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Caro Rolando, cerco di spiegare il senso del mio intervento. 1. Possiamo riflettere sullo stato di attuazione della legge 68/99 facendo riferimento ai decreti attuativi o alla legislazione regionale di recepimento o attuativa. Ma questo potrebbe dirci poco. Perché spesso le norme regionali e i provvedimenti provinciali sono fatti con la fotocopia. 2. Sarebbe più interessante capire come le strutture di servizio si sono organizzate e messe in rete. Sarebbe più interessante capire come i vecchi SIL sono stati recuperati nella gestione degli inserimenti mirati e nel supporto dei servizi per l'impiego. 3, E' però altrettanto utile capire quali lavoratori disabili stanno beneficiando degli inserimenti lavorativi, a quali condizioni e con quali possibilità di successo. E' importante capire quanti inserimenti sono stati realizzati veramente con la logica degli inserimenti mirati e coinvolgendo i diversi strumenti di sostegno e di accompagnamento all'inserimento. La mia paura - tu l'hai capito - è che i giovani (o meno giovani) lavoratori con minorazioni di natura intellettiva o psichica continuino a restare fuori dal sistema. 4. Per me diventa così importante capire quanti spazi abbiamo a disposizione per cominciare a sperimentare l'inserimento mirato di questi lavoratori. E' importante capire quanti spazi abbiamo per poter coinvolgere i datori di lavoro in esperienze di inserimento lavorativo di questi lavoratori, pur consapevoli che i datori di lavoro continueranno a puntare sugli inserimenti più facili da realizzare e tramite percorsi semplici e non complessi (e se dipendesse dalle loro rappresentanze associative) eviterebbero con piacere anche questi ultimi (basta vedere come hanno protestato sulla quota d'obbligo per loro ancora troppo alta). 5. Se da una parte così è pericoloso che i rappresentanti di governo rilascino dichiarazioni sulla necessità di riforma della legge 68 (lo ha fatto la Sestini al CNEL due mesi fa, sembra che lo abbia fatto Maroni a Bari) d'altra parte noi dobbiamo cimentarci sul senso delle proposte che vengono fatte, cercando di capirne il movente prima del significato, ma anche cercando di capirne le possibili coerenze (nel caso che fossero accolte) con il senso di una legge che non vuole essere impositiva, ma che ha bisogno di una base impositiva per garantire il diritto al lavoro delle persone disabili. Cercare di capire le coerenze delle eventuali proposte di modifica con una legge che da quella base impositiva deve comunque trovare "strade" per realizzare nuovi inserimenti. 6. Ci sono tanti punti - nella gestione della legge 68 - che meritano di essere messi sotto esame e forse modificati (a Bari credo che si sia parlato di cooperative sociali e forse di revisione della metodologia di accertamento delle "difficoltà" e delle capacità" - ) Certo, le proposte di cui ho sentito parlare in questo periodo sono di natura differenziata e non di uguale valenza. Da quelle della semplice taratura di procedure, a quelle di riscoperta (ahinoi) della categorialità a quelle della verifica del significato delle diverse convenzioni. Sotto sotto poi c’è sempre il pericolo del ritorno alla disputa ideologica: sul "diritto" piuttosto che sulle maniere di esercitarlo e sostenerlo. Sull’"obbligo" piuttosto che sul coinvolgimento del datore di lavoro 7. Quanti però prendono l’iniziativa per sostenere quelle forme nuove di lavoro o di rapporto contrattuale che potrebbero agevolare l’inserimento lavorativo della persona disabile anche "grave"? Se è stato pericoloso ed io ho cercato di contrastare – tu ricorderai - il computo dei lavoratori assunti in "interinale", d’altra parte da queste forme nuove possono sorgere importanti occasioni di inserimento, avvicinamento al mondo del lavoro. La cosa importante qui è che i diversi attori del mercato del lavoro, del mondo associativo, del mondo educativo e formativo possono farsi proponenti di esperienze di accostamento al mondo del lavoro e di sperimentazione degli strumenti che possono agevolarlo. Il tuo vecchio sogno di verificare come può realizzarsi la continuità "scuola – lavoro" potrebbe avere delle chances in più. Già le aveva con gli strumenti della legge Treu (196/97) Adesso queste sembrano aumentare. Ma non è questione solo di nuove leggi. Può essere soprattutto questione di un nuovo modo di collegarsi tra Scuola, mondo formativo, mondo del lavoro, rappresentanze sociali. Ci riusciremo prima o poi? Con amicizia, Flavio
Cinque idee sulle politiche per il lavoro delle persone disabili (e sulla legge 68/99) di Flavio Cocanari per il gruppo di lavoro “Politiche del lavoro” – Conferenza Nazionale Politiche per l’handicap - Bari - 15, 16 febbraio 2003
1. 54.000 inserimenti in due anni.
Solo questa cifra mostra il buon successo di una buona legge. Noi - ……..- riteniamo che la legge 68/99 sia una buona legge ed una legge che può essere presa come riferimento per la legislazione degli altri Paesi Europei.
Noi - ………- ci siamo impegnati in lunghi anni di lavoro per avere una legge che da una base di "obbligatorietà" (che ci dispiace non piaccia a Confindustria o che Confindustria ritenga ancora troppo pesante) permettesse di sviluppare tutta una serie di strumenti e di interventi per la realizzazione di "inserimenti mirati".
Noi - ………. - ci siamo a lungo impegnati e stiamo continuando su questa strada, per fare in modo che ogni inserimento non sia solo "mirato", con buon abbinamento (matching) tra capacità e mansioni affidate ma possa essere percepito come tale da chi poi l'inserimento deve gestire, sostenere, accompagnare.
Per arrivare a questo risultato però non basta una collaudata strategia di inserimento mirato . Non basta, in altri termini, che i "sostegni" siano adeguati a garantirne un buon inserimento. Serve anche - occorre - un'accresciuta consapevolezza della non conflittualità del percorso soggettivo con una possibile e credibile organizzazione della struttura produttiva ….
A questo fine, serve un ben equilibrato mix di incentivi e di servizi di accompagnamento e di verifica dell'inserimento.
Sui singoli ingredienti di questo mix non siamo disposti a discutere o a contrattare. Siamo convinti che non è con la ricetta del farmacista che si può realizzare inserimento ed integrazione. Al contrario, pensiamo che i singoli “ingredienti” debbono essere pensati e messi in campo volta per volta, caso per caso.
Siamo però convinti che senza questo mix di strumenti gran parte dei 54.000 inserimenti realizzati, rischiano di riferirsi a persone, a lavoratori che sono già autonomamente in grado di progettare il proprio inserimento ed inserirsi. Ciò è cosa buona e da sostenere, però rischia anche di spaccare in due aree l'intera domanda di inserimento lavorativo. La creazione dei due (o più) sottoinsiemi è pericolosissima e rischia di svelare il fallimento dell'intera legislazione.
In conclusione, 54.000 inserimenti possono anche non essere un buon risultato se non comprendono anche quelle persone che rimanevano fuori dal sistema di “tutela” della 482/68 e per le quali l’unica soluzione praticata era quella del lavoro protetto nelle sue diverse forme o peggio ancora dell’elemosina assistenzialistica. Sarebbe un fallimento per la legge 68/99 se si confermassero procedure diverse di intervento, da una parte per coloro che sono “immediatamente disponibili” anche senza passare dalla valutazione della Commissione medica e del Comitato tecnico per coloro che sono in grado di offrirsi sul mercato e di partecipare ad “aste”
e dall’altra – residuale – dell’utilizzo dell’intera gamma di strumenti messi in campo dalla legge 68/99 per coloro che hanno maggiori difficoltà, perché pluriminorati o con minorazioni di natura intellettiva o psichica. In questo modo si rischia la confusione per cui l’inserimento mirato riguarda solo i più gravi. La stessa idea per cui negli anni ‘70/80, nella scuola, il Piano educativo individualizzato sembrava dover riguardare solo gli allievi disabili o problematici.
Il rischio è che costoro “i gravi” non possano mai entrare mai nel mondo del lavoro di tutti (nonostante la significativa articolazione di servizi di valutazione, accompagnamento, incentivi fiscali o altro) ma rischiano di restare in ambiti marginali del mondo del lavoro. In questo modo, la 68 rischia di ratificare non la logica dell’inserimento mirato ma la triplice ripartizione del mercato del lavoro. Quello libero a cui ricorrono i normodotati Quello protetto a cui ricorrono i disabili con ampie possibilità di autonomia Quello separato per i disabili più “problematici”.
La cosa può andare bene? Non abbiamo sempre pensato che ad ognuno va dato il supporto a lui necessario e che per qualcuno potrebbe essere sufficiente il semplice incentivo della sua “computabilità”? La cosa potrebbe andare bene se non si scorgessero già da adesso i pericoli di un mercato del lavoro “protetto” che apre spazi per i “meno gravi[1]” e lascia nei tradizionali spazi di accoglienza (o segregazione, a secondo dei punti di vista) gli altri.
Le domande che da oggi dovremmo cominciare a farci è ü per quanti lavoratori disabili sono state messe in campo le agevolazioni previste dalla legge.? ü per quanti lavoratori disabili il comitato tecnico si è attivato per tradurre in strumenti di sostegno all’inserimento la “diagnosi funzionale” della Commissione medica? ü per quante aziende lo strumento della convenzione non si riduce ad una semplice calendarizzazione dell’assolvimento dell’obbligo, ma si traduce in un impegno (dei servizi per l’impiego, dei servizi di accompagnamento e della stessa azienda, oltre che – laddove possibile – dello stesso lavoratore) di reciproco sostegno e di sperimentazione di strumenti specifici per un buon successo dell’inserimento lavorativo e professionale? ü Quante aziende – di quali dimensioni, in quali situazioni territoriali - hanno aderito alla logica dell’inserimento mirato non considerandolo più un semplice fardello (costo) di natura sociale? Non ci interessa qui l’eventuale improvvisa conversione solidaristica dei datori di lavoro ma ci interessa la loro valutazione sui sostegni che rete dei servizi territoriali dovrebbe promettere e garantire. ü Quanti servizi territoriali – istituzionali ed associativi – intervengono nello sviluppo di un vero progetto di inserimento mirato? E’ evidente che le possibilità di successo saranno tanto maggiori non solo laddove vi è grande disponibilità di posti di lavoro (per esempio nelle zone di Vicenza o Treviso, dove qualcuno arriva a proporre, per coprire l’intera quota d’obbligo, la computabilità di lavoratori con svantaggi di natura sociale, avendo - ma è proprio vero? - già assunto tutti i lavoratori disabili disponibili) ma anche laddove la rete di servizi territoriali è presente, è attiva ed ha una buona capacità di coordinamento e di integrazione. Da questi elementi noi dovremmo valutare le capacità di successo della legge 68.
2. una rete di servizi Sul piano degli adempimenti istituzionali, ai sensi del decreto legislativo 469/97 e della stessa legge 68/99 il bilancio complessivo appare controverso. Non interessa - in questa sede - esprimere giudizi su questa o quella regione (a statuto ordinario o meno) Ci interessa di più sollecitare un percorso di verifica di come le strutture istituzionali sono state rese funzionanti e come funzionano : se rispondono agli obiettivi per cui sono state pensate e se - eventualmente - hanno adottato procedure e strategie originali che possono essere prese come riferimento di buona prassi . Sappiamo che parlando di rete di servizi ci dobbiamo riferire all'apparato dei vecchi servizi per l'impiego, trasferiti alla Provincia, ma dobbiamo anche riferirci agli strumenti specifici costituiti dalla legge 68 e verificare come questi sono attivati e messi in rete . Ora, l’esperienza sta dimostrando l’illusorietà di meccanismi di funzionamento ugualmente riproponibili in ogni singola realtà e come i singoli passaggi del percorso di inserimento mirato non possano essere rigidamente proceduralizzati ma lasciati alle opzioni delle singole strutture di servizio nelle singole realtà territoriali. Prove di ciò provengono anche dalle diverse province di una singola regione.
Quello che conta però è che i diversi agenti di servizio (istituzionali e non) mostrino una capacità di mettersi in rete, di assumere specifici compiti nella formulazione-gestione del progetto di inserimento mirato, interagendo naturalmente con il mondo del lavoro e con le singole strutture produttive, cogliendone le possibili domande di aiuto
Al contrario, però, dalla lettura della relazione sullo stato di attuazione della legge 68 presentata (ma non diffusa alle parti sociali e non si capisce il perché) dal ministero del lavoro, appare come - pur adeguandosi alla legislazione nazionale - le regioni rischino di riprodurre acriticamente strutture di servizio ed istituzioni prive però di contenuto, di obiettivi, di passaggi organizzativi, di senso.
3. gestione sociale . o gestione burocratica?
Uno dei punti di forza della legge per il diritto al lavoro della persona disabile è la gestione sociale di questo obiettivo. Una gestione che – a costo di ripetizioni – non può essere “proceduralizzata” e soprattutto non può essere ristretta negli spazi delle competenze istituzionali. In più passaggi, la legge rinvia alla concertazione con le parti sociali una serie importante di decisioni. Dalle scelte “politiche” che debbono essere fatte nelle commissioni “tripartite” alla elaborazione degli schemi di convenzione[2], dalla verifica della praticabilità dei percorsi immaginati in sede di comitato tecnico, al sostegno degli stessi in ogni singola situazione territoriale, dalla verifica delle necessità di nuova formazione per i lavoratori disabili già inseriti o da reinserire, alla valutazione dei termini del possibile coinvolgimento delle cooperative sociali. Si tratta di livelli diversi di “partecipazione”. Si va da quella della gestione interna delle istituzioni di governo a quella delle parti sociali, che osservano i mutamenti del mercato del lavoro e del mondo produttivo per proporre nuovi accordi e nuove intese, i cui beneficiari – in termini di nuova possibile formazione o di nuovi inserimenti lavorativi - possono essere i lavoratori disabili.
Eppure, questo punto pur suscettibile di importanti ricadute è quasi dimenticato nella gestione della legge 68 e nelle rendicontazioni che se ne fanno.
Ciò può essere imputabile, da una parte alle stesse istituzioni e agli organi di governo locale, che talvolta ritengono sufficiente il coinvolgimento (a livello consultivo) delle parti sociali nella fase di stesura di una norma, di uno schema di convenzione, di un’ipotesi organizzativa di un servizio, ritenendosi poi autosufficienti nella gestione quotidiana di inserimenti che non possono essere burocratizzati. Ma ciò può essere imputabile anche alle rappresentanze del sociale che si accalcano a sollecitare il loro inserimento negli organismi di legge, scambiando questo per un titolo onorifico e non per un impegno da gestire nello studio costante delle variabili del territorio, del mondo produttivo, degli strumenti adottabili e delle possibili intese da realizzare a proposito, al fine di realizzare inserimenti che siano realmente mirati. Anche le organizzazioni sindacali – e quelle i imprenditoriali - purtroppo, sovente si accontentano di “fare parte” dimenticandosi poi di sollecitare i propri interlocutori negli impegni conseguenti.
4 nuove forme di lavoro - nuovi strumenti di sostegno dell'occupazione
In questo periodo ci siamo impegnati nell’impedire che un provvedimento di legge introducesse la possibilità di computo dei lavoratori disabili assunti in lavoro temporaneo. Non pensiamo di aver fatto una battaglia di retroguardia. Per noi non era da evitare che lavoratori disabili, in grado di gestire autonomamente il loro tempo di lavoro/vita, potessero beneficiare di questa forma contrattuale. Il problema è che ciò è gia attuabile ai sensi della legge 68, nel quadro di specifiche convenzioni. Un quadro da cui non intendiamo staccarci. Un quadro che è coerente con la logica dell’inserimento mirato, dove - nella considerazione degli elementi costitutivi l’inserimento - è giusto anche considerare questa possibile opzione del lavoratore che può incontrarsi con specifiche esigenze dei datori di lavoro. Per noi era e resta inaccettabile che ciò potesse e possa avvenire fuori da questo quadro. Ciò infatti ridurrebbe drasticamente l’interesse dei datori di lavoro, gli spazi e le disponibilità del mondo del lavoro verso quei lavoratori più “problematici”, che percorsi più lunghi e complessi possono ugualmente far arrivare ad un inserimento pienamente produttivo. Riappare qui quel pericolo di frammentazione del sistema di inserimento lavorativo indicata al punto 1.
A questo punto però le parti sociali, il sindacato – ed in maniera particolare la CISL – è ben interessata a cogliere tutte le opportunità di nuova occupazione che possono venire da forme particolari di rapporto di lavoro e da forme nuove di lavoro.
- l'apprendistato - il tirocinio (nelle sue diverse forme e con i suoi diversi possibili proponenti) - il lavoro interinale - il telelavoro
A questo punto siamo disposti a discutere e a concordare con gli interlocutori delle associazioni imprenditoriali (coinvolgendo le realtà associative più significative e gli stessi centri educativi e formativi, comprese le stesse università) pacchetti di percorsi da gestire insieme e pacchetti di inserimenti finali
5. Quale gestione istituzionale, quali opzioni politiche.
E’ però evidente - e qui va denunciato ad alta voce – che la gestione che il Governo sta facendo della legge 68 sembra escludere le parti sociali. Si va dalla mancata costituzione dell’Osservatorio sulla legge 68, alla parziale diffusione dei dati e delle informazioni, fino anche alla presentazione - in occasione di dibattiti pubblici - di proposte non discusse ed esaminate sul piano esperenziale Si tratta di proposte forse accettabili e forse criticabili. Sarebbe bene però che venissero formulate solo dopo aver sollecitato una valutazione complessiva del dato di esperienza non confidando solamente su parziali indicazioni di parti in causa (istituzionali e non).
Non va poi ignorato l’importante (in positivo e in negativo) ricaduta che può avere sulle prospettive di lavoro delle persone disabili delle politiche sociali e di riorganizzazione del sistema di assistenza economica, di prestazioni di sostegno al reddito, di prestazioni di sostegno a percorsi di inserimento lavorativo. E’ chiaro che il mutamento del quadro delle prestazioni monetarie (pure previsto dalla legge 328) impatterà sulle aspettative di inserimento lavorativo di molti disabili (e non solo) a partire da quelli ancora a carico delle famiglie. Il tutto andrebbe ben considerato, evitando scelte improvvisate. E’ chiaro che tutto ciò- tutta la tematica delle politiche per l’occupazione delle persone disabili e per le altre persone in situazione di svantaggio sociale non può essere estranea alle tematiche considerate nel “libro bianco per il welfare”. Una tale scelta di separazione non solo ci lascerebbe con strumenti spuntati, ma ci lascerebbe lontani da quella idea di mainstreaming, di cui pure riempiamo i nostri dibattiti e le nostre riflessioni.
Su questo terreno, dunque vi è molto da studiare, da lavorare, da concertare.per superare le frammentazioni e per costruire veri percorsi di inserimento e di autonomia, oltre che di una riconfermata coesione solidale della nostra società. Il sindacato, la CISL, in collegamento con la rete di realtà associative, non si spaventa certo di questo impegno, ci sta ed intende dare il suo contributo.
Flavio Cocanari 14 febbraio 2003
[1] Tanto meno gravi da non avere bisogno di passare dalla commissione medica per l’elaborazione della diagnosi funzionale e dal Comitato tecnico per la “costruzione” del suo progetto di inserimento [2] che andrebbero verificate caso per caso nell’applicazione all’utenza finale e non fatte indossare come uniformi.
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