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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
- ISSN 1973-252X
Direttore responsabile: Dario Cillo


 

Corsi per l’autonomia dopo la scuola dell’obbligo, nei Centri di istruzione per gli adulti

  Dopo la Sentenza della Corte Costituzionale n. 215/1987, dopo la legislazione scolastica che ne è seguita e ancor più dopo la Legge - quadro sull’integrazione de­gli alunni  in stato di handicap(n. 104/1992), molti soggetti in situazione di handicap si sono iscritti alla scuola secondaria di secondo grado, ben prima che questo diventasse un obbligo e, la maggior parte di essi, lo ha fatto in scuole professionali, con la possibilità di concludere un percorso in breve tempo.

  Tante volte, genitori, insegnanti e operatori sociali indirizzano il disabile, ad una scuola che viene, preventivamente, considerata di scarso impegno, idonea dunque a conciliare il proseguimento degli studi dopo la scuola dell'obbligo, con i problemi di disabilità e di handicap del ragazzo. Ma la scuola che sembra presentare minori difficoltà, vuoi per brevità, vuoi per il tipo di discipline previste nel suo curriculum, può non rispondere ai bisogni di un disabile che, forse ancora più dei così detti normodotati, ha bi­sogno di un’eccellente formazione, sia culturale, sia per quanto attiene la personalità, che gli consenta di sopperire ai suoi handicap, per poter così accedere ad attività lavorative in grado di valoriz­zare le sue capacità. Eppure tutto ciò non si verifica che eccezionalmente: spesso gli studenti disabili sono vittime di insuccessi scolastici, che non permetteranno loro di raggiungere le competenze necessarie e il livello cultu­rale che può renderli competi­tivi nel contesto lavorativo.

  L’alunno disabile, non riuscendo ad adegu­arsi alle richieste del si­stema scolastico, fornisce scolasticamente risposte inadeguate alle aspettative degli adulti; tende ad attribuire a sé la causa del proprio insuccesso e/o abbandono scolastico; non riesce a costruire una corretta autostima, anzi rafforza sempre più l'im­magine negativa che ha di se stesso, quindi contribuisce pesante­mente ad aumentare la pro­pria situazione di marginalità sociale. Molto spesso poi, è anche difficile il dialogo del ragazzo disabile con i suoi insegnanti e con i compagni di classe.

    Nella scolarizzazione dell’alunno disabile si può verificare un’altra situazione: per un atteggiamento di errato pietismo, al soggetto in situazione di handicap non si pongono quelle richieste di impegno, di lavoro, di sforzo che sono necessarie per apprendere e per apprendere ad apprendere, favorendone il passaggio alle classi successive, ma non aiutandolo a prepararsi alla vita, né da un punto di vista di formazione di personalità, né per quanto può attenere il piano culturale e di competenze. Addirittura si sta verificando in questo ultimo periodo scolastico l’abbandono a se stesso, causa la mancanza di un adeguato supporto di sostegno scolastico, oltre all’utilizzo come ”parcheggio” da parte delle famiglie della scuola secondaria di 2° grado per questi ragazzi.

 

    Degli  insegnanti di sostegno, che in termini nazionali rappresentano il 10%  circa del personale docente, ben il 46% opera con contratti a  tempo determinato, a scapito della continuità dell'intervento svolto, e  il 43% non ha una specializzazione, a scapito della qualità  dell'intervento stesso. Un altro elemento preoccupante, riguarda il rapporto tra il numero degli alunni e  il numero degli insegnanti di sostegno, che va da uno ogni due nella  scuola dell'infanzia a uno ogni 2,76 nella secondaria di 1° grado e  ancora peggio in quella secondaria di 2° grado che supera abbondantemente il rapporto di uno a 3.

Ancora più grave è la situazione sul piano dell’autonomia personale. Spesso le figure poste accanto a questi ragazzi, per l’autonomia personale, sono semplici “badanti”, che servono a tenere sotto controllo il disabile sia esso motorio o psicofisico.

 Per ogni giovane, il raggiungimento dell'identità è il punto di partenza per un corretto processo di costruzione dell'autonomia che, se vede la fami­glia impegnata in prima fila, richiede all'ambiente scolastico tutto, ma in particolare ai docenti, il massimo sforzo per aiutare l'allievo in situa­zione di handicap a maturare uno stato mentale che gli permetta di sentirsi persona autonoma.

 Troppo spesso, ancora oggi la scuola, limitandosi all'inserimento del disabile o mettendo in atto nei suoi confronti più forme di pietismo che di educazione, salvo lodevoli eccezioni, non integra perciò realmente e non è ancora riuscita a diven­tare per lui vera agenzia di socializzazione e ad essere il punto dal quale egli possa partire per costruire la propria autonomia.

Per creare i presupposti del successo individuale sia nel campo dell’istruzione che in quello professionale e dell’inserimento nel mondo del lavoro non basta che tutti frequentino la scuola per più tempo. Occorre invece che ciascuno, investendo almeno un anno in più a scuola, possa consolidare e ampliare le proprie conoscenze e competenze, mettere a fuoco le proprie capacità e quindi scegliere con maggiore consapevolezza il successivo percorso di istruzione o di formazione.

Una soluzione per renderli più autonomi , potrebbe essere la realizzazione di corsi di autonomia per ragazzi in situazione di handicap dai 16 ai 21 anni volti a far acquisire alcune capacità quali l’uso del denaro, del telefono, l’orientamento urbano, i principali fondamenti del codice stradale del pedone, l’uso dei mezzi pubblici, il comportamento negli acquisti e negli uffici pubblici (posta, banca,…). Questo si può fare, ce lo consente l’ordinanza ministeriale 495/097 e altre leggi. La sperimentazione, in accordo con i servizi sociali del distretto di appartenenza e i Centri Territoriali Permanenti, può avvenire con soggetti disabili che abbiano completato la scuola dell’obbligo. Troppo spesso, si verifica che le scuole superiori non rifiutano le iscrizioni e di conseguenza raggruppano 3 o 4 disabili per classe vanificando quel processo di integrazione essenziale per questi giovani, siano essi gravi e non.

Le attività da proporre dovrebbero essere incentrate su 5 aree educative individuate come fondamentali per un’educazione all’autonomia esterna:
comunicazione: stimolare a chiedere informazioni, a fornire i propri dati personali, a sapere usare i telefoni pubblici, sia come mezzi per raggiungere ciò che si desidera, sia per potere chiedere aiuto in caso di difficoltà. 

orientamento: sollecitare a porre la giusta attenzione nel guardarsi intorno in modo consapevole. Perciò sarà potenziata la capacità di leggere e seguire indicazioni stradali, individuare punti di riferimento, leggere i nomi delle strade, riconoscere le fermate degli autobus, della metro e dei taxi... 

comportamento stradale: fondamentale per l’autonomia  è assumere  comportamenti adeguati che permettano di muoversi da soli facendo attenzione agli attraversamenti stradali, ai segnali pedonali.
uso del denaro: l’utilizzo consapevole del denaro permette, attraverso determinate strategie, di riuscire a fare acquisti personali in modo autonomo. L’obiettivo è quello di imparare a riconoscere e conteggiare i vari tagli di denaro, leggere i prezzi, comprendere quando si deve ricevere il resto e in che quantità.

uso dei servizi: importanza di riconoscere ed utilizzare adeguatamente i negozi di uso comune ed i servizi; per esempio l’uso degli uffici pubblici, dei trasporti, e di alcuni luoghi di divertimento (cinema,  bowling ecc...).

I costi dovrebbero essere a carico delle istituzioni che promuovono i corsi, questo per non gravare sulle famiglie.

L’organizzazione dovrebbe rientrare nei “piani di zona” di ciascun Comune.

Vi dovrebbe essere sia un coordinamento delle attività sia delle modalità di verifica dei risultati ottenuti così da rendere il modello di corsi esportabile in altre realtà.


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