CHIMICA O PEDAGOGIA?
di Ermanno Tarracchini e Valeria Bocchini
insegnanti di sostegno
c/o la SMS "Cavour" di Modena
Lettera aperta ai ministri della pubblica istruzione e sanità (attuali e futuri), ai genitori, agli studenti ed agli insegnanti, a tutte le persone interessate al destino di migliaia di bambini.
No alla droga per i bimbi "vivaci e
disattenti"
Si alla mobilitazione pedagogica del pensiero
Abbiamo seguito con grande attenzione e preoccupazione la denuncia, riguardante i rischi legati all’introduzione del Ritalin nelle farmacie italiane (e quindi nelle scuole ), apparsa in tre articoli della Gazzetta di Modena ( in data 4, 7 e 11 Marzo 2001) a firma di C. Valgimigli. Condividiamo la sua analisi critica (condivisa in E. Romagna, purtroppo, solo da pochi altri suoi colleghi) e, allo scopo di stimolare l’inizio di un dibattito pedagogico-scientifico sull’argomento, accettiamo l’invito al confronto, poiché riteniamo importante, in qualità di insegnanti che quotidianamente interagiscono con bambini "estremamente vivaci" e che hanno difficoltà di attenzione, spiegare le ragioni pedagogiche e scientifiche della nostra ferma opposizione all’uso di farmaci che alterino pericolosamente la chimica del cervello, quando esiste una efficace pratica ( La pratica pedagogica della Gestione Mentale elaborata da Antoine de La Garanderie ), pochissimo conosciuta in Italia, in grado di contribuire al superamento di tali difficoltà.
La nostra esperienza.
Siamo insegnanti specializzati per il sostegno agli alunni in difficoltà di
apprendimento da parecchi anni ( anche da 15/20 anni e con precedente esperienza
di insegnamento alla classe) e, nella nostra pratica pedagogico-didattica ,
abbiamo visto che quando si spiegava al bambino cosa doveva fare per stare
attento e si variavano le strategie di presentazione dei contenuti, in modo da
rispettare maggiormente i tempi e le personali modalità evocative (cioé la
modalità con cui si richiama alla mente ciò che si è percepito) il bambino
agitato si tranquillizzava e stava ‘attento’, aveva imparato a prestare
attenzione ( cioè, secondo la pratica pedagogica della gestione mentale, a
vedere per rivedere mentalmente o ad ascoltare per riascoltare mentalmente).
Utilizzando, inoltre, metodologie e strumenti più adeguati ai bisogni educativi
e cognitivi specifici del bambino in difficoltà ( il piccolo gruppo, l’aiuto
reciproco, supporti audiovisivi, l’elaboratore, la lavagna luminosa, schemi e
mappe concettuali , il teatro ed altri canali espressivi ) si allungavano i
tempi e la qualità della sua attenzione. Il bambino comprendeva di più e
questo com-prendere, cioè prendere con sé, lo gratificava e lo valorizzava ,
perché " muovere il pensiero " secondo un proprio progetto, logico o
creativo, lo rendeva più autonomo e padrone del proprio movimento e delle
proprie relazioni spazio-temporali con l’ambiente circostante. I risultati di
recenti ricerche hanno, inoltre, evidenziato come la modalità frenetica con cui
si abusa dei mezzi di comunicazione, ( televisore, elaboratore, cellulare...),
esasperando il bisogno di variare ed incrementare sempre più gli stimoli
percettivi , non lasci il tempo necessario all’evocazione e, di conseguenza,
impoverisca ed inaridisca la mente, deprivandola progressivamente, ma
inesorabilmente, delle capacità di memorizzazione e riflessione. Al contrario,
é possibile pensare ad un intervento pedagogico e ad un utilizzo delle nuove
tecnologie, mirato allo sviluppo ed al potenziamento delle capacità di
memorizzazione (cioè evocare immaginando già la situazione di riutilizzo
futuro dell’informazione evocata) e di riflessione ( confrontare gli evocati
attuali e quelli del passato fra loro) per favorire quindi quella mobilità del
pensiero che sta alla base di un’attività mentale efficace e creativa.
Alterazione chimica dei
processi cerebrali o ricerca di una interazione pedagogica efficace con la mente
del bambino ‘agitato’ che, per vari motivi ( il bambino non comprende, é
demotivato, proviene da un ambiente svantaggiato, é maltrattato....) non vuole
o non sa ancora come fare per prestare attenzione?
E' possibile intervenire pedagogicamente per correggere l’iperattività e la
carenza di attenzione, che può essere causata sia da difficoltà di
apprendimento che da svantaggio socio-culturale o maltrattamento, aiutando i
bambini a sviluppare una maggiore consapevolezza e padronanza sulla propria
attività mentale, indispensabili ai fini del successo scolastico e anche per
acquisire una migliore conoscenza dell’ambiente circostante ?.
Una nuova interazione pedagogica con lo studente, già sperimentata lungamente e
con successo in Francia, così come in molti altri paesi del mondo, può infatti
aiutare gli insegnanti a migliorare l’attenzione dei bambini "troppo
vivaci" ed il loro rendimento scolastico, grazie ad un diverso ascolto e
dialogo pedagogico. Questo porterà insegnanti ed alunni alla scoperta del
rispettivo profilo pedagogico, cioè alla descrizione delle abitudini evocative
di ciascuno ( quelle abitudini utilizzate per richiamare alla mente tramite
immagini mentali principalmente di tipo visivo o uditivo, ciò che si è
osservato, ascoltato o percepito con un altro senso ), abitudini impiegate nel
processo dell’attenzione e più in generale in quello dell’apprendimento (
anche extrascolastico).
Gestione Mentale e "diagnosi e terapia" pedagogica delle difficoltà
di apprendimento.
La pratica pedagogica della Gestione Mentale, definita anche "pedagogia
delle evocazioni " , attraverso il dialogo pedagogico e la stesura del
profilo pedagogico del bambino, è in grado di diagnosticare ed intervenire,
unicamente con strumenti pedagogici, sulla cosiddetta "iperattività"
e sulle difficoltà di attenzione e di apprendimento dei bambini, rendendoli
maggiormente consapevoli della loro attività mentale e di come gestirla. Il
processo dell’attenzione secondo A. de La Garanderie scatta se al bambino
viene permesso di fare "avanti e indietro" tra l’oggetto di
attenzione ( la lavagna, le parole dell’insegnante) e l’oggetto di
distrazione ( il volo di una mosca, il passaggio di una macchina fuori dalla
finestra della classe, ecc..) e consiste proprio in questo passaggio. In questo
andare avanti e indietro, il bambino si dà la possibilità ed il tempo di
evocare, cioè di richiamare alla mente ciò che ha appena percepito con la
vista ( le parole scritte o i disegni alla lavagna) o con l’udito ( la
spiegazione orale dell’insegnante). Ciò significa, per il bambino, acquisire
maggior consapevolezza del proprio funzionamento mentale e permettere alla
coscienza di autoesplorarsi attraverso l’introspezione pedagogica.. L’attenzione,
quindi, scatta innanzitutto se al bambino viene dato il tempo di evocare quanto
percepito ed é facilitata se la lingua pedagogica dell’insegnante ( modalità
evocativa predominante, visiva o uditiva) e lingua pedagogica del bambino si
incontrano , ossia se la modalità di presentazione dei contenuti dell’insegnante
tiene conto della modalità evocativa del bambino, altrimenti sono guai ( per il
bambino naturalmente). Ad esempio, quanti bambini sordi sono stati definiti
vivaci o peggio "iperattivi" a causa dell’uso di canali comunicativi
non adeguati da parte dell’insegnante? E quanti sono i casi di "sordità
o cecità cognitiva" degli udenti, causata dalla non corrispondenza fra
modalità di presentazione dei contenuti da parte degli insegnanti ( ad esempio,
quella verbale) e la modalità evocativa ( ad esempio, quella visiva) da parte
dello studente ( o viceversa)? Forse i sostenitori della terapia farmacologica
ignorano queste problematiche e non riescono ad immaginare le potenzialità e le
risorse pedagogiche che gli insegnanti potrebbero mettere in campo se venissero
incoraggiati a non delegare e a valorizzare ed esplorare pedagogicamente le
potenzialità cognitive degli studenti, anziché venire deresponsabilizzati ed
espropriati delle loro capacità di ascolto e delle loro capacità ‘terapeutiche’
(terapeutiche non nel senso medico, bensì nel senso etimologico della parola,
cioè "prendersi cura di…") nei confronti delle difficoltà di
apprendimento dei bambini, a causa della ricorrente psichiatrizzazione di tali
difficoltà.
Mobilitazione farmacologica o mobilitazione pedagogica del pensiero?
La pratica pedagogica della gestione mentale insegna al bambino a gestire meglio
i suoi evocati (immagini mentali visive o uditive di ciò che ha percepito e poi
richiamato alla mente) per "muovere" il suo pensiero nella direzione
voluta ed essere maggiormente consapevole e padrone della sua attività sia
fisica che mentale, ossia dell’esecuzione di quei gesti mentali responsabili
dell’apprendimento ( attenzione, memorizzazione, comprensione, riflessione,
immaginazione). Se è vero che " [...] pensare è trattenersi dall’agire,
[...] interiorizzare le azioni, i movimenti e [...] prevederne le conseguenze
attraverso la memoria [...] ", occorrerà insegnare al bambino a percepire
con attenzione ossia ad osservare per rivedere mentalmente ed ascoltare per
riascoltare mentalmente, immaginando già, durante la percezione di un oggetto,
le azioni implicate nel suo uso: ascoltare la musica è già cantarla o
suonarla, così come memorizzare è immaginare già la situazione di riutilizzo
futuro dell’informazione evocata. Si è scoperto, infatti, che molte persone,
abili nel raccontare barzellette, quando le ascoltano si immaginano già la
scena in cui le stanno raccontando ad altri. Dall’esecuzione più o meno
corretta di questi gesti mentali dipendono anche i risultati, più o meno
soddisfacenti, che si ottengono nell’esecuzione dei diversi compiti. Gli
studenti con un buon rendimento scolastico eseguono più o meno efficacemente
questi gesti mentali, generalmente in modo inconsapevole, mentre uno studente
che non li esegue affatto, non ottenendo buoni risultati, potrebbe essere
portato a muovere di più tutto il suo corpo nel vano tentativo di com-prendere
( di prendere con sé ), un movimento non finalizzato ad alcun progetto di senso
se non a quello di reagire alla noia e alla demotivazione. Con il rapido
diffondersi delle nuove tecnologie multimediali, il bambino, bombardato da
stimoli percettivi e poco " ascoltato " dagli adulti, non ha il tempo
di evocare né di memorizzare, non impara a riflettere e non ha il tempo di
immaginare già, durante la percezione di un oggetto, le azioni e le possibili
conseguenze implicate nel suo uso o nelle sue relazioni con il mondo
circostante, cioè non ha il tempo di interiorizzare l’azione. Rimarrà,
probabilmente, in balia di " tensioni neuro-muscolari " che si
traducono spesso in irrequietezza, comportamenti esuberanti ed emulativi,
comunque non " interiorizzati " in modo adeguato, cioè scarsamente
rielaborabili e ‘criticabili’ consapevolmente.
La cosiddetta " Iperattività o sindrome da disturbi dell’attenzione
" , in sigla "Adhd" dei bambini, dovrebbe essere quindi, in
assenza di lesioni nervose, innanzitutto un problema di pertinenza pedagogica, e
di pertinenza pediatrico-neurologica in quei casi in cui sia dimostrata una
compromissione neurologica o comunque organica.
E’ urgente una riflessione etico-pedagogica sulle scelte educativo-didattiche effettuate dalla scuola, sulle capacità di ascolto e sulle modalità di accesso all’informazione che vengono imposte ai bambini da parte degli adulti, per adeguarle alle vere esigenze della formazione della personalità del bambino, anche per favorire un’inversione di tendenza che, anziché mirare alla mobilitazione farmacologica, miri soprattutto alla mobilitazione pedagogica del pensiero.
Bibliografia
Per saperne di più:
http://www.comune.modena.it/scuole/cavour/gmintro.htm
http://www.Gestionmentale.com
http://www.chez.com/iigm/