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Il virus della convegnite

di Franco Bomprezzi (fbompre@tin.it)

06/11/2003

 

Anno dei disabili, primi bilanci. Decine, centinaia di appuntamenti. Un fiume di parole, tra promesse ed equilibrismi lessicali. Ma che cosa resterà?

Un autentico tripudio del convegno. E quelli che contiamo nell'elenco che abbiamo sotto mano sono solo una piccola parte dei seminari, workshop, eventi pubblici, serate a tema, performance, mostre di ogni tipo, gare sportive, iniziative di solidarietà (magari con annessa raccolta fondi), di quest'anno. è impossibile effettuare un vero censimento, e l'onda lunga di questo 2003 denso di parole proseguirà certamente nel 2004, quando andranno a buon fine anche i finanziamenti pubblici erogati solo nella seconda metà dell'anno, dopo il laboriosissimo esercizio di selezione dei progetti effettuato dalla commissione interministeriale. è del tutto inutile, e certamente noioso, ripercorrere la “convegnite” del 2003 con date, titoli, e argomenti.

Curiosando però fra i titoli dei convegni, e avendo preso parte a molti (troppi) di essi, proviamo a riassumere qualche soggettiva materia di riflessione e di appunto.

 

La parola buonista

Il fiume dei convegni ha ingrossato il mare delle parole. Faticosamente resiste la terminologia europea, promossa dall'Edf - European disability Forum (European Disability Forum), che nella versione inglese accredita senza ombra di dubbi la locuzione "people with disabilities", ossia "persone con disabilità". Che però, in francese, diventa subito "personnes handicapées" (ma si sa che i francesi tengono molto alle tradizioni).

Accanto a questa espressione, politicamente e sostanzialmente corretta (si sottolinea il valore della persona mentre la disabilità indica la situazione di svantaggio, motorio, sensoriale o intellettivo), ha fatto irruzione con foga emotiva il termine "diversamente abile", carico di ambivalenza (e anche, secondo noi, di una certa dose di buonismo), con lo scopo di sottolineare le abilità, ossia le capacità delle persone disabili, ma anche la diversità (il che mette a posto la coscienza di chi non si sente affatto disabile, ma normale). Il neologismo più gettonato si è trasformato, con una crasi assai ardita, in diversabile, che sembra definire un soggetto ben preciso, dotato di Poteri e di Abilità (una specie di Pokemon, come ha acutamente osservato un mio amico), e francamente non si capisce quali problemi possa incontrare nella nostra società, essendo così abile.

Ma accanto ai neologismi abbiamo ascoltato, specialmente da politici locali alle prese con saluti improvvisati, stile "copia e incolla", espressioni come "portatore di disabilità" (sic!), "diversamente disabile", "persone deboli", senza contare l'uso assolutamente convinto del decrepito "portatore di handicap", anche nella variante "diversamente handicappati". Il disagio delle parole, dunque, a coprire il disagio sulla realtà. La connotazione di categoria è risuonata ovunque, da Nord a Sud, da sinistra a destra (politicamente): nell'immaginario collettivo del 2003 le persone con disabilità hanno spesso assunto il ruolo indistinto di “massa”, se non di “ceto sociale”. Disabili, ovvero fragili, sfortunati, economicamente in difficoltà, vittime di ingiustizia, e però portatori di valori, di risorse, di ricchezza morale, di esempi virtuosi. Parole come pietre, spesso pronunciate senza vergogna davanti a centinaia di persone disabili “vere”, che hanno ascoltato con paziente senso civico, rassegnati al fatto che in genere siano “altri” a parlare di loro.

 

La hit parade dei temi

Difficile stilare una hit parade attendibile dei contenuti prevalenti nel mare dei convegni. Fanno tendenza lo sport integrato con dimostrazioni di attività atletiche non solo agonistiche, e con qualche fuga verso l'estremo: vela, sub, parapendio, rafting, maratone ciclistiche, trekking, guida sportiva (è l'anno di Alex Zanardi, uomo simbolo gettonatissimo, e con merito, per la sua incredibile capacità di recupero fisico e mentale). Esplode la consapevolezza della non autosufficienza che, fino al 2002, si chiamava “dopo di noi” e adesso investe con forza il “durante noi”: le associazioni dei familiari (in particolare attivissima l'Abc con Marco Espa), hanno saputo uscire dal “rivendicazionismo monetario” per sfidare in campo aperto le istituzioni territoriali nel campo della qualità dei servizi alla persona, rivendicando i diritti di cittadinanza che non riguardano solo le persone attive e autosufficienti, ma anche coloro i quali non possono lavorare, hanno difficoltà gravi di comunicazione e di autonomia, eppure sono persone vive, e importanti.
Lavoro, integrazione scolastica, turismo per tutti, accesso alle tecnologie e al web: ecco i temi che hanno trovato maggiore approfondimento, a riprova che il “laboratorio del 2003” potrebbe produrre almeno una maggiore consapevolezza dei diritti e delle opportunità. Sempre meno “barriere architettoniche” (decisamente fuori moda, non perché non ci siano più, ma per un effetto di saturazione che viene da lontano) e sempre più “non discriminazione” (quasi in analogia col movimento femminista dei decenni scorsi).

 

Cosa resterà...

Nel grande marketing delle idee e delle parole, il 2003 ha messo a frutto una migliorata capacità di comunicare (solo le televisioni, pubbliche e private, non se ne sono accorte, e anche quotidiani e riviste sono spesso rimasti ancorati a stereotipi e ad analisi superficiali, oppure a racconti di storie personali, spesso cariche di enfasi retorica).

 E’ cresciuto il “fai da te” della comunicazione trasversale delle esperienze positive, e dunque anche un certo “orgoglio disabile” (di stampo vagamente americano, vedi Berkeley anni 70) che potrebbe prefigurare, nel 2004, una forte rivendicazione di rappresentanza politica non mediata, ossia la “scesa in campo” nelle prossime tornate elettorali di persone rappresentative e competenti, nella convinzione che fino ad oggi la delega non ha prodotto risultati soddisfacenti. Che stia nascendo la lobby delle persone con disabilità?


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