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Cassazione: va riconosciuto un contributo per l'accompagnamento

Un "vademecum" fisserà i confini entro cui i pazienti potranno usufruire dei benefici

L'indennità di accompagnamento spetta anche ai malati terminali, a coloro che possono ormai avere solo una "vita vegetativa". L'innovativo principio è stato stabilito dalla Cassazione accogliendo il ricorso della moglie e della figlia di Vito M. contro la sentenza della Corte d'Appello di Bari che aveva nuovamente negato loro il diritto a percepire il contributo di 400 euro al mese a favore del congiunto dopo l'analoga decisione del pretore della città pugliese, a cui si erano rivolte per il rifiuto già opposto dal ministero dell'Interno. "La sentenza della Suprema Corte riconosce che il supporto della famiglia alla persona malata, ancorché in stato vegetativo, è fondamentale e va in direzione di incentivare le forme di deospedalizzazione", ha sottolineato, soddisfatto, Furio Zucco, direttore della Federazione italiana cure palliative. "L'assistenza in ambito familiare, supportata da quella infermieristica, è importante per il paziente dal punto di vista umano", ha aggiunto Silvio Monfardini, presidente della Società internazionale di Oncologia geriatrica. Il verdetto apre le porte alle istanze di tutte le famiglie che sono costrette a convivere con le gravi malattie da cui sono state colpite persone a loro vicine. I giudici di primo e secondo grado avevano negato il beneficio sostenendo che l'uomo "era nella fase terminale della sua vita e tale situazione era incompatibile con le finalità della prestazione richiesta" e che l'indennizzo spettava solo agli invalidi che avevano "un minimo di vitalità" e che erano in grado di svolgere atti della vita "nel contesto sociale e familiare". Dopo la presentazione della richiesta, Vito M., pur costretto a letto, era vissuto per altri dieci mesi. E adesso la Cassazione, nella sentenza 7179 depositata in cancelleria nei giorni scorsi, ha sottolineato come "la presenza di gravi patologie, tali non solo da rendere l'individuo inabile al cento per cento ma da fare ragionevolmente prevedere che la morte sopraggiunga proprio in dipendenza delle stesse, non esclude il diritto all'indennità di accompagnamento anche se non c'è certezza su quando l'evento letale si compirà".

La Suprema Corte ha stabilito una sorte di "vademecum" per delineare i confini entro i quali gli ammalati abbiano comunque diritto a godere del beneficio. "L'indennità può essere negata - hanno sottolineato - solo quando sia possibile formulare un giudizio prognostico di rapida sopravvenienza della morte, in ambito temporale ben ristretto, tanto che la continua assistenza risulti finalizzata non già a consentire il compimento di atti quotidiani (tra i quali l'alimentazione, la pulizia personale, la vestizione) ma a fronteggiare un'emergenza terapeutica". Per la Cassazione, inoltre, l'indennità "è rivolta, principalmente, a sostenere il nucleo familiare per incoraggiarlo a farsi carico dei soggetti invalidi, evitando così il ricovero in ospedali e istituti di cura e assistenza e sollevando lo Stato da un onere ben più gravoso di quello derivante dalla corresponsione della stessa".


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