma che scuola è quella nella quale si delega solo ad alcune ore di presenza di un docente l’educazione di tutti gli alunni? Si , perché qui, oltre agli aspetti penali sui quali giustamente sta indagando la magistratura ordinaria e minorile, il fatto più eclatante è la mancanza di educazione al rispetto delle persone, specie più deboli, che in questa vicenda emerge in tutta la sua devastante laidezza. Chi scrive, indignato, queste righe, è un docente pensionato, che, da ragazzo minorato della vista, praticò positivamente l’integrazione scolastica a Gela, nel profondo Sud negli anni Cinquanta, quando ancora neppure si sapeva cosa fosse l’integrazione scolastica e gli insegnanti “ di sostegno” non erano ancora stati inventati né utilizzati come comodo scaricabarile per giustificare la delega di qualunque responsabilità a loro da parte di molti docenti curricolari. In questa vicenda ha un peso la norma del contratto collettivo nazionale di lavoro del comparto-scuola, secondo cui l’aggiornamento dei docenti ( anche sull’integrazione scolastica) non è un dovere dei docenti, ma solo un loro diritto discrezionalmente esercitabile? Io credo in parte di sì. Infatti la citazione di “ La repubblica” è la riprova più evidente. L’integrazione scolastica , come cominciammo a praticarla dalla fine degli anni Sessanta era frutto della presa in carico del progetto da parte di tutti i docenti della classe che educavano gli alunni ad accogliere il compagno con disabilità, con ciò stesso realizzando l’integrazione. Con l’andar del tempo e con l’istituzione dei “posti di sostegno” quell’iniziale spinta propulsiva all’integrazione come processo corale è venuta sempre più affievolendosi e gli alunni con disabilità, specie nelle scuole medie e e soprattutto superiori sono sempre più lasciati soli dai docenti curricolari e dai compagni, sempre meno educati alla cultura ed alla prassi dell’integrazione. Così continuando, nella maggioranza dei casi ci vorrà un insegnante “ di sostegno” per ciascuno dei circa centosettantamila alunni con disabilità, frequentanti le scuole pubbliche comuni e per tutta la durata delle lezioni, come cominciano a stabilire ormai alcune centinaia di sentenze dei Tribunali italiani. Ma se questo “ andazzo” si affermasse, non sarebbe la fine dell’integrazione scolastica? Il nuovo Ministro della pubblica Istruzione si sta rendendo conto di come stiamo rischiando di tornare paurosamente indietro? Egli, è vero, ( occorre dargliene pubblicamente atto), appena nominato, si è recato alla “Marcia di Barbiana” all’annuale pellegrinaggio sulla tomba di don Milani ed ha immediatamente dopo riconvocato e rivitalizzato l’Osservatorio ministeriale sull’integrazione scolastica, che languiva da tempo sotto il precedente Governo. Però a questo punto, come diciamo a Roma “ deve darsi ‘na mossa”. Fa bene ad avviare ispezioni sul grave fatto accaduto ed aprendere, ove necessario, misure disciplinari verso dirigenti, docenti ed alunni colpevoli di fatti commessi o di omissioni. Ma il provvedimento più urgente che, a mio sommesso avviso, dovrebbe egli assumere dovrebbe essere la convocazione immediata dei Sindacati della scuola per modificare la normativa contrattuale sul “ non dovere “ di fomazione ed aggiornamento dei docenti, specie in materia di integrazione scolastica degli alunni con disabilità.Anzi l’iniziativa dovrebbe essere presa dai Sindacati che negli anni Sessanta furono i più convinti sostenitori dell’importanza dell’integrazione operata da tutti i docenti di classe. Il Ministro Moratti, poco tempo prima dell’abbandono del Ministero, emanò le Linee-guida per la corretta accoglienza degli aluni stranieri. Non sarebbe urgente che il Ministro Fioroni emanasse delle “ Linee-guida “ per il rilancio dei valori dell’integrazione scolastica degli alunni con disabilità, stigmatizzandone le cattive prassi ed evidenziando quelle positive di qualità, che pur si realizzano? Se questo innominabile episodio di teppismo fisico e mediatico producesse almeno questo effetto , potremmo sentirci meno frustrati. Roma 16 Novembre 2006-11-16 Salvatore Nocera da "Conquiste del Lavoro" Ci siamo fermati anche noi, sgomenti, allibiti. Le prime notizie di stampa e le poche immagini riportate dai giornali
erano sufficienti per passare dall'angoscia allo sdegno, alla
ribellione. No, non può accadere che un disabile venga offeso e
aggredito; da suoi compagni poi, e a scuola. Ci siamo fermati a pensare,
a interrogare, a interrogarci. Abbiamo evitato di fare subito, a caldo,
dichiarazioni di prammatica e scontate. Francesco Scrima, da Superando (di Salvatore Nocera*) Dalla vicenda venuta
alla luce in questi giorni, delle violenze subite da un ragazzo con
disabilità in un istituto scolastico di Torino, si traggano almeno
preziosi insegnamenti sulla situazione dell'integrazione scolastica nel
nostro Paese: delegare tutto all'insegnamento di sostegno rischia -
secondo Salvatore Nocera - di far perdere tanti anni di lavoro Trattandosi poi della
denuncia di un’associazione che si occupa di persone con sindrome di
Down, tutti hanno subito pensato *che la vittima fosse tale* e invece
grande meraviglia quando si è saputo che si trattava di un ragazzino con
un’altra disabilità intellettiva, *come se vi debba essere una rigida
suddivisione per categorie*, mentre al contrario, ad esempio, l’AIPD
<http://www.aipd.it/> (Associazione Italiana Persone Down) e l’ANFFAS
<http://www.anffas.net/> (Associazione Nazionale Famiglie di Persone
con Disabilità Intellettivi e/o Relazionali) hanno rispettivamente
costituito un osservatorio nazionale sull’integrazione scolastica, con
relativo sito web, con i quali affrontano i problemi didattici relativi
a *tutte le tipologie di minorazioni*. Sorgono spontanee alcune domande: per fare tutto questo occorrono alcuni minuti; ma *i docenti dove si trovavano?* Si deve ritenere per certo che non fossero in classe perché, diversamente, come si dovrebbero qualificare? Il primo docente che è entrato in classe dopo l’accaduto non si è reso conto del clima eccitato che doveva serpeggiare fra i ragazzi? È possibile che un episodio di questa portata *possa avvenire in una classe di almeno venticinque alunni*, senza che nessuno se ne renda conto o si muova per fermarlo, denunciarlo o per indagare? Su «la Repubblica» del
15 novembre scorso si legge che alcuni docenti della scuola superiore,
teatro dell’accaduto, spiegano il fatto con l’*insufficiente numero di
insegnanti di sostegno *assegnati alla scuola. È possibile che la
perversa logica della «delega dell’integrazione scolastica ai soli
insegnanti di sostegno» *deresponsabilizzi fino a tal punto i docenti
curricolari? Ma che scuola è quella nella quale si delega solo ad alcune ore di presenza di un docente *l’educazione di tutti gli alunni?* Sì, perché qui, oltre agli aspetti penali sui quali giustamente sta indagando la magistratura ordinaria e minorile, il fatto più eclatante è *la mancanza di educazione al rispetto delle persone*, specie quelle più deboli, che in questa vicenda emerge in tutta la sua devastante laidezza. Chi scrive, indignato,
queste righe, è un docente pensionato che - da ragazzo minorato della
vista - praticò positivamente l’integrazione scolastica a
*Gela*,
nel profondo sud degli anni Cinquanta, quando ancora neppure si sapeva
cosa fosse l’integrazione scolastica e gli insegnanti “di sostegno” *non
erano ancora stati inventati *né utilizzati come
*comodo scaricabarile*
per giustificare la delega di qualunque responsabilità a loro da parte
di molti docenti curricolari. L’integrazione
scolastica, come cominciammo a praticarla dalla fine degli anni
Sessanta, era frutto della presa in carico del progetto *da parte di
tutti i docenti della classe* che educavano gli alunni ad accogliere il
compagno con disabilità, con ciò stesso realizzando l’integrazione. Ma se questo “ andazzo”
si affermasse, *non sarebbe la fine dell’integrazione scolastica? *Si
sta rendendo conto il nuovo ministro della Pubblica Istruzione Giuseppe
Fioroni di come stiamo rischiando di tornare paurosamente indietro?
Ministro che - occorre dargliene pubblicamente atto - appena nominato si
è recato alla *"Marcia di Barbiana"*,* *annuale pellegrinaggio sulla
tomba di don Milani e ha immediatamente dopo riconvocato e rivitalizzato
l’Osservatorio Ministeriale sull’Integrazione Scolastica che *languiva
da tempo sotto il precedente Governo*. Il ministro Moratti, poco tempo prima dell’abbandono del Dicastero, emanò le Linee-Guida per la corretta accoglienza degli aluni stranieri. Non sarebbe allora urgente che il ministro Fioroni emanasse delle *"Linee-Guida" per il rilancio dei valori dell’integrazione scolastica degli alunni con disabilità*, stigmatizzandone le cattive prassi ed evidenziando quelle positive di qualità, che pur si realizzano? Se questo innominabile episodio di teppismo fisico e mediatico producesse almeno questo effetto, potremmo sentirci tutti meno frustrati. /*Vicepresidente nazionale *FISH* (Federazione Italiana per il Superamento dell'Handicap) e responsabile del settore giuridico dell’osservatorio *AIPD* sull’integrazione scolastica./
Sembra di tornare indietro di cent'anni - secondo Pietro V. Barbieri, presidente della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell'Handicap) - quando i disabili venivano esposti in piazza, per il pubblico divertimento. È la sensazione suscitata dalla storia del ragazzo con sindrome di Down schernito e picchiato in un'aula scolastica, specie pensando al fatto che il filmato della vicenda ha ottenuto un discreto successo in internet, nella sessione "video divertenti"
«Un atto così violento - dichiara Pietro V. Barbieri, presidente della FISH - basterebbe di per sé, per il contesto in cui si è verificato, a richiamare l’attenzione sul rischio di discriminazione che interessa gli alunni con disabilità all’interno di uno dei sistemi scolastici tra i più inclusivi del mondo. Ma il fatto che i giovani aggressori abbiano ripreso le offese inferte e che il filmato abbia poi trovato spazio in internet, riscuotendo oltretutto un discreto successo, appare quasi più perverso e inaccettabile dello stesso becero atto di bullismo». Proprio in quest'ultimo aspetto della triste vicenda Barbieri ritiene di poter individuare uno degli elementi che creano maggiore inquietudine: «Sembra quasi di tornare indietro di cent'anni, quando si pagava un obolo per vedere e deridere il "freak" esposto in gabbia per il pubblico divertimento. Un “video divertente”, appunto, come veniva definito sul motore di ricerca Google prima del sequestro, che pone interrogativi molto seri ai quali il ministro della Pubblica Istruzione Fioroni sta cercando di trovare risposte, per gli interventi di sua competenza».
«Alla luce della chiara matrice discriminatoria di questo atto - annota ancora Barbieri - nella lista manca un riferimento alle associazioni dei genitori di alunni con disabilità che sicuramente potranno anche loro dare il proprio contributo per riuscire a debellare episodi così gravi da un luogo di socializzazione e crescita importante come la scuola». (G.G. e S.B.) Da Auschwitz allo Steiner a volte ritornano e sono sempre gli stessi Dal giugno 1933 nei territori del Reich tedesco s’iniziò a praticare la sterilizzazione sistematica dei cosiddetti Erbkranke, ossia individui affetti da malattia di tipo ereditario. Il passo successivo fu, nell’ottobre 1939, l’attivazione per ordine segreto del Fuhrer del “Programma eutanasia”, che prevedeva la soppressione dei malati psichici e dei disabili. Migliaia di persone morirono così nelle camere a gas in nome della Sauberung des Volkserbugutes (epurazione del patrimonio ereditario nazionale). Solo la crescente opposizione interna convinse Hitler stesso dell’opportunità di sospendere il programma con un decreto del 24 agosto 1941. Questa decisione, tuttavia, non comportò un cambio di indirizzo, ma solo di strategia. I disabili e i malati psichici continuarono a cadere vittime della cosiddetta Wilde Eutanasie (eutanasia selvaggia) esercitata attraverso privazioni di ogni genere e la somministrazione di medicinali. Ma l’azione contro i disabili e malati psichici andò ben oltre, se possibile, le atrocità consumate all’interno dei tanti stabilimenti di morte nei quali si procedeva alla sistematica eliminazione di queste persone: una martellante propaganda svolta nelle scuole e sul territorio sosteneva che quegli individui non erano che “vite senza valore” e di conseguenza un insostenibile ed ingiustificato aggravio per lo stato e la popolazione. Ma… c’è qualcos’altro che va sottolineato e vorrei formularlo con una domanda. Perché di tutte le vittime di quella mostruosa carneficina, i malati psichici e i disabili sono stati gli ultimi ad essere sottratti all’ombra della nostra pietà? Come è stato possibile e quale insegnamento ne deriva per il futuro della nostra società e per noi stessi? Sono trascorsi oltre sessant’anni, da quel triste periodo della storia dell’umanità… I valori giuridici condivisi dagli stati democratici occidentali contemporanei si sono formati nella lotta degli "Alleati" contro il nazismo ed il fascismo. Il documento più importante che sintetizza, con maggior forza e completezza, lo spirito delle potenze vincitrici la seconda guerra mondiale è la "Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo". Questa dichiarazione universale - e molte altre convenzioni internazionali - indicano chiaramente che i destinatari delle libertà fondamentali e dei diritti inviolabili dell'uomo sono indifferentemente tutti gli individui, al di là di qualsivoglia differenza di sesso, di religione, di razza, di condizioni personali e sociali. Pertanto, sono uomini anche coloro che, per le loro condizioni di salute, soffrono di menomazioni, disabilità ed handicap nell'espressione concreta dei loro diritti inviolabili e delle loro libertà fondamentali. Anzi, proprio di fronte a queste differenze, causate dalla sorte, gli ordinamenti democratici contemporanei possono dimostrare la loro capacità di tutelare i diritti e le libertà fondamentali di ogni essere umano. In tal modo, il concetto di uomo comune, che è patrimonio delle società contemporanee, si allarga ed estende a tutti gli individui, anche e, vorremmo dire, soprattutto, a coloro che, per il loro stato di salute, soffrono una condizione di minorazione. Altro carattere che connota il mondo contemporaneo è la diplomazia multilaterale che opera per mezzo dell'ONU e degli altri organismi intemazionali regionali. L’ONU e gli altri organismi operano per mezzo di conferenze e convenzioni internazionali e si è in attesa di una carta internazionale sui diritti dei disabili. La creazione di convenzioni internazionali che, con legge di ratifica, divengono norme interne di diritto, è a tutti gli effetti un grande risultato raggiunto da questi organismi, volto ad uniformare i diversi ordinamenti giuridici statali, se non altro, su principi condivisi. Questo patrimonio culturale porta alla definizione di uomo come un concetto universale che ricomprende tutti gli individui, al di là delle loro differenze. La soluzione adottata dai sistemi democratici occidentali ai problemi della disabilità, basata sull'uguaglianza, formale e sostanziale, di tutti gli individui, sull'applicazione dell'obbligo di solidarietà sociale, e sul diritto di cittadinanza per tutti, nasce storicamente dalla reazione a concezioni apologetiche della discriminazione sociale di categorie di individui che portano a soluzioni aberranti . Ricordare quanto accaduto può essere un monito per tutti, affinché vengano isolati coloro che, attenti solo al costo economico della solidarietà sociale e della tutela dei diritti dell'uomo, tendono a cancellare, comprimere o a rendere inesigibile il diritto di cittadinanza e di uguaglianza sostanziale di tutti gli individui, compresi coloro che, per sorte e malattia, vedono ridotte le loro possibilità di sviluppo personale e sociale. Sospesi fino a giugno, perdono l’anno scolastico i quattro ragazzi responsabili della vigliacca aggressione ad un giovane disabile filmata in un video approdato in rete. Sullo sfondo, la riflessione sull'integrazione dei "diversi" nella scuola italiana. Sospesi per un anno ed esclusi dallo scrutinio finale. Sorte meritata quella dei quattro ragazzi protagonisti del video girato in una scuola torinese che mostrava – disponibile su internet fino al sequestro disposto dalla magistratura – le umiliazioni e le vessazioni alle quali è stato sottoposto un ragazzo disabile (che, per inciso, non è un ragazzo con sindrome di down, come è stato detto fin dall’inizio, ma un adolescente con un’altra disabilità intellettiva: un /qui pro quo/ nato dal fatto che la prima denuncia è stata fatta dall’Associazione /Vividown/, e indice di una certa tendenza a considerare il mondo della disabilità come un territorio rigido e alieno a qualsiasi forma di interscambio e solidarietà). A decidere la punizione è stato il Consiglio d’Istituto della struttura frequentata dai ragazzi, che ha anche aperto una indagine disciplinare nei confronti del docente ripreso nel filmato: scelta più che dovuta, in attesa di quanto poi deciderà la magistratura, che prosegue nelle indagini e nella ricostruzione dei fatti. La cosa che maggiormente colpisce del video non è tanto il disprezzo manifestato dai quattro sedicenni coinvolti nell’aggressione, quanto l’indifferenza di tutti gli altri. Una intera classe che non parla, che non si sente chiamata in causa, che volta le spalle. E’ questo un segnale evidente dell’assoluta mancanza di quella cultura dell’accoglienza dell'/altro/ che il mondo della scuola persegue, o dice di perseguire. Tutta questa vicenda ci dice che l’integrazione scolastica delle persone con disabilità continua ad essere, in molti casi, una pura illusione. E non si tratta di cosa di poco conto. A ben vedere, infatti, si presentano dubbi e problematiche sulla modalità principale utilizzata nella scuola per aiutare i ragazzi disabili: la presenza dell’insegnante di sostegno. E’ certamente una figura fondamentale, che serve e servirà ancora in futuro, e che problemi economici e di bilancio stanno mettendo in forse in tante realtà locali, con le associazioni a chiedere a gran voce al ministero dell’Istruzione di fare il possibile e l’impossibile pur di non tagliare i fondi, ma è non di meno anche qualcosa d'altro. Rischia di essere il soggetto su cui il mondo della scuola scarica la completa responsabilità del ragazzo disabile, rischia di essere utilizzato, sfruttato e usato come principale motivazione per giustificare la mancata attenzione di tutti gli altri insegnanti, quelli curriculari, e di tutti gli altri studenti. Due mondi differenti, insomma, anche se all’interno della stessa classe. E invece l’integrazione scolastica è e deve essere un processo corale, che nelle scuole elementari, medie e superiori non può non essere a carico di tutti. Non solo degli insegnanti di sostegno. La vicenda di Torino getta dubbi atroci su questa capacità della nostra scuola. Per fugarli, occorrerà tempo. Tristissime notizie… …dal mondo della scuola : ragazzo down preso a calci dai compagni ed insegnante sorpresa “in intimità”, a scuola, con diversi allievi minorenni. Due fatti di gravità comparabile: il primo perché rivela che, dopo decenni di integrazione scolastica più o meno di qualità, c’è ancora moltissima strada da percorrere prima di pervenire alla piena accettazione della dignità sociale ed umana della persona con disabilità. E se un fatto del genere accade nella scuola, cosa succede nel resto della società civile, in cui c’è certamente una minore attenzione e propensione per l’integrazione ? Sull’insegnante “hard” poco da dire: malattia mentale ? perversione ? Certo resta il danno alla psiche dei ragazzi, al mondo della scuola, alla dignità degli insegnanti tutti. A questi fatti, a parer nostro, è necessario rispondere con altri fatti, fatti positivi. Belle e necessarie le parole dei Ministri (quelle già dette e quelle che speriamo saranno dette presto da altri), ancor più belle le azioni concrete a salvaguardia di quei pochi valori rimasti e tra questi dovrebbe esserci il rispetto assoluto per la dignità della persona (con o senza disabilità), nel corpo e nella psiche. Un esempio ? Così come si è attuata la “giornata del perdono” per risarcire simbolicamente le vittime di soprusi storici, ottima cosa sarebbe se un’iniziativa del genere venisse attuata per risarcire simbolicamente i mille soprusi patiti dalle persone con disabilità. Dentro la scuola (certo meno) e fuori di essa (molti di più!). Giorgio Genta per ABC Federazione Italiana Come hanno riportato di recente vari giornali, su Internet è stato scoperto dall'associazione «Vividown» un video - nel settore videoscherzi - nel quale un ragazzo down è malmenato e deriso da alcuni ragazzi. «Una volta - ci dice il prof. Renato Pigliacampo, docente di Psicopatologia del minorato sensoriale nel corso di specializzazione dell'Università di Macerata - chi possedeva un accidente sensoriale o fisico era riconosciuto con una terminologia nuda e cruda: il sordomuto, il cieco, lo storpio, il debole mentale eccetera. Oggi utilizziamo parole addolcite che per lo più tende a celare la gravità della disabilità, sino a indicare tutti col termine /diversamente abili/, che non chiarisce più di tanto ai ragazzi e alla comunità su questa realtà». Pigliacampo ammette: «L'esperienza, senza l'impegno educativo e programmatico specifico dei cosiddetti normali, mi lascia perplesso sulla riuscita dell'integrazione. Gli enti locali, i dirigenti scolastici sono chiamati a compiere il salto culturale, vale a dire andare /oltre /l'integrazione. Oggi si tende ad esorcizzare la disabilità, si indica tutti i problematici sensoriali o fisici col termine "diversamente abili", oppure "handicappati". Perché uno sia indicato, mettiamo, diversamente abile bisogna spiegare ai giovani della scuola e alla comunità adulta la ricchezza di questa differenza linguistica, culturale e anche didattica nell'apprendimento.» Pigliacampo, autore di un recente libricino, firmato con lo pseudonimo Scuola di Silenzio, Lettera ad una ministro (e dintorni), edito dalla Armando di Roma, afferma tra l'altro: «Per quanto riguarda le persone sorde o audiolese incontrano ancora gravi barriere di comunicazione per partecipare all'attività sociopolitica, nei contatti con le istituzioni. Noi vogliamo essere cittadini con strutture efficienti aperte a tutti. Non è facile affrontare questa realtà perché siamo imbevuti di una obsoleta filosofia assistenziale, me ne accorgo come responsabile nazionale della commissione dell'integrazione scolastica della FAND, federazione nazionale delle associazioni dei disabili.» Renato Pigliacampo, che è in prima linea da decenni unendo alla competenza scientifica l'impegno politico, afferma che, nei prossimi anni, sarà possibile compiere il salto perché queste «speciali persone» diventino protagoniste per risolvere i propri problemi dentro le istituzioni. Down torturato a scuola
da La Repubblica L´INTERVISTA È un insegnante di religione: non mi stupisce quel che è accaduto, c´è un´ignoranza diffusa "Mio figlio via dall´aula delle violenze" Nicolà Zancan TORINO - Eccolo il ragazzino del video, saluta con la mano grossa e entra in casa. Ha i capelli ricci, la faccia buona, gli occhiali da vista, la collezione dei cd di Zucchero in camera. Suo padre, all´ultimo piano di un palazzo moderno, zona residenziale alla periferia della città, porta il dito indice alla bocca. Silenzio: «Mi raccomando, lui non sa niente di tutto quello che sta succedendo, ma avverte le tensioni sulla pelle. Per me in questo momento la cosa più importante è proteggerlo. Aspetti un attimo, poi parliamo». Dopo tre minuti il padre torna alla porta. È un signore pacato, vedovo, si è risposato, ha cinquant´anni e altri due figli grandi. Forse fa il mestiere perfetto - in un gioco terribile di specchi - per guardare in faccia questa storia bruttissima: «Insegno religione in una scuola superiore della prima cintura di Torino. Conosco i ragazzi perché li vedo tutti i giorni. E le dico con profonda amarezza che quello che è successo a mio figlio purtroppo non mi stupisce. C´è troppa violenza, c´è un´ignoranza diffusa. Non capiscono neanche quello che fanno: ridere, umiliare, giocare o picchiare. Per loro è indifferente, sullo stesso piano». Quando ha saputo che il ragazzino nel video era suo figlio? «Ieri pomeriggio mi ha chiamato la vicepreside dell´istituto Albe Steiner. Mi ha convocato per un questione delicata. Ci sono andato del tutto inconsapevole». Aveva mai visto prima il video del pestaggio? «Molte volte in televisione. Mai su internet, però. Guardavo il telegiornale con aria esterrefatta, ma non ho mai pensato di poterlo collegare a mio figlio. Ora soffro anche di questo, di non averlo riconosciuto. Ma c´è un particolare che mi ha messo fuori pista». Qual è? «Hanno sempre parlato di sindrome di Down, ma lui non è down. Il suo è un problema prenatale, legato al parto. Ha una forma di autismo». Ci sono testimoni nella scuola che raccontano di pestaggi ripetuti, altri episodi con vittima suo figlio. Quel video era su internet dall´estate scorsa. Da giorni la notizia era su tutti i giornali. Nessuno le ha mai detto niente? «No, un silenzio assoluto. Ed è proprio questo che voglio capire. Spero che l´inchiesta mi dia le risposte che cerco. Per quel che posso fare io, ho chiesto di parlare con il preside, per prima cosa. Ho chiesto anche di convocare un consiglio di classe. Sono un professore, so cosa succede nella mia scuola, ma di quello che succedeva a mio figlio non ho mai saputo nulla». Quanto è arrabbiato? «Se dicessi cosa si agita dentro di me adesso, farei parlare la mia parte peggiore. Non voglio che accada. Ho bisogno di vedere tutto con più calma. Devo dedicarmi a mio figlio, devo proteggerlo». Con chi ci si arrabbia di fronte a una storia così desolante? «Con la scuola, innanzitutto. Con la scuola credo che dovrò arrabbiarmi per forza di cose. Credo che ci rivolgeremo ad un avvocato. Con calma, fra qualche giorno». Come immagina i genitori dei ragazzi che hanno picchiato suo figlio? «È un problema enorme. Di ignoranza, innanzitutto. Ma anche di modelli culturali. Sotto questo aspetto, la televisione come i giornali credo che abbiano grandi responsabilità. Oggi i ragazzi sono senza cuore. Non capiscono il peso delle loro azioni. Forse non tutti, ma molti sono così». Ha ancora senso chiamarlo bullismo? «Secondo me no, la parola non rende l´idea. A scuola oggi c´è violenza. Una violenza che fa paura». Come sta suo figlio? «Per fortuna non ha capito che stanno parlando tutti di lui. So che adesso dovrò difenderlo anche dall´attacco mediatico». Tornerà nella sua classe? «Per un po´ credo di no. Questa mattina non l´ho portato, sapevo che sarebbe andata la polizia. Per il futuro ci voglio pensare. Devo capire qual è la cosa meno traumatica per lui». da Repubblica.itMilano, il magistrato ha bloccato la diffusione su Google.
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