SENTENZA N. 300
ANNO 2005
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Fernanda CONTRI
"
- Guido NEPPI MODONA
"
- Piero Alberto CAPOTOSTI
"
- Annibale
MARINI "
- Franco
BILE "
- Giovanni Maria FLICK
"
- Francesco AMIRANTE
"
- Ugo DE SIERVO
"
- Romano VACCARELLA
"
- Paolo MADDALENA
"
- Alfio FINOCCHIARO
"
- Alfonso
QUARANTA "
- Franco
GALLO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale della legge della Regione
Emilia-Romagna 24 marzo 2004, n. 5 (Norme per l’integrazione sociale
dei cittadini stranieri immigrati. Modifiche alle leggi regionali 21
febbraio 1990, n. 14, e 12 marzo 2003, n. 2), promosso con ricorso
del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il 22 maggio
2004, depositato in cancelleria il 31 successivo ed iscritto al n.
56 del registro ricorsi 2004.
Visto l’atto di costituzione della Regione Emilia-Romagna;
udito nell’udienza pubblica dell’8 febbraio 2005 il Giudice
relatore Fernanda Contri;
uditi l’avvocato dello Stato Carlo Sica per il Presidente del
Consiglio dei ministri e gli avvocati Giandomenico Falcon e Andrea
Manzi per la Regione Emilia-Romagna.
Ritenuto in fatto
1. - Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha sollevato in
riferimento all’art. 117, secondo comma, lettere a) e b),
della Costituzione, questione di legittimità costituzionale
dell’intero testo della legge della Regione Emilia-Romagna 24 marzo
2004, n. 5 (Norme per l’integrazione sociale dei cittadini stranieri
immigrati. Modifiche alle leggi regionali 21 febbraio 1990, n. 14, e
12 marzo 2003, n. 2), in quanto essa contiene disposizioni
concernenti l’immigrazione, il diritto di asilo e la condizione
giuridica di cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea,
le quali costituiscono materie che l’art. 117, secondo comma,
lettere a) e b), della Costituzione riserva alla
legislazione esclusiva statale .
Tale straripamento della potestà legislativa regionale, secondo il
ricorso, vizia l’intera legge regionale la quale, sin dagli artt. 1
e 2, contiene disposizioni relative alla condizione giuridica dei
cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea, con ciò
impropriamente invadendo una competenza esclusiva dello Stato che
non tollera “intrusioni legislative regionali”.
Il ricorrente osserva che, se è l’intera legge regionale a dover
essere dichiarata costituzionalmente illegittima, la violazione
della Costituzione appare evidente in relazione ad alcune specifiche
disposizioni: in particolare all’art. 3, comma 4, lettera d),
che prevede un’attività di osservazione e monitoraggio, da svolgere
“in raccordo con le prefetture”, del funzionamento dei centri di
permanenza temporanea, e cioè su strutture che sono direttamente
funzionali alla materia dell’immigrazione, oltre che all’ordine
pubblico ed alla sicurezza, entrambe di esclusiva spettanza statale;
agli artt. 6 e 7 della legge regionale impugnata, che riconoscono
forme di partecipazione dei cittadini stranieri immigrati
all’attività politico-amministrativa della Regione, quali componenti
della Consulta regionale, che vanno ad incidere sulla condizione
giuridica di cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea
e sull’immigrazione, materie entrambe di competenza esclusiva
statale; all’art. 10, che consente ai cittadini immigrati di
accedere all’edilizia residenziale pubblica ed ai benefici per la
prima casa, materia anch’essa spettante allo Stato che «ha
puntualmente legiferato sull’argomento».
Infine, secondo il ricorso, l’art. 3, comma 5, della legge regionale
censurata attribuisce alla Regione un potere sostitutivo nei
confronti degli enti locali inadempienti alle funzioni indicate
nella medesima disposizione, pur essendo dette funzioni invasive
della competenza legislativa dello Stato e pur se la norma
denunciata non determina in alcun modo il tipo di potere sostitutivo
della regione, con ciò violando anche gli artt. 114 e 120 Cost.
2. - Si è costituita in giudizio la Regione Emilia-Romagna,
chiedendo alla Corte di dichiarare il ricorso inammissibile e
infondato e precisando le proprie difese con una successiva memoria
depositata in prossimità dell’udienza.
Dopo aver richiamato le precedenti leggi regionali 21 febbraio 1990,
n. 14 (Iniziative regionali in favore dell’emigrazione e norme per
l’istituzione della Consulta regionale dell’emigrazione) e 12 marzo
2003, n. 2 (Norme per la promozione della cittadinanza sociale e per
la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi
sociali) - mai contestate né in via principale né in via incidentale
- che avevano previsto numerosi interventi a favore di stranieri non
comunitari in materia di prestazioni sociali, sanitarie e
assistenziali, di formazione professionale, di assegnazione di
alloggi di edilizia residenziale pubblica ed altri ancora, la
Regione ricorda che da tali leggi era già stata prevista e regolata
una “Consulta per l’emigrazione e l’immigrazione” che sin da allora
prevedeva la presenza di immigrati extracomunitari nella sua
composizione.
La legge impugnata dal Governo, secondo la Regione, si è resa
necessaria a seguito delle novità introdotte nella legislazione
statale dal decreto legislativo n. 286 del 1998, modificato dalla
legge n. 189 del 2002, e del massiccio afflusso di immigrati, eventi
comportanti l’obbligo di separare la disciplina relativa agli
emigrati da quella riguardante gli immigrati; la nuova legge è stata
preceduta da un’ampia consultazione che ha coinvolto numerosi
soggetti, istituzionali e non, e dalla predisposizione di un
Programma regionale delle attività a favore degli immigrati con lo
stanziamento di rilevanti mezzi finanziari.
Dopo aver descritto sinteticamente il contenuto delle disposizioni
della legge censurata dal Governo, la difesa della Regione eccepisce
preliminarmente l’inammissibilità delle censure rivolte all’intero
testo della legge, in quanto la stessa ha un contenuto non omogeneo
e prevede interventi di tipo diverso fra loro.
In secondo luogo la Regione Emilia-Romagna eccepisce l’infondatezza
dell’impugnazione della legge regionale nel suo complesso, motivata
dalla pretesa statale di impedire alle Regioni di dettare alcuna
disposizione concernente gli stranieri. Ad avviso della Regione,
posto che un problema di legittimità costituzionale di tali
disposizioni non era mai stato sollevato nella vigenza del testo del
Titolo V della Costituzione anteriore alla sua modifica, tanto che
la precedente legge regionale n. 14 del 1990 non era mai stata
censurata, l’assunto del Governo appare arbitrario, non essendo
fondato su alcuna norma costituzionale ed essendo anzi in contrasto
con la stessa normativa statale in materia e con la giurisprudenza
costituzionale.
Infatti, sempre secondo la Regione, le disposizioni che riservano
allo Stato la disciplina della “condizione giuridica dei cittadini
stranieri” e della “immigrazione” non sono vulnerate dalla legge
impugnata, che si limita a prendere atto della presenza di immigrati
sul suo territorio e ad affrontare i problemi che ne derivano
esclusivamente nell’ambito delle competenze regionali. In
particolare per “condizione giuridica dello straniero” non può che
intendersi quella costituente il parallelo, in negativo, della
condizione di cittadinanza, mentre le scelte di politica regionale
di intervento nei singoli settori possono evidentemente avere come
destinatari anche gli stranieri, una volta che essi siano
regolarmente soggiornanti in Italia, senza modificarne in alcun modo
la “condizione giuridica” nel senso voluto dalla Costituzione.
La stessa disciplina statale ordinaria di cui al d.lgs. 25 luglio
1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la
disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione giuridica
dello straniero), dispone all’art. 1, comma 4, che «nelle materie di
competenza legislativa delle regioni, le disposizioni del presente
testo unico costituiscono principî fondamentali ai sensi dell’art.
117 della Costituzione», rendendo con ciò chiaro che già nella
vigenza del vecchio Titolo V le regioni erano legittimate a
disciplinare i propri interventi a favore degli stranieri nelle
materie di loro competenza e nel rispetto delle norme stabilite
dallo Stato. La stessa legge statale stabilisce che allo straniero
sono riconosciuti i diritti fondamentali, che egli gode dei diritti
in materia civile e partecipa “alla vita pubblica locale” (art. 2
del d.lgs. citato), e quindi le Regioni non solo possono, ma devono
tener conto della presenza degli immigrati nel disciplinare le
materie di loro competenza.
La legislazione statale vigente, secondo la Regione, affida
espressamente alle Regioni il compito di intervenire per «rimuovere
gli ostacoli che di fatto impediscono il pieno riconoscimento dei
diritti e degli interessi riconosciuti agli stranieri nel territorio
dello Stato», con particolare riguardo all’alloggio, alla lingua,
all’integrazione sociale (art. 3, comma 5, del d.lgs. citato).
La Regione Emilia-Romagna ricorda ancora che l’art. 45 del testo
unico ha istituito il Fondo nazionale per le politiche migratorie,
la cui attività è disciplinata dagli artt. 58 e 59 del decreto del
Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394 (Regolamento
recante norme di attuazione del testo unico delle disposizioni
concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione
dello straniero, a norma dell'art. 1, comma 6, del d. lgs. n. 286
del 1998), che prevedono ampie competenze delle Regioni. In questo
quadro la modifica del Titolo V della Costituzione ha ulteriormente
ampliato le competenze regionali in settori nei quali la presenza di
stranieri extracomunitari pone problemi, a volte acuti, in materie
di competenza regionale quali la formazione professionale e i
servizi sociali, e nella materia dell’istruzione, di competenza
concorrente.
La Regione ricorda poi che la Corte, con la
sentenza n. 379 del 2004, ha dichiarato infondata la censura del
Governo avverso la norma statutaria dell’Emilia-Romagna riguardante
il diritto di partecipazione alla vita pubblica (compreso il voto
nei referendum e nelle altre forme di consultazione popolare)
a tutti coloro che risiedono in un Comune del territorio regionale;
la Corte ha osservato che i “diritti di partecipazione” sono
certamente materia di competenza regionale e che le Regioni, mentre
non possono estendere il diritto di voto nelle elezioni statali,
regionali o locali, ben possono coinvolgere in altre forme di
partecipazione e consultazione soggetti che prendono parte alla vita
associata, anche a prescindere dalla titolarità dell’elettorato
attivo. Lo stesso art. 8, comma 5, del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267
(Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), in
relazione allo statuto degli enti, stabilisce che esso promuove
forme di partecipazione alla vita pubblica locale dei cittadini
dell’Unione europea e degli stranieri regolarmente soggiornanti, con
ciò smentendo l’assunto posto a base del ricorso statale.
Quanto alle singole censure contenute nell’atto introduttivo del
presente giudizio, la Regione osserva ed eccepisce quanto segue.
L’art. 3, comma 4, lettera d), della legge, in base al quale
la Regione svolge attività di osservazione e monitoraggio, per
quanto di competenza ed in raccordo con le prefetture, del
funzionamento dei centri di permanenza temporanea di cui all’art. 14
del d.lgs. n. 286 del 1998, non disciplina in alcun modo tali
centri né si sovrappone alla normativa statale, ma si limita a
prevedere una attività che è strumentale alle sole competenze
regionali. La precisazione “per quanto di competenza” e la
previsione del “raccordo con le prefetture” rendono evidente la non
lesività della norma e la circostanza che il monitoraggio si
svolgerà in modo tale da non interferire con funzioni statali. Nei
centri di permanenza, prosegue la memoria, si svolgono attività che
interessano le funzioni regionali, ad esempio riguardo
all’assistenza sanitaria e ai profili assistenziali in genere, e
quindi la loro esistenza non può essere ricondotta al solo ordine
pubblico o alla sicurezza, in relazione ai quali, del resto, se non
esistono “poteri regionali”, esiste certamente un “interesse
regionale” esplicitamente riconosciuto in Costituzione, che all’art.
118, terzo comma, invita appunto la legge statale a prevedere “forme
di coordinamento” per queste materie.
L’art. 3, comma 5, della legge censurata prevede che la Regione
esercita i poteri sostitutivi nei confronti degli enti locali
inadempienti secondo le modalità previste dalla vigente disciplina
regionale, e la disposizione deve essere, di tutta evidenza,
riferita alle attività di cui agli artt. 4 e 5 della stessa legge,
che sono affidate agli enti locali; non vi sarebbe poi alcuna
indeterminatezza in quanto la legge regionale n. 6 del 2004 ha
dettato una nuova disciplina generale del potere sostitutivo della
Regione, pienamente conforme ai requisiti fissati dalla
giurisprudenza costituzionale a partire dalla
sentenza n. 43 del 2004. L’indicazione, quale parametro,
dell’art. 120 Cost. appare quindi del tutto inconferente,
riguardando esso il potere sostitutivo straordinario statale.
Le censure concernenti gli artt. 6 e 7 della legge regionale n. 5
del 2004, che disciplinano le forme partecipative degli stranieri
nella Consulta regionale per l’integrazione sociale dei cittadini
stranieri immigrati, trovano diretta smentita nella sentenza della
Corte
n. 379 del 2004, la quale ha definito di sicura competenza
regionale proprio i “diritti di partecipazione” affermando la
legittimità di una norma statutaria che prevede il diritto di voto
di tutti i residenti nei referendum regionali. Inoltre, la
stessa disciplina statale in materia prevede (art. 42, comma 6, del
d.lgs. n. 286 del 1998) la possibilità per le Regioni di istituire
nelle materie di loro competenza tali consulte, e lo stesso
organismo consultivo istituito presso la Presidenza del Consiglio
vede la partecipazione di rappresentanti designati dalle
associazioni più rappresentative operanti in Italia; le censure
risultano perciò del tutto infondate.
Infine, l’art. 10 della legge, che attribuisce ai cittadini
stranieri immigrati la possibilità di accedere all’edilizia
residenziale pubblica, non fa che disciplinare un diritto
riconosciuto dalla legge statale, e precisamente dall’art. 40 del
d.lgs. n. 286 del 1998, il quale prevede espressamente alcune
competenze in capo alle Regioni. La disciplina impugnata corrisponde
quindi ad una regola stabilita dalla legge statale in materia e non
invade in alcun modo materie riservate alla esclusiva competenza
dello Stato.
Considerato in diritto
1. - Il Presidente del Consiglio dei ministri solleva questione di
legittimità costituzionale dell’intero testo della legge della
Regione Emilia-Romagna 24 marzo 2004, n. 5 (Norme per l’integrazione
sociale dei cittadini stranieri immigrati. Modifiche alle leggi
regionali 21 febbraio 1990, n. 14, e 12 marzo 2003, n. 2) per
violazione dell’art. 117, secondo comma, lettere a) e b),
della Costituzione, perché ritiene che essa contenga norme
concernenti l’immigrazione, il diritto di asilo e la condizione
giuridica di cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea,
materie, queste, riservate alla legislazione esclusiva statale che
non tollerano intrusioni legislative regionali.
Per quanto concerne l’art. 3, comma 5, della legge impugnata, che
attribuisce alla Regione un potere sostitutivo nei confronti degli
enti locali inadempienti alle funzioni di cui alla medesima
disposizione, il ricorso indica altresì la violazione degli artt.
114 e 120 Cost., poiché si tratterebbe di funzioni per le quali la
Regione non ha alcuna competenza, per le quali non sarebbe
ipotizzabile alcun potere sostitutivo.della Regione Emilia-Romagna.
Le censure del Governo riguardano poi specificatamente alcune delle
disposizioni della legge impugnata, e precisamente:
a) l’art. 3, comma 4, lettera d), che prevede l’osservazione
e il monitoraggio, “in raccordo con le Prefetture”, del
funzionamento dei centri di permanenza temporanea, strutture che
rientrano, oltre che nella materia dell’immigrazione, anche in
quella dell’ordine pubblico e della sicurezza, entrambe di esclusiva
spettanza statale;
b) gli artt. 6 e 7, che secondo il ricorso riconoscono nuove forme
di partecipazione dei cittadini stranieri all’attività
politico-amministrativa della Regione, quali membri della Consulta
regionale, cui sono affidati compiti istituzionali propulsivi e
consultivi; tali forme partecipative riguarderebbero la condizione
giuridica di cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea
e l’immigrazione, materie entrambe di competenza esclusiva statale;
c) l’art. 10, che consente ai cittadini immigrati di accedere
all’edilizia residenziale pubblica ed ai benefici per la prima casa,
materia anch’essa spettante allo Stato, che peraltro «ha
puntualmente legiferato sull’argomento».
2. - La Regione eccepisce preliminarmente l’inammissibilità delle
censure svolte nei confronti dell’intero testo della legge, in
quanto la stessa ha un contenuto eterogeneo, prevedendo interventi
di tipo diverso da parte di enti diversi.
La Regione Emilia-Romagna eccepisce poi l’infondatezza della
impugnazione della legge regionale nel suo complesso, motivata dalla
pretesa statale di impedire alle Regioni di dettare qualsiasi
disposizione concernente gli stranieri, a prescindere dal fatto che
si tratti o meno di incidere su materie di competenza regionale,
tanto più che un problema di legittimità costituzionale di tali
disposizioni non era mai stato posto sotto il vigore del precedente
Titolo V della Costituzione e che l’assunto del Governo non è quindi
fondato sulla violazione di alcuna norma costituzionale e anzi si
pone in contrasto con la stessa normativa statale in materia e con
la giurisprudenza costituzionale.
Quanto alle censure statali che si appuntano nei riguardi di singole
disposizioni della legge regionale, la Regione ne sostiene, con
diversi argomenti, l’infondatezza.
3. - L’eccezione preliminare della Regione Emilia-Romagna relativa
alla inammissibilità delle censure statali che concernono
l’illegittimità costituzionale dell’intero testo della legge
regionale è fondata.
Questa Corte ha più volte affermato che le questioni di legittimità
costituzionale che si riferiscono ad un intero testo di legge,
quando non siano supportate da specifiche ragioni e non siano
specificamente indicate nella deliberazione del Consiglio dei
ministri, sono inammissibili (v., tra le molte, le
sentenze n. 315 e
n.
338 del 2003).
Nel caso di specie, la delibera di impugnazione, adottata dal
Consiglio dei ministri nella riunione del 7 maggio 2004, richiama,
recependone integralmente il contenuto, la proposta del Ministro per
gli affari regionali nella quale le censure di illegittimità
costituzionale sono inequivocabilmente riferite soltanto all’art. 3,
comma 4, lettera d) e comma 5, ed agli artt. 6, 7 e 10.
L’esame del merito del ricorso deve perciò essere limitato alle sole
disposizioni della legge regionale per le quali sono state svolte
specifiche censure.
4. - Ai fini di un corretto inquadramento delle questioni sollevate
dal ricorso del Governo, è necessario premettere un breve esame
della legge statale in materia, rappresentata dal decreto
legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni
concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione
giuridica dello straniero), nella parte in cui essa prevede
competenze regionali o altre forme di cooperazione tra lo Stato e le
Regioni.
L’art. 1, comma 4 del d. lgs citato, prevede che «nelle materie di
competenza legislativa delle Regioni, le disposizioni del presente
testo unico costituiscono princìpi fondamentali ai sensi
dell'articolo 117 della Costituzione. Per le materie di competenza
delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome, esse
hanno il valore di norme fondamentali di riforma economico-sociale
della Repubblica», mentre l’art. 2, comma 4, a sua volta stabilisce
che «lo straniero regolarmente soggiornante partecipa alla vita
pubblica locale».
L’art. 2-bis, introdotto dalla legge n. 189 del 2002,
nell’istituire presso la Presidenza del Consiglio dei ministri il
“Comitato per il coordinamento e il monitoraggio” delle disposizioni
del testo unico, al comma 2 prevede che di esso faccia parte anche
«un presidente di regione o di provincia autonoma designato dalla
Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome»,
e che «per l'istruttoria delle questioni di competenza del Comitato,
è istituito un gruppo tecnico di lavoro presso il Ministero
dell'interno», che è composto, tra gli altri, da tre esperti
designati dalla Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del
decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281.
A sua volta l’art. 3 dispone che al fine della predisposizione del
documento programmatico relativo alla politica dell'immigrazione e
degli stranieri nel territorio dello Stato, il Presidente del
Consiglio dei ministri senta anche la Conferenza permanente per i
rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e
di Bolzano e la Conferenza Stato-città e autonomie locali. Il comma
5 dello stesso articolo prevede ancora che «nell'ambito delle
rispettive attribuzioni e dotazioni di bilancio, le Regioni, le
province, i comuni e gli altri enti locali adottano i provvedimenti
concorrenti al perseguimento dell'obbiettivo di rimuovere gli
ostacoli che di fatto impediscono il pieno riconoscimento dei
diritti e degli interessi riconosciuti agli stranieri nel territorio
dello Stato, con particolare riguardo a quelli inerenti
all'alloggio, alla lingua, all'integrazione sociale, nel rispetto
dei diritti fondamentali della persona umana». Il successivo comma 6
dispone che «con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri,
da adottare di concerto con il Ministro dell'interno, si provvede
all'istituzione di Consigli territoriali per l'immigrazione, in cui
siano rappresentati le competenti amministrazioni locali dello
Stato, la Regione, gli enti locali, gli enti e le associazioni
localmente attivi nel soccorso e nell'assistenza agli immigrati, le
organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro, con compiti di
analisi delle esigenze e di promozione degli interventi da attuare a
livello locale».
Altre disposizioni delle legge statale, come l’art. 38 (Istruzione
degli stranieri. Educazione interculturale), l’art. 40 (Centri di
accoglienza. Accesso all'abitazione), disciplinano specifiche
competenze regionali in materie nelle quali le Regioni hanno
competenza concorrente o esclusiva, come il diritto all'istruzione,
l’accesso ai servizi educativi, la partecipazione alla vita della
comunità scolastica sulla base di una rilevazione dei bisogni locali
e di una programmazione territoriale integrata, la predisposizione
di centri di accoglienza destinati ad ospitare stranieri
regolarmente soggiornanti temporaneamente impossibilitati a
provvedere autonomamente alle proprie esigenze di alloggio e di
sussistenza, oltre ad altri interventi di tipo assistenziale.
Ed ancora l’art. 42 (Misure di integrazione sociale), prevede che lo
Stato, le Regioni, le province e i comuni, nell'ambito delle proprie
competenze, anche in collaborazione con le associazioni di stranieri
e con le organizzazioni stabilmente operanti in loro favore, nonché
in collaborazione con le autorità o con enti pubblici e privati dei
Paesi di origine, favoriscono una serie di attività di tipo sociale
e assistenziale volte, tra l’altro, all’effettuazione di corsi della
lingua e della cultura di origine, alla diffusione di ogni
informazione utile al loro positivo inserimento nella società
italiana, alla conoscenza e alla valorizzazione delle espressioni
culturali, ricreative, sociali, economiche e religiose degli
stranieri regolarmente soggiornanti. Il comma 4 di detto articolo
prevede infine che sia istituita presso la Presidenza del Consiglio
dei ministri la Consulta per i problemi degli stranieri immigrati e
delle loro famiglie, della quale sono chiamati a far parte, tra gli
altri, i «rappresentanti degli stranieri extracomunitari designati
dalle associazioni più rappresentative operanti in Italia, in numero
non inferiore a sei» (lettera b).
5. - La stessa legge statale quindi disciplina la materia
dell’immigrazione e la condizione giuridica degli stranieri proprio
prevedendo che una serie di attività pertinenti la disciplina del
fenomeno migratorio e degli effetti sociali di quest’ultimo vengano
esercitate dallo Stato in stretto coordinamento con le Regioni, ed
affida alcune competenze direttamente a queste ultime; ciò secondo
criteri che tengono ragionevolmente conto del fatto che l’intervento
pubblico non si limita al doveroso controllo dell’ingresso e del
soggiorno degli stranieri sul territorio nazionale, ma riguarda
necessariamente altri ambiti, dall’assistenza all’istruzione, dalla
salute all’abitazione, materie che intersecano ex
Costituzione, competenze dello Stato con altre regionali, in forma
esclusiva o concorrente.
6. - Tenuto conto del quadro normativo complessivo, infondate
risultano le censure del Governo che ipotizzano la violazione, da
parte della legge della Regione Emilia-Romagna, delle competenze
esclusive statali in tema di “diritto di asilo e condizione
giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all’Unione
europea” e di “ immigrazione” di cui all’art. 117, secondo comma,
lettere a) e b), Cost.
Invero l’art. 3, comma 4, lettera d), della legge impugnata,
in base al quale la Regione svolge attività di osservazione e
monitoraggio, “per quanto di competenza ed in raccordo con le
prefetture”, del funzionamento dei centri di permanenza temporanea
di cui all’art. 14 del d.lgs. n. 286 del 1998, non contiene alcuna
disciplina di detti centri che si ponga in contrasto con quella
statale che li ha istituiti, limitandosi a prevedere la possibilità
di attività rientranti nelle competenze regionali, quali
l’assistenza in genere e quella sanitaria in particolare, peraltro
secondo modalità (in necessario previo accordo con le prefetture)
tali da impedire comunque indebite intrusioni.
Gli artt. 6 e 7 della legge regionale, che disciplinano le forme
partecipative degli stranieri nella Consulta regionale per
l’integrazione sociale dei cittadini stranieri immigrati, lungi
dall’invadere materie attribuite esclusivamente allo Stato,
costituiscono anzi la attuazione, da parte della Regione
Emilia-Romagna, delle disposizioni statali che, come sopra
evidenziato, prevedono appunto forme di partecipazione dei cittadini
stranieri soggiornanti regolarmente nel Paese alla vita pubblica
locale; in tal senso questa Corte, con la
sentenza n. 379 del 2004, ha affermato la legittimità della
norma statutaria dell’Emilia-Romagna che prevede il diritto di voto
di tutti i residenti nei referendum regionali, secondo un
criterio di favore verso la partecipazione, che trova il suo
fondamento nel già ricordato art. 2, comma 4, del d.lgs. n. 286 del
1998. Inoltre tali disposizioni non disciplinano in alcun modo la
condizione giuridica dei cittadini extracomunitari, né il loro
diritto di chiedere asilo, che restano affidati alla sola legge
statale.
Anche l’art. 10 della legge, che attribuisce ai cittadini stranieri
immigrati la possibilità di accedere ai benefici previsti dalla
normativa in tema di edilizia residenziale pubblica, si limita a
disciplinare, nel territorio dell’Emilia-Romagna, un diritto già
riconosciuto in via di principio dal citato d.lgs n. 286 del 1998.
Infine anche la censura che si appunta sull’art. 3, comma 5, della
legge, per cui la Regione esercita i poteri sostitutivi nei
confronti degli enti locali inadempienti secondo le modalità
previste dalla vigente disciplina regionale - disposizione che
secondo il Governo violerebbe anche gli att. 114 e 120 Cost. poiché
non sarebbe indicato il tipo di potere sostitutivo da esercitare -
risulta infondata perché, come sostiene la Regione, l’inadempimento
da parte degli enti locali si riferisce chiaramente alle attività di
cui agli artt. 4 e 5 della legge censurata che sono appunto affidate
agli enti locali. Del resto l’indicazione quale parametro dell’art.
120 Cost. appare del tutto inconferente, poiché tale norma riguarda
espressamente il potere sostitutivo straordinario statale.
PER
QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la questione di legittimità
costituzionale relativa all’intero testo della legge della Regione
Emilia-Romagna 24 marzo 2004, n. 5 (Norme per l’integrazione sociale
dei cittadini stranieri immigrati. Modifiche alle leggi regionali 21
febbraio 1990, n. 14, e 12 marzo 2003, n. 2), sollevata dal
Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in
epigrafe in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettere a)
e b), della Costituzione;
dichiara non fondate le questioni di legittimità
costituzionale degli artt. 3, comma 4, lettera d) e comma 5;
6, 7 e 10 della stessa legge regionale n. 5 del 2004, sollevata dal
Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in
epigrafe; in riferimento agli artt. 117, secondo comma, lettere a)
e b), 114 e 120 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo
della Consulta, il 7 luglio 2005.
Fernanda CONTRI, Presidente
Fernanda CONTRI, Redattore
Depositata in Cancelleria il 22 luglio
2005.